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Autore: Evali    09/04/2021    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Angelo e Bestia
 
 
Il sole dell’alba rifulgeva in cielo nonostante il freddo, a differenza delle altre mattine, in cui era schermato dalle nuvole vanesie.
Facendo attenzione a non emettere rumore, Judith scese le scalinate che dalla sua stanza conducevano al salone principale della cattedrale, nel quale riposavano le decine e decine di malati nei giacigli sul pavimento.
La sua fretta l’aveva spinta a tal punto, da uscire dalla camera in vestaglia bianca, senza indossare l’abituale lungo abito nero col corpetto.
La maschera, tuttavia, l’aveva infilata, di quella non avrebbe potuto dimenticarsi.
Si avvicinò cautamente al giaciglio in cui riposava padre Craig, a passo felino, per non disturbare il sonno di nessuno.
- Padre ... – lo richiamò sussurrando scuotendogli una spalla. – Padre, vi prego, svegliatevi – insistette.
A ciò, il giovane prete aprì gli occhi sbattendo le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco la figura accovacciata di fianco a sè, nonostante la maschera a coprirle il viso.
Il suo dolce tocco, la sua lieve aroma, le forme del suo giovane corpo coperto dalla vestaglia.
La riconobbe subito. – Judith ... cosa ci fate qui così presto? Che ore sono? – le domandò con la bocca impastata dal sonno.
- Padre ... – lo richiamò la ragazza con voce positivamente sorpresa.
- Cosa ...?
- Voi ... sembrate stare meglio. La malattia ... nel vostro volto non vi sono più i segni della malattia così prorompenti: le piaghe si stanno cicatrizzando, il colorito è migliorato, l’odore anche, così come i vostri occhi. Trasmettono molta più vitalità di prima. Come vanno i mal di testa e la tosse?
- Meglio ... effettivamente, ora che mi ci state facendo pensare, mi sento molto meglio – realizzò padre Craig, per poi guardarsi intorno, osservando i corpi dormienti. – Guardate. Anche molti degli altri malati sembrano apparire più in salute.
- Avete detto bene: appaiono. Non siamo certi che stiano davvero meglio e che la malattia stia lasciando il loro corpo.
- Concordo. Sempre meglio essere prudenti. Dunque? Di cosa siete venuta a parlarmi?
La ragazza riflettè, cercando di trovare le parole giuste per narrare quel che aveva sognato quella notte.
- Ho vissuto una notte d’incubo, padre.
- Per quale motivo?
- Ho visto ... ho ricordato delle cose.
- Avete ricordato? Cosa avete ricordato?
- Voci, persone, eventi, gesti, conversazioni ... di quella notte. La notte maledetta. La notte dei festeggiamenti dopo il matrimonio.
A tale informazione, il giovane prete sgranò gli occhi sconvolti e bramosi di conoscere la verità riguardo quella notte. – Parlate, cara, vi prego. Non ne posso più di rimanere all’oscuro riguardo quello che è accaduto quel giorno. La mia fede ha iniziato a vacillare fortemente da quell’episodio funesto, e non solo quella ...
- Tuttavia, nei miei ricordi non c’era traccia di voi.
- Quella notte eravamo tutti nei corpi di altri, Judith. Io occupavo quello di Beitris.
- Non ho visto nè voi nè Beitris nei miei ricordi.
- Capisco – rispose il giovane prete non riuscendo a nascondere un pizzico di delusione nella voce. – Vorrei poter ricordare qualcosa di quella notte ... mi basterebbe qualche strascico. Solo per capire cosa ho fatto.
- Vedrete che i ricordi riaffioreranno anche in voi, padre. E poi, forse, scoprirete che ciò che avete fatto quella notte non è tanto terribile come vi aspettate.
- Naren ha detto che mi ha visto commettere delle atrocità mentre ero nel corpo di Beitris. Ha usato queste parole.
Al solo udire quel nome, Judith si irrigidì. – Beh, almeno voi vi state basando sulle parole di un semplice uomo estraneo a voi. Io, invece, qualche ora fa, ho avuto la conferma di aver commesso dei peccati ai quali mai porrò rimedio.
- Judith ... cosa state dicendo? Parlate sul serio? – le chiese padre Craig preoccupato, mostrandosi il più rassicurante e comprensivo possibile. – Avanti, parlate. Sapete che con me potete confidarvi.
- Lo sa, padre e vi ringrazio – rispose accennando un sorriso che il giovane prete non poté vedere. – Senza di voi, probabilmente sarei impazzita in questi ultimi giorni. Nonostante foste malato, sono comunque riuscita a sentire la vostra presenza e il vostro supporto, in qualche modo – gli disse stringendogli la mano.
- Ne sono lieto. Non immaginate quanto.
- Spero che ciò che ho visto stanotte non vi farà cambiare idea su di me e non vi farà brillare di meno gli occhi quando mi guardate.
So che di voi posso fidarmi. E so anche che questa faccenda vi sta opprimendo più di chiunque altro.
- Judith, non fatemi stare in pensiero. Parlate.
- Ero in un corpo maschile. Suppongo di un giovane uomo. Ma di questo ero già consapevole parzialmente. Ho visto il mio stesso corpo dinnanzi a me – fece una pausa, per trovare il coraggio di continuare. – Era abitato dal propietario del corpo che stavo possedendo io. Eravamo l’uno nel corpo dell’altro.
Egli ... aveva il fuoco negli occhi. Un fuoco addolorato e spaventoso.
Era talmente adirato con me che ... mi sono sentita istantaneamente male, nonostante non ricordassi cosa avessi fatto di sbagliato.
- Perchè era adirato con voi ...?
- Egli ha cominciato ad attaccarmi. Verbalmente e corporalmente. Tuttavia, il mio corpo maschile era più forte e sono riuscita a prevalere.
Dopo ciò ... ho visto Naren, appollaiato a terra, come se avesse appena commeso il più atroce dei peccati.
Lo sconosciuto che abitava il mio corpo si è avvicinato a lui e lo ha sedotto, giacendo con lui, facendosi penetrare più e più volte.
Naren ... ha abusato del mio corpo senza il mio consenso, mentre era un altro ad abitarlo, per di più inseminandolo senza alcun riguardo, maneggiandolo come se ... fosse inanimato – confessò cercando di trattenere le lacrime che si stavano facendo strada sui suoi occhi. – Almeno ora ho la funesta conferma e sicurezza che il bambino sia di Naren. Avrei preferito rimanere nell’ignoranza, tuttavia.
Il volto di padre Craig era a dir poco costernato. – Per ... per quale motivo costui ... chiunque egli sia, ha fatto una cosa tanto riprorevole col vostro corpo...?
- Per vendetta.
- Vendetta?
- Dopo che lo ha fatto, è tornato da me, godendo nel vedermi distrutta di fronte a ciò a cui avevo appena assistito.
