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Autore: Cassidy_Redwyne    08/04/2021    1 recensioni
L’anonima Sheltz Town, dove Rufy e Zoro s’incontrano per la prima volta, è sul punto di diventare teatro di una rivolta.
Per salire di grado Morgan Mano d’Ascia sarebbe pronto a tutto, anche a mettere in pericolo i suoi cittadini attirando una delle flotte più potenti di tutti i mari, interessata all’antico segreto dell’isola, proprio a Sheltz Town.
I cacciatori di taglie di Riadh sono abili, spietati e senza scrupoli. E del tutto impreparati ad affrontare una flotta di tale calibro. Quello che Morgan non ha messo in conto, però, è che pirati e cacciatori di taglie potrebbero mettersi in combutta alle sue spalle. E potrebbero essere gli unici in grado di portare un po’ di giustizia.
***
Per poco non cadde a terra. Spalancò la bocca, la mascella sospesa a mezz’aria.
La faccia squadrata. Gli occhi non particolarmente svegli. I ridicoli capelli biondi.
E l’altro. Capelli corvini e lentiggini.
I pirati a cui aveva intenzione di dare la caccia avevano appena bussato alla sua porta.
***
«Voglio che Zoro si unisca alla mia ciurma» esclamò il ragazzino gioviale.
Riadh strabuzzò gli occhi. «Non se ne parla nemmeno! Giù le mani dai miei cacciatori di taglie!»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Morgan, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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PROLOGO

“Here we go again
I will not give in
I’ve got a reason to fight
Every day we choose
We might win or lose
This is a dangerous life”
 

Nell’aria della foresta, silenziosa fino a pochi attimi prima, si udì improvvisamente uno stridere di lame, il cui eco fece volare via gli uccelli appollaiati sui rami degli alberi. Erano loro gli unici spettatori dei frequenti combattimenti che prendevano luogo in quella splendida radura, la quale, per l’occasione, diventava un vero e proprio campo di battaglia.

«Sei stanca?» domandò Riadh con un sorrisetto.

Dawn ricambiò senza esitazione lo sguardo del suo maestro, che stava bloccando il colpo della sua lancia a due lame.

«Assolutamente no!»

Riadh la osservò controllare lo spazio intorno a lei con un rapido sguardo, come le aveva insegnato, e trarre le sue conclusioni. Aveva poche chances di passare il turno.

Dawn riuscì a spingere verso l’alto la sua spada e, con uno scatto fulmineo, arretrò di qualche passo, ma non aveva più abbastanza spazio per muoversi.

Quella volta fu lui ad attaccare, affondando pesantemente la sua arma su di lei, e la cacciatrice dovette prepararsi per la difesa. Ancora una volta si ritrovarono con le armi incrociate, come abbracciate in una danza mortale.

«Dawn, non sono io a guidare, sei tu» la incitò Riadh, che voleva spingere al massimo le potenzialità della sua giovane allieva.

Continuava a ripeterle che, come nella danza, anche nel combattimento c’era chi guidava e chi seguiva. Se fosse riuscita a guidare, avrebbe vinto, ma era più facile a dirsi che a farsi.

Lei non disse nulla. Saltando, sferrò un calcio nel fianco destro del suo maestro, che rotolò agilmente sul terreno per poi rialzarsi subito da terra, pronto come non mai ad un nuovo attacco.

Senza mai interrompere il contatto visivo, cominciarono a girarsi intorno, mantenendo sempre qualche metro di distanza, come due tigri che si studiavano prima di attaccarsi.

Riadh le puntò contro la spada. «Non devi temere il giro delle lame della tua lancia. Ricorda che è una tua alleata.»

Dawn annuì e Riadh si accorse che, malgrado l’ostinazione, la ragazzina iniziava ad avere il fiatone. La resistenza poteva sempre fare la differenza, ma era una qualità che doveva ancora sviluppare. I combattimenti che duravano a lungo come quello finivano sempre per sfiancarla, ma migliorava giorno dopo giorno.

Dawn cominciò a girare la lancia tra le mani come lui le aveva detto, formando un cerchio perfetto nell’aria. La tensione aumentò, la paura che una di quelle lame potesse tagliarle un arto era sempre di più, così forte che Riadh poteva percepirla, ma era certo che Dawn avrebbe corso il rischio.

Corse verso di lui e tentò di infierire, ma Riadh schivò il colpo con un salto. Mentre atterrava, lui le tirò un calcio in pieno viso e la fece cadere per terra. Scansò via la lancia a due lame e le rivolse la punta della spada.

«Vedo che abbiamo un vincitore.»

Ripose l’arma nella fodera e aiutò la ragazza ad alzarsi, porgendole una mano. Vide che gli occhi di Dawn erano lo specchio dell’insoddisfazione e le circondò le spalle con un braccio, in un improvviso moto di tenerezza.

«Via quel muso lungo, avanti! Hai fatto dei progressi enormi.»

«Ma non riesco ancora a batterti» ammise amaramente la ragazza, che Riadh sapeva ormai essere un’orgogliosa di prima categoria.

Lui si passò una mano tra i folti capelli corvini e fece un sorriso vanesio. «Questo non succederà mai, tesoro.»

Lei gli rifilò un pugno nello stomaco, che lo fece pentire immediatamente di aver pronunciato quelle parole. «Idiota.»

«È la verità» continuò il suo capo, massaggiandosi il punto in cui lei l’aveva colpito. «Ci sono persone che non potrai mai battere, per volontà o per mancanza di forza. Prima te lo metterai in testa, e meglio sarà. Dannata orgogliosa.» Sogghignando, aggiunse: «Un’altra cosa che hai in comune con Zoro.»

Dawn non condivideva né l’una né l’altra affermazione ed espresse tutto il suo disaccordo con svariati improperi. Raccolse la sua lancia, la infilò nella sacca che portava a tracolla, dietro le spalle, e poi si affrettò a raggiungere il ragazzo, che la stava aspettando appoggiato ad un albero.

«Con le pistole come ti trovi?» le chiese lui.

Gli occhi della ragazza si illuminarono.

«È come se fossero l’estensione del mio braccio» disse, mentre ne estraeva una dalla fodera che aveva al fianco.

«Bene» disse Riadh, soddisfatto. «Fai in modo di far diventare parte di te anche la lancia, intesi?»

Dawn annuì con slancio, e si avviò insieme al suo capo fuori dalla radura degli allenamenti.

Era ormai pomeriggio inoltrato e la foresta concedeva loro uno spettacolo fantastico, donando colori vivi ed un alto contrasto tra luci ed ombre alla fitta vegetazione.

«Non mi hai ancora assegnato una missione, oggi» fece notare la ragazza al suo maestro.

