Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Joy    03/04/2021    2 recensioni
Marco si sente vivo, nonostante tutto.
Semplicemente quello.

JeanxMarco
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanji Zoe, Jean Kirshtein, Marco Bodt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Hurt/Comfort

JeanxMarco

Ambientata dopo l'attacco a Trost

What if
Marco sopravvive

Fluff a valanghe

 

 

 

 

 

Uno per ogni istante

 

 

 

 

 

Ogni volta che si sveglia di soprassalto, fradicio di sudore e con un tremito incessante che scuote ogni centimetro del suo corpo fino a fargli battere i denti, chiunque sia accanto al suo letto d'infermeria, pensa che nei suoi incubi sia comparso il gigante che l'ha quasi ucciso.

È per questo che Jean -che del tempo trascorso al suo capezzale detiene il primato- gli posa una mano sul petto e gli sussurra che è al sicuro.

Gli dice che il gigante non l'ha preso e che non tornerà più a farlo, e il suo sguardo è talmente dolce, la sua mano così calda e solida contro quel cuore che minaccia di schizzargli fuori dalla cassa toracica, che Marco non ha il coraggio di dirgli la verità.

Non sa come spiegargli che nei suoi sogni non c'è alcun gigante -sebbene sia quella la causa scatenante-, ma soltanto loro due.

Loro due, nei momenti più felici che hanno trascorso insieme.

E che nel suo incubo sono gli ultimi consapevoli istanti, prima della sua non ufficiale condanna a morte.

Rivive ogni suo momento felice sapendolo ultimo e il suo cuore implode, gli manca il fiato e quando riemerge, la sua gola è così arida da non poter parlare.

E se normalmente si riprende sotto le carezze di Jean e al suono confortante delle sue parole, quella mattina la paura ha artigli talmente stretti attorno alla sua gola che la sua mente si spegne e sprofonda di nuovo nell'oblio.

 

***

 

Si risveglia per l'odore pungente del disinfettante.

C'è un lieve brusio di voci, vicino alla sua testa, ma non riesce a capirne le parole; la sua mente affoga nel dolore atroce e martellante che si propaga dal moncone del suo braccio, fino a metà del corpo.

È quasi sicuro che un lamento gli sia sfuggito dalle labbra, perché all'improvviso un panno fresco gli cala sulla fronte.

“È sveglio, Hanji.”

Riconosce la voce di Jean. Ha un tono torvo e ammonitore, che non usa mai con lui, e Marco è sicuro che qualsiasi cosa stia succedendo al suo braccio, lui non fosse d'accordo.

“Ho finito, Jean” risponde la voce greve di Hanji, armeggiando un ultimo istante sulla ferita. “La sutura è completa.”

A Marco sfugge suo malgrado un altro gemito: ha la spalla destra, il collo e l'intera testa in fiamme.

“Dagliene ancora.”

“Se dorme non posso controll-”

“È sveglio e sta soffrendo” la voce di Jean questa volta è un ringhio basso e pericoloso. “Dagli una dose di quel sedativo.”

Marco vorrebbe dirgli di lasciar perdere, di non discutere per lui con un superiore, ma la verità è che gli è grato.

Gli è grato.

E il dolore è lancinante.

E non riesce a dirlo.

Si sforza di sollevare la palpebra sinistra e intravede la linea severa delle sue labbra in tensione e la scintilla di uno sguardo combattivo.

Hanji, dall'altro lato del letto, sospira in resa.

“Va bene” mormora. “Tienilo fermo.”

La paura esplode di nuovo, dentro di lui. Perché Marco è terrorizzato all'idea di essere immobilizzato, di agitarsi inerme e senza scampo in una presa più forte di lui.

“No” riesce a sussurrare, mentre il braccio di Jean gli cala con fermezza sul petto. L'altra mano sulla sua fronte è più lieve, ma comunque decisa.

“Shhh...” gli mormora. “È solo per un istante.”

Si china fin quasi a sfiorargli la guancia con il naso, Marco sente il respiro che s'infrange in un sibilo spezzato contro la sua pelle.

Per un momento il terrore allenta la presa sulla sua gola, perché Jean può arrabbiarsi, ma non deve sospirare così: chino e disperato sul suo corpo malconcio.

