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Autore: Gaia Bessie    06/04/2021    0 recensioni
Daphne prende e se ne va – alla Babbana, un treno che attraversa il canale e via, en France, ça va?
Signorina, dov’è diretta, le domanda il controllore: lei sorride e si calca il basco rosso in testa. Vado in Provenza, oui, mi piacerebbe vender fiori per vivere. Lo chiamerei – il negozio, sì – le petite fleur, che non significa niente, ma chiamate un orgasmo la petite mort e anche quello cosa vorrebbe dire?
[Daphne/Gabrielle, Daphne/Blaise | Mini long di due capitoli | Partecipa al contest "La rinvincita delle femslash" indetto da matiscrivo sul forum di EFP]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Gabrielle Delacour
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Daphne prende e se ne va – alla Babbana, un treno che attraversa il canale e via, en France, ça va?
Signorina, dov’è diretta, le domanda il controllore: lei sorride e si calca il basco rosso in testa. Vado in Provenza, oui, mi piacerebbe vender fiori per vivere. Lo chiamerei – il negozio, sì – le petite fleur, che non significa niente, ma chiamate un orgasmo la petite mort e anche quello cosa vorrebbe dire?
Il controllore sorride, le restituisce il biglietto con i suoi migliori auguri, e s’allontana forse un po’ perplesso.
Daphne sorride, nel finestrino: alla Babbana, con una camicetta un po’ sgualcita e una spilla di una rosa appesa sopra il taschino. La Francia è la sua petite mort: un orgasmo così intenso che fa svenire, ma dura un secondo soltanto, per farti rinascere subito dopo – cambiata, inevitabilmente.
 
 
Il rosso delle rose
 


1. Pennelli sporchi di blu
 
La città sbiadisce e tu vai via veloce
Spezzi le costole ed arrivi al cuore
Senza vedere il rosso delle rose
(Gaia, Il rosso delle rose)
 
