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Autore: NyxTNeko    04/04/2021    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 109 - È soprattutto in prigione che si crede a ciò che si spera -

Antibes, 10 agosto

Dopo la breve reclusione nella fortezza di Nizza, il giorno successivo, Napoleone fu trasportato in quella di Antibes, il famoso Fort Carré. Come era accaduto per l'edificio precedente, anche questo era stato ampiamente studiato e perlustrato da Buonaparte, per cui non appena giunse in città, riconobbe la strada che stavano percorrendo.

L'ufficiale e i soldati che lo scortavano, accomodati assieme a lui nella piccola carrozza, pensarono che il giovane ufficiale stesse reagendo in qualche modo, ma quando videro il suo volto, non scorsero in lui nessuna perturbazione. Stava sopportando la situazione con grande stoicismo, persino nel momento in cui alcune persone, curiose dalla vettura che sfrecciava, li osservavano fugacemente. Il generale restava seduto, con lo sguardo basso, leggeva un libro minuscolo, teneva poggiata sulle magre gambe la sacca, gli fu concesso di portare il minimo indispensabile con sé, ossia qualche cartina e dei libri appunto.

Quell'espressione imperturbabile e al tempo stesso velata di quella malinconia, non l'aveva mai abbandonato. In cuor suo, l'atteggiamento di Saliceti lo aveva ferito non poco, dopo tutto quello che avevano passato entrambi in Corsica, aveva pensato che un minimo di considerazione nei suoi confronti l'aveva. Invece dovette convincersi che il commissario non lo avesse mai davvero stimato. Aveva cavalcato l'onda solamente per restare a galla. Prima cercando di ingraziarsi il Terrore, affidandogli il comando per la riconquista di Tolone ed ora tentava di lavarsi quella macchia, al solo scopo di mostrarsi un perfetto termidioriano, gettandolo in carcere, al pari di un rifiuto qualsiasi. Saliceti era al corrente del fatto che non vi fosse altra scelta, durante gli anni del governo giacobino, se non quella di aderirvi. "Si è degnato a malapena di guardarmi dalle eccelse altezze della sua grandezza" emise fortemente risentito.

Poteva comprendere la paura di Saliceti solo in parte, era comprensibile essere spaventati per il proprio futuro; anche Napoleone ne aveva, e tanta, il suo destino era realmente appeso ad un filo. Eppure non era turbato al punto da perdere la ragione e agire in maniera sconsiderata come aveva fatto il suo ex compatriota. Non sarebbe valsa la pena comportarsi in una maniera tanto puerile. Se il fato aveva deciso che la lama lo avrebbe dovuto condurre alla morte, l'avrebbe accettata, seppur innocente. Perché Napoleone si riteneva tale. Non aveva mai compiuto nulla di eccessivo, di cruento da dover realmente subire quella sorte.

- Ma io lo conosco, quello è il generale che ho visto spesso in giro ed ha persino una casa qui! - diceva una donna che passava per quella via, sottovoce, ad una sua amica lì vicino, avendo riconosciuto il profilo di Buonaparte, lo aveva visto spesso da quelle parti negli ultimi tempi - Incredibile che lo arrestino, non mi era mai sembrato un uomo del Terrore, nonostante fosse al servizio di Robespierre...

- Hai ragione, anche se il suo aspetto era trascurato, non l'ho mai visto compiere nulla di notevole, se non qualche perlustrazione con i suoi uomini, ma forse permetteva delle atrocità di nascosto, di questi tempi non è che ci si può fidare... - replicò la sua collega un po' delusa, sistemamdosi la cuffietta che le copriva i capelli - Un vero peccato che tanti giovani si siano rovinati per eseguire il volere di quei pazzi... Chissà dove andremo a finire...

Poco distanti vi erano tre giovani militari, a cavallo, che seguivano accorti la carrozza, cercando di stare il più lontano possibile per non farsi notare - Eccolo - emise sussurrando uno dei tre dall'aria curata e dall'aspetto aitante, puntava il sottile dito in direzione del corso, che avevano intravisto dalla finestrella del veicolo. Era Junot.

- Meno male, non lo hanno trattato male - rispose Muiron, tirando un respiro di sollievo, aveva davvero temuto per la sua incolumità. Aveva creduto che, nonostante la lealtà dimostrata, l'apparente docilità, l'ufficiale inferiore gli avesse riservato un trattamento diverso. Invece sembrava che stesse andando tutto nella norma "Anche se posso comprendere il vero stato d'animo del comandante" rifletté a occhi bassi, sconsolato "Non dev'essere facile per lui subire un'ingiustizia del genere, ma lo sta facendo con la sua tipica tempra, non ha avuto reazioni esplosive".