Lui scansò una frasca che intralciava il loro cammino. «Alla Marina è stata appena segnalata la presenza di un pirata a largo da qui. È tuo compito fare in modo che non raggiunga nessuna delle isole circostanti. Adesso ti faccio vedere sulla cartina dove si dovrebbe trovare.»

La aprì con accuratezza e la mostrò a Dawn, indicandole un tratto di mare ben preciso. Era conosciuto anche come la Rotta dei Delfini, dato che, in un certo periodo dell’anno, passavano di lì in grandi quantità.

«Perfetto» disse la ragazza, poggiando le mani sui fianchi. «Spero proprio che valga almeno cinque milioni di berry. Ho voglia di guadagnare, stavolta!»

Riadh si riscosse. «Ah dimenticavo, non andrai da sola.»

Dawn lo guardò storto. «Credi che non ce la possa fare? Ti ricordo che non sono più una novellina.»

Riadh dovette ammettere che aveva ragione. Erano mesi ormai che lavorava nella Gilda e non aveva mai fallito una missione, sia in coppia che da sola. Ricordava lo stupore di tutti, quando era tornata a Sheltz Town sopra al peschereccio sgangherato, ricoperto da una dozzina di pirati catturati soltanto da lei. Quell’avvenimento gli aveva fatto capire la vera determinazione che animava la ragazza.

«Lo so Dawn, ma Morgan non mi ha detto molto su questo pirata, e non voglio correre il rischio di perdere la mia più giovane e promettente cacciatrice di taglie.»

Dawn si sentì stringere dalle braccia forti di Riadh e, se prima stava quasi arrossendo per le lusinghe, in quel momento stava per dare di matto. «E lasciami! Non sei mio padre!»

«Ma è come se lo fossi!»

«No!»

«Va bene, va bene» disse lui, imbronciato, lasciandola andare.

Quando finalmente uscirono dalla foresta, vennero illuminati in volto dalla luce calda del tardo sole pomeridiano. Il profilo dell’enorme casa di Riadh svettava oltre le cime degli alberi, come fosse in punta di piedi per sbirciare al di là del bosco.

«Chi verrà con me?» chiese Dawn.

Lui fece un sorriso sornione. «Zoro.»

Lei si inviperì. «Perché lo metti sempre in coppia con me?!»

Riadh fece una breve pausa ad effetto. «Perché siete bellissimi insieme, ovvio.»

Dawn lo colpì in faccia con tutta la forza che aveva.

«Non ricominciare con questa storia!» lo minacciò, rimanendo in posizione d’attacco, pronta a colpirlo di nuovo.

Riadh si asciugò un rivoletto di sangue che gli fuoriusciva dal labbro spaccato. «Va bene, va bene. Però devi ammettere che ho ragione.»

Dawn serrò i pugni per la rabbia e gli voltò le spalle.

«Sei un idiota!» fu l’ultima cosa che gli urlò, mentre se ne andava via a grandi passi.

 

Dawn era veramente stufa delle battutine che avevano iniziato a fare nella Gilda.

Solo accostare il suo nome a quello di Roronoa Zoro le dava la nausea. Era logico, quindi, che non riuscisse a sopportare tutte le storie fantasiose ricamate sulle loro frequenti missioni. Ormai erano mesi che Johnny e Yosaku continuavano a prenderla in giro, ma la verità era che Dawn odiava e ammirava Zoro al tempo stesso.

Mentre percorreva la strada sterrata che portava al porto di Sheltz Town, vide in lontananza due figure che riconobbe subito: erano proprio Johnny e Yosaku, che si avvicinavano raggianti.

Quando si sentì chiamare a gran voce dai due cacciatori di taglie, sbuffò innervosita. Li vide ridacchiare e sussurrarsi qualcosa l’un l’altro e capì subito di cosa stessero parlando.

«Non fate commenti» intimò loro, una volta che li ebbe raggiunti.

«Ma come, non sei contenta di avere un po’ di tempo per stare con Zoro?» le chiese Yosaku con uno sguardo ammiccante, dandole di gomito.

Dawn cercò di trattenersi dal prenderli a colpi e sospirò. «È il mio vicino di stanza, insieme a voi due cretini, per cui l’ho visto anche fin troppo.»

«Non provare a negarlo» disse Johnny. «Abbiamo visto come lo guardi ogni volta che scende per prendere qualcosa da bere da Alma.»

La ragazza arrossì di rabbia. «Io non lo guardo in nessun modo, chiaro?! Smettetela di ridere!»

«Sei tenera pure quando ti arrabbi!»

L’affermazione di Yosaku fu la goccia che fece traboccare il vaso. Dawn odiava sentirsi trattare come una bambina e nulla le impedì di atterrare il compagno con un calcio ben assestato.

«Prova a dire di nuovo che sono tenera e ti faccio saltare le cervella!»

Johnny accorse subito in aiuto dell’amico. «Avanti, lo sai che Yosaku scherza, non devi essere così macabra. Siamo tuoi compagni, dopotutto.»

Dawn riprese la strada verso Sheltz Town, dando loro le spalle. «Non è una motivazione valida per non farvi fuori.»

 

Quel pomeriggio il porto era stranamente calmo, e il mare liscio come l’olio. Qua e là, qualche vecchio pescatore si dedicava alla propria mansione, gli occhi sognanti fissi sull’oceano.

Zoro l’attendeva sul vecchio peschereccio. L’uomo inspirò appieno l’aria salmastra e guardò ogni singola barca ormeggiata al molo del piccolo porto che, placida, si faceva cullare dalle leggere onde del mare. Sì, pensò, il tempo era dalla loro parte.

«Non vi divertite troppo» si raccomandò Johnny, mentre guardava Dawn raggiungerlo sulla barca.

Zoro ridacchiò, mentre Dawn si voltò e alzò il dito medio verso di loro, senza dire una parola.

Lo spadaccino accese il motore del peschereccio e attese che la ragazza si mettesse al timone per manovrarla. Ormai era abituato a lavorare con Dawn e aveva capito che, se c’era lei sulla nave, ognuno doveva ricoprire esclusivamente i propri ruoli. E lei, cascasse il mondo, doveva stare al timone.

Zoro si affacciò al parapetto, una leggera brezza che gli scompigliava i corti capelli verdi, gli occhi fissi sul porto di Sheltz Town che si faceva sempre più piccolo. Dietro di lui, Dawn teneva decisa il timone di legno grezzo tra le mani, sicura della direzione da prendere. Era rassicurante che almeno uno dei due sapesse dove stavano andando.

«Non c’è proprio verso di toglierti dai piedi, eh?» commentò lui, voltandosi.

Si recò nella cabina e portò sul ponte il necessario per la missione. Sbuffando per la fatica, abbassò gli occhi sullo scatolone, pieno di coltelli e armi da fuoco che, ovviamente, appartenevano tutti alla cacciatrice.