Ha scelto di dipingere le pareti verde menta, anche se Adèle, la proprietaria della pâtisserie nella vetrina di fianco, le ha detto che è il colore più demodé della stagione: meglio un giallo freddo, le ha detto, o persino un rosa antico se ti va di osare. Ma Daphne ha deciso per un verde menta e non ha voluto sentire ragione: l’imbianchino ha lavorato in silenzio, senza domandare nulla a quella signora così eccentrica.
Daphne ha cominciato a lavorare dopo tre settimane e mezzo dal suo arrivo ad Aix-en-Provence: ha messo tutta sé stessa nei lavori di ristrutturazione, aiutando gli operai con le proprie stesse mani – ma, la magia, quella non la userà mai più. Attirati dalla novità, i cittadini magici e Babbani s’avventurano nel suo negozietto, schiacciato tra una pasticceria e un negozio di elettronica un po’ dimesso, un po’ sbocconcellato da tempo e polvere.
«Bonjour, Madame Zabini» saluta, ogni mattina alle otto. «Come posso aiutarla, oggi?».
«Oh, cara Daphne, dei bei crisantemi per mio marito» risponde la madre di Blaise, tirando su con il naso. «Temo proprio che il mio caro Philippe non riuscirà a passare la notte».
Lei gli incarta i crisantemi bianchi – che ormai compra ogni mattina da un mese – e li condisce con un sorriso affascinante, mentre Marie-Amélie Zabini le ricorda di scrivere presto, al figlio, che ancora aspetta che lei faccia marcia indietro e decida di sposarlo.
Daphne, che non potrebbe mai, non lo dice: le porge i fiori, decorati in carta velina rosa pastello, e condisce il tutto con un sorriso zuccheroso, mentre il cliente successivo entra dalla porta e fa tintinnare lo scacciapensieri appeso sopra di esso.
Ma che pensieri dovrà mai scacciare, se chiede ogni francese della Provenza, la misteriosa proprietaria de Le petit fleur? Che pensieri le si agiteranno in quella testolina bionda, mentre con un nastro ferma i fiori recisi – recisi, come lei, capite? – e sorride nuovamente.
«Bonjour, Monsieur Dubois» saluta, sentendo il tintinnio dolcissimo con cui la porta s’apre. «Il gran giorno è arrivato, infine?».
«Oui, Mademoiselle Greengràss» commenta, storpiandole il cognome con il proprio marcato accento francese. «Cosa mi consiglia, per il compleanno della mia Giselle?».
Lei stende sul tavolo la propria migliore carta velina rossa, e sorride con ovvietà. «Rose?» domanda, dolcemente. «Quanti anni sono, che siete sposati?».
«Oh, ma no, le rose no» risponde il Dubois, sistemandosi le lenti quadrate sul naso aquilino. «Non ha niente di più originale da propormi?».
Daphne ci pensa, prima di voltarsi e prendere un mazzo di iris blu, posandolo sulla carta velina con un sorriso.
«Ecco qui, Monsieur» commenda Daphne, cercando un nastro che s’adatti alla confezione. «L’iris vuol dire speranza, sa?».
«E lo sa Dio, se con Giselle non ce ne sia bisogno, di speranza» scherza il cliente, avvicinandosi alla cassa per pagare. «Grazie ancora, Mademoiselle Greengràss. Le farò sapere com’è andata».
Lei agita la mano, posando le forbici usate per tagliare il nastro color oltremare che ha scelto, e sistemando il grembiule sul petto.
Le dieci di mattina, si dice: adesso entrerà il suo spasimante – l’ultimo: quello che non riuscirà mai a cacciare – con un pain au chocolat comprato da Adèle e un cappuccino ormai freddatosi nel bicchiere di carta. Daphne sospira, sistemandosi nello specchio i capelli biondissimi.