- Continuiamo a seguirlo con discrezione - suggerì Marmont, rivolse le iridi scure verso i due - Siete con me? - chiese per avere un'effettiva conferma. Non tollerava ripensamenti all'ultimo momento. La situazione era più che drastica, per cui era necessario agire con la massima cautela. Bisognava evitare i colpi di testa.

- Lo domandate pure, Marmont? - fece Junot aggrottando leggermente le sopracciglia, indispettito dalla sua insinuazione - Avete paura per caso? - lo provocò questi, poggiando le mani sui fianchi. Il cavallo scosse leggermente la testa.

- Cosa state dicendo? Certo che no! Era solo per non dover sentire lamentele da parte vostra! - precisò Marmont a braccia conserte, sbuffò.

- Sapete che sacrificherei la mia vita per il generale, Marmont - s'intromise Muiron tentando di placare gli animi ed evitare di concentrare l'attenzione di alcuni cittadini curiosi verso di loro - Perciò non dovete temere, Bonnapate non si è mai tirato indietro di fronte a nulla, gli dimostreremo che i suoi aiutanti sono persone degne della sua fiducia - rivolse lo sguardo in direzione della vettura che si allontanava rapidamente, immaginando al suo interno il comandante, immerso, come sempre, nei suoi pensieri - Seppur non lo ammetta io so che il generale ha bisogno di noi - era seriamente convinto di ciò che aveva detto.

- Un giorno d'assenza è bastato per gettare il panico tra le truppe - dovette ricordargli Junot, evidentemente allarmato. Era stata davvero dura dover riferire la notizia al resto dell'esercito e contenere le loro reazioni, sia adirate a causa delle decisioni del governo, sia disperate nei riguardi della loro condizione - L'artiglieria intera non può fare a meno di lui, è l'unico che sa sempre come ci si deve muovere - proferì ancora nel mentre avevano ripreso il galoppo.

Quell'affermazione fece sussultare Muiron, il quale comprese il perché di quella calma che Buonaparte stava ampiamente dimostrando. Lui lo sapeva, subito dopo esser venuto a conoscenza della morte dei due Robespierre, aveva immediatamente ragionato su tutte le possibili conseguenze che avrebbe portato un avvenimento di tale portata - Lo sapeva... - gli sfuggì - L'aveva calcolato... l'aveva previsto...

I due non compresero quello che il collega aveva pronunciato - Che avete detto, Muiron? - chiesero in coro - Potreste ripetere?

Muiron si ridestò completamente e disse loro - Oh niente stavo pensando ad alta voce - Si scusò ridacchiando. Era più prudente al momento non rivelare completamente questo suo ragionamento, voleva accertarsi che fosse realmente così - Sto prendendo la brutta abitudine del generale - rise ancora, per smorzare un po' l'atmosfera fattasi lugubre, nonostante il torrido caldo di agosto.

- Su andiamo - fece Marmont allungando il passo. Il resto lo seguì in silenzio e concentrati.

Nel frattempo Napoleone si era sporto e aveva alzato leggermente lo sguardo, non appena erano usciti dal centro cittadino per attraversare la boscaglia tipicamente mediterranea, che separava il mastodontico forte di pietra dal centro cittadino. Il Fort Carré, dai quattro bastioni a forma di freccia, era stato costruito da Enrico II nel XVI secolo e nel tempo aveva subìto modifiche per contenere l'artiglieria. Posizionato su un leggero rialzo del terreno, bagnato dal mare, dominava l'area circostante. Quando il generale l'aveva perlustrata per la prima volta rimase colpito dall'armonia dei suoi elementi e dalla piacevole vista che si aveva. Rivedere il mare confortava il suo spirito solitario.

Essendo, però, uno degli edifici, se non l'edificio più grande della città, aveva anche la funzione di carcere. Nel periodo del Terrore fu pieno di detenuti, sia innocenti che non, in parte spaventati, in parte rassegnati. Non tutti subirono la sorte della ghigliottina, alcuni erano riusciti a scappare e a non lasciare alcuna traccia, abbandonando con grande probabilità il Paese. Napoleone non si era intromesso in quelle faccende, come comandante dell'artiglieria aveva il compito di studiare, sotto ogni punto di vista, la fortezza per poterla sfruttare al massimo, conoscere persino il più profondo dei suoi segreti, non certo quello di fare la guardia.

