Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Segui la storia  |       
Autore: Picci_picci    01/04/2021    6 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
.
"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Erano stati cinque giorni estenuanti.

Perché?

Perché erano i giorni della Fashion Week di Parigi.

Giorni in cui modelle, stilisti, attori, celebrità e fashion influencer prendevano d’assalto la capitale francese in un turbinio di paillettes, abiti estrosi e tacchi vertiginosi.

Marinette, in tutto questo, si sentiva l’unica rimasta sana di mente in un mondo di pazzi. O l’unica pazza in un mondo di sani, decidete voi la migliore opzione.

Ormai nell'elite parigina e nel mondo della moda, chiunque conosceva il nome di Marinette Dupain-Cheng: stagista e braccio sinistro di monsieur Agreste (il braccio destro rimaneva sempre e comunque Natalie); aveva già fatto qualche anno fa la sua ‘entrata in società’, come continuava a chiamarla Paul, ed era apparsa come volto in copertina in un numero di Vogue.

Cosa l’aveva portata, però, ad essere sulla bocca di tutti? Semplice, il fatto che aveva partecipato ad ogni sfilata, e ad ogni party, in compagnia di Gabriel Agreste.

Il portamento aggraziato, anche se talvolta buffo per qualche incidente (tipo il far rovesciare un calice di cristallo durante il brindisi di Valentino), la spiccata eleganza degli abiti e il sorriso dolce, avevano incantato chiunque. La franco-cinese aveva spopolato e conquistato qualsiasi persona l’avesse incontrata. Alcuni articoli, addirittura, la designavano come la degna erede del genio di Gabriel Agreste grazie alla linea semplice, impeccabile ed elegante -anche se non indossava l’espressione di pietra di monsieur.

La coppia Gabriel Agreste e Marinette Dupain-Cheng era stata la stella di quella settimana, come Brad Pitt e Angelina Jolie nel panorama hollywoodiano, tanto che i giornali li avevano definiti “la coppia che si completa a vicenda: gentilezza da parte di lei, autorità da lui”, o ancora “il padre-figlia che il mondo della moda stava aspettando!”. 

In tutto questo, Marinette voleva sotterrarsi e morire lentamente.

A causa dell’ intoppo della location per la loro sfilata, Marinette stava partecipando agli eventi mondani e contemporaneamente finiva di preparare l’evento della maison Agreste.

Sia lei che Natalie stavano facendo gli straordinari fino a tarda notte, mentre Paul si occupava della sua immagine pubblica e di farla dormire abbastanza.

Ormai mancavano pochi giorni a quella che sarebbe stata la sfilata delle sfilate (monsieur si era leggermente montato la testa. E pure Paul).

“Dolcezza”, girò lo sguardo e trovò sulla porta del suo ufficio il suo migliore amico.

“Oui?”

“Sono le sette passate e domani hai un brunch alle dieci e mezzo, devi riposarti.”

“Non preoccuparti-”

Paul la fermò alzando una mano in aria, “passo da te, domani mattina, alle otto in punto per prepararti.”

Marinette sospirò, mettendosi le mani nei capelli.

Aveva detto a Paul che riusciva a prepararsi da sola, ma la risposta di lui era stata: “secondo te, mi perdo la possibilità di renderti un figa pazzesca e di prendermi il merito con la stampa? Amo, scordatelo, domani sono da te.”

E quindi, da quando era iniziata la Fashion Week, si era trovata Paul a casa sua ogni giorno e quasi ad ogni ora. In effetti, stava più lui a casa sua che lei; ci mancava solo che rimanesse a dormire. Era convinta che sua mamma lo avrebbe adottato volentieri come secondo figlio...quei due insieme le facevano seriamente paura, soprattutto quando si scambiavano quello sguardo da “io so cose che tu non sai, ma presto capirai ciò che abbiamo combinato”. 

