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Autore: Evil Daughter    03/04/2021    7 recensioni
Più la nascondi, più la verità torna a galla. Come un cadavere.
Il piccolo Trunks scoprirà qualcosa che il suo papà non potrà più nascondere.
Dal testo:"Si misero entrambi a ridere, brillavano gli occhi a tutti e due. Di fantasia, di ludico e puerile.
Ma quando il vento cessò, abbassando le polveri, e i toni della terra si rivelarono essere più chiari e diversi rispetto a ciò che malamente inumavano; poco lontano da loro e dal cratere camuffato di verde spoglio, un misero dettaglio – qualcosa di forma strana, quindi aliena come aveva detto Trunks – apparì."
Easter egg per voi. Buona lettura.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goten, Radish, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Disegno scemo a fine pagina.



GLI ALIENI... NON ESISTONO.

 

 

 

 

 

“ What's down in the dark

will be brought to the light ”

 

 

 

 

«Trunks, manca molto?»

«Uffa, Goten, te l'ho già detto: siamo quasi arrivati! Piantala di lamentarti, non stai nemmeno volando, non è abbastanza comoda la tua nuvola?»

«Sì, lo è. Ma se non torniamo subito a casa, ho paura che la mamma si arrabbi con me.»


Trunks diede un'altra occhiata allo schermo quadrato del suo GPS da polso, il luogo da raggiungere era a pochi metri di distanza dalla loro posizione. «Qui, Goten! Scendiamo!», annunciò, perdendo quota a massima velocità. La nuvola Kinto lo seguì, planando e lasciandosi dietro un nastro di luce dorata. Goten scese con un saltello. Trunks era corso più avanti. Dal suo zainetto, aveva tirato fuori una cartina della zona compresa fra i monti Paozu e la Città dell'Est. La dispiegò davanti a sé e la ruotò verso il nord. Prese ad analizzarla, confrontandola con i dati rilasciati dal navigatore. La sua ingegnosa mamma gli aveva insegnato a leggere le mappe e come orientarsi. Trunks era un bimbo intelligente.
«Goten, sei sicuro di aver tracciato il punto esatto?»
Il vento gli scosse leggermente i capelli malvacei, arruffandogli l'espressione concentrata.
«Sì, come mi avevi detto di fare ho chiesto a mio fratello di indicarmi sulla cartina dove era atterrato l'extraterrestre e io ci ho fatto sopra quel cerchio blu. Che c'è, non capisci dove siamo?»
«So benissimo dove ci troviamo... Però... Spero che tuo fratello non se la sia inventata questa storia.»
«Impossibile, il mio fratellone non è un bugiardo!»
«Questo è da vedere, e poi lo sanno tutti che gli alieni non esistono.»
«Chi se ne frega! Lui le bugie non le dice!»
Goten mise il broncio, Trunks, spazientito, si guardò intorno: montagne a nord-ovest, il profilo di una città che sbucava verso est. Alle loro spalle solo terra, rocce e sprazzi d’erba. Poi vento e tanto silenzio.
«Trunks... E se uscisse fuori un mostro? O l'alieno stesso?»
«Ma cosa dici, non può esserci nessuno, l’extraterrestre è stato ucciso molti anni fa, no? Non dicevi che tuo fratello le bugie non le racconta?»
Goten annuì serio:«Esatto! È stata una battaglia faticosa, ma lo hanno sconfitto!», dichiarò, allargando le braccia corte per far intendere all'amico la vastità dell'evento.

Da qualche mese, Gohan aveva iniziato a narrare al fratellino alcune delle proprie avventure, per farlo appassionare al combattimento e per instillare nel giovane Son il mito magnificente delle gesta eroiche del loro defunto padre. Goten ascoltava sempre molto rapito. Tanto da raccontare tutto a Trunks che, da parte sua, di storie non ne aveva. Vegeta non gli aveva detto mai nulla e al piccolo non veniva facile chiedere, non a suo padre.
Così, l’ultimo racconto riportato dal compagno di giochi aveva destato in Trunks parecchia curiosità. Motivo per il quale, in quella mattina d'estate, i due nanerottoli s’erano allontanati da casa, proponendosi per andare a pescare del pesce gigante di fiume che Chichi avrebbe servito durante il pranzo.

Trunks fece un salto di una decina di metri in mezzo all'aria, da lì poteva scrutare meglio l’ambiente.
All’orizzonte, l’inganno della fatamorgana lasciava intravedere sagome di querce secolari ballare sul riverbero del calore. Delle aquile intonavano il loro strido lontano.
Sembrava davvero esserci nulla di interessante in quella landa desolata.
Invece: «Goten, ci siamo, l'ho trovato, l'ho trovato!»
«Davvero?! Dici sul serio?!»
«Sì, è laggiù, ne sono sicuro! Andiamo a vedere!»

Corsero entrambi sotto al sole e arrivarono davanti ad un profondo ed ampio cratere.
«Qui deve essersi schiantata la navicella! – confermò Trunks, colmo di gioia – Guarda che fossa, è enorme, non ce ne sono altre simili nelle vicinanze.» 
«È vero, come è vasta! Vedi che mio fratello non è un bugiardo!»
Il piccolo Son era più contento di quello che dell'aver trovato una buca immensa in mezzo al nulla.
Arrivarono al bordo del cratere, ci guardarono dentro eccitati.
Erbacce.
Erbacce.
Solo erbacce.
Deludente.
Almeno per Trunks, che s’era immaginato di incontrare i marziani in persona. O i loro resti.
«Ora possiamo tornare a casa?»
«Aspetta, fammi ragionare, se il punto di atterraggio è questo, lo scontro dovrebbe essere avvenuto non lontano da qui – tornare a mani vuote? Giammai! – mettiamoci a cercare, magari troviamo qualcosa!»
«Divertente! Ma... Trunks, cosa dobbiamo cercare di preciso?»
Il bimbo si bloccò. 
«Beh... le cose che hanno gli alieni, che domande fai?»
«Giusto, hai ragione... E come sono fatte le cose degli alieni?»
Trunks stavolta non esitò a rispondere:«Sono strane. Sì, sono cose che non abbiamo mai visto. Dai, iniziamo a cercare, altrimenti rischiamo di non trovare nulla e arriveremo in ritardo per il pranzo.»
«D'accordo! E se trovo qualcosa potrò tenerlo?»
«Certo!»
«Che bello andare a caccia di cose aliene!»
«Vero, Goten! Ah ah!»

