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Autore: Martin Eden    09/04/2021    3 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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Aragorn

 

Non sapevo cosa fare.

Mi ero avvicinato subito, attirato dai suoi lamenti. La notte era ancora alta, l’alba lontana: non sapevo come comportarmi, se c’era altro che potessi fare.

Lo vedevo stare male, una sofferenza terribile che non riuscivo ad alleviare. Probabilmente non ero la persona più adatta a condividere quel momento con lui. Ovviamente no.

Forse le sue erano allucinazioni date dal veleno. Chiamava suo padre. Qualcuno che forse avrebbe dovuto essere lì, al suo fianco. Gli avrei lasciato volentieri il posto.

Fortunatamente conoscevo l’antica lingua elfica e qualcosa di Sindarin, ma ora non mi serviva a molto. Anche se cercavo di calmarlo, di sussurrargli parole gentili, quelle parevano cadere nel vuoto.

- Sta’ buono...- tentai di nuovo, poggiandogli delicatamente una mano sul petto ansimante, per confortarlo - Ssssh….-

C’erano troppi orchi in giro, troppe creature assetate di sangue. Eravamo costretti a stare nel buio, nel silenzio e all’erta. Qualsiasi bisbiglio, borbottìo o lamento avrebbe potuto esserci fatale. Eravamo soli, tristemente soli, e non si poteva immaginare un’anima amica per miglia e miglia.

Oppure poteva esserci qualche mio uomo, qualche altro Ramingo del Nord, uno dei Dùnedain. Avrebbe potuto prestarci soccorso, se fosse stato in grado di trovarci.

L’elfo smise lentamente di gemere e io tirai un sospiro di sollievo. Ero stanchissimo, e la posizione raccolta in quel rudere cominciava a starmi stretta; rischiavo di addormentarmi ad ogni secondo, se non avessi fatto qualcosa per distendere almeno le gambe.

Preso dalla disperazione, mi trascinai all’aperto e mi alzai. Sentii le ossa scrocchiare, fin troppo forte. Posi la mano sull'elsa della mia spada e mi accovacciai di nuovo, lontano dai raggi di una luna malata e sopita tra le nubi.

Speravo che il sole sarebbe sorto presto, domani.

Pensai. La situazione stava peggiorando a vista d’occhio e non potevo permettermi di aspettare oltre: avrei rischiato di trasportare solo un corpo morto. Avevo bisogno di un rifugio più sicuro, di rifornimenti curativi più efficaci: solo così avremmo potuto uscirne.

Seppur a malincuore, trassi il piccolo corno d’avorio che tenevo appeso alla mia spalla. Il suono di quello strumento poteva essere udito a miglia di distanza e significava solo una cosa, in tutte le lingue di Arda: aiuto.

Non avevo altra scelta. L’unica era sperare che i miei alleati riconoscessero quel suono, mentre per i nemici si confondesse con gli altri ululati della notte, anche se nutrivo scarse speranze.

Ero agguerrito e in caso di scontro ero deciso a vendere cara la pelle; in cuor mio speravo non ce ne fosse bisogno. 

Suonai il corno. Un fiato poderoso, che si ripercosse per tutta la valle. Me ne pentii quasi all’istante. Sgattaiolai di nuovo nel mio rifugio, accanto all’elfo, che non si era svegliato: trassi la spada a attesi.

Trascorsero lunghi momenti di assoluto silenzio. Non una risposta a quel corno, non un rumore fuori posto: avrei potuto tranquillamente dimenticare di aver fatto quel tentativo.
Passò un'ora, forse due. Poi, d’un tratto, mi parve di udire un debole scalpiccio di zoccoli di cavalli. Notai che si faceva sempre più chiaro man mano: qualcosa si stava avvicinando.

Alzai la spada contro un nemico ancora invisibile, ma ormai tangibile, poiché lo sentivo a poche braccia da noi.

Non lo vedevo, ma indovinai dai fiochi rumori che doveva essersi fermato nei nostri pressi.