- Che cosa potete avergli fatto di tanto tremendo per spingerlo ad agire in tal modo contro di voi, facendovi inseminare da un servo del Creatore senza alcun riguardo per le orrende conseguenze derivanti?? – chiese padre Craig sentendo la rabbia montargli addosso, alzando la voce inconsapevolmente.
- Abbassate la voce ... – lo esortò Judith. – Padre, non vi rendete conto. Non vi rendete conto di cosa ho fatto.
- Che cosa avete fatto?
- Ho approfittato del corpo maschile in cui mi trovavo. Ne ho approfittato per provare un piacere che non avevo mai provato prima, per farmi violare ... senza correre rischi e doverne subire le conseguenze.
Il corpo da donna è un corpo fecondabile. Quello di un uomo no.
Ho approfittato di ciò , traendone vantaggio, assecondando i miei desideri e piaceri più marci e dissoluti. Desideri che non credevo di nutrire in maniera tanto prorompente e sregolata.
Dalle parole di costui ... sembra che io abbia convinto e costretto Naren a giacere con me nel corpo nuovo che stavo abitando temporaneamente quella notte.
- Lo avete convinto a violare e a godere del corpo di un uomo...? Ma soprattutto ... l’avete convinto a giacere con un corpo che non fosse il vostro? – domandò padre Craig sempre più sconvolto.
- Ma dentro c’ero io ... dentro quel corpo c’ero io ... Devo averlo comunque convinto, in qualche modo.
E sembra che io ne abbia tratto un piacere intenso e incomparabile, godendone in pieno.
Capite sino a che punto arriva la gravità di ciò che ho commesso, padre?
Potrei attribuire la colpa agli effetti dell’incantesimo, all’assenza di freni inibitori, al fatto che non ricordo affatto l’atto, nè di averlo desiderato, ma resta la consapevolezza che l’ho commesso ...
La mia anima è macchiata.
- No, non dite questo...
- È così. Ho usato quel corpo non mio come più mi aggradava, servendomene nel modo peggiore possibile, senza chiedere il permesso, nè pormi alcuno scrupolo.
E lui ... il proprietario di quel corpo ... mi ha ripagato con la stessa moneta.
- Non eravate in voi, Judith, come nessuno di noi. Naren, invece, l’uomo di cui eravate innamorata ... egli che scusa ha per aver agito in modo tanto osceno, egoista e bestiale? – disse il giovane prete, con voce fremente e velenosa verso colui appena nominato.
- Egli non ha scusanti – confermò Judith dura. – Tuttavia, per quanto riguarda me, se realmente non ero in me, per quale ragione stanotte ho ricordato cosa è successo dopo, come se fossi stata lucida?
- Sono solo stralci di ricordi. La tremenda azione che avete compiuto non è da voi, non sarebbe mai da voi. Voi non sareste mai capace di fare una cosa simile.
- Come sapete che non ne sarei mai capace...?
- Lo so perchè ho imparato a conoscervi in questo poco tempo che sono qui e scommetterei la mia fede in Dio e la mia vita nella bontà e nell’onore che ho visto nel vostro cuore.
Judith trattenne a stento le lacrime, a quelle parole tanto sincere e nobili.
- Resta il fatto che l’ho fatto e l’ho voluto ... anche se non ero in me.
- Ora non pensate a questo. Ciò che è necessario scoprire non appena ci sarà possibile, è l’identità del corpo che avete posseduto. Avete una minima idea di chi possa essere costui? La sua voce aveva qualcosa di familiare? Ricordate qualche dettaglio, come un odore particolare? Avete avuto modo di prendere un minimo confidenza col corpo che abitavate?
- No, nulla, nessun indizio.
- Beitris era accanto a me quando ho perso la coscienza quella notte. Se io ero nel corpo di Beitris, vuol dire che, forse, l’incantesimo ha agito facendoci scambiare i corpi con coloro che ci erano fisicamente vicini.
Judith rifletté, per ricordare chi avesse accanto nell’ultimo momento di lucidità durante i festeggiamenti. Sgranò gli occhi non appena le venne in mente. – Il gioco dello specchio ... Blake ...? – sibilò quasi senza emettere suono, non avendo neanche il coraggio di formulare un pensiero del genere.
Ma padre Craig la udì comunque. – No, impossibile.
- Vi state rifiutando come me di pensare anche solo lontanamente ad una possibilità simile...?
- No, è impossibile sia lui: quando si è svegliato, egli era sdraiato a terra spalmato sul corpo di Beitris e ricoperto di sangue – disse con tono grave. – Sono stato io ad abitare il corpo di Beitris ... suppongo di essere stato io ad aver a che fare con lui quella notte.
- Allora chi?? A chi potrebbe appartenere il corpo che ho abitato?
- Non ne ho idea. Ad ogni modo, quando Blake tornerà, dovremo capire se anche lui ha ricordato qualcosa.
- Sì, dovremmo parlarne anche con lui, sono d’accordo.
- E ... se dovesse essere davvero lui ad aver subìto il destino peggiore quella notte...? – domandò padre Craig con le lacrime agli occhi, quasi più a se stesso che a Judith.
La ragazza si ritrovò incapace di rispondere.
Trascorso qualche minuto di silenzio tra i due, minuti in cui anche altri dormienti si svegliarono grazie ai raggi solari penetrati dalla finestra, Judith riprese la parola.
- Van Naren sposerà ben presto un’altra donna – disse improvvisamente, scaricando in quel nome tutto il disprezzo possibile.
Padre Craig si riprese dal suo stato di riflessione cupa e tormentata, tornando a guardarla, alzando un sopracciglio per la sorpresa. – Che cosa intendete dire ...? Egli è sempre stato totalmente assuefatto da voi.
- Io e quell’uomo non abbiamo futuro, padre. Non l’abbiamo mai avuto. Lo abbiamo sempre saputo, eppure abbiamo sempre ritardato il nostro distaccamento necessario.
Purtroppo, non abbiamo agito in tempo, ed ora il danno è fatto.
Dobbiamo sviare i sospetti del popolo dalla nostra possibile relazione peccaminosa e dal bambino che porto in grembo, ora che tutto comincerà a tornare come prima.
- Nulla potrà più tornare come prima in seguito alla rivolta degli stregoni e all’assissinio dei monac-
- Non siatene tanto certo, padre – lo interruppe ella. – Come ci siamo ripresi dalla catastrofe divina precedente alla divisione di Allister Chaim, ci riprenderemo anche da questo.
Tutto tornerà come prima.
- E a voi sta bene ...?
- Fin quando mi permetterà di agire nell’ombra e indisturbata, e di portare i cambiamenti che desidero dall’interno ... mi andrà sempre bene – rispose serafica.
- Dunque ... come sapete che Naren ha già addocchiato qualcun’altra?
A ciò, Judith spostò il viso in una direzione ben precisa.
Seguendo la traiettoria verso cui era rivolta, padre Craig individuò la figura di una giovane serva del Creatore dalla pelle scura che stava distribuendo ad alcune donne appena guarite dei bellissimi soprabiti di lana.