Si misero entrambi a ridere, brillavano gli occhi a tutti e due. Di fantasia, di ludico e puerile.
Ma quando il vento cessò, abbassando le polveri, e i toni della terra si rivelarono essere più chiari e diversi rispetto a ciò che malamente inumavano; poco lontano da loro e dal cratere camuffato di verde spoglio, un misero dettaglio – qualcosa di forma strana, quindi aliena come aveva detto Trunks – apparì.


Più di dieci anni erano trascorsi, nessuno aveva dato sepoltura all'assassino di Goku. Non se l’era meritato. Forse le bestie ne avevan fatto scempio, del corpo, ma la veste dell'infamia scellerata era rimasta.
I bambini non lo sapevano. Per loro era solo un gioco, non immaginavano i legami di sangue, non era stata loro specificata l’appartenenza a determinate realtà.

«Trunks, lo vedi anche tu?»
«Certo che lo vedo»
«Che facciamo?»
«Andiamo a controllare»

Si mossero guardinghi: Goten si nascondeva alle spalle dell'amico, strusciava le sue scarpette nere sul terreno, mancando i passi; Trunks invece aveva un’andatura più convinta, cercava di non perdere il coraggio. Dinnanzi a loro, quella che poteva essere scambiata per una roccia, o un grosso verme che usciva dalla terra, emergeva minacciosa come il corno di un diavolo rimasto incastrato nel tentativo di scappare dall'inferno.

Trunks fu il primo a toccare. Il coraggio andava dimostrato. Le sue dita si sporcarono di polvere chiara. Nulla di vivente e non scottava. Proseguì: tolto il primo strato di terra, la superficie al tatto si rivelò liscia, piatta, di forma oblunga. Ovale sulla punta. Ma poi, un dubbio brutto lo percosse.
Gli alieni non esistevano. Sarebbe stato portentoso scoprire il contrario.
Ma no.
Gli alieni non esistevano. 

«Trunks, secondo te che cos'è?»
«Non lo so. Scaviamo e tiriamo fuori questa cosa.»
Nonostante, la curiosità era morbosa. E lui un bugiardo.
Ci volle poco affinché i due forzuti bambini estraessero completamente quello che Trunks aveva inconsciamente intuito.
«Trunks, allora che cos’è?», chiese di nuovo Goten. Esasperante. Non era mai stato così fastidioso.
«Non lo so.»
Bugia doppia, ad un amico si poteva dire.
«Secondo me è un'armatura.»
Il figlio di Goku possedeva un perspicace senso dell'intuizione. O semplicemente, lui non aveva dubbi angoscianti e poteva permettersi di immaginare.

Una spalliera intera a destra. Distrutta quella a sinistra. La forma dei pettorali, del busto.
Niente di nuovo. A Trunks stava galleggiando nella mente un ricordo vago, dei suoi genitori che parlavano. Litigavano. Non ne era sicuro, e inoltre, non gli piaceva ricordare la mamma che gridava, preferiva sempre dimenticarsene. E nel suo ricordo lei aveva urlato contro il papà.
Tuttavia, quella cosa riesumata gliela stava facendo venire in mente in modo tristemente vivido.

Perché?

«Dentro è piena di terra e sassi, aiutami a scavare Goten, svuotiamola»
Goten non esitò a dare una mano, per lui restava un modo spassoso di passare il tempo. Così, manciata dopo manciata, stringendo i pugni pieni e strappando via alcune radici, anche l'interno di quella corazza era adesso visibile. 
E le loro mani definitivamente sporche.

«Trunks, è gigantesca! E che buco ha sul petto! Pensi possa appartenere all'alieno?»

Poteva. Coincideva ogni dettaglio: il cratere, l’armatura trovata proprio lì, il segno dello scontro. Forse anche le memorie più recondite dell'infanzia; e questo stava inquietando non poco il piccolo Trunks. L’enorme foro all'addome poi era tremendo, era il segno di una cruenta battaglia. Che, di certo, aveva segnato la fine del colosso che l’aveva indossata.
Sì, il senso di morte che gli spirava quel buco lo stava agitando e la corazza era pericolosamente familiare.

«È dell’alieno?»

Ma papà non c’entra niente.

Lo pensò intensamente, come a formulare un incantesimo magico. Per sanare quella falla di brutte sensazioni insorgenti.

«È dell’alieno?»

Goten non se ne rendeva conto.

«Smettila di ripeterlo! Gli alieni non esistono!»

Non fu carino da parte sua, non fu da amico. Trunks aveva reagito d’istinto, per difendersi, come se quella fosse stata un’offesa diretta a suo padre. Perché il suo papà non poteva avere nulla a che fare con una cosa tanto brutta. Con la morte.