Si va in scena, si dice, d’altronde è compito di ogni donna rifiutare ogni giorno persone moleste che s’accalcano come mosche sul miele.
«Bonjour, Mademoiselle Greengràss» esclama il giovine di belle speranze, ad alta voce. «Anche oggi è bella come sempre. Gradisce un dolce? Passavo di qui e…».
«Voi passate sempre di qui» commenta Daphne, con un sorriso ironico. «Debbo forse pensare che veniate per me?».
Lui posa sul bancone l’involucro del negozietto di Adèle, il viso chiazzato di rosso e i capelli del medesimo colore, un po’ troppo lunghi, che non mascherano l’imbarazzo che gli tinge il volto come una pennellata di inutile colore. Vorrebbe rispondere, ma lo scacciapensieri tintinna, e allora lui sorride – meno sicuro di sé stesso – e borbotta un arrivederci che sente solamente lui.
Daphne sorride: forse, s’è liberata anche di lui.
«Bonjour» sorride una donna bionda, avvicinandosi con grazia al bancone. «Mademoiselle Greengràss» legge, sulla targhetta appuntata sul grembiule che Daphne indossa. «Penso proprio possiate aiutarmi».
Lei sorride, dolcemente e risponde al saluto. «Credo sia la prima volta che c’incontriamo» osserva, dolcemente. «In cosa posso aiutarla?».
«Mia nipote compie otto anni, domani» commenta la donna, sorridendo dolcemente. «Lei e i suoi genitori festeggeranno con una gita en Marseille, oui, e allora vorrei raggiungerli con dei piccoli cadeaux».
Daphne sorride, illuminandosi. «Ho un nipote anche io» confessa, dolcemente. «Ma di anni ne deve compiere due, ed è ancora lì che zampetta per casa cercando di camminare».
«C’est Merveilleux!» esclama la signora bionda, dolcemente. «Lei ha un accento strano, Mademoiselle Greengràss. Non è francese, non è vero?».
Daphne scuote il capo, agitando un tulipano rosa con aria interrogativa, e inserendolo subito dopo nella composizione con aria concentrata.
«Sono inglese» commenta, asciutta. «Ma anche lei ha un accento spiccatamente parigino, eppure siamo in Provenza».
«Sono marsigliese» risponde l’altra, indicandole una rosa bianca con aria distratta. «Ma ho vissuto tanti anni a Paris, questo sì».
Daphne sorride, porgendole il mazzo di fiori. «Avrebbe potuto usare la magia, Mademoiselle Greengràss, ma lei preferisce sporcarsi le mani» aggiunge la donna, calma. «Ed è per questo che, tra tutti i fiorai della Provenza, ho scelto lei».
«Non sapevo fosse una strega» risponde Daphne, digitando un paio di numeri sulla cassa. «Non mi ha detto come devo chiamarla».
«Mademoiselle Delacour» risponde l’altra, con un sorriso. «O Gabrielle, se preferisce darmi del tu. Spero di poterla rivedere presto: il suo è il negozio di fiori più in voga, in questo posto che persino Dio ha dimenticato».
Le porge un paio di banconote e due monete, una mancia, avviandosi con grazia verso la porta – il vestito verde chiaro le svolazza attorno alle ginocchia, sospinto da un vento invisibile, mentre i capelli argentei s’arricciano d’umidità.
Daphne si guarda allo specchio, appeso nella parete di fronte all’ingresso, con aria stremata: ha i capelli che le sfuggono disordinatamente dallo chignon, dandole un’aria dimessa e trascurata, il viso trasfigurato dalla stanchezza (e sono a malapena le dieci e mezza del mattino).
«Forse, perché Dio si è dimenticato di me» sussurra, sedendosi dietro il bancone.
Ma Mademoiselle Delacour è andata via e, sentirla, non potrà mai.
 