In più, durante quella settimana, aveva avuto poche occasioni per parlare con Adrien, ma tante per posare con lui. Non aveva partecipato come lei a tutti gli avvenimenti della settimana della moda, ma alla maggior parte sì. Ed inutile dire che tutti erano andati in visibilio...ci credo, con un Adrien Agreste in smoking anche io perderei la testa. Avrebbe mentito fino alla fine della sua vita, ma la verità era che gli ormoni gli erano schizzati alle stelle e, pure lei, aveva perso la testa.

Forse era per questo che aveva stretto più forte il braccio di Adrien, quando sono entrati insieme al party di Michael Kors? O che ha fatto di tutto per non far avvicinare la biondina con il completo verde mela che l’aveva assistita al suo servizio fotografico per Vogue?

Cavolo, stava impazzendo.

Tutta colpa della settimana della moda.

Sì, certo, come no.

“Marinette.”

Girò lo sguardo da Paul ad Adrien che la stava chiamando dal suo ufficio.

“Sì?”, rispose lei urlando e sistemando dei documenti in una cartella.

“Domani sei al brunch?”, continuò ad urlare lui dall’altra stanza.

“A quanto pare sì!”, rispose lanciando un’occhiata a Paul.

“Ti passo a prendere così andiamo insieme?”

Erano queste esatte parole che facevano prendere uno scompenso cardiaco alla mora.

“Se per te non è problema, va bene.”

“Lo sai che non-“

“La volete smettere di urlare da un ufficio all’altro e parlare come le persone normali?!”, tuonò monsieur.

Marinette di alzò e camminò velocemente sui tacchi alti fino ad affacciarsi dalla porta dell’ufficio di Adrien e Gabriel.

Anche Adrien si era alzato per andare da lei, ma quando alzò lo sguardo e la vide già lì che lo guardava con gli occhioni celesti contenti, sorrise.

“Dicevi?”

“Che lo sai che per me non è mai un problema.”

Lei sorrise.

“Non so se ve lo siete dimenticati”, iniziò Gabriel, “ma domani siamo tutti e tre inviati al brunch, quindi andremo tutti e tre insieme. Arriverà la nostra macchina a prenderti.”

Accanto a Marinette spuntò Paul con un sorriso birichino sulle labbra e la mora si preoccupò di già.

“Monsieur, su, non faccia il terzo incomodo.”

Marinette sbiancò e lo guardò.

L'occhiataccia che gli lanciò monsieur fece gelare anche l’equatore.

“È arrivato l’inverno o sbaglio?”, sussurrò Paul a Marinette, ma a voce troppo alta.

Lei gli dette una gomitata nelle costole, ma non servì a niente.

“Giuro, è la nuova Elsa.”

Marinette gli dette una manata più forte.

“Che c’è?”, esclamò lui mezzo indignato.

“Paul, gli conviene tacere se non vuole che la trasformi in una statua di ghiaccio in quanto nuova Elsa.”

A quel punto, Adrien scoppiò in una fragorosa risata. 

“Voglio morire”, sussurrò Marinette.

“Possibilmente dopo la mia sfilata”, replicò Gabriel. 

La mora scoccò un’occhiata esasperata.

“L'ascensore?”, chiese il suo boss.

Non ce la poteva fare.

“Hanno quasi finito.”

“Hai da fare?”

“Da morire.”

Gabriel la guardò sfogliando l’ennesimo numero di Vogue, “perché hai tutto questo desiderio di morte?”

A quel punto non ce la fece e ruotò gli occhi al cielo, “secondo lei?”

Adrien ghignò, ma prima che potesse aprire bocca, Marinette lo fermò con una mano alzata. Puntò il dito indice sui due Agreste e uscì dal loro ufficio, lasciando la porta aperta.

“Siete tornati insieme tu e Adrien?”

Inciampò nei suoi stessi piedi finendo con il sedere per terra, “che cosa?! No!”, scosse la testa e poi sussurrò, “no...perché me lo chiedi?”