«Perché ti arrabbi con me, che t’ho fatto? Non è giusto che mi tratti così! Trunks sei cattivo!»
«Va bene, va bene, scusa, calmati!... Non sappiamo davvero cosa sia e di chi, per questo, non dobbiamo dirlo a nessuno, capito? Se i grandi scoprissero che abbiamo trovato questa cosa, capirebbero che siamo stati qui e che ci siamo allontanati e si arrabbierebbero. Quindi non lo devi dire Goten, nemmeno a tuo fratello. Ok? Me lo prometti?»
Una mamma come Chichi arrabbiata era da fifa blu. Fu facile convincerlo.
«D-d’accordo. Io non dirò nulla.»
«Giuramelo.»
«Te lo giuro!»
«Bene, ora – proseguì Trunks, tirando fuori dalla tasca dei suoi pantaloni la capsula del baule di giochi che sempre portava con sé quando trascorreva il tempo a casa di Goten – per sicurezza, la metteremo qui!»
«Guarda Trunks, guarda come è grossa!», ma Goten ci si era ficcato dentro. Era poco collaborativo adesso e gli parlava mettendo il visetto nel foro enorme da cui sbucavano spettinate le punte dei capelli neri.
Se per il giovane Son tutto ciò era divertente, Trunks non lo trovava affatto simpatico.
«Goten, esci da lì!»
«No, fammici giocare!»
«Così rischi di romperla!»
«Mmmh...  Ci stavo solo giocando, e comunque è anche mia, l’abbiamo trovata insieme!»
«Lo so, però fammela mettere al sicuro, non possiamo lasciarla in questo posto.»
Goten si arrese, e sistemata l'armatura dentro il baule, Trunks ridusse tutto alle dimensioni di una minuscola capsula. 
«Che ci vuoi fare?»
«Sai che mia madre è un genio, la analizzerò a casa mia.»
Era quello che doveva fare. Capire, sventare l’impressione. Spuntare le corna al Diavolo.
«Ma non avevi detto che non avremmo dovuto dirlo a nessuno?»
«Certo, infatti non ho detto che gliela mostrerò, le farò solo qualche domanda. Questo resterà un nostro segreto.» 

 

 

 

~ ~ ~

 

 

 

Il meriggio trascorse tranquillo, i bambini portarono dell'ottimo pescato che Chichi fu lieta di preparare.
Non dissero nulla riguardo la loro scoperta, come si erano promessi. E fortuna che Gohan non era rimasto a casa – altrimenti, per loro sarebbe stato difficile allontanarsi –  il maggiore dei Son era a Satan City, stava seguendo un corso di preparazione agli esami d’ammissione del liceo Orange a cui sperava di iscriversi.
E se per Goten la faccenda della roba aliena era già dimenticata, dall’aria spensierata che aveva, Trunks non vedeva l'ora di tornare alla Capsule Corporation ed iniziare le sue ricerche. 

«Sicuro che non vuoi restare a cena?»
«Vi ringrazio per l’invito, ma la mamma mi ha detto di non approfittare della vostra ospitalità.»
«Come sei educato, sentito Goten, è così che ci si rivolge agli adulti – precisò Chichi –  be’, salutami tua madre e torna a trovarci quando vuoi.»
«Sì, grazie.»
«Ciao, Trunks», lo salutò Goten, un po’ mogio nel vederlo andar via.
Trunks però, avvicinandosi all'amico, gli bisbigliò delle parole all’orecchio:
«Mi raccomando, non dire nulla.» 
E Goten gli rispose con un occhiolino da vero amico.

 


~ ~ ~

 

 


Pensava al papà, mentre trapassava le nuvole in viaggio verso casa.
Al papà che gli aveva insegnato a volare, un giorno, in giardino. Era stato severo, di poche parole, ma per Trunks era stato uno dei momenti più belli trascorsi insieme a lui. Ne era rimasto contento. E pure sua madre lo era stata, ricordava come gli aveva sorriso felice... e, particolarmente, non dimenticava di averla vista asciugarsi gli occhi di nascosto.


Doveva essere discreto, non far capire nulla ai propri genitori. Nulla di quanto aveva trovato.
Se avesse fatto domande ai diretti interessati, quelli si sarebbero insospettiti.

«Nonno, tu sai dirmi dove posso trovare quei libri che contengono le nostre foto?», chiese Trunks, arrivando alle spalle del dott. Brief e senza salutare. Aveva visto il nonno nei laboratori da solo e aveva pensato di approfittarne per fargli delle domande utili alla sua indagine. La peste aveva un piano.

«Ah, ciao Trunks, credo tu stia parlando di album portafoto. Dunque, dovresti chiederlo alla tua mamma o a tua nonna, se ne occupano loro di solito...  E a che ti servono, figliolo?»

«Così, sono curioso di vedere come ero da piccolo.»

«Non ci sono foto in salotto o nella tua cameretta? Tua madre deve averne appese molte per casa.»

Trunks rimase senza parole, effettivamente era stata stupida la sua domanda, ma fortuna che suo nonno stravedeva per lui. E non ci faceva caso a certe stranezze che potevano essere indizio di qualche marachella.

«Te lo dice il nonno come eri: avevi due occhi grandi e luminosi, li hai tuttora, e una bocca minuscola ma con una fame da lupi, ed eri tanto carino!»

«Ok, ok, chiaro. Grazie. Ho capito... – Vediamo se puoi essermi utile in un altro modo – Nonno, tu sapresti dirmi come era mio padre?»

«Vegeta? Che strana domanda è questa – il dott. Brief incrociò le braccia al petto, ci stava riflettendo, no, di Vegeta foto incorniciate non ne ricordava – Ad essere sincero, perfettamente come è adesso. Tuo padre non è mai cambiato.»

Questa rivelazione lo rincuorò. Suo padre non era stato altro
Tuttavia, non erano dati sufficienti a confutare un pensiero che non comprendeva e non riusciva a scacciare.

«Nonno, non è che... Per caso, hai mai visto mio padre indossare una cosa simile a-»

«Trunks, Sei qui! Ti stavo cercando, tua nonna mi ha detto che ti ha visto correre in laboratorio, tutto bene tesoro?»

Bulma era arrivata sul più bello. Piano fallito. Doveva cambiare tattica.

«Ciao, mamma. Sì, tutto bene, volevo parlare con nonno.»

«Ehi, Trunks, perché non lo chiedi a tua madre, lei saprà risponderti meglio di me.»

Il piccolo saltò sull'attenti. Suo nonno stava per smascherarlo.

«C’è qualcosa che vuoi dirmi?», Bulma già gli sorrideva curiosa. 