Amico o nemico? Poteva aver visto qualcosa, oppure avvertito i profumi delle erbe che avevo cotto, o aveva forse intravisto l’elfo disteso e avvolto dalla notte?

Un leggero tonfo, e mi immaginai tutt’altro scenario. Sempre accucciato lì, pronto a scattare, dedussi che il cavallo non doveva esser venuto solo. Ascoltai.

Avvertivo la presenza di qualcuno, vicinissimo. Così vicino che avrebbe potuto essere l’ultima cosa che vedevo su quella terra:

- Chi va là?!- ringhiai, saltando fuori da quel nascondiglio con l’arma pronta ad attaccare.

Avevo il dovere e la responsabilità di proteggermi e proteggere quella vita inerme che avevo trovato sulla mia strada, e che volente o nolente ora giaceva tra le mie mani.

Alzai la spada contro un’ombra velata da un mantello. Dovevo avere un aspetto spaventoso, perché la vidi sussultare, prima di rivolgermi i palmi in segno di resa.

Il suo respiro era roco e profondo, e la sua voce ancora di più:

- Vengo in pace.- disse, cercando di apparire innocuo.

A quel punto, abbassai immediatamente l’arma. Non mi pareva vero, eppure la realtà si stagliava davanti ai miei occhi contro il cielo scuro. Un incredibile colpo di fortuna.

Conoscevo quella voce e quell’uomo, molto più di quanto potessi sperare.

- Bjorn!- esclamai, palesando la mia identità.

Bjorn era uno dei miei migliori luogotenenti, nonché uno dei migliori amici mi abbia mai concesso nostra madre Elbereth. Un guerriero onesto e leale, sul quale avevo sempre potuto contare, fin da quando ci eravamo riconosciuti contro una stessa ombra malvagia. Uno di fianco all’altro l’avevamo combattuta e continuavamo a combatterla, sostenendoci e aiutandoci nel momento del bisogno.

Uno di quei momenti lo stavamo vivendo proprio allora.

Bjorn mi corse incontro e in un attimo ebbi le sue braccia forti intorno alle mie spalle, in segno di conforto: ricambiai con sincero affetto, sollevato dall’averlo con me in un momento così difficile.

Lo scostai quel tanto che bastava per guardarlo in viso; snocciolai la mia storia in pochi minuti, cercando di non trasmettergli eccessivamente la mia preoccupazione. Ma Bjorn, come al solito, mi capì al volo.

- Dov’è?- mi chiese con gravità.

Lo condussi dove tenevo l’elfo. Appena lo vide, il suo viso si oscurò e la bocca prese una strana smorfia. Senza dire niente, appoggiò due dita sul suo collo e stette in silenzio ad ascoltare.

- Dobbiamo portarlo subito al nostro villaggio, al sicuro.- sentenziò poi, in modo risoluto – Prendi il mio cavallo e parti subito, Aragorn. E’ la soluzione migliore per entrambi voi.-

Non tentai nemmeno di contrariarlo. Sapevo meglio di lui di che cosa poteva aver bisogno l’elfo, e tutto quello che serviva non l’avevo con me.

Annuii in silenzio e mi diressi verso il destriero, mentre Bjorn spostava delicatamente l’elfo dalla nostra improvvisata tana e lo alzava da terra. Si sorprese di quanto fosse leggero e inerte quel corpo; me lo passò dopo che fui montato sul cavallo, aiutandomi a posizionarlo cavalcioni sulla sella.

Io mi assicurai che fosse ben stretto tra le mie braccia, con la testa reclinata sulla mia spalla il più comodamente possibile, per permettergli di respirare.

Bjorn spronò il cavallo con una manata sulle natiche:

- Va’!- mi disse – Vi raggiungerò a tempo debito. Ma ora vola!-

Spronai anch’io l’animale, mormorando un sincero grazie. Non era mia consuetudine abbandonare gli amici in territorio nemico, ma ormai era diventata una questione di priorità, e sapevo che Bjorn non avrebbe avuto certo problemi. Era forte e sano, e sapeva combattere agilmente quanto me, nonostante la stazza robusta.