Paul le allungò una mano, che lei prese, e la tirò su finché non si stabilì su due piedi.

“Sai.. l’intesa, la complicità… sembrava”, poi scosse la testa, “okay, l’ho sperato. Con tutto me stesso.”

Lei scosse la testa ma prima che potesse rispondere, la voce roca di Adrien dal suo ufficio li raggiunse, “nessun divertimento per questo povero gatto. Ci abbiamo sperato.”

Marinette arrossì, “Adrien!”, urlò con tutto il fiato nel suo corpo.

“Civilmente, ho detto. Parlare. Civilmente”, ribadì Gabriel dalla sua scrivania. 

Marinette sbuffò e si sedette alla sua postazione.

Paul alzò una mano per salutarla.

“Ci vediamo domattina alle otto”, disse la ragazza a mo di saluto.

“No.”

“Come no?”

“No, perché ci vediamo prima. Tua mamma mi ha invitato stasera a cena da voi”, e uscì dalla stanza.

Che cosa aveva combinato facendo incontrare quei due?

Un messaggio in arrivo la distrasse dal sbattere la testa contro la scrivania.

 

Passo domani mattina alle 7:30 con i documenti firmati e approvati.

-Chloe

 

Riesci a passare nel pomeriggio? Domani ho un brunch. Scusami.

-Marinette

 

Forse non hai capito o hai problemi di vista. Passo domani mattina in maison alle 7:30, punto. Dopo ho da fare e non mi interessa se tu devi presenziare ad un brunch.

E ringrazia il cielo che vengo a portateli e ti faccio saltare tutta la trafila del comune!


Era già tanto così, non poteva aspettarsi troppi favori da Chloè.


Va bene. Puoi passare da casa mia, invece che in maison?

-Marinette

 

Questo si può fare. Fammi trovare pronti dei cornetti vuoti con la glassa alla vaniglia.

-Chloe

Marinette rispose con un pollice in su e si rimise a lavoro.

Dopo del tempo, si trovò la mano di Natalie davanti il volto.

“Cosa posso fare per te, Natalie?”

“Andate a casa, mademoiselle. Qua finisco io.”

“Oh, no, non potrei, davvero.”

“Sono già le otto e mezza, la sua famiglia la sta aspettando. Vada a casa, domani sarà impegnativo.”

“Come tutto il resto della settimana.”

Natalie annuì con la sua solita espressione impassibile, anche se vide un lampo di contentezza nei suoi occhi.

La ragazza si stiracchiò e prese le sue cose, “grazie mille, Natalie.”

“Dovere, mademoiselle.”

Si incamminò nei corridoi vuoti fino a raggiungere l’ascensore, dove premette il tasto di prenotazione e aspettò che arrivasse al suo piano. Accanto a lei, si trovava il cantiere per il famoso ascensore che avrebbe portato fino al tetto. Scosse la testa con un sorriso sul volto.

“Marinette?”

Si voltò di novanta gradi e vide Adrien che le veniva in contro.

“Hai smontato ora?”, le domandò lui preoccupato.

Lei annuì.

“Non dovresti affaticarti tanto.”

“Ce la faccio, Adrien. Ricordi? Sono la Ladybug di tutti i giorni”, disse facendo riferimento al nomignolo che lui le aveva dato tanto tempo fa, nella speranza di alleggerire la tensione e quella improvvisa stretta allo stomaco.

“E non solo. Per mia fortuna.”

Le porte dell’ascensore si aprirono e loro entrarono al suo interno pigiando il tasto per il piano terra.

Rimasero in silenzio con Marinette che batteva il piede per terra dall’ansia di rimanere in un luogo chiusa con lui, da sola. Aveva passato la settimana con lui, ma sempre in compagnia degli altri, e quando si trovava da sola in sua compagnia, aveva paura di se stessa e di quello che avrebbe potuto fare.