«Ehm, no, niente! Non preoccuparti nonno, ho risolto.»

«Ma cosa?», insisté sua madre.

«Trunks mi chiedeva-»

«Nonno, no! Non dire nulla, devo fare una sorpresa! Sì, è una sorpresa!»

Sia Bulma che il dott. Brief rimasero perplessi dall’irruenza improvvisa di quel ragazzino.

«Ah, non me l'avevi detto che si trattava di una sorpresa», lo scienziato non ci stava più capendo nulla.

«Sì, nonno, scusami. Eh, mamma, no, non posso dirtelo. Se lo facessi non sarebbe più una sorpresa, quindi... Ora ho da fare!», e inscenò un sorriso da birba.

«Ok. Come vuoi tu. Ma sono impaziente di vedere di che sorpresa si tratti. È per la tua mamma?»

Ormai l’ho detta. Almeno mi crederà di più.

«Certo. È per te!»

«Oh, come sono felice!»

E schiarendosi la voce, approfittando dell’aver calamitato l’attenzione di sua madre su altro, il piccolo continuò, furbamente: «Mamma, sai dov’è papà?»

«Credo si stia ancora allenando, volevi andare da lui?»

«No, volevo solo sapere dov’era. Ci vediamo dopo.»

«Trunks, ricordati che alle otto e trenta ceniamo. Non mangiare schifezze.»

«Sì, sì.»

 

 

~ ~ ~

 

 

 

C’era dell’orribile da cancellare, da scollegare dai ricordi, previa verifica.
Torchiare il nonno non aveva prodotto molto, non gli restava che guardare nella camera da letto dei suoi genitori.
Lì, era convinto ci fossero foto utili e armatura. Forse. Ma sperava con tutto il suo cuore di bimbo di non trovare alcunché.

Salì le scale che raggiungevano i piani superiori, circospetto e lesto come una faina. La camera dei suoi era al secondo piano, ed era una stanza grande che dava spazio ad un tavolo rotondo con due poltrone. Ci si poteva fare colazione, anche se lui i genitori seduti là non li aveva mai visti. Mai insieme.
Il letto matrimoniale però era morbidissimo – gli piaceva saltarci sopra, quando non c’era suo padre – e si affacciava su una vetrata dalla quale era possibile ammirare il panorama.
Trunks entrò, la porta non era stata chiusa a chiave. Naturalmente. Perché là dentro non c’era nulla da nascondere. Lo interpretò come un buon segno.
Un odore di buono, di bucato appena lavato, lo accolse. Non sapeva come altro spiegarselo, quella stanza profumava di sua madre, c'era una dolce fragranza, un concentrato che lo stringeva in un tiepido e materno abbraccio. Altro buon segno.

Il guardaroba sulla sponda ovest del letto fu il primo che Trunks si azzardò a rovistare. Era un armadio altissimo, per lui, a specchio, rifletteva l'intera stanza. Trunks spinse una delle ante scorrevoli, la luce vi entrò all’interno. C’erano gli abiti di sua madre. Colori vivaci, simpatici. Sotto, dei cassetti. Ne aprì uno per volta. Non si stava comportando bene, lo sapeva. Non si frugava nelle altrui cose senza permesso. Ma se non lo avesse fatto, non avrebbe trovato ciò che le sue dita svelte avevano appena afferrato: un album portafoto. Lo tirò fuori, aveva la copertina in pelle lisa ai bordi.
Ne sfogliò subito alcune pagine: nella prima immagine riconobbe una foto di sua madre, probabilmente era lei quella ragazzina col sorriso sfacciato e la treccia lunga, nella successive sempre lei, poi un bambino che poteva essere... somigliava troppo a Goten! E ancora sua madre, e la foto di un ragazzo alto, ma quest’ultima era stata strappata quasi completamente. Di nuovo sua madre, insieme a un gruppo di amici, foto dei nonni. Foto con un uomo che poteva essere Goten da grande e, niente. Il resto del raccoglitore era vuoto. Trunks sfogliò comunque la parte priva di fotografie e piena di strati di plastica trasparenti. Solo arrivando alla fine, però, lo incontrò.
Incontrò suo padre.
Un getto di felicità al cuore lo sollevò: il papà in quella foto aveva abiti normali, sgargianti, Trunks non lo aveva mai visto indossare magliette rosa. Ma erano abiti normali e nulla avevano di simile a cose aliene.
Non guardava nell'obiettivo, Vegeta; la foto era stata scattata da lontano, sembrava che qualcuno gliel’avesse fatta senza che lui se ne fosse accorto. Comunque alla Capsule Corporation. Il muro paglierino sullo sfondo era inconfondibile e il prato curato pure, ed anche le bougainvillea della nonna.
E aveva ragione il nonno, suo padre non era cambiato. Che fosse una foto vecchia di qualche anno glielo suggerì il colore ingiallito della carta usata per lo scatto.

Trunks provò il bisogno di tirar fuori la foto dal foderino. Gli piaceva e stava per approvare l’idea di prenderla e conservarla per sé. Era una prova. Nel farlo, però, un lato del velo leggero che la custodiva si ruppe, aprendosi completamente. Lui ebbe un sussulto. Sua madre se ne sarebbe potuta accorgere. Ma scansò la preoccupazione giacché era convinto di portarsi via la foto.
Quando l’ebbe fra le mani, la osservò meglio.
No, non poteva essere un alieno. Era un essere umano, un terrestre fortissimo, come gli aveva sempre raccontato la mamma.
Ma non era un alieno. Era solo suo padre.

Rigirò la foto tra le dita, la sventolò e poi la capovolse.
C’era una scritta dietro. Era in corsivo rosso.

Lesse piano, ad alta voce: « Il   mio   saiyan... »

Non gli piacque.
Che cos'era un saiyan? 
Non conosceva il significato di quella parola, non sapeva proprio cosa volesse dire. E che c’entrava con suo padre?
Iniziarono a sudargli le mani, si stava nuovamente agitando.
Doveva capire, capire e sbrigarsi. La ricerca non era finita. 