Jean deve andare avanti.

E se non vuole essere un peso, anche lui deve fare altrettanto.

Pensa questo, prima che il calmante iniettato da Hanji alla base del suo collo, cominci a fare effetto spedendolo in mezzo al nulla.

 

***

 

Le carezze circolari, lasciate da dita fresche tra i suoi capelli lo riportano lentamente alla realtà.

La stanza è avvolta nella penombra quieta della sera, un paio di candele rischiarano il tavolo ingombro di unguenti e fiale, la giacca di una divisa da cadetto è stata gettata con noncuranza su una sedia e un paio di stivali giacciono scomposti sul pavimento.

Marco si stupisce dell'ampia porzione di stanza che riesce a vedere nonostante l'occhio bendato, prima di realizzare che almeno tre cuscini lo tengono quasi seduto.

“Ti abbiamo sollevato la schiena perché respiravi male” lo informa Jean, seduto al lato del letto. “Hai la febbre alta.”

Marco volta la testa verso di lui. Ha lo sguardo stanco, nota, ma non disperato come quando ha chiuso gli occhi ore prima.

Jean accenna un sorriso e non smette di passargli le dita tra i capelli.

“Avrei voluto farti da cuscino io stesso” ammette, con un velo d'imbarazzo a rendergli inquieti gli occhi, “ma Hanji ha detto che io e i miei vestiti sporchi dovevamo stare lontani dalle tue lenzuola. E non volevo lasciarti, per andare a lavarmi.”

Marco si chiede come debba essere svegliarsi contro il suo petto; negli alloggi dei cadetti non hanno mai osato tanto. Le poche volte che si sono concessi qualche ora a notte fonda nello stesso letto, sono stati ben attenti a non abbassare la guardia cedendo al sonno.

Vorrebbe che l'avessero fatto, prima che l'attacco a Trost lo privasse del piacere di avvolgergli attorno entrambe le braccia.

Volta la testa per gettare uno sguardo amaro alle bende sulla sua spalla e trattiene il respiro, come ogni volta che vede il vuoto dove prima c'era il braccio.

La mano tra i capelli scende sulla sua guancia e lo guida delicatamente dalla parte opposta.

“Si era creata una zona infetta, sotto la pelle del moncone” gli dice con tono calmo. “Per questo hai la febbre. Hanji ha dovuto riaprirla. Come ti senti?”

Marco si sente vivo, nonostante tutto.

Semplicemente quello.

“Assetato” risponde.

Jean versa un po' d'acqua nel bicchiere e glielo accosta alle labbra.

Una goccia gli scivola dalle labbra, giù lungo il collo, Jean l'asciuga con le dita e raddrizza la mano.

L'acqua fresca che gli scorre nella gola febbricitante lo fa rabbrividire fino alla punta dei piedi.

Anche Jean se ne accorge, perché posa il bicchiere ormai vuoto e gli posa il palmo sulla fronte.

“Non vuole saperne di scendere...” commenta tra sé.

Afferra una coperta, gliela stende sopra e affonda di nuovo la mano tra i suoi capelli.

Marco chiude l'occhio e sospira.

“Vai a riposare, Jean” si costringe a dire, anche se non vuole.

Ma quello scuote la testa in silenzio e Marco non ha davvero le forze per parlare ancora.

Inclina la testa verso di lui e lascia che le sue dita lo cullino fino al sonno.

 

Quello che succede durante la notte è confuso nella sua mente.

Sa che la febbre è peggiorata, perché fatica a riconoscere le persone attorno a lui.

Sa che qualcuno l'ha aiutato ad andare in bagno, ad un certo punto; qualcuno che odora di fumo ed erba tagliata.

Con braccia forti, perché al ritorno lo solleva e lo riporta a letto di peso.

Marco posa la guancia contro la sua spalla e si addormenta prima ancora di toccare il materasso.

Nei momenti di lucidità, gli ha sollevato le spalle e fatto scivolare tra le labbra qualche cucchiaio di brodo.

Sa che gli ha deterso il sudore dal viso, e qualcun' altro l'ha brontolato, perché ha bagnato le bende che gli coprono l'occhio destro.

