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Autore: KUBA    31/03/2021    3 recensioni
"Merda, è successo di nuovo. Di questo passo non distinguerò più il reale dall’illusione [...]"
Salve a tutti, questa è la prima volta che pubblico un testo in prosa. Questo progetto fa parte della serie "Hornets", che narra le vicende di James, un avvocato italo-americano molto ambizioso, ma che si è scontrato con la realtà dei fatti. Nella serie troverete anche delle poesie che serviranno per l'evoluzione del protagonista. Anche "Storie di vecchie poesie bruciate" è in fase di elaborazione, quindi sarà un lavoro lungo. Spero che vi possa piacere :)
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hornets'
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Poesia che profuma di morte
In questo mare cremisi,
vaga una zattera
di cadaveri,
che porta con sé
quel che resta della mia umanità.
Le urla strazianti
sono le mie uniche compagne,
qui,
in questo viaggio
in cui finisce il mondo,
e in cui finisce la mia vita.
Io non sono nulla
se non l’oblio.
 
 
 
Durante la notte la città si veste di malvagità. La nebbia la abbraccia, donandole una tetra atmosfera sinistra e in questo orribile panorama la vita scivola via.
Lo scorrere delle lancette mi inquieta, mi ricorda ogni secondo che il mio cuore sta ancora pulsando, ma un giorno le batterie si scaricheranno e il tic-tac cesserà e con lui anche i miei battiti.
Non so quanto io possa ancora definirmi vivo.
Guardo l’ora. Sono le 3.27 del mattino.
Porca puttana, un’altra notte insonne, come se potessi concedermi il lusso di stare a casa domani e non andare a lavoro. Vaffanculo, cazzo! Sarà una settimana che non riesco a chiudere occhio. Mi sento nervoso, isterico, agitato.
Mi alzo dal letto, tanto a cosa può servire restare sdraiato, rischio solo di aumentare ancor di più il mio scazzo e stando in piedi patisco meno l’insonnia. Vado in cucina, prendo un bicchiere di Macallan Amber, un whiskey scozzese dal gusto rotondo, morbido, elegante e leggermente vanigliato, una prelibatezza per il palato. Sento ardere la mia gola, sento il gusto e il calore dell’alcool pervadere il mio corpo e rimango quasi estasiato da questa sensazione così dolce, così amara, così dolorosa. Ho voglia di fumare, che strano, alla fine non sono un grande fumatore.
Torno in camera, sopra il comodino dovrei aver lasciato il pacchetto di Merit – sì perché alle Merit soltanto va la mia fedeltà. Ecco, ti pareva. Sono finite. Cristo, adesso non vorrete dirmi che devo uscire, andare dal tabaccaio più vicino, sperare che abbia un distributore automatico, infilare la tessera sanitaria, i soldi, poi, dal momento che non ho spiccioli, ma solo banconote, non potrò ricevere il resto, quindi, per questo motivo, dovrò prendere lo scontrino e domattina dovrò ritornare per farmi dare il mio fottutissimo resto? Prima che mi rispondiate, sappiate che sono già uscito di casa e mi sto dirigendo a passo lesto verso la mia meta. Non posso stare senza sigarette, non in questo periodo del cazzo.
Un gelo misterioso si insinua tra i peli ispidi della mia barba, domani potrebbe venirmi un’irritazione e cammino quasi per inerzia, ma per le sigarette questo e altro. Quanto è strana la vita: un giorno dici di voler fare una cosa e l’indomani ti ritrovi a fare esattamente l’opposto. Ho sempre visto in questo principio – se così possiamo chiamarlo – qualcosa di estremamente ironico, divertente oserei dire. Viviamo in questa situazione farisaica, quasi come se la nostra stessa esistenza fosse permeata da una ineluttabile incoerenza a cui l’essere umano, in un modo o nell’altro, tende. Un eterno conflitto tra ciò che siamo e chi dobbiamo essere.
Divertente, davvero divertente.
Siamo esseri che si dichiarano superiori alle altre specie animali, ma viviamo nell’ignominia più miserabile. Mi viene in mente una frase di un libro che ho letto parecchi anni fa, però devo dire che calza perfettamente con questa mia riflessione notturna.
“Uccidersi, in un certo senso e come nel melodramma, è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa” [1].
Camus, mio maître a penser, la verità trasuda da questa tua laconica frase, che, si parva licet, oserei paragonare al mio stesso modo di vedere la vita, vita che non sono in grado di portare avanti e che spero possa terminare in fretta, senza dolore. Sono quasi giunto al tabaccaio.
Questo posto, di notte, è davvero squallido, persino i reprobi dell’inferno rifiuterebbero di viverci.
Questo grigio così spento, così sofferente, così annoiato è lo specchio delle persone che ci abitano.
Questo odore, o meglio, questo miasma che si respira è insostenibile, penso che non stia entrando aria nei miei polmoni, ma tossine, come se il fumo non fosse già abbastanza incisivo sulla salute dei miei bronchi. Si vede che sono in periferia. Comunque sia, sono finalmente arrivato.
Inserisco la mia tessera sanitaria, inserisco la mia banconota da 20 euro, clicco il pulsante associato alle Merit, erogazione in corso, ritirare il prodotto, ritirare lo scontrino, “Grazie e arrivederci” a cui segue un sonoro “li mortacci tua”. Tutto nella norma direi. Mentre poso le sigarette nella tasca del cappotto, mi accorgo, tastando bene il taschino superiore, che avevo già comperato un pacchetto di Merit. Bestemmio ad alta voce, qualcuno mi manda a fanculo da una casa non ben identificata. Sono proprio un coglione. Sono andato giusto ieri notte a comprarle. Questa fottuta insonnia mi sta distruggendo le sinapsi. Sarà meglio tornare a casa e domani chiamare un dottore per farmi prescrivere un sonnifero. Non posso continuare a restare sveglio per l’eternità, Dio, se davvero esisti e mi vuoi bene in quanto figlio, ascoltami: non continuare a tormentarmi, lascia che io possa godere di quell’effimero piacere che chiamiamo sonno.
I miei discorsi trascendentali vengono bruscamente interrotti da un’esplosione. Per un qualche motivo non preciso, mi butto per terra, come fossi stato investito dall’onda d’urto.