Con più fretta, spalancò l'anta opposta – quella che doveva essere occupata dagli indumenti di suo padre – e lì, finalmente, comparve un astuccio bianco, di quelli che usava la mamma per riporre le capsule.
Era ordinatamente riposto all'angolo dello scomparto con sopra appese camicie e pantaloni, questi ultimi ripiegati ordinatamente su stampelle di legno. Non sembrava essere stato nascosto, quello non era un nascondiglio, troppo a portata di mano.

Trunks afferrò l'astuccio, con coraggio, ma lo aprì con la metà dello stesso. In quella giornata, ne stava abusando. 
L’astuccio ospitava una sola capsula. Adesso, aveva veramente paura. 
Ma la voglia di sapere, di scoprire era incontenibile. Indomabile, identica a quella che possedeva sua madre.
Schiacciò il pulsante, adagiò la capsula sulla moquette e aspettò che i fumi si diradassero.
Davanti a lui si svelò un contenitore quadrato, un cubo bianco. 
La faccenda sembrava stare complicandosi.
Alieni, armatura, saiyan.
Premette l'unico bottone e la faccia superiore del cubo bianco si aprì di scatto, con meccanismo identico a quelle stupide scatole dalle quali uscivano clown idioti, ma a volte spaventosi. Che avrebbero potuto divorarlo. 

Che stai facendo Trunks? Sei un bambino cattivo, si fanno queste cose? Papà non sarebbe contento. 

Ci guardò dentro, come avrebbe fatto se avesse avuto davanti un pozzo artesiano profondissimo. Ma sul fondo una strega aspettava solo di vederlo per acchiapparlo dal collo e tirarlo giù. 

Guanti, stivaletti, una sorta di calzamaglia blu bellissimo; così avrebbe descritto quel colore, blu bellissimo.
Blu uguale al vestito di un supereroe dei fumetti che gli comprava suo nonno.  Ma sfortunatamente insufficiente per fare di suo padre un eroe.

Le bolle confuse dei ricordi scoppiarono, lasciando scivolare via le memorie che contenevano. Queste si fusero al presente.

Trunks afferrò la verità con due mani. La sollevò.

È come...

La adagiò a terra, in preda allo sgomento.

Non è possibile...

Si ricordò di avere nella tasca la capsula con la cosa orrenda ora somigliante a quella che aveva davanti, e che apparteneva certamente a suo padre.
Attivò la capsula, aspettò che comparisse il suo baule pieno di carabattole e la tirò fuori.
Le sistemò una accanto all’altra.
Ok, non erano proprio uguali, la dimensione era diversa. L'armatura del suo papà era di misura inferiore. I colori, anche loro differenti. Ed anche nella forma si distinguevano, quella del suo papà non aveva le placche per proteggere gambe e spalle. Ciononostante, si somigliavano e la somiglianza stava finendo di spaventarlo a dovere.


Gli alieni esistevano.

Suo padre era un alieno? E perché nessuno glielo aveva detto prima?
Perché la sua armatura era uguale a quella orripilante? A chi apparteneva quella disseppellita?
Trunks si concentrò ad osservare il foro che trapassava l'armatura da parte a parte. Ci infilò la mano dentro, chiuse le dita a formare un pugno. 
Chi l'aveva indossata doveva essere morto di una brutta morte. Gli diede i brividi.
Doveva dirlo a qualcuno, ma a chi? Goten? No. Non gli piaceva fargli sapere che suo padre ne aveva una mostruosamente somigliate e che questo faceva di lui un probabile extraterrestre.
Non sapeva come fare, si stava facendo prendere dal panico.

Purtroppo, alcuni passi molto vicini gli suggerirono che il tempo a suo favore era terminato. Qualcuno, di lì a poco, lo avrebbe stanato. Era stato sciocco, non si era preparato alcuna scusa per giustificare la sua presenza; e sconvolto non aveva fantasia a sua disposizione.
Si preoccupò unicamente di richiudere alla bell’e meglio le capsule e nascondere ogni cosa.

Troppo tardi: dallo specchio, vide suo padre comparirgli alle spalle.

 


«Trunks, che stai facendo?»

Chiuse gli occhi, come se le parole del papà l'avessero appena sculacciato. 

«Ecco i-io, io...»

Aveva paura di suo padre, una paura folle, terribile. Non sapeva perché. Cioè, sapeva che essere entrato di soppiatto nella camera dei suoi genitori e aver rovistato come un ladruncolo nel loro guardaroba era sbagliato. Ma a scuoterlo veramente c'era quella rivelazione, quella verità venuta su come un cadavere riportato a galla dalla corrente. Un cadavere che lo guardava con occhi bianchi di albugine, disgustosi.


Trunks, suo figlio, tartagliava. Non poteva crederci, e stava tremando. Vegeta non si accorse di altro, non subito. 

«Ehi, che ti prende?»

Lo vide sforzarsi, trattenersi, strizzare gli occhietti e cacciare via le lacrime con forza.

«Non è colpa mia, papà, perdonami!»

Il piccolo arretrò per coprire il misfatto, era così piccino che l'armatura disseppellita lo superava in altezza. Così piccino che la sua giovane e candida esistenza era una irrisoria goccia di bontà a confronto del mare di sozzume e vergogna con il quale il padre aveva allagato la propria vita.

Vegeta avanzò verso di lui.
E vide.
E riconobbe.
Quale scheletro suo figlio aveva ripescato dall’oltretomba.

«Scusami scusami scusami», piangeva Trunks. Stava per farsi la pipì addosso e peggiorò le sue lagne in un lamento continuo e tremulo. Il papà se ne era accorto. Addirittura, lo vide incrociare le braccia al petto. La punizione era sicura.


«Trunks, dove l'hai trovata?», per cominciare.