Dawn lo guardò storto. «Guarda che non provo alcun piacere nel lavorare con te. È quell’idiota di Riadh che continua a metterci insieme.»

«Sarà...»

Lo spadaccino lasciò in sospeso la frase mentre, come suo solito, si sdraiava sul ponte con la schiena appoggiata al bordo della barca. «Comunque ho intenzione di catturarlo io, il pirata, quindi puoi anche rilassarti.»

«Scordatelo» s’intromise subito la ragazza. «Il merito andrà a me, stavolta. In tutte le missioni che abbiamo fatto, hai sempre ricevuto tutte le lodi anche quando non le meritavi, dato che sei un pallone gonfiato.»

Lo spadaccino alzò gli occhi al cielo e non ribatté. Il silenzio si fece ben presto padrone del peschereccio, che era l’unico ad interromperlo con il suo rombare e i suoi scoppiettii non troppo rassicuranti.

In un paio d’ore raggiunsero il famoso tratto. Quel giorno non era animato da nessun delfino, ma ancora qualche mese e sarebbero arrivati ad animare l’oceano.

Zoro si alzò e andò a prua, affacciandosi sul mare, lo sguardo fisso sull’orizzonte. Non c’era nulla.

Si schermò gli occhi con una mano per contrastare l’intensa luce del tramonto e guardò di nuovo. No, ecco, c’era qualcosa, stagliato contro l’orizzonte. Pareva il profilo di una barca di piccole dimensioni, una scialuppa, ma era come rivestita da uno strato semitrasparente.

Non può essere.

Doveva trattarsi del riflesso del sole, non c’era altra spiegazione.

«Dov’è il binocolo?» domandò, voltandosi verso Dawn.

«Hai visto qualcosa?» gli chiese lei.

Lui scosse la testa. «Non ne sono sicuro, devo controllare.»

«Il binocolo è nella cabina, attento a non perderti» lo schernì lei, facendolo sbuffare scocciato.

Lo spadaccino tornò dopo un momento con il fantomatico oggetto in mano, si sporse nuovamente a prua e, inforcato il binocolo, guardò dritto di fronte a sé.

Per poco lo strumento non gli cadde fuoribordo. Non era affatto il riflesso del sole.

«Cosa succede?» Dawn doveva aver notato la sua espressione sconcertata.

«C’è una barca di fronte a noi, ma... è dentro ad una bolla.»

Era consapevole dell’assurdità di ciò che aveva appena detto, e s’immaginò Dawn pensare che avesse definitivamente perso il lume della ragione. La ragazzina, nel frattempo, aveva bloccato il timone in quella direzione e si era avvicinata in fretta al compagno.

«Impossibile, da’ qua.»

Gli strappò il binocolo dalle mani e guardò anche lei nella stessa direzione.

«Cosa diavolo è quell’affare?»

Zoro incrociò le braccia e le rivolse uno sguardo di superiorità. «Visto, che ti dicevo?»

Ma la ragazzina non sembrava in vena di discutere. Sbatté il binocolo sul petto di Zoro e ritornò a grandi passi al timone. «Non ha importanza, basta che sia facile da rompere e che non ci dia problemi.»

Man mano che si avvicinavano, il profilo della barca si fece sempre più chiaro, così come la bolla sferica che l’avvolgeva.

«Sicura che sia quella?» chiese Zoro, dubbioso, quando ormai furono abbastanza vicini da riuscire a scorgere una figura ai remi.

Dawn si diede una manata in fronte. «Ci hanno detto che c’è una barca in questo tratto di mare, per caso ne vedi altre, oltre a quella? Idiota!»

Zoro le lanciò un’occhiataccia, poi si affrettò a sguainare le sue tre spade, mentre Dawn sistemava velocemente i coltelli e caricava le due pistole, infilando altre munizioni nelle tasche dei pantaloni.

Il peschereccio ormai era così vicino da attirare l’attenzione dell’uomo, un giovane dalla pelle scura e dalla corporatura robusta che, vista l’espressione distesa e tranquilla, pareva li stesse aspettando. Aveva già messo la mano sull’elsa della spada che portava fieramente a fianco e Zoro lanciò un’occhiata a Dawn per metterla in guardia. Poi, senza temere lo strano strato che ricopriva la nave, saltò sulla scialuppa.

Come per magia, si ritrovò all’interno della bolla senza averla rotta e, neanche il tempo di dire una parola, che si ritrovò minacciato dalla sua lama.

«Si può sapere che vuoi, stronzo?» chiese il ragazzo che, con la mano lasciata libera dalla spada, aveva estratto anche una pistola dalla fodera.

Zoro gli lanciò una breve occhiata. La pelle scura di lui sembrava quasi brillare sotto la luce del sole cocente, i muscoli contratti pronti a scattare in qualsiasi istante.

«Che accoglienza» commentò, ghignando. «Ma dopotutto i pirati non sono famosi per la loro educazione.»

Si mosse all’improvviso e il pirata sparò un colpo, ma la sua traiettoria venne bloccata dai due pugnali di Dawn, che nel frattempo era saltata a sua volta sulla scialuppa, la quale ondeggiò pericolosamente sotto il loro peso, la bolla che seguiva i rollii come se fosse stata parte integrante dell’imbarcazione.

La ragazzina scartò di lato, evitando per un soffio un altro colpo dell’uomo, poi rotolò a terra e gli lanciò dei coltelli, che vennero abilmente parati, mentre la barchetta oscillava come fosse stata in mezzo ad una tempesta.

Il ragazzo aveva riposto in fretta e furia la pistola ed aveva afferrato la sciabola con entrambe le mani per rispondere agli attacchi delle tre spade di Zoro. Mentre si difendeva dai fendenti del cacciatore, il pirata intercettò in un attimo i coltelli di Dawn ed invertì la loro traiettoria con la sciabola.

Dawn era a bocca aperta e Zoro dovette trattenersi per non scoppiare a ridere, vista la teatrale delusione comparsa negli occhi di lei.

«Non hai idea di chi stai sfidando, ragazzina» ghignò lui, che doveva aver notato la stessa cosa.

Dawn serrò i pugni. «Neanche tu, stronzo!»

Si gettò su di lui, che in un lampo estrasse la pistola e fece fuoco su di lei, la quale schivò i proiettili per un soffio. Nello stesso istante, il pirata parò un fendente di Zoro con la sciabola.

Zoro schivò a sua volta un proiettile del pirata e fendette l’aria con le sue spade, riuscendo a colpirgli superficialmente le braccia. Eppure, non era soddisfatto. Non riusciva a far cadere la sua difesa impenetrabile e a danneggiarlo seriamente come avrebbe voluto.

È forte.

«Qual è il tuo nome, pirata?»