Riapro gli occhi. Il mio sistema cervello-mente credo non si sia ancora ripreso del tutto da quel boato, ma mi alzo e con la vista ancora appannata, probabilmente un effetto psicosomatico legato all’insonnia, mi dirigo verso il luogo del misfatto. Impiego pochi minuti ad arrivare. La scena è apocalittica: macchine e motociclette distrutte, alberi che bruciano, cadaveri carbonizzati e case devastate dal nero dell’esplosione. In piedi, in mezzo alla strada, un uomo, ben vestito, capelli medio-lunghi ricci, dal colore nero, con un lieve nastro d’argento – così amo chiamare le persone che mostrano i primi segni della brizzolatura – e fisico prestante.
Ma porca puttana – penso – Signore fai che non sia lui.
L’uomo si gira, mi guarda con il suo tipico sguardo da nevrotico e mi sorride.
“Oh salve signor Avvocato. Che ci fa qui, tutto solo, nel cuore della notte? Pensavo di venire da lei domattina” – mi dice con tutta la tranquillità del mondo.
“Ma che cazzo hai combinato? Sei uscito di senno?” – gli grido con tutta la disperazione in corpo
“Ordini degli Hornets, signore. Stia tranquillo, loro si fidano di lei.”
In piedi, davanti a me, sta sogghignando divertito, proprio il peggiore fra tutti loro: Azrael.



Nota dell'autore: Buonasera a tutti! Volevo innanzitutto scusarmi per aver lasciato trascorrere così tanto tempo dall'ultimo capitolo, purtroppo ho avuto molti impegni in questo periodo tra esami e ricerca per la tesi, aggiungiamo anche un po' di indecisione su come portare avanti la narrazione e il brodo è fatto. Tuttaviam eccomi qui, spero che il capitolo vi piaccia, come potrete notare è un capitolo un po' diverso dai precedenti, ma è importante cogliere tutti i passaggi e le espressioni usate da Jim, per comprendere meglio i suoi pensieri e la sua vita.
La poesia è un piccolo regalo per l'attesa, l'ha scritta Jim personalmente! Consiglio inoltre a tutti di leggere il libro di Camus, perchè fa bene all'anima! Ahah 
A presto (spero)!
KUBA
[1] Albert Camus - “Il mito di Sisifo”
   
 
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