***
 
Daphne ha tutti i pennelli da trucco sporchi di blu, e nemmeno sa il perché: forse risalgono a quella volta in cui ha truccato d’azzurro gli occhi color pervinca di sua sorella e, allora, le setole sono rimaste impregnate di lei. Anche il cuore della proprietaria de Le petite fleur è pieno di Asteria Greengrass, anche se lei è destinata a scomparire in una spolverata di ombretto blu notte, e allora la sera Daphne si scioglie in lacrime sul cuscino ogni sera: il trucco che ne scola non è azzurro, ma nero come un’ombra, e allora lei si domanda se la sua anima non sia forse del medesimo colore.
Alle sei e mezza, ogni mattina, deve sciacquarsi via i grumi di mascara del giorno precedente e le tracce di rossetto rosso – il rosso delle rose – rimaste nelle pieghe delle labbra e correre via, ad aprire il negozio con ancora una barretta di muesli intonsa nella borsa e il caffè che le si fredda tra le mani.
Alle otto, quando lei ha dato l’ultimo morso a quella colazione frettolosa e s’è pulita la bocca dalle briciole, trilla lo scacciapensieri e Madame Zabini entra nel negozio, pomposa nel suo tailleur uscito da una boutique di Chanel del secolo precedente. Ogni mattina, puntuale, la madre di Blaise varca la soglia e domanda dei fiori per il marito morente – che, con suo sommo dispiacere, non muore mai.
Daphne sospira, voltandosi per farle vedere i crisantemi gialli – che buffa ironia, quel tocco di colore – arrivati quella mattina: la donna scuote il capo, ne indica alcuni rossi. Daphne sorride dietro il fondotinta, nell’appoggiarli sopra della carta velina nera: il funerale dei pazzi, si dice, come si fa a dire d’esser dispiaciuti per un uomo se gli si augura la morte con un mazzo di fiori del colore del peccato.
Peccato, quel che commette suo figlio ogni sera, andando con prostituta dopo prostituta (e qualcuno ride alle sue spalle: Blaise Zabini è sifilitico), e Daphne ride nel leggere le sue melense lettere d’amore ogni sera.
«Oh, mia cara» sospira Madame Zabini, prendendo tra le braccia il mazzo di fiori. «Il mio piccolo Blaise ti manda i suoi più cari saluti: passerà l’estate in Provenza, magari potreste organizzare una rimpatriata, oui?».
Il sorriso di Daphne è carta vetrata: non se n’è resa conto, ma pulendo i pennelli – cercando di rimuovere tutto quel blu – s’è lasciata una strisciata di colore sul collo, una ferita che sanguina oceano. Gli occhi di sua sorella, dipinti sulla sua pelle troppo pallida, la guardano con pietà dallo specchio all’ingresso – Daphne alza la mano e, con la manica del dolcevita lilla che indossa, si cancella quella macchia dall’epidermide (come farà per quel che v’è dietro?).
«Non voglio più avere a che fare con il Mondo Magico, Madame» commenta, secca. «E lo sa anche Blaise».
«Potresti almeno rispondere alle sue lettere, qualche volta» commenta, piccata, Madame Zabini. «Sente tanto la tua mancanza, voi due eravate… legati, un tempo».
«Parliamo di tanto tempo fa, Madame» commenta Daphne, legandosi i capelli in uno chignon frettoloso. «Le cose cambiano».
La porta si apre in un tintinnio, mentre la madre di Blaise le porge delle banconote e un sorriso pieno di sdegno, e Daphne si dipinge sul viso il proprio Bonjour, Monsieur Dubois – ma non è l’uomo, con gli occhiali a lenti quadrate, a varcare la soglia.
«Bonjour, Mademoiselle Greengràss!» trilla Gabrielle Delacour, avvicinandosi al bancone. «Bonjour anche a lei, Madame».
Ma Madame Zabini china il capo con uno sbuffo ed esce a grandi passi, stringendo all’ampio petto il mazzo di crisantemi rossi.
«Bonjour, Mademoiselle Delacour» risponde Daphne, calma. «Come posso aiutarla, oggi?».
«Gabrielle» le ricorda l’altra, guardando i fiori disseminati per tutti il negozio. «Vorrei un centrotavola».
Daphne alza un sopracciglio color sabbia, divertita. «Un centrotavola?» domanda, voltandosi a cercare un cestinetto di vimini. «Vimini va bene? O pensiamo a qualcos’altro?».
Gabrielle sorride, annuendo. «Oh, oui!» esclama, contenta. «Vorrei qualcosa di allegro, sai, a mia sorella queste… com’è che dite voi in Angleterre? Queste cazzate piacciono tanto a mia sorella».
Daphne ride – è il primo suono vero, reale, che le esce dalla bocca da quella mattina – e si volta a indicarle delle campanule bianche. «Fiori di campo?» domanda, divertita. «O hai già qualche idea?».
Mademoiselle Delacour sorride, luminosa come un tramonto, e indica qualcosa alle sue spalle, facendole spalancare gli occhi.
«Pensavo fosse per tua sorella» commenta Daphne, perplessa. «Sono rose rosse».
«Oui, lo so» commenta Gabrielle, scrollando le spalle. «Vorrei farle vedere che nella vita non esiste solo il rosa pastello, ma che le passioni sono…vibranti, sì, era questa la parola che cercavo».
«Facciamole vedere il rosso delle rose, allora» risponde la fiorista, divertita. «Devo togliere le spine?».
«Sì, grazie» risponde l’altra. «Potresti anche scrivere un biglietto? Io ho una grafia veramente terribile».
«Ma certo» risponde Daphne, armandosi di cartoncino bianco e di stilografica. «Cosa vuoi che scriva?».
Gabrielle finge di pensarci, ma le parole le salgono spontanee sulle labbra, così semplicemente le pronuncia.
«Forse… în fond, remembrance» sussurra. «In sottofondo, il ricordo».
Daphne sospira, ma non domanda spiegazioni – taglia il nastro, bianco candido, e una goccia di sangue macchia il pavimento. Non se ne rende conto.
 