- Io ho già visto quella ragazza, negli ultimi giorni ... – riflettè padre Craig mettendo a fuoco la figura della fanciulla. – Si è adoperata moltissimo per fornire tutti gli aiuti possibili ai malati. Non l’ho ancora vista in volto, ma indossa sempre quell’abito di feltro color limone – commentò, per poi tornare a guardare Judith. – Dunque, è lei? Come lo sapete? Come potete esserne certa?
- Negli ultimi giorni li ho visti parlare diverse volte. Naren la guarda e la cerca, come stregato dalla sua purezza e dalla sua bontà. Suppongo che, infondo, sia sinceramente interessato a lei.
- No, è impossibile – la smentì fermamente il giovane prete, riattirando la sua attenzione su di sè. – Non conosco quella donna, dunque non posso esprimermi su di lei, ma conosco voi, Judith.
Tutto ciò che posso dire, sapendo che ogni uomo o donna in questo villaggio si troverebbero d’accordo con me, è che Naren sarebbe davvero uno sciocco, stolto e idiota a preferire qualsiasi altra fanciulla a qualcuno come voi, lasciandovi scappare.
Judith rimase sorpresa da quella sentita e sincera confessione.
- Per tale motivo – continuò l’uomo. – Se egli si sta avvicinando ad una creatura tanto pura e fedele, è solo per infantile curiosità o per convenienza, per sviare le malelingue del villaggio dalla vostra attenzione.
- Naren sa che tra noi è finita, padre. Ne è consapevole, gliel’ho detto e ripetuto chiaro e tondo.
È vero, sto portando suo figlio in grembo, tuttavia, ciò non dovrebbe impedirgli di ricostruirsi una vita, con una donna che può guardare, toccare, sposare e fecondare, senza rischiare il rogo.
Nulla lo lega a me e nulla mi lega a lui – disse con apparente indifferenza nella voce.
- Judith ... siete sicura di non provare più nulla nei suoi confronti?
- Dopo ciò che ho scoperto questa notte, ne ho ricevuto la conferma definitiva: non nutro più nulla nei confronti di quel verme, eccetto rabbia e rancore.
Padre Craig abbassò lo sguardo, cercando di non lasciar trasparire quanto fosse rincuorato di ciò. – Ad ogni modo – riprese. – Come sapete che ella ricambia il suo interesse nei suoi confronti?
- Non lo so. Non ho mai avuto modo di parlare con lei, se non una sola volta, ma prima dello scoppio della rivolta e dell’epidemia.
- L’avete già incontrata? In che occasione?
- Era venuta a pregare da sola, una mattina. L’ho incrociata e ho avuto una bizzarra e piacevole conversazione con lei. Ella deve aver parlato anche con Blake.
- Blake? Cosa ha a che fare ella con Blake?
- Lo ha conosciuto – rispose semplicemente la ragazza. – Non so cosa si siano detti, ma so che lo ha conosciuto.
- Blake non mi ha mai menzionato una cosa simile.
- Vi sorprendete ancora che Blake non vi racconti ogni singola cosa gli capiti e lo riguardi, padre? – lo provocò dolcemente Judith, per poi accingersi a rialzarsi. – Ora riposatevi, padre. Se davvero la malattia sta abbandonando il vostro corpo avrete bisogno di essere al massimo delle forze.
A ciò, il giovane prete le sorrise, le baciò la mano e si sdraiò nuovamente, vedendola allontanarsi.
Judith camminò sovrappensiero, vagando per il salone senza una meta precisa, ripensando a ciò che aveva ricordato quella notte.
Improvvisamente, un debilitante dolore al ventre la fece barcollare ed emettere un’evidente smorfia di dolore.
Si premette la pancia con la mano, cercando un appiglio inesistente con l’altra, trovandosi lontana da qualsiasi sedia o appoggio di altro tipo.
Prontamente, una mano si poggiò sulla sua schiena delicata ma salda, reggendola per non farla cadere, mentre l’altra le si posò sulla spalla.
Judith si voltò verso la sua buona samaritana, avendo già percepito si trattasse del tocco dolce e calibrato di una donna.
La serva del Creatore di cui stava parlando poco prima con padre Craig, con l’asettica maschera a coprirle il viso uguale alla sua, la riassicurò, accompagnandola pazientemente verso la stanza incontaminata. - Appoggiatevi a me – la esortò leggiadra, entrando nella stanza, richiudendo la porta dietro di sè, e facendo sedere Judith su una delle sedie disponibili, per poi accomodarsi accanto a lei.
La serva del Creatore si tolse la maschera e Judith fece altrettanto.
- Come vi sentite? Quali sintomi avvertite? – le domandò con calma.
A ciò, Judith si voltò a guardarla, premendosi ancora il ventre con il palmo della mano, percependo un lieve sollievo in quel gesto. – Qualche fitta e crampo di dolore di tanto in tanto.
- Oh, allora non è nulla di preoccupante. Il vostro bambino sta bene – disse sorridendo raggiante la ragazza, riuscendo a trasmetterle almeno un po’ della sua positività.
Come la prima volta che aveva incontrato il suo viso, lo trovò fedele a quello di qualsiasi altra serva o servo del Creatore: una bocca larga, troppo larga per quel viso piccolo e ovale stonava non poco, gli occhi grandi e tondi erano infossati e molto neutri e insipidi, il grosso naso incurvato e aquilino attirava l’attenzione più di tutto il resto, i capelli, seppur folti lunghi e ricci, erano crespi e tenuti legati malamente indietro, facendola sembrare ancor più anonima di quanto già non apparisse.
Era brutta, dall’aspetto sgradevole, come lo erano tutti coloro che servivano il suo stesso dio, tuttavia, il suo sorriso e la genuina luce che emanava naturalmente la facevano apparire interessante, degna di attenzione.
Judith ricambiò il suo sorriso. – Vi ringrazio per avermi aiutata. Non vi era bisogno.
 - Oh sì, invece. Sono contenta di essermi trovata lì al momento giusto. Chissà cosa sarebbe accaduto al vostro bambino se foste caduta a terra con violenza come stava per succedere – le disse sinceramente preoccupata, per poi tirar fuori dal mucchio di capi di vestiario che stava distribuendo ai malati e ai guariti, uno splendido scialle con elaborati e raffinati ricami che ritraevano una distesa fiorita, di notte, con la luna alta in cielo. Porse il capo a Judith. – Tenete. Terrà al caldo il vostro bambino. Avrei voluto già darvelo nei giorni scorsi, ma non c’è stato mai modo di incrociarvi.
Judith, rimasta sorpresa da tanta gentilezza, prese lo scialle tra le mani, osservandolo e tastandone la morbidezza. – È davvero bellissimo, grazie – la ringraziò sinceramente. – Lo avete ricamato voi?
La ragazza annuì, felice che le piacesse. – Sapete, ultimamente sto intrattenendo delle conversazioni con il giovane che le malevoci dicono essere il padre del vostro bambino – le disse improvvisamente.