Giunta a destinazione la 'carovana' si fermò, a sorvegliare l'ingresso, una sporgenza dalle pareti di forma triangolare, bucata ai lati da una pesante porta di legno, vi erano le guardie che fecero le consuete domande. Napoleone mascherava la sua insofferenza e la stanchezza che quella faccenda incresciosa iniziava a far emergere. Fu davvero difficile adeguare il suo ritmo frenetico, rapido con quello lento e instabile della carrozza, dell'ufficiale e degli altri soldati. Ci avevano messo più tempo di quanto il giovane aveva calcolato e ciò lo aveva spossato enormemente. Odiava perdere tempo.

- Un nuovo prigioniero da aggiungere ai vostri - disse l'ufficiale con tono cantilenante, mentre i soldati soffocarono degli sbadigli. Erano stanchi e non vedevano l'ora di riposare, si erano quasi addormentati lungo il tragitto.

Le guardie si soffermarono sul giovane militare che avevano indicato, scorsero quello sguardo intenso, penetrante, in cui brillava una luce inestinguibile, lo riconobbero rabbrividendo, era impossibile dimenticare quegli occhi - È il generale dell'artiglieria dell'Armée d'Italie... - riuscirono solamente a dire. Li lasciarono passare.

- Noto che siete conosciuto da queste parti - emise con molta sorpresa l'ufficiale incaricato rivolgendosi al generale, una volta superato l'ingresso.

- Ho sempre e solo compiuto il mio dovere, cittadino - emise freddo Napoleone, senza nemmeno spostare le iridi verso un ufficiale tanto insignificante. "A differenza di molti di mia conoscenza" completò nella sua mente.

Attraversarono lo stretto ponte che conduceva al forte, in silenzio, si udivano soltanto i tacchetti degli stivali che rimbombavano. Giunsero alle celle; il secondino, nel vederli, si alzò. Riconobbe anch'egli il generale, lo aveva visto bazzicare piuttosto spesso da quelle parti, si ricordò delle sue puntigliose domande circa le condizioni strutturali e delle persone che vi erano imprigionate. Rimembrava soprattutto la sua espressione interessata e attenta - Dato che lo conoscete già, non ci sarà bisogno di ulteriori misure e accorgimenti - fece l'ufficiale che con un gesto nelle mani invitò i suoi uomini ad accompagnarlo dietro le sbarre - Buttatelo nella cella che preferite, d'altronde è solo una tappa momentanea, prima di Parigi - poi riferì al carceriere - Non ha creato alcun fastidio o disturbo nelle ultime ore, anzi, non ha quasi fiatato, per cui non necessita di controllo speciale, tuttavia restate prudente, è pur sempre sotto la mia responsabilità

Buonaparte non riuscì a trattenere un ghigno colmo d'ira, quel militare da quattro soldi stava parlando di lui come se fosse il peggiore dei criminali, che aveva compiuto dei crimini imperdonabili. "In giro c'è gente ben più pericolosa e mal intenzionata di me, io sono prima di tutto un uomo e poi un generale" i due soldati più grossi, senza farselo ripetere un'altra volta, lo gettarono nella cella più vicina che avevano trovato, per toglierselo velocemente dai piedi e così andarsene via.

Napoleone, sorpreso dalla spinta data, che aveva rischiato di farlo cadere, li guardò intensamente per qualche istante, poco prima che questi sparissero dalla sua vista, per poi rendersi conto della piccolezza di quella cella. Gli pareva la sua stanzetta di Brienne, anche se leggermente più grande e confortevole di questa. Emise un profondo respiro, con cui scaricò parte della sua frustrazione, lanciò il cappello e la sacca sul letto e vi si sedette - Almeno questo non è di paglia - constatò la sua durezza facendo leggera pressione.

Alzò la testa verso la piccola finestra posta in alto, da cui provenivano i raggi del sole che creavano delle scie di luce sul muro adiacente le sbarre e parte del pavimento. Quel bianco accecante metteva in risalto la sporcizia del luogo, ai lati cumuli di polvere e qua e là cadaveri di ratti consumati da vermi e insetti. Per poco Napoleone non vomitò, era sempre stato sensibile a questi dettagli raccapriccianti. Nemmeno un corpo morto gli provocava una simile reazione, per quanto gli suscitasse sempre emozioni forti e lo portava a riflettere sul significato della guerra e sul senso della vita.

Sospirò profondamente, si era ripromesso più volte di non perdere la calma. Focalizzò la vista sul misero tavolino e sulla sedia di legno, posizionati sotto la finestra. Udì rumore di passi e rizzò in piedi, avanzò fino alle sbarre e vide il secondino che si stava avvicinando a lui, con una ciotola e una bottiglia tra le mani.