E mentre nella sua testa, Marinette stava dirigendo un film da premio Oscar, l’ascensore fece uno scossone e grazie alla sua irrequietezza si trovò a battere il sedere per terra per la seconda volta in quel giorno. O meglio, stava per finire per terra. In realtà, si ritrovò spiaccicata sul petto di Adrien che prontamente la strinse a se.

Cavolo, era fottuta.

Si beò di ogni attimo tra le sue braccia e delle sue mani calde e grandi sui suoi fianchi.

“Certo che quei tacchi killer e la tua goffaggine sono un attentato alla tua stessa vita.”

Lei annuì, non osando guardare la trappola che erano i suoi occhi verdi, “ne sono consapevole.”

Con lo sguardo fisso sul suo petto, vide che la cravatta, nel tentativo di salvare lei nel suo incontro ravvicinato con il pavimento, si era storta. Senza pensarci troppo su, allungò le mani e gliela sistemò.

Il pomo d’adamo di Adrien fece su e giù.

Poi, per stemperare la tensione, mise le mani sul bavero giacca, spianandola, “scusa, era storta.”

“Niente, anzi: sentiti libera di farlo tutte le volte che vuoi.”

Lo lasciò andare, allontanandosi di due passi e mettendo distanza tra loro due. Mancavano ancora quattro piani, solo quattro. Strinse le mani a pugno nel tentativo di trattenersi dal toccarlo di nuovo.

Rimasero in silenzio finché non uscirono nella hall della maison.

“Ti accompagno casa?”

“Oh, non voglio disturbarti-”

“Lo sai che non lo è, non sei mai un disturbo .”

Lo guardò negli occhi verdi e si rese conto di non aver mai desiderato con così tanto ardore di voler essere baciata.

“Oh, ce l’hai fatta! Pensavo che ti avrei aspettata per tutta la sera. No, scherzo, ti avrei portata giù di peso, nel caso.”

Quando Paul si rese conto degli sguardi di fuoco che si lanciavano i due, si chiese se non aveva interrotto qualcosa.

“Tutto apposto?”, si trovò a domandare il castano.

“Certo”, si riscosse veloce Marinette, “sei a cena da me, giusto?”

Al cenno affermativo di Paul, la ragazza continuò, “allora, mi porti tu a casa, così lasciamo libero Adrien.”

“Forse è meglio che ti accompagni lui, sai-”

“Sai, un corno. Siamo diretti nello stesso posto, è inutile far sprecare tempo a lui. Andiamo.”

Lo guardò con lo sguardo che Paul conosceva molto bene: ‘ho deciso così e faremo così, anche se cascasse il mondo’. Era in quei casi che il ragazzo riconosceva in lei la degna erede di Agreste.

“Va bene”, disse sconfitto alzando le mani in aria, “andiamo. Ci vediamo, Adrien.”

Lei annuì, salutando il biondo con un cenno della mano e un sorriso di circostanza, “a domani.”

“A domani”, le fece eco lui.

***

“Ma io non riesco ancora a capire perché non sei voluta andare con lui”, esclamò Paul la mattina dopo mentre sistemava le ciocche more di Marinette in piega con i bigodini.

“Te l’ho già ripetuto ieri sera”, rispose lei scocciata di dover tornare di nuovo sull’argomento; l’aveva già messa alla gogna ieri per quella faccenda. Chloe era già passata quella mattina lasciandole i documenti approvati e svariati commenti di quanto fosse impresentabile appena sveglia, mentre lei, già alle 7:30 di mattina, era truccata e pettinata manco dovesse presentare agli Emmy.

“Sì, ma io non ho ancora capito!”

“Cosa c’è da capire? Cosa vuoi che ti dica? Che sono ancora innamorata di lui? Che avevo una tremenda voglia di baciarlo tanto che mi prudevano le mani? È questo che volevi sapere?!”

“Sì!”, esclamò lui incurante del pudore o della vergogna. 