***
 
Quella sera, Daphne arriva a casa che a stento si regge in piedi – non una mossa furba, non fare la pausa pranzo, ma non v’è tempo per alcun rimprovero – e crolla sul divano, scalciando le sneakers bianche in un angolo del salotto. Il caminetto le suggerisce un impegno cui non vuole tenere fede, cosa che fa con regolarità da quasi sei mesi: Asteria aspetterà, e quasi ne intravede il dispiacere in quelle iridi color vetro di mare o mare e basta.
Non stasera, si dice, stasera ha tanto (troppo) da perdonare – da perdonarsi. Così fissa il soffitto, cercando una spiegazione al suo volere per forza evitare sua sorella, e non trovandone nessuna. Si rigira una manciata di buste tra le dita, s’è finalmente ricordata di ritirare la posta.
Una bolletta della luce di due settimane fa, da pagare, una multa di quella volta che s’è arrischiata a parcheggiare in doppia fila per comprare un pacchetto di sigarette. Una cartolina dalla Cornovaglia, di un mese prima, firmata Asteria Malfoy e cui lei non risponderà.
Nell’istantanea, un bambino biondissimo la guarda in posa da quella cornice quadrata, stretto in un mantello troppo lungo per lui – sua sorella, al suo fianco, ride e getta indietro la testa con grazia: è stato Draco a scattar la fotografia, perché non compare da nessuna parte. Poche frasi, dietro: ci manchi, scrivici qualche volta, noi ti aspettiamo.
Che aspettino, allora, pensa distrattamente Daphne gettando la cartolina sul pavimento – ma, anche lì, sua sorella continua a ridere come se la vita le appartenesse e lei non stesse lentamente morendo: sugli occhi color pervinca, un trucco rosa (blu mai).
Tra le mani, l’è rimasto solamente un cartoncino con una rosa stilizzata disegnata con inchiostro rosso. Su di esso, Daphne Greengrass riconosce la propria medesima grafia, che ha vergato quelle parole la mattina precedente, tra un sorso di caffè e una chiacchierata con la proprietaria di un buffo centrotavola fatto di rose rosse.
Gabrielle Delacour le ha fatto recapitare il biglietto da lei scritto quella stessa mattina: în fond, remembrance. E dove sta, si domanda Daphne con amarezza, questa benedetta remembrance?
Di certo, non nella bolletta della luce o nella multa, di cui s’era sfortunatamente dimenticata, lasciandole sedimentare nella cassetta della posta del proprio condominio.
Di certo, non nella fotografia mandatale da sua sorella, per le vacanze estive con la famiglia Malfoy, che le hanno bruciato la retina di lacrime – in sottofondo, il ricordo.
Daphne si addormenta così, sul divano, ancora vestita e con quel biglietto tra le mani – quando apre gli occhi, sono a malapena le sei di mattina e lei sa già che non avrà voglia di fare colazione, né di preparare da sé il proprio caffè.
Così, si alza: i pantaloni non sono sgualciti, li tiene addosso per non liberarsi da quel caldo abbraccio, mentre sostituisce il dolcevita lilla con un maglioncino verde chiaro. Il trucco è sempre lì, intonso mai, il rossetto che scava una linea sanguigna sulla mascella, facendola sembrare un clown. Dagli occhi son colate lacrime d’ombretto rosato, che le lasciano una scia di glitter lungo le guance – sospira, non c’è modo di rimediare a quel disastro se non ritruccandosi da zero.
Truccarsi, nel mondo Babbano di Daphne, è l’unica magia che si concede: ha scoperto la cosmetica e ne è rimasta incantata, da quelle spugnette, tubetti e pennellini capaci di ridisegnare i lineamenti come un incanto (che, comunque, lei non sapeva praticare). Ogni mattina, Daphne si ridisegna un sorriso sul viso che poi il sonno e l’inquietudine le cancellano durante il corso della giornata.
Ma, all’alba, quando ha ancora gli occhi verdi come il suo cognome e la bocca arrossata dal rouge di Dior, nello specchio si riconosce come quella giovane strega che, a sedici anni, non aveva ancora tutta quella paura che adesso l’attanaglia incessantemente.
Si spruzza il profumo addosso, domandandosi perché tanta pena, per clienti che la vedranno ogni giorno con un sorriso – sempre più stanco, fino alla domenica – diverso a seconda dell’ora del giorno in cui varcheranno la porta. E lei, che si sarà ridipinta la bocca di rosso dopo la pausa pranzo, dirà il solito: bonjour, come posso aiutarla oggi?
Daphne sospira, mettendo in borsa una barretta di muesli e cioccolato, le chiavi di casa, quelle della macchina e, infine, quel biglietto. Ma, la remembrance, non l’ha di certo trovata nell’anteporta dei propri sogni.
Ha fatto sogni rossi come le rose o i crisantemi che Madame Zabini ha portato al marito morente, ha fatto sogni che l’hanno fatta arrossire alla ricerca di memorie che non ha trovato – perché, sul finire, non c’è arrivata mai.
Si ferma davanti allo specchio del bagno, qualche minuto, a osservare il proprio viso riordinato e truccato di fresco: un’estranea con magnetici occhi verdi le restituisce lo sguardo, disorientata, mentre un orecchino le pende sulla guancia incipriata e l’altro dov’è finito?
Lo trova sul pavimento, ai suoi piedi in preghiera, e allora lo deve disinfettare prima di ricollocarlo al proprio posto con un sospiro.
Sul finire, il ricordo – ma lei a stento ricorda d’esser lei, d’esser viva e allora a cosa serve ricordare, a cosa serve qualunque cosa?
L’estranea nello specchio scuote il capo, facendo oscillare una corona di capelli color sabbia, e le indica la porta con un cenno. Daphne sorride e apre la bocca, ma il suo riflesso non le dice mai niente, così che lei deve semplicemente obbligarsi a voltargli le spalle e ad uscire di casa, diretta al proprio negozio.
I passi le risuonano alle spalle come la sua piccola, personalissima, maledizione.
 