- Mi spiace per ciò che vi è accaduto generale - esordì costui nel vederlo in quello stato, s'accorse della tristezza mista a rabbia presente nei suoi grandi occhi chiari, coperti dall'incavatura - Inoltre vi hanno messo nella cella più piccola che c'era, non c'è più rispetto per nessuno, con la scusa della Rivoluzione - Gli porse ciò che aveva in mano - Prendete, anche se non è molto

- Potete ben dirlo - fece Napoleone completamente d'accordo con quel saggio uomo che rammentava: abbastanza alto, dal fisico ben proporzionato e soprattutto dal cervello funzionante. "Almeno il 'soggiorno' non sarà duro, con lui" pensò. Aveva compreso il buon animo di quell'uomo, gli era bastata un'occhiata la prima volta - Vi ringrazio molto - rispose gentilmente, pur non avendo fame, gli si era chiuso lo stomaco. Vi era della zuppa di legumi con del pane e una bottiglia di vino. Li posò adagio sul tavolo.

- Mi rincresce non potervi dare altro al momento - chiese perdono il secondino, volendo rimediare un po' alla disagevolezza della cella.

- Non scomodatevi - fece Napoleone sorridendo, accomodandosi sulla sedia, i morsi della fame si ripresentarono, non appena l'odore era penetrato nelle narici. Non toccava cibo da un giorno intero - Anzi siete stato fin troppo premuroso nei miei riguardi, l'ultima cosa che desidero è abusare della vostra disponibilità - infatti non voleva che questo trattamento, che il custode gli stava riservando, potesse generare qualche sospetto su una presunta complicità tra i due.

L'uomo intuì il significato nascosto di quella frase che il giovane ufficiale aveva appena pronunciato, un trattamento di favore avrebbe immediatamente attirato le chiacchiere e sapeva che le voci correvano. Tuttavia non esitò nel chiedergli - Posso fare qualcosa per voi? Come ultimo favore, se per voi va bene generale...

Buonaparte aveva appena immesso nella bocca un pezzo di pane ammorbidito, che dovette ingoiare in fretta - A dire il vero, c'è qualcosa che vorrei - si pulì le labbra con un fazzoletto che aveva estratto dalla tasca - Gradirei dell'acqua, non è di mio gusto il vino puro, lo preferisco allungato - ridacchiò infine Napoleone, rendendosi conto che non fosse proprio il tipo di richiesta che si aspettava da un militare come lui, ma per lui era un'esigenza.

Il secondino annuì, sorrise divertito, era un ragazzo in fondo, che stava affrontando il tutto con una dignità e uno spirito assai rari - Non c'è nessun problema, ve la faccio portare immediatamente, generale

14 agosto

'Gli uomini possono essere ingiusti nei miei confronti, mio caro Junot', scrisse al più impulsivo e battagliero dei suoi aiutanti di campo 'Ma basta essere innocenti: la mia coscienza è il tribunale innanzi al quale chiamo a testimoniare la mia condotta' eppure sapeva che l'innocenza non era una difesa contro la ghigliottina, così come l'eroismo rivoluzionario, per cui i suoi aiutanti avevano tutto il diritto di essere preoccupati.

Erano passati quattro giorni da quando era stato recluso, Napoleone non aveva perso tempo e aveva sfruttato ogni singolo istante per controllare varie cartine, documentarsi, immergersi nella lettura, dando un'immagine di fiero stoico in grado di tollerare qualsiasi difficoltà, nonostante la barba incolta e le occhiaie profonde, in modo da poter tranquillizzare i suoi uomini, che se n'erano usciti con trovate che avrebbe danneggiato ogni sforzo del generale. Junot in particolare aveva ideato un piano d'evasione talmente incredibile da risultare irrealizzabile - Non fate nulla, mi compromettereste e basta - lo aveva frenato con buon senso e fermezza Buonaparte, bocciando categoricamente la proposta.

A dire il vero, nel profondo era preoccupato più di tutti loro, specialmente perché non aveva ricevuto nessuna reale spiegazione da parte dei commissari e di Saliceti, in particolare. Volle ricordando, a quest'ultimo, in alcune lettere, della sua condotta avuta durante quei cinque anni in cui avevano collaborato a stretto contatto. Napoleone, come aveva intuito Muiron e come ebbe conferma in seguito, parlandoci durante i colloqui concessi, sperava, inoltre, nella fama e nel buon nome che si era fatto nell'esercito, accanto alle sue abilità. Ma il dubbio di un abbandono da parte loro gli era sorto comunque, conoscendo la natura autoconservativa degli uomini "E se, alla fine, si dimenticassero di me? A quel punto non mi resterebbe che la morte soltanto...che accetterei senza ribellarmi, un uomo deve saper morire".





 

 

   
 
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