Se non ci fosse stato lui, davvero non so come avrei potuto uscirne vivo.

Galoppai di buon passo fino all’alba nella direzione datami dal luogotenente, e ben presto cominciai a riconoscere i sentieri tracciati dalle nostre guardie, man mano che mi allontanavo da Fornost e da Angmar. Il sole tornava finalmente a filtrare attraverso le nubi, e mi sembrava non ci fosse più nulla di cui temere, ma solo da sperare.

Sentivo che il cuore dell’elfo era quasi stanco di battere.

Per fortuna giunsi al villaggio prima di quanto pensassi. Verso sera intravvidi le prima tende, contornate dalla solita palizzata contro gli animali selvatici; il gruppo di Dunedàin si era spostato evidentemente verso la mia direzione, in quei giorni, così come io avevo dato ordine prima di andare in avanscoperta. C’erano dei confini da proteggere, e uomini e donne non avevano atteso la nuova luna per scendere in campo e compiere il loro dovere.

Questo linea di condotta si era rivelata di inusitata lungimiranza.

Dozzine di occhi si posarono su di me mentre passavo trottando: occhi preoccupati, occhi impietositi, altri insospettiti a guardare il fardello che mi portavo appresso. Sapevo di dover loro delle spiegazioni, e non intendevo tirarmi indietro: solo, lo avrei fatto in un secondo momento. Adesso non c’era tempo a sufficienza.

Riconobbi abbastanza in fretta la tenda consolare: l’ultima in fondo, dove sempre la desideravo posizionata. I miei uomini ormai conoscevano le mie abitudini e le mie preferenze, e non le tradivano mai. Questo mi riempì di gioia, mentre scendevo con attenzione dal destriero e mi trascinavo dietro il corpo sempre più debole dell’elfo.

Lasciai le redini a uno scudiero e mi fiondai dentro la tenda. Il mio ospite non si muoveva né si lamentava minimamente.

Lo posai lievemente a terra, sopra un mucchio scomposto di coperte e mantelli, abbandonati lì probabilmente per caso. Sistemai alla meglio il ferito e gli tastai ancora una volta la fronte: notai che, per quanto male avessi potuto pensare, la situazione sembrava abbastanza stabile.

Ma non potevo rilassarmi di certo per così poco.

Scostai il suo mantello e scoprii le bende: erano già picchiettate di rosso.

Lentamente, scoprii anche le ferite: dovevo ammetterlo, erano meno peggio di quel che pensassi. Probabilmente i miei sforzi erano valsi a qualcosa.

Sorrisi.

Poi mi ricordai di una cosa.

Andai alle bisacce che i miei uomini avevano abbandonato alla rinfusa in un angolo: cercai per un po’, finché trovai quella in cui custodivo i rimedi officinali. Trassi un vasetto nascosto in una tasca interna, scartandolo dal panno di lana che lo avvolgeva. Per fortuna ne era rimasto ancora un po’.

Lo aprii e un odore fresco ed intenso si espanse intorno: era un medicamento piuttosto potente che avevo confezionato tempo prima.

Ancora una volta, ringraziai re Elrond e gli elfi per le promesse mantenute, per la conoscenza che mi avevano infuso senza trattenersi e che ora mi era tanto utile.

Tornai dall’elfo. Intinsi due dita nell’unguento e con cautela glielo cosparsi sul petto, in corrispondenza delle zone più colpite. Avvertii sotto le mie dita un leggero tremito quando passai sulla sua pelle, ma poi parve andar meglio.

Il medicinale fece da subito il suo effetto, specialmente quando glielo passai sul viso e sul collo.

Forse era l’unica cosa che poteva dargli un vero sollievo.



*NOTA DELL'AUTORE*
Ciaooo come staite?! Torniamo ai nostri eroi! Li avevamo lasciati in difficoltà ma ora sembra che il prode Aragorn abbia trovato una soluzione!
Il personaggio di Bjorn vi piace? Avrà una piccola parte in tutta la storia!
Fatemi sapere cosa ne pensate :) alla prossima!

  
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