Il ragazzo ripose velocemente la pistola ed estrasse la sciabola. Un sorriso di sfida apparve sul suo volto.

«Khalasar D. Thalef» disse fieramente.

«Bene, mi piace sapere chi sto per battere.»

Thalef strinse l’elsa della spada e si avventò contro lo spadaccino, che respinse la sua lama, mentre Dawn lo tempestava di pugnalate alla schiena che, però, non sembravano sortire alcun effetto. Il ragazzo tornò ad attaccare, ancora ed ancora, mentre il cacciatore continuava a parare. Se non altro, si stava facendo molto avventato e Zoro poteva finalmente sfruttarlo a suo favore.

Con un paio di colpi, riuscì a disarmare Thalef della sua sciabola e ad atterrarlo, impedendogli di sferrare colpi con la pistola. Adesso lo sovrastava, minacciandogli il collo con le lame delle sue spade. Ciononostante, gli leggeva negli occhi una sicurezza disarmante, come se fosse stato Zoro quello a terra con una lama puntata alla gola, e non lui.

Prima che riuscisse a realizzarlo, Thalef si gettò su un lato della barca, incurante del taglio che la lama di Zoro gli disegnò sul volto. La barchetta s’inclinò, facendogli perdere l’equilibrio, e il pirata ne approfittò per tirarsi in piedi e spingerlo contro la prua dell’imbarcazione, che gli arrivò dritta nello stomaco.

Zoro urlò di dolore, e per poco la spada che teneva fra i denti non gli cadde in acqua. Voltandosi, vide che Thalef stava affrontando Dawn, che appariva poco più di una nana in confronto a quell’imponente pirata, il cui volto aveva preso a sanguinare copiosamente.

Lei scattò in avanti per colpirlo, ma lui le rifilò un calcio in pieno viso e la fece cadere a terra. Lei sfilò prontamente i suoi coltelli e riuscì a parare appena in tempo la spada di lui, che si avvicinava pericolosamente al suo collo. Zoro era già sul punto di intervenire, ma vide che Dawn se la stava sbrigando da sé. Dopo aver sferrato un calcio dritto nelle parti basse di Thalef, era scattata in piedi, approfittando dell’attimo in cui il pirata aveva allentato la presa su di lei.

«Avanti, Roronoa» disse lei, raggiungendo il compagno con un balzo. «Catturiamo questo stronzo.»

Quando entrambi gli furono addosso, Zoro già si immaginava il termine della missione. Sarebbero tornati vittoriosi a Sheltz Town, avrebbero riscosso la taglia del pirata e quella sera avrebbero festeggiato ubriacandosi da Alma.

Poi Thalef colpì con la sua testa quella di Dawn, che cadde lunga distesa accanto a lui, e quel gesto lo riportò bruscamente alla realtà. Una realtà in cui le cose si stavano mettendo peggio del previsto.

«Tutto bene?» le domandò Zoro, abbassando un attimo lo sguardo prima di tornare ad attaccare il pirata.

«Sì!» Lei si asciugò un rivoletto di sangue dalla tempia con il dorso della mano e tornò all’attacco.

Thalef, nel frattempo, si era spostato indietro sulla scialuppa, allontanandosi dai due cacciatori per guadagnare spazio. Zoro sentiva lo sguardo di Dawn fisso su di sé, come quando la ragazza aveva in mente una delle sue idee folli, il che non significava niente di buono.

«Che hai intenzione di fare?»

«Non ti incazzare, per favore» fece Dawn per tutta risposta.

Indietreggiò anche lei sulla scialuppa, poi corse verso di lui e, una volta salita agilmente sulle sue spalle, si diede lo slancio coi piedi e saltò. La barchetta oscillò come una foglia al vento sotto di loro e i due pirati mulinarono le braccia, alla ricerca di un precario equilibrio.

Dawn voltò dritta contro Thalef, che la scaraventò in acqua con un pugno, oltre la bolla, ma lei riuscì a sparare una raffica di colpi prima che lui la colpisse.

Zoro sorrise tra sé e sé. Quei colpi a distanza ravvicinata erano andati a segno e, pur non avendolo colpito in alcun punto vitale, il pirata aveva le braccia coperte di sangue. Non sarebbe più riuscito a difendersi.

Zoro ne approfittò per scagliarsi contro di lui ma, contro ogni previsione, Thalef bloccò il suo affondo con la sciabola, come se non fosse stato appena impallinato. Il fuoco si agitava nel suo sguardo. Sembrava che quei colpi l’avessero acceso, invece di averlo ferito.

In mezzo al clangore delle spade che si infrangevano l’una contro l’altra, Zoro udì indistintamente uno sciabordio d’acqua e poi vide la chioma bruna di Dawn spuntare in superficie, mentre si issava a bordo.

«Dawn, attenta!»

Il suo urlo non bastò ad avvertirla. Thalef si era lasciato ferire il braccio da lui per poter estrarre la pistola. Tre proiettili colpirono di striscio il braccio di Dawn, che urlò di dolore.

«Fottuto stronzo!»

Zoro si voltò verso la compagna e, approfittando della sua distrazione, Thalef lo colpì al petto con la sciabola. Zoro trattenne un gemito di dolore. Non si guardò neanche la ferita, ma sapeva che l’aveva trafitto in profondità.

Dawn, tornata a fatica sulla scialuppa, alzò la pistola con il braccio sano e sparò a raffica. Ma, proprio come all’inizio, Thalef riuscì a parare i suoi colpi e al contempo a difendersi dai fendenti delle tre spade di Zoro, per nulla rallentato dalle ferite procurategli prima da Dawn. Sembrava non averne mai abbastanza.

Penetrando la sua difesa, Thalef lo colpì di nuovo con la sciabola nello stesso punto. Zoro gridò, sputando sangue, e si sentì spingere a terra dal pirata senza che lui riuscisse ad opporsi.

Zoro si tastò la ferita e la sentì viscida di sangue, ma strinse i denti e cercò di rimettersi in piedi, la barca che ondeggiava sotto di lui. Non poteva lasciare da sola la mocciosa.

Thalef le si stava avvicinando con fare minaccioso e Dawn fece per sparare un altro colpo, ma il pirata fu più veloce. Un proiettile le colpì il braccio già ferito e, urlando di dolore, la ragazzina fu costretta ad abbandonare la pistola. Un altro colpo e si trovò inginocchiata a terra.

Il cuore di Zoro gli rimbombava nelle orecchie, gli occhi fissi su Dawn, che si stringeva il braccio ferito per tentare di bloccare l’emorragia, e non perdeva di vista la sciabola del ragazzo. Forse pensava di schivarla rotolando, ma non ce l’avrebbe mai fatta.

«È arrivata la tua ora, bastarda!»

La sciabola di Thalef calò su di lei e Zoro non ci pensò due volte. Semplicemente, agì.