«... Vicino casa di Goten»

Vegeta piegò indietro la testa. Ecco perché non gli piaceva che si frequentassero assiduamente, Kakaroth e la sua famiglia portavano solo guai. 

«Papà, che cosa sono queste?» 

«Esattamente ciò che vedi.»

Pragmatico e freddo. Era suo figlio quello con cui stava parlando, epperò, non riusciva ad ammorbidirsi.
Cosa avrebbe dovuto dirgli? O, semmai, cosa avrebbe dovuto inventarsi?
Quali parole avrebbe dovuto usare? Quali, per ingannarlo?
E Bulma quando serviva non c’era mai.

Abbraccialo, ha bisogno di un abbraccio. Sta tremando. Abbraccialo e digli che va tutto bene che quella è roba vecchia e non ha nulla a che fare con te. È ciò che tuo figlio vuole sentirsi dire. Rassicuralo. È questo quello che farebbe un padre.

Lo pensò. Esattamente, lo fece una voce sconosciuta dentro di lui, insidiatasi da qualche anno a torturarlo di sensi di colpa e inutili ripensamenti.

Vegeta non mosse un dito.

Inutile. Appunto.

«E sono tue?»

«Una sì, l’altra no.» 

Sei un bastardo tu e il tuo orgoglio maledetto

Pregò che suo figlio non insistesse, perché non aveva risposte belle, aveva risposte che non sarebbero piaciute. A nessuno. 

«E di chi è questa? Perché sono così uguali?» 

Preghiere infrante. Di chi era? Vegeta se l'era fatta un'idea, ma volle far finta di non sapere.

«Non so a chi appartenga, è simile alla mia, e la mia è quella che hai tirato fuori e messo accanto a te.»

Puntualizzò, dimostrando di essersi accorto che l'armadio era stato aperto e che la sua battle suit non aveva le gambe. Colpevolizzando in tal maniera suo figlio, che poverino si fece ancora più piccolo.

Sei meschino, è solo un bambino.

Trunks tirò su col naso, aveva bisogno della mamma e di un fazzoletto.

«Si somigliano perché sono entrambe divise da combattimento, sono le uniformi dei saiyan.»

In verità, quella tipologia di equipaggiamento veniva indossata dai guerrieri di rango inferiore; ma era meglio evitare certi dettagli. Avrebbero solo complicato la situazione. E non era una divisa appartenuta solo ai saiyan.

«Dal modo in cui è stata danneggiata – proseguì Vegeta – era sicuramente di un saiyan inutile», su questo, non riuscì a trattenersi. 

A Trunks però s’erano drizzate le orecchie, ancora quella parola.


«Papà, tu sei un saiyan?»


Dimmi di no. Ti prego, dimmi di no.


«Sì.» 


Il peggior figlio di buona donna, avrebbe aggiunto.

Trunks lavorò per associazioni: saiyan uguale alieni, papà saiyan uguale alieno.
Gli alieni esistevano e suo padre era uno di loro. E vestiva come quello cattivo venuto sulla Terra e ch'era finito ammazzato.
La morte e suo padre camminavano più vicini di quanto avesse immaginato.

Una speranza ancora:


«E sei un alieno?»

 

«... Non sono mai stato un terrestre.»

 

Trunks singhiozzò forte. Morte alla speranza.
Vegeta lesse negli occhi di suo figlio, decifrò quell’espressione malcontenta e dentro di lui sentì in egual misura la medesima amarezza.

Era stato un disastro.
Non era un buon padre. Gli rimase a distanza, a guardare, impassibile, malato di manchevole empatia e senso di paternità mai totalmente acquisito.


Alla buonora si presentò colei che avrebbe dovuto esserci sin dall'inizio:

«Ah, siete qui, ecco perché non vi trovavo da nessuna parte, tra poco si ce-»
Le ci volle poco per sommare i dettagli. 
«Tesoro, tesoro!»
Bulma sorpassò Vegeta, dandogli una spinta. Il volto pallido e sconquassato del suo bambino l’aveva immediatamente spedita in allarme. Al “bimbo” più grande avrebbe pensato dopo.
«Tesoro, amore mio, hai fatto tu questo casino in camera?», lo aveva stretto a sé assicurandosi che stesse bene  e che non gli fosse stato fatto del male. Si maledisse, mordendosi la lingua: certo che Vegeta non gli avrebbe mai fatto del male! Tuttavia...
«Mamma, scusami, io stavo solo cercando una cosa.»
«Ah sì? È perché non lo hai detto a me, avrei potuto aiutarti a trovarla.»
Trunks iniziò a scuotere la testa, il pianto fu incontenibile. Una tragedia: suo figlio si era sempre mostrato forte davanti al papà, ci teneva. Ora, invece, pareva proprio essersene dimenticato.
«No, amore, non fare così, adesso la mamma è qui, non preoccuparti, non fa niente!»
Ma non accennava a smettere di piangere. I suoi lamenti rimbombavano nella camera, che faceva da grancassa, e nella testa di Vegeta, che li subiva raggrumato in un miserevole e reticente mutismo di padre incapace. Di non padre.

«Tesoro, ascoltami: avevi detto che volevi farmi una sorpresa», Bulma tentò di riacchiappare l’attenzione del figlio, gli asciugò anche il moccio con un fazzoletto preso da una confezione posta sul comò, «Perché adesso non vieni con me e lasciamo che ci pensi papà a sistemare le cose qui, eh?»
Trunks non le rispose, quando sua madre gli prese la mano per portarlo via, la seguì senza obiettare. Aveva bisogno di lei, di qualcuno che lo togliesse da quella realtà, che gli raccontasse una favola. Aveva finito il coraggio.


Prima di uscire, la scienziata non mancò di rivolgersi a Vegeta: «Ehi, torno subito, ok?»
Ma lui non la stava ascoltando, continuava a fissare la battle suit di Radish e la sua.
Lei sospirò, immaginava perfettamente quali corde si erano tese e sfrangiate fino a strapparsi. 