Judith riportò l’attenzione su di lei, non lasciando trasparire nessuna emozione. – Van Naren. Siamo buoni amici, sì. Le persone retrograde di questo villaggio, purtroppo, credono ancora sia impossibile la nascita di una qualsiasi sorta di amicizia o di relazione affettiva tra servi del Diavolo e servi del Creatore, motivo per cui credono che abbiamo commesso peccato contro i nostri signori e contro le leggi di Bliaint.
- Non mi spiego tutto ciò. D’altronde, se credono nell’impossibilità anche solo di un sincero rapporto di amicizia tra i componenti delle due fazioni, non sarebbe ancor più assurdo credere in una relazione carnale e amorosa che coinvolga una serva del Diavolo e un servo del Creatore? – si interrogò la fanciulla, con un velo di tristezza ad adombrarle il volto.
- Ad ogni modo, vi trovate bene con lui? – indagò Judith senza eccessivo interesse.
- È sempre stato lui ad avvicinarsi a me. Qualche giorno fa si è presentato e mi ha chiesto che mestiere svolgessi, e abbiamo iniziato a conversare.
Judith studiò il suo volto. – Nutrite dell’interesse nei confronti di costui? – le domandò, facendola voltare di scatto a guardarla, notando del dubbio e dell’indecisione nei suoi lineamenti.
- Non lo so, a dir la verità. Ci conosciamo da pochissimo – rispose sinceramente.
Judith annuì, decidendo fosse meglio cambiare discorso. – Siete una ricamatrice?
A ciò, la ragazza si rianimò a tal domanda. – No, in realtà.
- Eppure siete molto brava a farlo.
- Lo faccio solo per passatempo. Mi ha insegnato la sorella di mio nonno a farlo, è l’unico ricordo che io e mia sorella avevamo di lei. Certo, forse avrei preferito che mi insegnasse a leggere, dato che era una monaca. Ma le leggi lo vietano, perciò va bene così.
- Avreste voluto imparare a leggere?
La fanciulla la guardò accennandole un sorriso lievemente malinconico. – Non lo vorrebbero tutti? Voi sapete farlo, non ne avete mai sentito la mancanza, poichè avete avuto la fortuna di crescere dentro una cattedrale a stretto contatto con i monaci, pur non prendendo i voti.
Ma, d’altronde, non ho l’aspirazione di prendere i voti e diventare monaca, perciò mi sta bene così.
- Non la considererei proprio una fortuna, quella di aver vissuto a stretto contatto con i monaci – rispose Judith stringendo il tessuto del vestito sul proprio pugno. – Sono diventata orfana in seguito alla tragedia che ha colpito la mia casa, quando mia madre è stata bruciata al rogo. Perciò, credetemi, posso affermare con convinzione che avrei decisamente preferito non saper leggere, restando nell’ignoranza, se ciò avesse significato riavere mia madre.
- Scusatemi tanto ... ho scelto male le parole, non volevo in nessun modo insinuare ...
- Non preoccupatevi, nessun offesa – la rassicurò Judith, accennandole un sorriso. – Ad ogni modo, c’è chi decide di imparare a leggere autonomamente, pur non avendo l’aspirazione di donare il proprio corpo e la propria vita al suo Signore, sapete? – le informò Judith.
- Ma è vietato.
- Ma non è una trasgressione punibile con il rogo – le ricordò la ragazza.
- Chi è che ha avuto il coraggio di imparare da solo, nonostante le proibizioni?
- Esattamente il servo del Diavolo che avete conosciuto nella cattedrale dei servi del Creatore, e che vi ha parlato di me.
A tali parole, la fanciulla si voltò nuovamente a guardarla, interessata. – Davvero?
Judith annuì sorridendo.
- È lui il ragazzo di cui parlano tutti? Colui che ha lasciato il villaggio settimane fa, in cerca di una certa ... polvere nera?
- Proprio lui.
- L’ho compreso perchè non l’ho più rivisto, nè tra la folla di malati, nè tra i sani, nè tra gli stregoni ribelli, perciò ho pensato si trattasse di lui. Allòra, voi mi avevate detto che sarebbe tornato dopo qualche giorno.
- Sembra si stia trattenendo più del dovuto – la informò Judith, sovrappensiero. – Eravate lì per lui, il giorno del nostro primo incontro, non è vero? – le domandò a bruciapelo, facendola sussultare per l’imbarazzo di quella domanda improvvisa.
La serva del Creatore negò ripetutamente e con vigore, cercando di riprendersi dall’imbarazzo. – No, ero lì per pregare per mia sorella.
- Giusto, vostra sorella. Come sta, ora?
- Non ce l’ha fatta ... l’ho perduta – la informò la ragazza, lasciandola sconvolta per la fermezza e la stabilità con la quale lo disse.
- Mi dispiace molto ...
La serva del Creatore negò ancora, accennandole un sorriso malinconico ma luminoso. – L’ho accettato. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere per salvarla, così come i nostri genitori. I Signori hanno deciso di prendersela con sè. Eppure, non so ancora quale dei due se la sia presa.
Quell’ultima frase destabilizzò Judith, la quale la guardò confusa. – Che cosa intendete dire ...?
Le due furono interrotte dalla porta della stanza che si aprì, rivelando la figura di padre Cliamon che entrò. – Oh, Judith, cara, sei qui – disse egli richiudendosi la porta dietro di sè. Solo in quel momento Judith fece caso al fatto che il monaco non indossasse la maschera, nonostante provenisse dal salone colmo di infetti
- Padre ... dov’è la tua maschera?- domandò allarmata.
- Sembra che la maggior parte dei malati sia quasi guarita o, per lo meno, sul punto di guarigione – la informò con un sorriso l’uomo. – Anche i pochi che sono ancora tremendamente deboli e in bilico tra la vita e la morte sembrano non essere più contagiosi. Padre Sower che se ne intende di arti mediche, l’ha confermato, e gli stregoni sono d’accordo con lui.
- Dici sul serio...? – domandò traboccante di gioia Judith, con la ragazza al suo fianco ancor più gioiosa di lei.
- Sì, sul serio!
- Oh, sia ringraziato il Signore!
- Entrambi!
- Ad ogni modo, Judith cara, ti stavo cercando perchè questa sera ci sarà il secondo turno per portare provviste di cibo e controllare le condizioni di salute di coloro che si sono barricati nelle case senza più uscire, per paura di essere contagiati. Maringlen si occuperà della zona accanto alle paludi, Myriam di quella esterna, verso la vallata, e io di quella adiacente alla piazza. Ci serve qualcuno che si occupi della zona che circonda la galleria. Dovrai passare di casa in casa, bussare, controllare che vada tutto bene, che non ci siano infetti all’interno, e lasciare un po’ di provviste, nel caso manchino. Puoi occupartene?
- Posso occuparmene io, padre – rispose la serva del Creatore, per poi posare lo sguardo su Judith. – Poco fa Judith ha avuto un malore e dei crampi al ventre. Non è saggio lasciarla girare da sola per il villaggio. Posso farlo io – confermò, stringendo la mano della serva del Diavolo calorosamente.