Fu un attimo.

Qualcosa si frappose tra Dawn e la lama del pirata. Un corpo. Il suo.

Il silenziò piombò nella scialuppa, il tempo sembrò fermarsi per un istante.

Zoro percepì la lama trapassarlo da parte a parte, il dolore che lo raggiungeva in ogni parte del corpo. Abbassò gli occhi sulla punta della sciabola lurida di sangue, il suo sangue, e pensò di aver fatto la cosa giusta. Fu l’ultima cosa a cui pensò.

Da qualche parte, molto lontano, la voce di Dawn. «Zoro...»

Chiuse gli occhi e cadde a peso morto sul pavimento ligneo della scialuppa, il sangue che si allargava in una pozza sotto di lui.

«ZORO

Da lì in poi, i ricordi si fecero parecchio confusi.

Udì, sempre da molto lontano, rumore di spari, grida di terrore, percepì qualcuno tastargli il petto, assicurarsi che respirasse ancora, ed infine si sentì sollevare a fatica. Non riusciva ad aprire gli occhi, il dolore lo stordiva, il mondo scorreva troppo veloce intorno a lui. Poi qualcosa lo riportò alla realtà dal torpore in cui era caduto.

L’inconfondibile e scoppiettante rumore del motore del peschereccio sgangherato.

Aprì lentamente gli occhi. Il sole, malgrado stesse ormai calando sul mare, era fin troppo luminoso per lui e fu costretto a richiuderli di scatto.

Si rese conto di essere seduto, la schiena contro il parapetto della barca. Quando aprì di nuovo gli occhi e riuscì faticosamente a mettere a fuoco, vide che Dawn era inginocchiata vicino a lui, lo sguardo pieno di terrore. Non ricordava d’averla mai vista così.

«Sei proprio un idiota» gli disse, guardandolo storto.

Ora sì che ti riconosco, ragazzina.

«Perché l’hai fatto?» gli chiese.

Zoro si accorse che la voce di lei voleva essere forte e decisa come suo solito, ma non riusciva a nascondere il terrore che doveva stare provando. Le mani le tremavano febbrilmente, mentre si strappava un lembo della sua canottiera, rimanendo con la pancia scoperta. Fasciò la sua ferita e quella del suo compagno alla bell’e meglio, stringendola per non far uscire ulteriore sangue.

«Ho dovuto» riuscì a rispondere lui, con un filo di voce.

In un altro momento avrebbe rifiutato le cure mediche improvvisate della ragazza, anche perché le fasciature non facevano altro che rallentarlo, ma non aveva la forza di controbattere.

«Cerchi sempre di fare l’eroe» lo rimproverò lei, mentre tentava di tamponargli la ferita.

Zoro trattenne una smorfia di dolore. «Il pirata dov’è?»

Lei non rispose subito.

«Ci sta inseguendo» disse infine, incrociando il suo sguardo, in cui lui scorse un’indicibile paura.

Zoro sospirò, lo sguardo fisso sul ponte. Ora sì che erano nella merda.

Dawn l’aveva lasciato un momento per affacciarsi fuoribordo e Zoro, malgrado la vista appannata, la vide estrarre le pistole. Thalef doveva essere a tiro. Abbassandosi per essere riparata da peschereccio, sparò tutti i proiettili che le rimanevano. La risposta di lui non tardò ad arrivare, ma fortunatamente non colpì nessuno dei due.

Dawn ritornò in fretta e furia da Zoro. Trovandolo sempre sveglio, un sorriso le sfuggì dalle labbra.

«Se non altro, ogni tanto la tua testardaggine serve a qualcosa» borbottò, il sollievo che trapelava dalla sua voce.

Zoro voltò a fatica la testa verso la cabina.

«C’è il pilota automatico?» domandò con voce flebile.

Sentiva il sapore metallico del sangue sulla lingua e si asciugò un rivolo che gli stava colando lungo il labbro, maledicendo quello stronzo di un pirata e il punto in cui l’aveva colpito.

«Sì» rispose Dawn, per poi trarre un lungo sospiro. «Ma il peschereccio non viaggia più veloce di così.»

Non ci fu bisogno di aggiungere che, se avessero continuato a quell’andatura, il pirata li avrebbe ben presto raggiunti. Lo sguardo di Dawn correva da Zoro al punto in cui doveva trovarsi Thalef, e il ragazzo le lesse il panico nello sguardo. Era stremata dalla fatica, e non aveva la più pallida idea di cosa fare.

«Non ce la farai da sola. Sei ferita» sputò fuori lui insieme al sangue.

«Grazie per l’incoraggiamento, Roronoa.»

Sapeva che a Dawn faceva rabbia ammettere di non essere abbastanza forte, perché capiva quella sensazione, e sapeva anche che non avrebbe mai acconsentito, ma lui tentò comunque.

«Chiama Riadh.»

Due semplici parole che corrispondevano ad un gesto altrettanto semplice, ma non per Dawn. Sapeva che, anche in quella situazione di disperazione, quella ragazzina cocciuta non aveva perso il suo orgoglio e non avrebbe mai chiamato il suo capo.

Dawn scosse la testa con decisione. «Assolutamente no.»

«Dawn, fa’ come ti dico!» sbuffò Zoro, trattenendo una smorfia. «Pensi che mi faccia piacere ricorrere al suo aiuto? Ma è tutto quel che possiamo fare, adesso.»

La cacciatrice si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro per il peschereccio, bloccandosi di tanto in tanto per controllare se Thalef li stesse raggiungendo. Era visibilmente nervosa. All’improvviso si arrestò in mezzo al ponte, come avesse avuto un’illuminazione.

«Johnny e Yosaku!»

La ragazzina corse in cabina a prendere il lumacofono e Zoro ne approfittò per alzarsi. Qualcuno doveva rimanere di guardia. Cercò di rimettersi in piedi, appoggiandosi al parapetto, ma cazzo, era più difficile del previsto.

Appena Dawn fu di ritorno ed ebbe intercettato le sue intenzioni, accorse da lui. «Zoro, rimettiti giù!»

Zoro digrignò i denti. «Sto bene, è solo una ferita, niente di…»

Dawn lo prese per le spalle e lo mise a sedere, stranamente senza discutere, poi compose il numero sul lumacofono e attese, tamburellando con le dita sul bordo dell’imbarcazione.

Non riusciva a non guardare Zoro, e lui se n’era accorto. Continuava ad intercettare il suo sguardo ma, ogni volta che i loro occhi si incrociavano, non riusciva a mantenere il contatto visivo per più di una manciata di secondi. Zoro sapeva che si sentiva in colpa per aver lasciato che lui si facesse trafiggere al posto suo.

«Dawn, perché ci hai chiamati?»

La voce di Johnny risuonò chiara ad entrambi, tanto era squillante.