È stato spedito a letto con tono di comando, dopo quello, e Marco ha sentito chiaramente le sue labbra morbide sulla fronte, prima del cigolio della porta che si apre e si richiude.

 

Quello che non sa, è come farà a volare al suo fianco con un'ala sola.

 

***

 

Il mattino dopo, il mondo smette di girare.

La stanza è vuota per la prima volta da quando l'infezione gli ha tolto le forze e la lucidità, ma qualcuno ha aperto le tende e socchiuso i vetri della finestra.

La mattina è tranquilla.

A Marco ricorda i risvegli sereni della sua infanzia: l'aria ha persino l'odore dolciastro dei frutteti dietro casa sua e un raggio sole disegna un triangolo chiaro sulla sedia di fronte alla finestra.

Non sente il calore del sole sulla pelle da troppo tempo.

D'istinto, si scosta le coperte di dosso e fa scivolare le gambe oltre il bordo del letto.

Quel solo movimento lo ricopre di sudore freddo, il braccio mancante peggiora il suo equilibrio e la vista limitata ad un solo occhio non aiuta.

Rimane lì, seduto con la testa china e il pugno chiuso sul lenzuolo, aspettando che il suo corpo torni a rispondere correttamente.

Non è mai stato uno che perde facilmente la speranza.

Però ha perso tanti amici.

E non vuole perdere Jean.

Si sporge dal letto, appoggia i piedi nudi sul pavimento e alza il braccio per trovare l'equilibrio.

Quando arriva alla sedia, il sole è più caldo di quanto lo ricordasse.

Posa il braccio sul davanzale e vi adagia sopra la testa.

 

Jean lo trova così mezz'ora dopo, quando entra con cautela nella stanza.

Lo cerca nel letto e spalanca gli occhi quando lo trova vuoto. Marco può vedere l'esatto momento in cui il suo corpo s'irrigidisce, la velocità con cui il suo volto impallidisce all'idea di non trovarlo dove lo aveva lasciato.

“Jean” lo chiama, e lo osserva roteare la testa e posare lo sguardo su di lui.

C'è qualcosa di potente che esplode nel petto di Marco, qualcosa che lo fa sentire fiero dello sforzo compiuto per alzarsi, e che nasce dal sorriso che Jean gli rivolge.

Quello che gli gonfia le guance e assottiglia gli occhi, nell'istante in cui realizza che un letto vuoto non è necessariamente un addio.

È contagioso quel sorriso, Marco ne sente il riflesso sul suo stesso volto.

“Da quanto sei sveglio?” gli chiede Jean, raggiungendolo.

“Da meno di un'ora.”

Marco solleva la testa per continuare a guardarlo negli occhi e quel movimento è sufficiente a far oscillare di nuovo la stanza intorno a lui.

Chiude l' occhio, respirando piano.

Quando lo riapre, Jean è in ginocchio di fronte a lui; la mano calda che gli posa sulla guancia interrompe quel nauseante ondeggiare.

“Sei stanco?” gli chiede, con voce bassa che non ferisce i timpani.

“Un po'” ammette.

“Perché non sei tornato a letto, allora?”

Marco solleva la mano e gli accarezza i capelli. Sono più biondi, nota, ora che il sole l'illumina.

Vorrebbe dirgli che si sente meglio, che vuole stare al suo fianco e non in un letto, ma non è mai stato capace di mentire e comunque Jean lo capirebbe; per cui abbassa la testa e gli sfiora il viso con il suo.

“Perché, in tutta onestà” gli sussurra ridendo, “non ci sono riuscito.”

E forse l'intento di Jean era quello di scoccargli un'occhiata di rimprovero, ma l'angolo della sua bocca inizia a tremare, posa la fronte sulle sue ginocchia e ride piano.

“Sei più testardo di quanto immaginassi” gli dice.

 

Quando lo riporta a letto, questa volta non lo lascia.

Appoggia la schiena alla testiera e se lo tiene contro il petto in silenzio.

Finché Hanji non entra nella stanza con il vassoio della colazione e lo spedisce, senza tanti giri di parole, a svolgere i suoi doveri in caserma.