“No! Paul, non posso farmi di nuovo del male, non posso illudermi.”

“Ma sei ancora innamorata di lui.”

“Chi non è innamorato di Adrien Agreste?”

“Touchè.”

Poi, in silenzio, Paul continuò a prepararla.

“Sabine, cara, vieni che ho finito!”

“Arrivo subito, Paul. Tesoro, vuoi un caffè?”

“No, cara, grazie lo stesso.”

Marinette ascoltò basita quella conversazione. 

Ripeto: cosa aveva creato?!

Mentre sua madre stava salendo le scale, la mora ne approfittò per guardare il suo riflesso nello specchio a figura intera. I capelli erano sciolti e sistemati in una piega perfetta, il trucco era leggero, quasi inesistente, e un vestito ocra dal corpetto stretto e la gonna svolazzante fino alle ginocchia, completava il look. Sembrava così solare, piena di vitalità. Paul poteva pure essere una comare, ma, di certo, sapeva come comunicare tramite un’immagine; anche perché nel mondo della moda, l’immagine era tutto.

“Tesoro, sei bellissima”, esclamò Sabine.

“Esattamente come nei cinque giorni precedenti.”

Cavolo, erano già passati cinque giorni dall’inizio della Fashion Week?

“Oh, ma bella in modo diverso. Oggi sembri proprio...Marinette”, la Marinette solare e allegra, la goffa Marinette che affronta la vita con un sorriso.

Oggi non era né Ladybug né la stagista di monsieur Agreste...solo...Marinette.

Lei annuì e indossò il sandalo dal tacco largo (e vertiginoso) nero con la fibbia tempestata di pietre rosse e verdi con rifiniture oro. Poi prese la piccola borsa a tracolla in pendant con le scarpe e si girò verso i due.

“Che vi sembra?”

Paul e Sabine, nella stessa identica posa, mani giunte e portate al petto, sorrisero.

“Bellissima.”

“Favolosa.”

“Grazie.”

Scesero di sotto dove Marinette salutò tutti e si diresse fuori.

Accanto al marciapiede si trovava di già una berlina nera dai vetri oscurati che aspettava solo lei. Quando la portiera si aprì e ne scese un Adrien Agreste con un completo di lino grigio tortora, camicia bianca e occhiali da sole calati sul naso, il suo cuore perse un battito. Anche più di uno, se doveva essere sincera.

Il biondo fischiò piano in segno di apprezzamento e lei arrossì nemmeno fosse una quindicenne.

“Mi erano mancate le tue gote rosse”, esordì lui con un ghigno.

“Buongiorno anche a te, Adrien.”

“Buongiorno, my lady.”

Con le guance sempre rosse entrò in macchina dove trovò monsieur ad attenderla.

“Bonjour, monsieur Agreste.”

“Marinette”, disse lui appena si sedette vicino, “sei incantevole.”

“Grazie.”

Si trovò, poi, stretta tra i due Agreste e non riuscì a capire se era la cosa migliore o peggiore che le fosse capitata.

Cercò di calmarsi e di nascondere il nervosismo; non era la prima volta che partecipava a questi eventi, ma l’ansia prendeva sempre il sopravvento.

“Tranquilla”, le sussurrò Adrien ad un orecchio facendole venire brividi ovunque, “Sarai fantastica come sempre.”

Scesero dall’auto ed entrarono in uno dei locali più esclusivi di Parigi con passo sicuro e calcolato. Adrien le porse la mano per aiutarla a salire alcuni scalini, poi, con sommo dispiacere, la lasciò andare. A meno che stessero insieme (e non era il loro caso), non dovevano avere tali atteggiamenti per non fomentare chiacchere.

Solo cavalleria e cortesia, gli ripetè nella mente la voce di Gabriel.

“Stai bene?”

“Sì, certo”, rispose con un sorriso alla domanda di Adrien.

Un ippopotamo sarebbe riuscito ad essere più convincente.