***
 
Alle otto in punto, Madame Zabini non si presenta, ma al suo posto entra un affascinante giovanotto dalla pelle ambrata e gli occhi scuri come il cielo notturno: Blaise le sorride, con aria conturbata, per quanto Daphne sia certa di un’insondabile verità – non ha dimenticato. E potrà guardarla con amore, forse persino con ammirazione, ma quel rifiuto gli brucerà sempre addosso con la potenzia di un miliardo di soli.
«Bonjour, Monsieur Zabini» commenta Daphne, con il solito tono allegro. «Come posso aiutarla?».
«Adesso mi dai del lei, Daph?» domanda lui, posando i gomiti sul bancone con aria svagata. «Pensavo che non bastasse un canale, la tua fuga, la magia e perfino questo bel negozietto a separarci».
Lei alza gli occhi al cielo, e con il braccio indica i vasi ricolmi di fiori recisi – come lei, che si è sradicata da casa sua, per andare in Provenza a insegnare ai propri clienti il rosso delle rose.
«Come posso aiutarti?» ripete, in tono cantilenante. «Sto lavorando, Blaise».
«Non te l’ho portato, il caffé» commenta, lui, divertito. «Non hai fatto niente per meritarlo e, poi, io non sono un tuo spasimante».
«Ah, no?» domanda lei, alzando un sopracciglio. «E allora mi spieghi cosa ci fai qui? Non ti eri dato ai divertimenti della capitale, tu?».
«Blaise il sifilitico, mais oui, la voce sarà arrivata fin qui» commenta lui, divertito. «Cazzate, dico io, altrimenti non sarei venuto a cercarti».
«A non essere il mio spasimante» precisa Daphne, divertita. «E allora chi saresti, Blaise, hai crisi di identità, ultimamente?».
Lui ride, mostrando i denti bianchi come piccole perle, e le porge una scatolina – quando lei l’apre, vi trova un anello con un’opale lattescente incastonato: scarna, quella pietra, per quel che ha da offrire la famiglia dei Zabini. Perfetta, per la donna a cui lui la sta offrendo.
«Sono quello che ti porta via di qui, Daph» commenta lui, con sicurezza. «Non ti chiedo di rinunciare alle tue convinzioni, ma… di rivederle, questo sì, almeno per quanto riguarda lo stare con me».
«Questa è casa mia, Blaise» risponde lei, abbracciando con lo sguardo il negozietto. «Non me ne andrò, solamente perché sei abbastanza sciocco da chiedermelo».
Lui ride, ma è un movimento che non si espande nello sguardo e rimane confinato alle labbra, e scuote il capo con aria fintamente disperata – l’ama per davvero, vorrebbe dirsi lei, ma la sua reputazione lo precede e lei non sa venirci a patti.
L’ha amato anche lei, in un tempo che adesso è svanito tra le note a piè di pagina della loro storia d’amore, e adesso cosa è rimasto? Un rosso sbiadito di un bacio d’addio che non si sono mai dati e che, adesso, non si daranno mai più.
«L’anello tienilo» commenta lui, scrollando le spalle. «L’ho fatto fare per te, non avrebbe senso darlo a un’altra donna».
«E immagino che tornerai comunque, non è vero?» domanda lei, con aria stanca. «Che non ti basterà un no come risposta».
Lui ride, nuovamente e indica qualcosa alle sue spalle. «Vorrei regalarti dei fiori» commenta. «Cosa preferisci? Peonie, fresie?».