Lo fa richiamare, però, quando scorge l'occhiata ansiosa che Marco non riesce a mascherare, al pensiero di cambiare la medicazione su ciò che resta del suo braccio.

E Jean arriva di corsa.

Marco pensa che ci sia qualcosa di tremendamente dolce nel modo ingenuo in cui Jean lo costringe a voltarsi verso di lui per impedirgli la vista del moncone, quando sarebbe comunque fuori dal suo campo visivo, con l'occhio destro fuori uso.

Quello che importa alla fine di tutto, è che dal lato giusto ci sia lui.

“Non tenermi fermo” gli chiede con un filo di voce. “Non mi muoverò...”

Jean sbianca, ma annuisce. Intreccia le dita alle sue e gli accarezza la fronte senza pressione.

“Sai” inizia, quando le mani di Hanji iniziano il loro lavoro, “Sasha e Connie non fanno altro che parlare di te” distende le labbra in un accenno di sorriso. “E Armin dice che durante le simulazioni, pianificare una strategia senza il tuo parere è come procedere su di cavallo zoppo: non sai mai quando ti disarcionerà.”

Marco non sa se sia più intenso il moto di tenerezza o l'ombra del rimpianto.

Hanji completa la medicazione senza causargli troppo dolore e lo solleva dall'obbligo di rispondere.

“Riposati adesso” gli dice, fermando le bende. “Se questa febbre non scende, non sarai d'aiuto a nessuno.”

Marco dubita di poter essere di qualche utilità, febbre o meno, ma non vuole dirlo ad alta voce. Ha troppa paura che possa essere vero.

La testa gli riprende a dolere, il sole che prima ha desiderato ardentemente, adesso gli ferisce la vista affaticata.

Jean si alza per chiudere le tende.

“Grazie” riesce a mormorare Marco, mentre il sonno, suo malgrado, gli svuota la mente.

Jean scorre il palmo sul dorso della sua mano un paio di volte.

“Dormi ora” gli sussurra. “Rimango con te.”

E questa volta, per fortuna, nessuno lo contraddice.

 

***

 

“Non è il gigante che ti tormenta negli incubi, vero?” esordisce Jean qualche giorno dopo, mentre in ginocchio ai piedi del letto, lo aiuta a infilarsi gli stivali.

Adesso che non ha più la febbre a proteggerlo dalle domande scomode, a Marco non resta che annuire, esalando un sospiro rassegnato.

“Lo immaginavo” commenta Jean tra sé, le mani posate sulle ginocchia. “Parli nel sonno...”

Marco pensa che a quel punto dovrebbe provare imbarazzo, ma in realtà si sente sollevato.

I segreti sono sempre stati un peso per lui.

“Non sbaglio, credo” riprende, “se azzardo a dire che sognavi noi. Non è così?”

Annuisce ancora, poi posa la mano sulla sua.

“Non ha importanza, Jean” gli risponde. “È solo un sogno.”

“Ti disperi sempre poco prima di svegliarti” seguita lui testardo. “Hai paura che finisca?”

L'eco di un tremito gli vibra sulle labbra, Marco le serra nel disperato tentativo di contenerlo.

“Hai paura che per noi finisca tutto?” lo incalza.

“Siano soldati, Jean” gli risponde. “Sarebbe ingenuo pensar-”

Il resto delle parole si perdono sulla camicia di Jean.

Lo avvolge con le braccia in un istante, sente le sue mani chiudersi a pugno sul tessuto della sua schiena.

Non lo stringe così forte da quando si sono rotolati insieme nella radura dietro gli alloggi.

Sembrano passati secoli, da allora.

“Non finirà, te o prometto” gli mormora tra i capelli.

Marco vorrebbe dirgli che non può saperlo, davvero non può.

Non sa neanche se riuscirà a svolgere il suo dovere di soldato, nelle condizioni in cui è ora.

Ma se può concedersi una certezza, nella nebbia che avvolge il loro destino, non riesce ad immaginarne una più concreta di Jean.

Comunque vada avrà lui accanto.

Sul fianco destro.

A riempire il vuoto.

Ad estendere il suo campo visivo.

A creare ogni istante nuovi ricordi.

In modo che nessuno sia l'ultimo.

 

 

 

FINE.

 

 

 

 

  
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