Zoro udì Dawn tirare un sospiro di sollievo. «Ragazzi, dovete venire subito alla Rotta dei Delfini.»

«Non adesso, Dawn. Siamo a largo di April Island e stiamo tornando a Sheltz Town.»

Zoro fece mente locale su dove fosse April Island. Non molto lontano da lì ma, conoscendo la pigrizia dei due pirati, in un momento normale non li avrebbero mai raggiunti.

«Forse non mi sono spiegata. Zoro è...» La sentì esitare. «è stato ferito.»

«COSA?!» La voce di Johnny rimbombò nell’apparecchio. «Come sta? È in grado di combattere?»

Le domande arrivavano una dopo l’altra in una cacofonia di voci spaventate.

«Vi prego... venite più in fretta che potete.»

Ci fu un attimo di silenzio. Zoro guardò Dawn, continuando a stringersi la ferita con la mano, la fasciatura improvvisata zuppa di sangue. La ragazzina evitava il suo sguardo. Si doveva essere accorta di aver pronunciato quella frase con un tono alterato che mal si addiceva alla sua fama di orgogliosa killer senza cuore.

«Arriviamo subito.»

Dawn chiuse la comunicazione e corse a riporre il lumacofono nella cabina.

«Vado a cercare delle bende!» annunciò poi, scomparendo all’interno dell’abitacolo.

Zoro sbuffò. Dannata ragazzina. Faceva tanto la gradassa, ma continuava a compiere errori da principiante. Ne aveva di cose da imparare. Si era già dimenticata di Thalef?

Si tirò su con un gemito, individuò le sue tre spade a prua e zoppicò fino a lì per prenderle.

«Non sei ancora morto, vedo.»

Zoro si voltò, in posizione d’attacco, cercando d’ignorare il dolore martellante che gli si propagava in ogni fibra del corpo.

Thalef incombeva su di lui, la sciabola in pugno, un sorriso omicida sulle labbra.

S’incontrarono a metà del ponte e lì incrociarono le lame. Malgrado le ferite, il fiato mozzo e il sangue che cadeva a piccole gocce sulle assi di legno, Zoro non arretrò d’un passo. La sua fine non sarebbe stata di certo lì. Aveva un bel po’ di cose da fare, prima di crepare.

«Prova di nuovo a toccarlo e giuro che ti faccio saltare quella cazzo di testa!»

Dawn era riemersa dal ponte, con delle garze fra le braccia. Le buttò a terra, caricò con le ultime munizioni entrambe le sue pistole e si avventò su di lui.

Thalef si liberò di Zoro con un poderoso calcio in mezzo al petto, infierendo sulle sue ferite e, dopo averlo lasciato esanime sul ponte, si voltò per dedicarsi a Dawn.

Zoro boccheggiò. Gli mancava l'aria. Voltandosi, vide confusamente Dawn saltare addosso a Thalef, facendolo cadere sulla schiena, puntargli una pistola addosso e premere il grilletto. Lui non si fece problemi a perdere quasi una mano nel tentativo di cambiare la traiettoria della sua canna, ma quella mossa destabilizzò la ragazzina, facendola tentennare per un attimo.

Bastò un secondo ed era stata disarmata ed atterrata a sua volta.

Zoro scosse appena la testa, mentre si rialzava in piedi a fatica. Quello era uno dei tanti problemi di Dawn. Dava sempre per scontato di essere la più forte, e ci rimaneva di sasso ogni volta che qualcuno le dimostrava che non era così. Lei e quella sua dannata spocchia l’avrebbero fatta ammazzare, un giorno o l’altro.

«Pensavo fossi più sveglia, piccola cacciatrice. Dovresti aver capito da un pezzo che non sono come i vostri piratucoli del Mare Orientale» rise Thalef, avvicinandosi al suo volto.

Lei si accasciò a terra, senza fiato, e lui prese a tempestarle di pugni il viso e il petto. Zoro non riuscì a sopportare la visione della propria compagna ridotta a quel modo un secondo di più. Recuperò le spade da terra e, ignorando la testa che gli doleva e la terra che ondeggiava sotto i suoi piedi, si avventò sul pirata.

«Chi cazzo sei?» tuonò, liberando Dawn dalla sua furia.

Durante il combattimento era stato ferito più e più volte, tra i suoi fendenti, le pugnalate di Dawn e le sue pallottole, ma combatteva ancora come se avesse appena iniziato, mentre loro arrancavano come privati delle loro forze. Non era come i pirati che aveva incontrato fino a quel momento, pensò. C’era qualcosa di diverso in lui.

«Te l’ho già detto» ghignò lui. «Il mio nome è Khalasar D. Thalef.»

Zoro si lanciò su di lui, ignorando le fitte al petto. «E perché cazzo sei qui? Chi ti manda?»

Sul volto di Thalef comparve un sorrisetto. «Il Babbo.»

Si avvicinò a lui e Zoro avvertì un giramento di testa, le ferite che gli bruciavano, il fiato che iniziava a mancargli. Dawn era ad un passo da loro, a terra, il volto tumefatto e le mani strette sul petto. Thalef doveva averle rotto qualche costola.

Con un guizzo, il pirata riuscì a disarmare Zoro della spada che teneva fra i denti e la usò per scagliarlo di nuovo sul ponte. Mentre lo prendeva a calci, lo spadaccino incrociò lo sguardo di Dawn, immobile accanto a lui, e poi le indicò con gli occhi le pistole che Thalef le aveva tolto, che giacevano a terra, poco lontano da lui.

Lei non se lo fece ripetere due volte. Scattò, cadde malamente sul ponte, riuscì ad afferrare le pistole ma, prima che riuscisse a sparare un solo colpo, ci furono degli spari in lontananza.

Thalef crollò in ginocchio davanti a Zoro, con un buco nella pancia.

Dopo un attimo di stordimento, anche Dawn fece fuoco sul pirata, che cadde lungo disteso sul ponte, in un lago di sangue.

Zoro si voltò e vide la barca di Johnny e Yosaku, il fumo che usciva dalle canne dei loro fucili. Appena furono più vicini, i due cacciatori di taglie abbordarono il peschereccio e saltarono sul ponte. Il pirata, che si stava già faticosamente alzando in piedi, sotto gli occhi esterrefatti di Zoro, venne immobilizzato. Nonostante continuasse a opporre resistenza, Johnny e Yosaku riuscirono ad ammanettarlo e a legarlo con delle corde.

Zoro e Dawn erano immobili a terra, con il fiato grosso.

Mentre Yosaku finiva di occuparsi del criminale, Zoro vide Johnny avvicinarsi a Dawn. La ragazzina era in stato di shock. Tremava come una foglia, gli occhi enormi di paura.

«Dawn, tutto bene?» le chiese. Poi si accorse del braccio. «Sei ferita!»