 

 

 

~ ~ ~

 

 

Nella sua cameretta, fra i giochi, la luce proiettata dall'acquario dei pesci e l'abbraccio caldo e vero della sua mamma, Trunks cominciò a sentirsi al sicuro. Sereno. Lontano dagli alieni.

«Tesoro, vuoi dirmi di questa sorpresa? Ho visto che tuo padre ne sa già qualcosa, vuoi spiegarlo anche a me?» 

Pur se molto riluttante, Trunks non rimase zitto, con la mamma poteva confidarsi: «... Papà è un alieno? Un saiyan?»

Le bastarono quelle parole. Non credeva che ne avrebbero parlato tanto presto. Si vedeva che il suo Trunks era sveglio. Ma non era felice, non lo era, e di sicuro suo marito stava peggio. Cosa avrebbe dovuto fare lei? Manteneva unita quella famiglia a fatica, ed averla e dichiararla tale era stata una crociata che ancora portava avanti. Non poteva perdersi proprio ora, Bulma non poteva sentire suo figlio parlare del padre in quella maniera mesta e sconsolata. Eh no, non avrebbe permesso che la stessa triste e malinconica maschera del padre, la iniziasse ad indossare anche suo figlio.

«Sì, il tuo papà è proprio un saiyan!» cominciò orgogliosa, come orgogliosa era lei di esserne la moglie.
Trunks non capì perché, perché solo lui sentiva quel senso di morte schiacciargli la gola.
Come faceva la sua mamma ad essere tanto contenta?
«Piccolo mio, ora ti racconto una storia, ma devi promettermi che non la dirai a nessuno, me lo prometti?»
Lui annuì, poco convinto. Bulma gli fece lo stesso un grande sorriso, poi, gli sistemò indietro i capelli da discolo e lo baciò sulla fronte.
«Sai chi sono i saiyan, papà te lo ha spiegato?»
Voleva essere sicura di non fregarsi. Trunks era un bimbo attento.
Il piccolo mosse il musetto in senso di diniego.
«Sono un popolo di guerrieri fortissimi. I più forti dell'universo. E vengono da un altro pianeta. Non esistiamo solo noi terrestri, lo spazio è fatto di tante galassie e di esseri viventi diversi, e non devi averne paura.»
«E se papà viene da un altro pianeta come è arrivato qui?»
«Viaggiando con la sua navicella. Perché aveva bisogno di trovare una nuova casa. E poi, lo sai che anche la tua bellissima mamma ha viaggiato nello spazio?»
Concluse, sperando che suo figlio si accontentasse di quella versione senza chiederle la fine dell’altra casa, quella da cui proveniva suo marito. Per quello c’era tempo, un capitolo alla volta.
«Davvero?!»
Funzionò.
«Certo!»
«Ma non me lo hai mai detto, perché?»
«Perché non ne ho mai avuto l'occasione. Ora sei grande, sei un ometto e te lo posso dire.»
Il ragazzino ascoltava attento, gli occhi si erano schiariti e stava svanendo la mestizia.
«Trunks, il tuo papà non è un guerriero qualunque. Devi sapere, tesoro, che lui è un principe, è il principe dei saiyan!»
«Un principe?!»
Gli occhi del piccolo si ravvivarono vivaci. Lo aveva conquistato.
«Sì, un principe, il migliore di tutti. L’imbattibile principe dei saiyan.»
Bulma si sentì commuovere, era ciò che ripeteva a stessa da quando aveva conosciuto suo marito e aveva deciso di essergli fedele per la vita. Stava per piangere anche lei e non doveva.
«Sono forti i saiyan!», bene, il suo bimbo si stava entusiasmando.
«Assolutamente, e anche tu sei un saiyan.»
Trunks si bloccò, non ci aveva pensato prima.
«Io sarei un alieno?»
«Un saiyan. Sei suo figlio, la forza l’hai presa da tuo padre. Hai un papà forte come un supereroe, non ce l’hanno mica tutti i bambini.»
Il ragazzino sorrise, era al settimo cielo, l’immagine del suo papà stava tornado brillante, le ombre cupe si stavano ritirando, «Quindi, sono forte anche io?»
«Come lui, e lo diventerai ancora di più, vedrai.»

Fatto.

 

Gli alieni esistevano e suo padre era uno di loro, ed era il più potente, il principe di tutti i guerrieri, e lui era suo figlio.
Questa Goten non se la sarebbe nemmeno sognata.

Armatura riesumata? Dimenticata.
 

 

 

~ ~ ~

 

 

 

Ai bambini, a volte, andavano raccontate bugie, per farli vivere di sogni che li avrebbero accompagnati per tutta la vita. A cui avrebbero creduto sfuggendo al malessere e alla paura. A lui non era andata così: c’era stata la paura a generare il sogno, l’ossessione. Suo padre gli era rimasto accanto tempo sufficiente ad insegnargli l’odio. Poi se ne era andato all’inferno. Dove era giusto che finisse. E dove probabilmente pure lui sarebbe andato al termine della sua ibrida esistenza.

Stare con i terrestri non cancellava i suoi peccati. Avere una donna forse li moltiplicava, e un figlio...  che cos’era se non una sua appendice? Il riflesso stanco di qualcosa o qualcuno che non avrebbe mai potuto essere e che, altresì, si ostinava a recitare, inceppato.


Sua moglie prese posto nel loro letto. Si era tolta il trucco e si stava passando la crema idratante sulle gambe.
«Che cosa gli hai raccontato?», le domandò.
Non aveva messo via nulla, quello che Trunks aveva tirato fuori era rimasto dove suo figlio l’aveva lasciato.
Oramai, era stato scoperto.
«La verità.», rispose secca lei, massaggiando con forza la pelle.
«Quale verità, Bulma?», gli sembrava un concetto astratto, riduttivo, voleva spiegazioni.
«Che è il figlio del principe dei saiyan. Ormai è abbastanza grande e può saperlo. Avresti dovuto vederlo, gli luccicavano gli occhi.»
E Vegeta lo aveva visto: a tavola, Trunks era tornato come prima, un altro ragazzino. Sua moglie gli aveva fatto il lavaggio del cervello.