La risposta le sovviene improvvisamente, mentre lui con uno sguardo le rompe le costole per arrivare a prenderle il cuore – eccola lì, la rimembranze.
«Grazie, Blaise» sorride, ma è più una smorfia che le piega le labbra in un sussurro. «Ma preferisco le rose».
«Un mazzo di rose rosse, allora» risponde lui, senza far caso al rumore della porta che si chiude in un trillo. «Te ne regalerò quanti vorrai e, un giorno, mi dirai di sì. Buona giornata, Daph. Mademoiselle, prego, mi scusi se le ho rubato del tempo».
Si scusa, con un cenno del capo, indirizzato a una donna biondissima che sorride con aria immensamente allegra.
«Bonjour, Mademoiselle Greengràss» trilla Gabrielle Delacour. «Non sapevo conosceste Monsieur Zabini! Che persona squisita, tutti i salotti parigini lottano per averlo come ospite».
Daphne sorride, divertita. «Eravamo compagni di scuola» risponde, laconicamente. «Oggi come posso aiutarti?».
«Oh, c’est facile!» esclama la donna, battendo le mani con aria divertita. «Ho bisogno di una spilla, per un vestito: i miei genitori organizzano una festa danzante e moi… dovrò trovare un accompagnatore, oui, questo sarà decisamente meno facile».
Daphne sorride. «Che ne dici delle gerbere?» le domanda, indicandone un vaso. «Possiamo abbinarle facilmente a ogni vestito».
Ma Gabrielle scuote il capo biondissimo, con aria determinata. «Rose rosse, per favore» risponde, calma. «Perché non vieni anche tu?».
Gabrielle non le dice che sua madre le ha fatto fare un abito bianco, da ballo delle debuttanti, con il corpetto in pizzo e un piccolo strascico – un abito da ballo, ma sembra dover presupporre una verginità che lei non vuol dichiarare di possedere, macchiando tutto con una colata di sangue e petali (il rosso delle rose).
«Non amo le feste» mente Daphne, dolcemente. «Ma ti ringrazio per l’invito. Sono sicura che Blaise sarà l’anima della serata, come sempre».
Daphne non le dice che, un tempo, l’anima della festa era sempre stata lei – e aveva le costole spezzate per fare a metà del cuore con Blaise, ma sono tempi che adesso valgono quanto un santino di cartastraccia.
«Però potresti truccarmi» prosegue Gabrielle, ignorando il rifiuto. «Sì, sai, non conosco nessuno che lo faccia bene quanto te».
Daphne pensa ai pennelli macchiati di blu dall’ultima volta, anni prima, in cui ha truccato sua sorella Asteria e, per un momento, le trema il cuore sulle rose cui sta togliendo le spine.
«Certamente» cede, infine. «Ti scrivo il mio indirizzo, non è lontano da qui, circa dieci minuti in macchina. Puoi venire quando vuoi».
Le porge un cartoncino – e, per un momento, vorrebbe domandarle che rimembranza dovrebbe sovvenirle, ma poi le manca il coraggio.
Lei non è mai stata Grifondoro, si dice, ma non è nemmeno così Serpeverde da ambire a un mondo – l’alta società francese – di cui non farà mai parte: non obbligherà Blaise a rinchiudersi tra i Babbani per amare lei, non obbligherà sé stessa a rinunciare a Le petite fleur per tornare indietro.
Eppure.
«Ti ringrazio!» trilla la giovane Delacour, sorridendo. «Fammi bella, mi raccomando».
Eppure, nella tasca del grembiule, c’è un opale che è liquido come latte e incandescente come lava.
 