A ciò, padre Cliamon annuì con un sorriso. – Mi raccomando, Judith, riguardati e riposati. Il bambino sta crescendo dentro di te e ha bisogno di tutte le cure e le attenzioni possibili.
- Starò attenta, padre – lo rassicurò, per poi vederlo uscire dalla stanza.
- Non mi avete ancora detto il vostro nome – disse infine Judith alla ragazza. – Voi il mio lo conoscete, oramai.
A ciò, la serva del Creatore sorrise nuovamente. – Hinedia. Mi chiamo Geenie Hinedia.
 
- Che luogo è quello in cui stiamo andando? – domandò Quaglia.
- E con questa siamo a cinque, in tre giorni di viaggio – sbuffò Ephram seccato, contando le volte in cui l’uomo aveva posto loro l’ennesima delle tante domande che affollavano la sua testa, una tabula rasa tutta da riempire come quella di un neonato.
- Nel villaggio da cui proveniamo io e Ephram – rispose Blake.
- I villaggi sono delle divisioni di terre e di gruppi di persone che hanno le stesse leggi e lo stesso credo, giusto? – continuò Quaglia. – L’enorme porzione di terra su cui camminiamo è divisa in villaggi, corretto?
- Corretto.
- Il villaggio da cui provenite si chiama Bliaint?
- Dopo l’ottava volta che te lo abbiamo ripetuto, finalmente te lo sei ricordato – commentò Ephram semiesasperato.
- E com’è? Il vostro villaggio intendo.
- Un luogo isolato, pieno di verde, nel quale si servono due signori, due dèi differenti. Metà del villaggio di bell’aspetto e l’altra metà sgradevole e per lo più malformata.
- Cosa intendi dire con “servire un signore”?
- Gli rendiamo grazie, lo preghiamo di perdonare i nostri errori, di realizzare i nostri desideri, erigiamo altari in suo onore per venerarlo – proseguì Blake con la spiegazione, pronunciando quelle parole come fossero una litania fissa e inconsistente.
- Che aspetto hanno questi due dèi?
- Non hanno corporeità. Sono due entità invisibili, immateriali.
- Chi sono costoro?
- Uno è colui che ci ha creati e l’altro è colui che ha provato a salvarci – rispose Ephram questa volta.
- E voi due quale dei due servite?
- Dalla risposta di Ephram dovresti comprenderlo da solo.
- Da cosa dovrei comprenderlo da solo?
A tale domanda, Blake bevve un sorso dal suo boccale e si voltò a guardarlo, perforandolo con le sue iridi blu, intimorendolo. – Se vorrai restare con noi, ma, soprattutto, sopravvivere a Bliaint, avrai bisogno di sviluppare un po’ di capacità deduttiva, di logica, di istinto e di senso critico, Quaglia.
- Vuol dire che quando arriveremo a Bliaint potrò rimanere con voi?? – domandò speranzoso l’uomo.
- Se farai ciò che ti diremo di fare, ovviamente. Per chi ci hai presi? – rispose Blake con ovvietà, lanciando uno sguardo complice ad Ephram, che venne colto immediatamente. – Potresti persino diventare il mio apprendista, se lo vorrai – aggiunse Blake.
- Che cos’è un apprendista?
- Il mio aiutante, mi assisterai e io ti insegnerò tutto ciò che sarò in grado di insegnarti.
- Davvero?? Sarebbe meraviglioso!
- Chissà, magari ti torneranno in mente dei ricordi utili con il tempo, memorie che credi di aver perduto per sempre ... – aggiunse il ragazzo fintamente casuale.
Ephram sorrise in risposta, addentando una forchettata di carne dal suo piatto.
Erano tutti e tre seduti al bancone di quella locanda che avevano trovato lungo la strada di ritorno.
Si stava facendo buio e avevano viaggiato ininterrottamente per tre giorni, dunque avevano deciso di fermarsi per placare la fame dei loro stomaci e per passare lì la notte.
Quella locanda non aveva nulla a che fare con la Taverna di Bliaint, nonostante vista da fuori potesse sembrare di sì: una volta entrati nella struttura in legno situata in mezzo alla boscaglia e illuminata dalle lanterne, l’avevano trovata affollata di donne di ogni età e corporatura, tutte vestite in abiti succinti, sudate e con atteggiamenti che variavano dalla volgarità più oscena ad una lascivia un po’ più sensuale. Saltavano letteralmente addosso agli uomini, facendosi toccare e maneggiare nelle maniere meno pudiche possibili, spillando loro monete d’oro, d’argento e di rame e infilandosele nelle sottane con velocità felina, mentre li conducevano nelle camere al piano superiore o permettevano di approfittare di loro direttamente sopra i sudici divani della locanda.
In quel luogo, la regola “vedere ma non toccare” non valeva in alcun caso.
Appena entrati erano stati letteralmente avvinghiati da un gruppo di locandiere accaldate e decisamente insistenti, sin troppo sovraesaltate nel vedere tanta beltà varcare le porte della loro modesta locanda. Costoro non si erano convinte a lasciarli andare nemmeno quando avevano rifiutato per la quarta volta i loro servigi, ripetendo che volevano solamente mangiare un boccone e occupare tre camere per la notte. Solamente le sottili pessime maniere di Ephram erano state in grado di allontanarle, riuscendo a suscitare in loro offesa, all’affermazione: “Se l’aspetto lascia a desiderare, l’esperienza colma tutto. Eppure, questa sera non mi accontenterei di così poco.”
Non appena si erano seduti al bancone, avevano ordinato un abbondante quantità di cibo e Quaglia aveva calmato i bollori che coloravano le sue guance come avrebbero colorato quelle di un undicenne dinnanzi a dei seni semiscoperti, alla vista di tanta carne femminile in vulcanica e violenta esposizione. Quest’ultimo aveva ricominciato a riempirli di domande come aveva fatto per i precedenti tre giorni, da quando si erano messi in viaggio, non lasciando ai due un attimo di tregua.
- Dov’è la vostra compagna di viaggio? – riprese l’uomo.
A tale domanda, la mente di Blake tornò a quell’ultima conversazione avuta tre giorni prima con la strega:
 
- Le ferite che ho riportato alla gamba sono meno gravi di quanto mi aspettassi – aveva detto Selma finendo di riempire il suo sacco per rimettersi in viaggio. – Andrò da sola a cercarla.
- Come ha fatto Sibyl?
- Come ha fatto Sybil, esatto. Non mi fermerò fin quando non la troverò.
- Non sai dove sia. Non hai alcun indizio su dove si trovi Fie. Da dove inizierai a cercarla? Cosa diremo di te quando torneremo a Bliaint?
- La verità: è partita in cerca della persona che credeva di aver perduto per sempre.
Senza di te, Blake, se non fossi partita con te per questo viaggio tremendo e meraviglioso insieme, non avrei mai saputo che mia sorella, la mia unica sorella, è ancora viva.