«Sto bene» tagliò corto lei, indicandolo con un cenno del capo. «Occupatevi di Zoro. Dobbiamo arrivare il prima possibile a Sheltz Town, altrimenti…» La sua voce tremò. «…morirà. Io devo... devo parlare con Riadh.»

Sotto gli occhi dei tre cacciatori, la ragazzina si afflosciò priva di sensi sul ponte del peschereccio.
 

***

 

Era al capezzale di Zoro, che giaceva immobile e privo di sensi, mentre Alma e il medico della cittadina tentavano di salvargli la vita, quando Dawn fece il suo ingresso nella stanza.

Riadh si voltò subito verso di lei e sospirò di sollievo, vedendo che la ragazza, al di là del braccio fasciato e il volto ammaccato, pareva stare bene. Il suo sguardo, però, era assente, fisso sulla sedia su cui erano ammucchiati le fasciature e gli utensili del dottore, tutti imbrattati del sangue dello spadaccino.

Stretti l’uno all’altro, Johnny e Yosaku si mantenevano lontani dal letto di Zoro, ma tenevano gli occhi fissi su di lui, e non sembravano neanche essersi accorti dell’improvvisa comparsa della ragazzina.

Riadh le andò incontro per abbracciarla. «Stai bene?»

Dawn non ricambiò l’abbraccio né considerò la domanda, ma lo scansò con freddezza e si diresse al capezzale del compagno ferito.

«Cosa sta succedendo?» chiese ad Alma.

Riadh si accorse che la voce le tremava.

«Quando Johnny e Yosaku vi hanno portano qui, tu eri sempre svenuta. Abbiamo dato la precedenza a Zoro, visto che nel tragitto aveva perso molto sangue, e poi io sono venuta da te» spiegò in fretta la locandiera, mentre passava le bende al dottore.

«Il pirata che fine ha fatto?»

«Lo abbiamo portato alla Marina» s’intromise Riadh, ancora stupito dalla reazione di Dawn. «Se si fosse risvegliato, non avremmo saputo come trattenerlo. Cosa vi è successo?»

Dawn lo ignorò nuovamente. Si inginocchiò davanti al letto di Zoro e gli strinse la mano. Il ragazzo non mosse un muscolo.

«Cos’è successo?» insistette Riadh.

Dawn fece di nuovo finta di non averlo sentito. Se ne stava immobile, china su Zoro, e aveva cominciato a tremare impercettibilmente, come se il dolore, o la rabbia, stessero covando sotto la superficie e fossero sul punto di traboccare all’esterno.

Yosaku parve accorgersi della tensione che andava creandosi e si affrettò a rispondere al posto suo. «Quel dannato pirata si è rivelato più forte del previsto, Riadh. Zoro è stato ferito, la situazione è degenerata, e Dawn ci ha chiamati.»

«Bene» disse lui, degnandolo a malapena di uno sguardo. «Ma volevo sentire la versione di Dawn.»

Le si fece più vicino, ma la ragazza continuò ad ignorarlo con ostinatezza. Non si girava nemmeno a guardarlo.

Alma si alzò e si diresse verso Riadh, stringendogli le braccia nel tentativo di calmarlo. Anche lei doveva aver intuito la tensione che stava crescendo tra i due.

«Per favore, Riadh. È ancora scossa dal combattimento, lascia che si riprenda.»

«Non metterti in mezzo, Alma» la interruppe lui, subito pentendosi di quel tono perentorio. «Non è lei quella stesa sul letto in fin di vita, quindi penso che possa rispondere ad una domanda.»

Il silenzio calò nella stanza.

Gli occhi di tutti i presenti si spostavano da Riadh a Dawn, sempre in ginocchio vicino al compagno.

Nessuno dei due voleva aprire bocca, e l’unico suono che spezzava quell’apparente quiete erano i flebili respiri di Zoro.

Riadh scansò Alma e si avvicinò. «Dawn, guardami.»

Lei non disse nulla, continuando a dargli le spalle.

«Guardami, ho detto.»

Solo in quel momento, finalmente, Dawn si alzò e si voltò verso di lui.

Aveva gli occhi pieni di lacrime, ma il resto del volto era rigido e freddo, senza traccia d’emozione.

Gli lanciò uno sguardo traboccante d’odio, poi attraversò la stanza a passo di carica e aprì la porta come se avesse voluto scardinarla.

«Vuoi parlare?» ringhiò. «Esci.»

Riadh si affrettò a seguirla fuori dalla stanza, lasciando i loro compagni stupefatti e un poco intimoriti.

Dawn si diresse a pianterreno, i passi pesanti che rimbombavano sulle scale, e Riadh la seguì senza dire una parola. Era strano vedere il Food Foo, di solito allegro e traboccante di vita, così vuoto, silenzioso e male illuminato. Le candele si stavano già consumando, gettando nella penombra l’interno della locanda.

Quando furono giunti nella sala, tra le sedie e i tavoli vuoti, si fermarono. La cacciatrice incrociò le braccia sul petto e si voltò a guardarlo.

E Riadh realizzò che lei non l’aveva mai guardato così. Dentro a quegli occhi c’era una tempesta. Vi si agitavano confusamente rabbia, paura, delusione, dolore. Non c’era traccia dell’orgoglio e dell’affetto con cui lei era solita guardarlo.

Quello sguardo disperato gli scavò nel profondo, facendolo tentennare per un attimo e, prima che Riadh avesse il tempo di riprendersi, Dawn partì all’attacco.

«Vuoi sapere cosa è successo? Siamo andati a morire come due criminali al patibolo, ecco cos'è successo!»

Riadh trasse un lungo sospiro. «Sapevi fin dall’inizio quali fossero i rischi di questo lavoro ed hai accettato ugualmente di far parte della Gilda» disse poi, gli occhi fissi nei suoi, cercando di non lasciarsi scalfire dal suo dolore.

Dawn non disse nulla. Tremava dalla rabbia, gli occhi bassi e i pugni chiusi.

«Noi cacciatori di taglie abbiamo a che fare con la morte ogni dannatissimo giorno» proseguì Riadh imperterrito, «quindi non metterti a piagnucolare solo perché hai incontrato un pirata più forte di te.»

Dawn alzò di scatto la testa, come fosse stata schiaffeggiata, e si avvicinò a lui con fare minaccioso. «Qui non si tratta di me!» urlò, indicando con il braccio sano il piano di sopra. «Si tratta di Zoro, che è ridotto così per colpa tua! Quel pirata non era solo più forte di noi due, era più forte di qualsiasi altro pirata nel fottuto Mare Orientale!»

Riadh la fissò. «Stai dicendo che è colpa mia?»

Gli occhi di Dawn si strinsero. «Esatto.»