***
 
Ha pulito i pennelli, togliendo ogni traccia di blu – eppure un alone è rimasto, incancellabile, tra le setole e che sa di sua sorella. Asteria la guarda da una fotografia appesa sopra il muro dell’ingresso, in un’istantanea che sa di dimenticanza: di quando erano due bambine bionde con i capelli e le speranze intrecciate insieme, e non c’era spazio per il blu che avrebbe macchiato di notte i loro tramonti.
Adesso, i pennelli sono tutti puliti e asciugati, e Gabrielle Delacour siede su una delle sedie del soggiorno, il viso illuminato dalla luce giallastra del neon sopra la sua testa. La giovane donna sorride, guardando quelle fotografie con cui Daphne ha tappezzato casa sua.
«Sei sicura di non voler partecipare?» le domanda, mentre Daphne le picchietta il viso con una spugnetta rosa. «Sono sicura che Monsieur Zabini aspetta te».
«Monsieur Zabini potrà aspettare quanto gli pare» commenta Daphne, osservando l’anello che le riluce traditore sull’anulare. «Guarda che usi un correttore di un tono sbagliato per il tuo incarnato. Sei un NW20, il ventidue è troppo scuro per te».
«Davvero?» domanda Gabriele, osservando Daphne armeggiare con la propria pochette, per tirare fuori un campioncino della tonalità giusta di correttore. «Pensavo andasse bene».
La fiorista scuote il capo, divertita. «Lascia fare a me» sussurra, spolverandola di cipria. «Sarai la più bella della serata».
Ma Gabrielle le afferra la mano, così che il pennello s’arresta a mezz’aria, facendo cadere un po’ di polvere sul pavimento.
«No, Daphne» le dice, scuotendo il visino truccato per metà. «Sarai sempre tu, la bella del ballo, anche se al ballo non ci metterai piede».
Daphne vorrebbe dire qualcosa, ma quello sguardo annebbiato le ricorda qualcosa – un altro mondo, forse, un’altra vita.
Gabrielle sorride, rubandole la palette di ombretti dalle mani e indicandole un audace porpora, ha qualcosa che inquieta.
«Il Ballo del Ceppo» sussurra, restituendole il maltolto. «Ero lì anche io, la sorellina della Campionessa, oui, tu non puoi ricordarti di me, ma io sì».
Daphne si volta, un po’ per prendere un pennello da sfumatura e un po’ per celarsi allo sguardo di lei, che le sta spezzando le costole per arrivare al cuore.
«Hai chiesto a Cedric Diggory un ballo» commenta Gabrielle, con aria sognante. «E ti abbiamo guardata tutti, pensando che Fleur era bella… ma quella che aveva dominato la serata eri tu, e avevi quanto? Quindici anni?».
«E cosa ha contato, nella mia vita?» le domanda l’altra, con un accenno di divertimento nella voce. «Essere la bella del ballo. Cosa mi ha regalato?».
Gabrielle non sa rispondere, Daphne riesce solo a pensare che la vita le ha regalato esattamente quel che ha tra le mani: un pennello macchiato di color ciliegia ma che, tra le setole, preserva una traccia di blu oltremare – un sorriso, che ha il sapore dello sguardo desolato di sua sorella.


 
Beh, che dire. Questa è la prima volta che mi lancio in una FemSlash e spero che il tentativo riesca bene.
Prossimo aggiornamento: 12 aprile.

Scusate per i francesismi, davvero, ma volevo rendere il testo verosimile. 
Gaia
   
 
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