Durante quell’ultima conversazione, lui e la donna si erano detti tutto ciò che in settimane di viaggio avevano taciuto.
- Non avrei mai voluto uccidere quella ragazza, ne avrei voluto provare ad avvelenare la famiglia che ci stava ospitando.
Quello che ti è capitato, Blake, le atrocità che ti ha fatto quell’uomo, ciò che hai patito a causa sua ... sarebbe potuto capitare anche a me. Invece, sei stato il solo a dover vivere tale supplizio sulla tua pelle.
Mi dispiace, Blake. Mi dispiace che, l’unica cosa che io sia riuscita ad evitarti, sia stata la morte.
Mi dispiace.
L’aveva guardato negli occhi, e gli aveva detto tutto ciò, con una fragilità e una sensibilità che non avrebbe mai pensato possedesse, nascosta in lei.
Di così tanto era capace Fie e la speranza riaccesa che fosse ancora viva?
Avrebbe desiderato conoscerla, questa Fie, che con la sua sola aura a distanza, era capace di far uscire fuori i lati migliori di un animo turbolento come quello di Selma.
Tuttavia, anche altre parole erano uscite dalle labbra della sua compagna di viaggio:
- Ho fiducia in te, Blake.
Sono certa che tu ti renda conto della mostruosa arma che hai tra le mani, ora che hai visto con i tuoi famelici occhi cosa è in grado di fare, dopo averci rimesso quasi la vita a tua volta, nell’esplosione.
Se c’è qualcuno a questo mondo che possiede tanto giudizio e intelligenza da saperla usare nel modo giusto, quella persona sei tu e nessun altro.
- Non temere riguardo a ciò: quando Quaglia ricorderà la giusta composizione della polvere nera, e quando rimetterò insieme gli appunti di suo nonno che sono riuscito a raccattare, saprò come utilizzarla senza provocare alcuna catastrofe.
- “Quaglia”, eh? – aveva ripetuto ella con un ghigno divertito.
- È il nome che si è scelto lui.
- Dunque, immagino abbiate intenzione di portarvelo dietro come un animaletto da compagnia, uno schiavo fedele.
Abbi cura di lui, Blake.
Per quanto io abbia odiato quel borioso arrogante, non augurerei mai ad un uomo che è regredito allo stato di bambino, di vivere eventi infausti e traumatici.
Maroine e Maringlen hanno solo dodici anni, eppure me li ricordo molto più maliziosi e maturi di quanto lo sia lui ora.
- Lo farò. Egli deve ancora scoprire il mondo, per lui è tutto nuovo ora.
- Fa’ attenzione, Blake, ora che le nostre strade si divideranno. Bliaint potrebbe essere molto diversa da come l’hai lasciata, motivo per cui potrebbero aspettarti spiacevoli sorprese al tuo ritorno.
Anche se le nostre strade si divideranno, spero di rivederti un giorno – gli aveva detto alzandosi sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia, che lui aveva ricambiato con un sentito abbraccio.
- Mi dispiace di averti fatto impazzire, Selma – le aveva detto, facendola sorridere già nostalgica. – Nessuno meriterebbe di essere gudicato tanto superficialmente e velocemente come ho fatto io con te.
- Non importa. Sai qual è la cosa che mi rende più felice ora? – gli disse staccandosi da lui.
- Quale?
- Risentire di nuovo la tua voce dopo tutto questo tempo.
Può essere merito solo di un miracolo del nostro Signore, non credi?
Gli sarebbe mancata, non avrebbe potuto negarlo a se stesso.
- La nostra compagna di viaggio ha deciso di percorrere una strada diversa dalla nostra, in cerca di una persona appartenente al suo passato – la risposta di Ephram lo riscosse dai suoi pensieri e da quel ricordo.
- Beh, è un peccato... – commentò Quaglia abbassando lo sguardo timido. – Ella aveva un aspetto ... gradevole.
- Chi? Selma?? – aveva commentato Ephram contrariato guardando l’uomo. – Se trovi attraente una come Selma, vorrà dire che striscerai ai piedi delle bellezze che abbiamo a Bliaint.
- Hai mai conosciuto una donna straniera che ti è piaciuta più delle tue conterranee? – gli aveva domandanto Quaglia incuriosito, facendo sorridere Blake impegnato a terminare le uova strapazzate nel suo piatto.
- C’è stata qualcuna effettivamente, la considererei l’unica eccezione, a dir la verità. Si tratta niente meno che della fanciulla che ha intrattenuto me e Blake durante il nostro soggiorno nel villaggio di Selma. Ah, la spavalda Sybil! – esclamò chiudendo gli occhi in estasi. – Nonostante io abbia intrattenuto numerose relazioni e rapporti carnali con donne e uomini bellissimi, l’intraprendenza, la creatività e la grinta di quella ragazza sotto le lenzuola le superano tutte! Sei d’accordo con me, Blake? Anche con te ella era un animale a letto? – gli domandò lo stregone sporgendosi a guardarlo, infastidito dalla presenza di Quaglia seduto tra i due.
In risposta, il ragazzo gli rivolse un sorriso semiesasperato. – Smetti di percuotere l’innocente e genuina mente di Quaglia con discorsi di questo tipo – lo esortò.
- E perchè?? A mio parere il nostro Quaglia avrebbe proprio bisogno di imparare come ci si approccia ad una donna, oltre che come la si soddisfa – disse Ephram in tono provocatorio, portando gli occhi maliziosi su Quaglia, il quale abbassò lo sguardo immediatamente. – Posso richiamare l’attenzione di una di loro immediatamente, sai? Sarebbe ben felice di prendersi cura di te. Inoltre, abbiamo denaro a volontà dal bottino che Blake si è preso dalla casa di quel Giudice quando è scappato.
Blake lo fulminò in risposta.
- Quale Giudice? Quale bottino?
- Nulla! Sono questioni di nessun interesse per te, Quaglia, te lo garantisco – si affrettò ad arrestare la raffica di domande che sarebbe susseguita di lì a breve, per poi tornare a fulminare lo stregone - E terrei ad informare Ephram che non abbiamo a disposizione una somma illimitata, al contrario di ciò che lui crede - gli rispose a tono, mentre il diretto interessato richiamava a distanza l’attenzione di una fanciulla dai folti capelli ramati e un seno di dimensioni quasi sconvolgenti.
La donna sorrise e si avvicinò a loro tempestivamente. – Posso fare qualcosa per voi, miei signori? - domandò melliflua, osservando ampiamente tutti e tre.
- Il nostro amico qui di fianco avrebbe piacere di intrattenersi con voi al piano di sopra – le disse schietto, mentre Quaglia avrebbe preferito sotterrarsi per l’imbarazzo.
Dopo qualche minuto, l’uomo riuscì ad alzare lo sguardo su di lei e incontrò i suoi occhi che lo guardavano inteneriti: ella aveva una chioma ribelle, alcuni denti neri, ma un bel viso e una scollatura che metteva ancor più in evidenza il seno prosperoso, rendendo impossibile distogliere lo sguardo dal suo petto.