Passarono la prima mezz’ora nei soliti convenevoli e conversazioni leggere con la maggior parte delle persone presenti nella stanza.

“Per quanto tempo dobbiamo ancora restare?”, chiese Adrien sottovoce, chinandosi vicino alla testa di Marinette.

“Ancora un po’, temo.”

E in un lampo la vide: la bionda dal completo verde mela che durante il suo servizio fotografico per Vogue ci aveva provato con Adrien.

Presa da una gelosia dello stesso colore del completo della donna, si girò verso Adrien e lo guardò dritta negli occhi verdi.

“Che c’è?”, mormorò lui, stranito dal comportamento della ragazza.

Rimase per un attimo senza parole, poi, le venne l’idea, “hai la cravatta storta.”

Così, iniziò a sistemare la cravatta (già perfetta), il colletto della camicia (già perfetto) e il bavero della giacca (quello era un po’ storto).

“Non che mi voglia lamentare”, iniziò Adrien mentre lei stava ancora armeggiando con il nodo della sua cravatta, “ma perché lo stai facendo?”

“Hai detto che potevo farlo quando volevo.”

“Se prendi così alla lettera i miei inviti, dovrei spingermi un po’ più in là.”

Marinette arrossì e gli lanciò l’occhiata alla Ladybug, “Adrien!”, sussurrò mezza alterata.

Lui proruppe in una risata che ben presto svanì.

Sentì la mano di lui sul fianco, in maniera quasi possessiva, e indurì lo sguardo verde.

Lei si girò e si trovò imbarazzata più di cento volte prima.

“Luka”, proruppe con voce incerta.

“Ciao, Marinette”, e come si conveniva si salutarono con due baci sulle guance.

La mano di Adrien strinse di più il suo fianco.

“Agreste.”

“Couffaine”, rispose lui al saluto del chitarrista.

“Com’era Londra?”

Mon Dieu.

“Incantevole”, disse il biondo a denti stretti.

“Che ci fai qui?”, esclamò Marinette per evitare che i due si scannassero prima della fine del brunch.

Gli occhi di Luka si addolcirono mentre si posarono su lei, “sono tornato ieri pomeriggio a Parigi dopo la tournée con Jagged Stone. Mi hanno invitato a partecipare agli eventi mondani.”

Adrien alzò un sopracciglio, “che fortuna”, esclamò con ironia.

“Almeno mi ha dato la possibilità di vederti”, rispose Luka di rimando lasciando un bacio sul dorso della mano di Marinette.

Quando sentì anche l’altra mano di Adrien sul suo fianco, mentre l’altra si stringeva in un pugno, capì che era l’ora di andarsene.

“Lieta anche io di averti rivisto, Luka. Ora, scusaci, ma dobbiamo andare a controllare le ultime cose per la sfilata della maison Agreste.”

Acchiappò Adrien per un braccio, scordandosi degli avvertimenti di monsieur, e lo trascinò fuori dalla sala.

“Prendimi per il braccio come se mi stessi scortando da qualche parte”, sussurrò lei a mezza voce.

“Cosa?”

“Fallo e basta.”

E come era sempre successo nel loro duo, Adrien eseguì prendendola sottobraccio.

Appena furono fuori da occhi indiscreti, Marinette prese la mano di lui e una volta individuata la porta con su scritto toilette, rinchiuse tutti e due lì dentro. A chiave (tanto per essere sicuri).

“Devo ancora capire perché voi donne scegliete sempre il bagno.”

“A chi lo dici, moccioso”, esclamò Plagg uscendo.

Marinette guardò i due con un sopracciglio alzato.

“Plagg?”

“Sì?”

“Dentro la borsa”, disse lei continuando a guardare truce il biondo.

Plagg aprì bocca, contrariato, “cosa? Ma io non-”

“Dentro. La. Borsa”, ripeté lei glaciale, “ora.”