«E poi?»

«E poi che? C’è altro che avrei dovuto aggiungere?»

Smise di seguire i gesti ripetitivi della donna e le si rivolse guardandola negli occhi.

«No, penso di no.»

Bulma conosceva suo marito,  comprendeva quanto quella faccenda lo facesse sentire bestialmente fuori posto.

«Trunks ti adora.», doveva consolarlo.

Adora un cattivo padre.

Pensò lui, ma era presto per confessare le sue colpe ad alta voce. Il destino gliene avrebbe dato modo più avanti.

«Dunque – la scienziata richiuse il vasetto di crema e lo posò sul comodino; la famiglia era salva, per il momento – domani avrò molte faccende da sbrigare, per cui, se sei d’accordo, spegnerei le luci. E se il principe dei saiyan me lo concede, farei volentieri l’amore con lui. A patto di rimuovere prima questa reliquia. Mi sento osservata, è disturbante, non la voglio tenere qui. Senti che schifo, puzza e mi sta sporcando la moquette!»

Ce l’aveva con i resti di Radish. Vegeta non poteva darle torto e le avrebbe permesso di fare quello che voleva. 
Ne aveva un bisogno scellerato.

«Tieni – le disse, porgendole la foto – Qui c’è il tuo saiyan.»

 

 

 

“Sooner or later God'll cut you down

 

 

 

Fine,  fin qui.

 

(le note le trovate sotto il disegno^^)


Note:

1)Le frasi in grassetto all’inizio e alla fine dell’OS provengono dal testo di una delle più belle canzoni di Johnny Cash, da sentire qui cliccate. Sì, mi piace Johnny Cash.

Bentrovati tutti. Da dove cominciare, avevo in mente questa OS da un po’, voglio pensarla come il risultato di altre mie One Shot, se ci cliccate sopra andate alla pagina diretta.

Aporetico Egotismo    e       Transustanziazione. Se non, amare.

Perché qui ho affrontato tematiche che in quelle avevo accennato. Ma stavolta l’ho fatto dal punto di vista di Trunks bambino, che dalla sua prospettiva lascia intravedere il tipo di rapporto che hanno i loro genitori. Non facile sicuramente, e chissà se voi avete notato i diversi riferimenti.
E poi ci sono scene e rimandi alla mia Standby, la long. Faccio un uso spropositato della coscienza di ogni personaggio, ed è qualcosa che ha proprio caratterizzato la mia long. Mi piace entrare nella psicologia del personaggio. E di sicuro Trunks ha la stessa indole di sua madre, chi ha letto Standby sa a cosa mi riferisco, ma comunque mi spiegherò, è un bambino curioso. Frugare nella stanza dei suoi genitori è stata una scena simile a quella di Bulma che entra di nascosto nella camera di Vegeta. (Volete sapere perché lei l’ha fatto? Leggete Standby. ^_^), insomma, il passato di Vegeta per me si nasconde sempre in una stanza. ^^
Ma iniziamo a dipanare: il fatto che Trunks sappia del passato del padre, che è un alieno, che è un principe, è argomento poco chiaro nel manga, poco trattato. Lo sa il Trunks del futuro, in parte, non tutto, e per ovvi motivi, ma quello del presente no. Nell’anime, quando Trunks salva suo padre da Majin Bu, dice a Goten che la sua mamma una volta gli aveva rivelato che Vegeta era il principe dei saiyan.
Ma buttarla così non è sufficiente. Per cui Evil deve trovare la sua soluzione. Ho sfruttato l’occasione ed eccoci!
I bambini non sanno nulla, Goten apprende qualche storia dal fratello, che gliela fa molto vaga senza spiegare nel dettaglio, ovviamente gli racconta la principale delle storie che lo hanno coinvolto e che ha fatto iniziare tutta la serie Z; ed è quella che cattura l’attenzione di Trunks. E via.
E poi, un’altra mia riflessione: il corpo di Radish viene abbandonato, non se lo fila nessuno. Bene, me lo filo io.

Spero vi sia piaciuta e vi abbia accompagnati per qualche decina di minuti.

Io avrei voluto veramente abbracciarlo Trunks, ma se a Vegeta non l’ho fatto fare è proprio perché volevo rimarcare ciò che  lui stesso dice di sé: non ho mai fatto un gesto d’amore nei tuoi confronti e non sono stato un buon padre. (Sei stato un padre cattivo. Ma noi ti amiamo lo stesso.)

Piccola curiosità, ammesso che lo sia: il cubo bianco, io lo definisco così, dove è contenuta la battle suite di Vegeta è un dettaglio che ho preso dal manga, quando Bulma va al santuario di dio e porta le tutine per tutti.
Fatamorgana non me lo sono inventato esiste, è un effetto ottico, un miraggio. Come lo descrivo nella storia.

 

Un saluto e buona Pasqua! =)

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Qui invece voglio dedicare lo spazio a quella scatenata di Sweetlove, perché dovete sapere che questa autrice mi ha stregato con la sua Marron e il suo Trunks, soprattutto la sua Marron, un personaggio a cui lei ha dato veramente l’onore e lo spessore che l’autore originale ha trascurato. E che si continua a trascurare pure con l’inutile  Super come accadde pure in GT.

Talmente mi ha convinta che ho realizzato per lei alcune illustrazioni, se volete vederle vi linko le storie dove queste compaiono. Però per capirle ed entrare nell'atmosfera vi consiglio di leggerle, sono molto coinvolgenti e coinvolgente è riduttivo. Sono vere, affrontano tematiche vicine a noi.

E ne approfitto per ringraziarla pubblicamente di aver apprezzato i miei disegni e di averli inseriti nelle sue storie. Grazie mia cara! ^^

-Afasia

- Perché anche la neve può essere calda.   

 

   
 
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