- Qual è il vostro nome, mio signore? – gli domandò avvicinandoglisi.
- Quaglia.
- È davvero il vostro nome? – domandò ella alzando un sopracciglio.
Egli annuì, ancora bordeaux di vergogna, fin quando la ragazza non lo prese per mano e lo condusse su per le scalinate di legno che conducevano al piano superiore.
- Noi saremo qui ad aspettarti al tuo ritorno! – esclamò Ephram ghignando e alzando il suo boccale.
- Perchè l’hai mandato con quella locandiera? – gli domandò Blake continuando a guardarsi intorno con noncuranza, mentre Ephram prendeva posto accanto a lui, nella sedia prima occupata da Quaglia. – Vuoi dilettarti a voltare al contrario ogni crocefisso presente in questa locanda, per caso?
Ephram accennò un lieve sorriso in risposta. – L’ho fatto solo appena sono entrato, con quello appeso nella parete vicino alla porta, e nessuno si è accorto di nulla, per tua informazione – gli rispose in tono volutamente infantile.
- Allora perchè?
- Non è ovvio? Per rimanere da solo con te. Per una volta che abbiamo l’occasione di fare una chiacchierata senza la presenza molesta di Selma o di quella spina nel fianco con la mente di un neonato, intendo sfruttarla.
- Bugiardo.
- Avanti, Blake, lasciamela vinta per una volta.
A ciò, il ragazzo scosse la testa divertito, decidendo di accontentarlo. – Mi sono sempre chiesto se tu sapessi già a cosa saremmo andati incontro quando hai deciso di unirti a noi, in questo viaggio.
A tali parole, Ephram si voltò a guardarlo, studiandolo. – Sono uno stregone. Consulto quotidianamente il nostro Signore per farmi dare uno strascico del suo potere, per permettermi di fare ciò che gli uomini non dovrebbero essere in grado di fare. È normale che tu te lo chieda.
- Non la pensiamo allo stesso modo riguardo ciò che l’uomo dovrebbe essere in grado di fare.
- È questo quello che mi ha sempre affascinato di te, Blake, ciò che mi ha spinto ad unirmi a voi – ammise lo stregone. – La tua visione e il tuo approccio individualista e miscredente nei confronti del mondo non smetteranno mai di attirarmi. Tuttavia, per salvaguardare il mio rapporto con il nostro Signore, non posso permettermi di continuare ad affiancarti.
La strada che hai scelto di tracciarti sarà angusta e tortuosa: se vuoi perseguire a percorrerla , devi prendere consapevolezza del fatto che coloro che ti supportano potrebbero subire le tremende conseguenze dello starti accanto. Dovrai diventare dieci volte più furbo e scaltro e cento volte più bugiardo di quanto lo sei ora.
Ciò che mi domando è: sei pronto ad affrontare tutto ciò?
Saresti pronto a venire perseguitato a Bliaint per la tua miscredenza e fuori da Bliaint per essere sempre e comunque riconosciuto come servitore del Diavolo?
Blake non rispose, restando con gli occhi puntati nel vuoto, dinnanzi a sè.
- Vedresti te stesso più come Adamo o come il Diavolo? – ruppe il silenzio dopo un po’.
- Mi sembra ovvio. Il nostro Signore non ha fatto nulla di male quando si è ribellato ai dettami tirannici di Dio – gli rispose lo stregone voltandosi a guardarlo nuovamente, osservando i suoi occhi che non lasciavano trasparire più nulla. – Stai dicendo che tu ti vedresti più come Adamo?
Blake si prese qualche secondo prima di rispondere. – Il Creatore era orgoglioso di Adamo. Riflettendoci, non vi è molta differenza tra Adamo e il Diavolo, non sei d’accordo? L’unica differenza che riesco a trovare, è che uno è stato elevato a dio, mentre l’altro no – concluse puntando i suoi occhi fulgidi in quelli dello stregone, non lasciandogli il tempo di rispondere. – Selma mi ha raccomandato di fare attenzione quando torneremo a Bliaint. Dice che potrebbero attenderci spiacevoli sorprese. Cosa ne pensi tu, a riguardo? Sai cosa troveremo quando torneremo nel nostro villaggio?
La conversazione tra i due venne interrotta dal ritorno di un Quaglia stravolto, appagato e inebetito.
Sembrava quasi un uomo nuovo quando prese posto nella sedia vuota alla sinistra di Blake.
- Già terminato? Siete stati veloci – commentò quest’ultimo.
- Dunque?? Com’è andata? – gli domandò Ephram senza perdere tempo.
- È stato ... inspiegabile. Splendido .. – rispose con sguardo trasognato che, pian piano, tornò alla realtà.
- Visto? Che ti dicevo? Dovresti ringraziarmi almeno dieci volte per avertelo fatto fare.
Prendendolo in parola, Quaglia cominciò: – Ti ringrazio, ti ringrazio, ti ringrazio, ti ringra-
- Non interpretare letteralmente tutto quello che ti viene detto – lo interruppe Blake rimproverandolo, roteando gli occhi al cielo mentre Ephram se la rideva.
- Credo che un po’ mi dispiaccia, che il nostro viaggio sia giunto al termine – commentò lo stregone.
- Ammetto che sei stato un compagno di viaggio meno detestabile di quanto credessi – confessò Blake, sorridendo a sua volta.
- Il “leggendario” Even Blake sta ammettendo di aver tratto delle conclusioni affrettate??
- Taci, Ephram, non lo ripeterò di nuovo.
- Non avete ancora risposto ad una delle mie domande – riattirò la loro attenzione Quaglia.
- Quale domanda?
- Quale dei due signori servite voi due? Blake ha detto che avrei dovuto dedurlo autonomamente, ma non l’ho ancora compreso.
A ciò, Blake fece vagare lo sguardo per tutto l’affollato e rumoroso salone, fin quando i suoi occhi non si posarono su un dipinto appeso ad una delle pareti. In esso era raffigurata la cacciata del Diavolo dal cielo, e la sua discesa sottoterra, rappresentando il Demonio nella sua forma più bestiale: delle corna enormi e appuntite spuntavano dalla testa ferina dell’enorme e mostruosa creatura dal corpo animalesco coperto di peli, le fauci tremende e minacciose spalancate, le zampe piene di artigli che cercavano con tutte le forze di aggrapparsi alla terra che lo stava gradualmente inghiottendo come una madre divoratrice, rivolte verso l’alto, verso il Padre, il quale imperava su di lui rabbioso, imponente e spietato.
L’Angelo più bello di tutti.
Il più amato da Dio.
- Lui – rispose Blake alla domanda, indicando la bestia dipinta. – È lui che serviamo.
Quaglia rimase sorpreso da quella risposta, quando i suoi occhi si posarono sull’orrenda creatura. – E perchè avete scelto di servire lui?