Il kwami nero, deciso a non sfidare una Ladybug incazzata, fece come gli era stato detto e raggiunse Tikki dentro la borsa della mora.

“Che ti è preso oggi?”, esclamò lui.

“A me? A me, che è preso?”, domandò lei retorica, “piuttosto, cos’era quello che è appena successo?”

Adrien incrociò le braccia al petto, “non mi piaceva come ti guardava.”

“Non è una giustificazione! Sembrava che gli volessi tirare un pugno!”

“Togli il sembrava, glielo avrei dato volentieri.”

Marinette lo guardò a bocca spalancata, “sei solo un gatto possessivo, non vuoi che gli altri abbiano i tuoi stessi giochi anche se tu non li usi più.”

“Fidati che certi giochi vorrei ancora usarli.”

Si trovarono faccia a faccia, tutti e due ansanti e con i nervi a fior di pelle.

“Non mi piace essere di proprietà di qualcuno, io appartengo solo a me stessa.”

“Lo so”, disse lui scuotendo il capo, “ma se non vuoi essere di proprietà di nessuno, come dici tu, perchè porti quella collana?”

Istintivamente, portò la mano al collo dove trovò la famigliare collana con il ciondolo “A” di Agreste, la stessa collana che indossava sempre come con i suoi orecchini magici. 

“Perché mi ricorda chi sono adesso: la stagista di tuo padre, e perché sia chiaro a chi è votata la mia fedeltà.”

Lui ghignò e si avvicinò a lei di un passo, annullando la distanza, “allora è vero che non te lo ha detto.”

“Cosa?”

“Quel ciondolo, la collana a cui tieni tanto, te l’ho regalata io prima che partissi per Londra, così che avessi sempre una parte di me con te”, si passò una mano tra i capelli, imbarazzato, “ma non sono riuscito a dartela, mi sembrava troppo intimo. Ho chiesto a mio padre di consegnartela e di non dirti che era da parte mia, ma pensavo che non mi avrebbe dato retta...invece”, e con due dita sfiorò il ciondolo a forma di A. 

Marinette trasalì e boccheggiò svariate volte prima di ritrovare la voce, “quindi, è da parte tua?”

“A di Agreste; A di Adrien.”

Come aveva fatto a non collegare prima?! Si sentiva così stupida.

“Perché? Perché questo regalo?”

“Per lo stesso identico motivo per il quale tu mi hai sistemato la cravatta davanti a tutti lì dentro”, disse indicando con un gesto del capo la porta, “segnare il territorio, gelosia..chiamala come vuoi.”

Marinette rimase immobile con le guance arrossate e gli occhi spalancati, incapace di dire altro.

Adrien la guardò con gli occhi verdi scuri dal desiderio, la bocca contratta in una linea.

E, come era sempre successo, si capirono in un secondo, perché loro erano i mitici Ladybug e Chat Noir. 
Volevano smettere di giocare al gatto e il topo, smettere di rincorrersi, di rifiutarsi e di far finta di niente.
Loro si appartenevano da sempre, dalla prima volta che i loro sguardi si erano incrociati.

“Bene”, esclamò Marinette sbloccando la porta e prendendolo per mano, “andiamo a segnare il territorio insieme.”

Adrien fece il suo mezzo sorriso da cortocircuito ormonale, “non aspettavo altro, mia signora.”


Angolo Autrice
Ma quanto è luungoo? Mi sono superata, ammettetelo.
E prima che mi arrivino sputi o insulti: DEVE ANCORA USCIRE L'EPILOGO. Lo so, sono cattiva perchè non vi ho ancora dato un finale con la F maiuscola...vi terrò con l'ansia fino alla fine ahahah. Spero di pubblicarlo al più presto, forse dopo Pasqua? Per questo non sto a dilungarmi, vi sorbirete tutti i miei ringraziamenti al prossimo aggiornamento ;)
Come sempre vi mando un bacio,
Cassie
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: Picci_picci