Riadh non credeva alle proprie orecchie. «È colpa mia se Zoro è quasi morto?»

La ragazza rise con amarezza. «L’hai capito, finalmente.»

Riadh si passò una mano sul volto, incredulo. «No» sussurrò, più a se stesso che a Dawn.

Lui e Zoro erano fratelli. Non c’era niente che non avrebbero fatto l’uno per l’altro, dopo tutto quello che era successo loro ai tempi del Paradiso. Lui aveva salvato Zoro, tanto tempo addietro, accogliendolo nella Gilda, permettendogli di seguire il suo sogno. Non l’avrebbe mai messo in pericolo. Mai.

Ricambiando lo sguardo di Dawn e la consapevolezza che vi era dietro, avvertì una strana sensazione alla bocca dello stomaco. D’un tratto non aveva più voglia di discutere con quella mocciosa.

«Quello che stai dicendo non ha senso, Dawn. Tagliamola qui.»

La liquidò così, dirigendosi verso le scale, con l’intenzione di tornare dagli altri e di non pensare più all’eventualità che lui avesse messo in pericolo la sua famiglia.

Dawn, però, non doveva essere dello stesso avviso. «Ah no, Riadh, non ho ancora finito.»

Riadh si sentì afferrare e strattonare per un braccio, e la ragazzina non lo mollò finché non fu tornato dov’era prima.

«Lasciami» le ordinò, in tono d’avvertimento.

«E invece no» ribatté lei con stizza. «Perché se sono io, a rimetterci durante una missione, tanto meglio, ma se è uno dei miei compagni non la passi liscia. Zoro ed io non sapevamo a cosa saremmo andati incontro.»

Quelle parole furono come uno schiaffo sul volto di Riadh. «E cos’avrei potuto fare io, Dawn?»

Non era con loro. Non era stato messo in guardia da Morgan. Non era stato avvertito dai suoi uomini.

«AVRESTI DOVUTO DIRCELO!» urlò lei. «Invece di riferirci che la Marina aveva avvistato un pirata qualsiasi nella fottuta Rotta dei Delfini. Grazie al cazzo, Riadh!»

«IO NON LO SAPEVO!»

Il silenziò piombò nella locanda. Dawn lo scrutò, gli occhi sgranati per la paura, ed indietreggiò di qualche passo. Sebbene lavorasse da poco nella Gilda, lo doveva sapere anche lei. Doveva sapere che lui non perdeva mai la calma. E non alzava mai la voce.

«Avresti dovuto saperlo» disse, dopo un momento, con voce bassa e tremante. «Sei il nostro capo, no? Dovrebbe essere il tuo lavoro. Non siamo degli schiavi pronti a sacrificarsi per te e per i tuoi soldi.»

Riadh alzò gli occhi, schiaffeggiato ancora una volta. «Pensi che non m’importi di voi? Come credi che abbia reagito quando Johnny e Yosaku sono tornati, uno che reggeva Zoro in fin di vita e l’altro te svenuta?»

«Non lo so» ammise Dawn, e per un attimo allentò le sue difese, e Riadh la vide per com’era davvero, nient’altro che una ragazzina spaventata che in poche ore aveva rischiato di perdere tutto quello che aveva costruito. Per colpa sua. «E non mi interessa» concluse, guardandolo con sfida, eretto di nuovo il suo muro.

Si allontanò da lui, per poi fermarsi davanti ad uno dei tavoli di legno della locanda. Si sfilò i guanti di pelle, che le erano rimasti dal combattimento, e ve li poggiò sopra.

«Che stai facendo?» chiese Riadh, anche se lo sapeva benissimo.

Dawn lo guardò. I suoi muri tremarono. «Nella mia vita ho già perso troppe persone a cui tenevo, Riadh. Non voglio più sentirmi in quel modo.»

Sfilò le sue due pistole dalla fodera e posò anche quelle sul tavolo.

Riadh sapeva cosa stava per fare, ma non la fermò.

Dawn si avviò all’uscita della locanda ed aprì la porta, facendo penetrare un refolo all’interno della sala che spense le poche candele rimaste accese.

«Perché non mi hai chiamato?» le chiese lui.

Lei si girò a guardarlo un’ultima volta. «Perché non volevo deluderti.»

Poi uscì e chiuse la porta.



NOTA: Gli OC protagonisti della storia saranno Riadh, Alma ed Aibell, che compare nel prossimo capitolo. Dawn, che serviva per introdurre la vicenda e la cattura di Thalef, rimarrà sullo sfondo (ma ci sarà, la amo troppo) perché non mi appartiene. È un personaggio creato dalla mia migliore amica, con cui ho ideato l’ambientazione di questa fanfiction e della sua (ci vogliono addirittura due cervelli per elaborare un’ambientazione così scialba e perlopiù in un universo già esistente, chiederete voi? Ebbene, se ve lo state chiedendo, avete ragione).

Non so cosa io stia facendo. Non lo so davvero. Probabilmente una cazzata. Però la faccio comunque.
Questa storia giace sul mio pc da qualcosa come sei anni. In questo momento ho quattro scadenze a fine Aprile e dovrei scrivere di TUTTO fuorché di fanfiction, ma l’ispirazione mi ha preso (stile “HO VISTO LA LUCE!” di Jake Blues) e siccome accade molto, molto di rado, l’ho sfruttata.
Non so se questa fanfiction attirerà la vostra attenzione, considerando quanto sia improbabile. È ambientata nella prima isola su cui Rufy capita (penso di averla scelta per essere un po’ “libera” con le ambientazioni, ma dico penso perché, in tutta onestà, non mi ricordo) ed è problematica sotto diversi punti di vista (che vi sciorinerò strada facendo). Allo stesso tempo, mi piaceva l’idea di parlare di coloro che nell’universo di Oda sono un po’ ignorati: i “normali”, i cacciatori di taglie, i brutti ceffi™, nonché del passato di Zoro come cacciatore di taglie e di un cattivo che secondo me aveva discrete potenzialità ma che è stato fatto fuori un po’ troppo presto da Rufy. Spero davvero che vogliate dare una chance a questa storia :*


Vi dico che non so cosa io stia facendo con cognizione di causa: avevo smesso di leggere One Piece dopo la mazzata morte di Ace + flashback del suo passato, portando amorevolmente il lutto per tutto questo tempo. Ho ricominciato a leggere il manga solo di recente, per poi bloccarmi di nuovo a causa di vari impegni™. Tutto questo preambolo per farvi capire la mia follia, il mio amore per Ace e il fatto che io sia molto, molto arrugginita. E tuttora affezionata a One Piece. Quindi, insomma, l’OOC è dietro l’angolo e sono pronta ad aggiungerlo nelle note, anche se farò di tutto (DI TUTTO!) per scongiurarlo.

Un bacio,


Cassidy.

 
  
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