- Non lo abbiamo scelto.
Devi sapere che vi sono due scuole di pensiero, mio caro amico: una di queste crede che tutti gli uomini nascano imperfetti, senza possibilità di redenzione, innatamente macchiati dal peccato commesso dal primo uomo, Adamo. Per tale motivo gli uomini avrebbero bisogno della costante assistenza di una divinità al loro fianco, un volere superiore al quale chiedere perdono per un errore mai davvero commesso. L’altra scuola di pensiero, invece, ritiene che, quando veniamo al mondo, la nostra anima sia pura, immacolata, e che siano solo le nostre singole azioni a renderci peccatori o no; rendendo, in tal mondo, l’esistenza di una forza superiore all’uomo totalmente superflua, inconsistente – terminò Blake.
Ephram continuò ad osservarlo in silenzio, con sguardo atono, mentre la curiosità sul volto di Quaglia cresceva sempre più.
- Dunque no – confermò Blake. – Non l’abbiamo scelto.
Il primo giorno, Dio creò la terra, separando la luce dalle tenebre.
Il secondo giorno, Dio creò il cielo che avvolge la terra.
Il terzo giorno, Dio creò piante e frutti, separando le acque dalla terra.
Il quarto giorno, Dio creò il sole, la luna e le stelle.
Il quinto giorno, Dio creò gli animali.
Il sesto giorno, Dio creò l’uomo e la donna, facendoli a sua immagine e somiglianza.
Il settimo giorno, Dio trovò pace, restando ad ammirare il suo operato, certo che tutti i prodotti della sua mano suoi sarebbero rimasti, in eterno.
 
Quando giunsero a Bliaint, era notte inoltrata.
Preferendo aspettare l’alba e non volendo svegliare e spaventare i suoi genitori nel sonno, Blake decise, tuttavia, di incontrare l’unica persona la cui mancanza era stata in grado di paralizzarlo e di spingerlo ad andare avanti allo stesso tempo, lottando con tutte le sue forze per tornare da lui.
Disse ad Ephram e a Quaglia di aspettarlo nel bosco, mentre lui si dirigeva nella propria casa furtivo e silenzioso come un ladro. Riuscì ad aprire la porta chiusa con una tecnica astuta che avave appreso, ed entrò felino, lasciando la porta semiaperta dietro di sè, già pronta per quando sarebbe uscito.
Si diresse verso la camera di suo fratello, trovandola vuota.
A ciò, memore di tutte le volte in cui Ioan si fosse addormentato sulla poltrona dinnanzi al camino, tornò verso l’entrata, trovandolo, come si aspettava, sdraiato sulla poltrona, beatamente addormentato.
Il suo cuore perse un battito non appena si rese conto che, nonostante il buio pesto, il colorito di suo fratello sembrasse molto migliorato, così come il suo corpo magro ai limiti dell’umano aveva preso consistenza.
Come sperava, dopo aver creato quel ciondolo alla Mandragora e averglielo donato, suo fratello aveva sconfitto il suo malanno.
Si inginocchiò di fianco a lui, osservandolo dolcemente e prendendo ad accarezzargli delicatamente la guancia e i sottili capelli chiari.
- Christopher ... – sibilò con un fil di voce, vedendolo muoversi nel sonno ed emettere qualche parola confusa.
- Mmmm – mugugnò il bambino accucciandosi ancor di più verso la mano di Blake, inconsapevole. – Sto sognando...? Sto sognando ...
Blake sorrise ancora, continuando ad accarezzarlo. – Christopher ...
- Sento persino la tua voce ... e il tuo odore ...
- Sono qui, Christopher. Sono davvero qui ... – gli sussurrò, vedendolo sbattere lentamente le palpebre, aprendole gradualmente, per realizzare chi si trovasse realmente di fianco a lui.
Christopher Ioan spalancò gli occhi non appena si rese conto che egli fosse reale. – Even ... sei tu ... sei qui ...
- Ehi, combattente ... – lo salutò sorridendogli raggiante. – Sì, sono qui ...
- Credevo non saresti più tornato da me ... credevo mi avresti lasciato solo ... volevo venire a cercarti – balbettò con voce rotta, tremando, saltandogli addosso per abbracciarlo, lasciandosi stringere e inglobare a sua volta.
- Non pensare mai più una cosa simile – gli disse deciso Blake carezzandogli la schiena per calmarlo. – Tornerò sempre da te. Non credere mai il contrario, Christopher.
Il bambino si lasciò andare alle lacrime, sfogandosi in silenzio, inzuppando il mantello di suo fratello che continuò a stringerlo rincuorato, con gli occhi lucidi.
Restarono stretti l’uno all’altro per un tempo indefinito, fin quando, improvvisamente, un rumore provienente dalla porta della casa a qualche metro da loro li attirò, spingendoli a catapultare gli occhi verso l’origine di quel rumore.
Una terza presenza era appena entrata in casa, una giovane serva del Creatore che, esterrefatta alla vista di Blake, per la sorpresa aveva lasciato cadere a terra uno dei cestini colmi di cibo che aveva in mano, mentre l’altro, in bilico sull’altra mano, rischiava di precipitare a terra a sua volta, provocando ancor più rumore del primo.
A ciò, Blake si avvicinò a lei lentamente, facendole segno di fare silenzio con la mano, per poi prenderle il cestino di viveri dalle mani e poggiarlo sul tavolino con calma.
Una serva del Creatore dal viso stranamente familiare stava portando provviste in casa sua nel cuore della notte, realizzò.
La ragazza, dal canto suo, rimase a fissarlo, ancora sconvolta di trovarselo davanti, in carne ed ossa, prendendo coscienza di essere probabilmente l’unica a sapere del suo improvviso ritorno, per pura casualità, insieme al ragazzino che li guardava dalla poltrona. Cercò di schiarirsi la voce il più silenziosamente possibile e di tornare in sè. – Mi dispiace di aver fatto rumore e di essere entrata in casa vostra senza permesso ... - sussurrò.
- Non scusatevi.
- Stavo portando viveri a tutte le famiglie di questa zona, ma si è fatto tardi, così ho cominciato a lasciare solo alcuni alimenti davanti ad ogni porta chiusa, per non svegliare i proprietari delle case. Tuttavia, quando sono giunta qui, ho trovato la porta semiaperta, così ho deciso di entrare ... – si giustificò ancora.
- Io vi ho già vista – realizzò lui, ricordando quando l’avesse incontrata.
Ella annuì distogliendo lo sguardo. – Non svegliate i vostri genitori...?
- Li lascerò dormire. Si troveranno una bella sorpresa domani mattina – le rispose, riattirando l’attenzione di lei su di sè. – Io sono Even Blake – si presentò, memore di non averlo fatto quando si erano conosciuti nella cattedrale del Creatore.
- Conosco già il vostro nome – gli rispose la ragazza accennandogli un lieve sorriso. – Geenie Hinedia. Onorata di fare la vostra conoscenza. 
 
 
   
 
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