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Autore: Mariam Kasinaga    10/04/2021    3 recensioni
La bambina cadde a terra, con la faccia nella neve. Sentì una fitta gelata compirle le labbra, gli occhi ed il naso. Voleva rialzarsi, desiderava almeno riparare il viso dal freddo, ma il suo corpo intorpidito rimaneva immobile.
Storia partecipante al contest: I due lati della neve indetto da LuceV sul forum di EFP
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Neve rossa

Anya continuava a correre, nonostante la neve le arrivasse quasi al ginocchio; correva e correva, senza avere il coraggio di voltarsi indietro, costeggiando il grande lago ghiacciato. Le sue gambe sembravano muoversi come dotate di forza propria, incuranti della difficoltà di procedere attraverso la coltre di neve fresca.
Piccoli fiocco idi neve scendevano pigramente dal cielo plumbeo, posandosi sul suo mantello.
Gli  Opricniki erano comparsi all’improvviso nel cuore della notte, in sella ai loro cavalli neri. Anya e sua madre eran stai svegliati dalle grida dei loro compaesani: si erano vestite in fretta e si erano precipitate fuori casa.
Nel villaggio regnava il caos: i soldati dello zar avevano cominciato ad incendiare le prime abitazioni, alcuni di loro entravano nelle case e ne portavano fuori a forza gli abitanti, trapassandoli con la spada.

La neve si tingeva di rosso, mentre gli Opricniki continuavano nella loro opera di devastazione.
Anya stinse la mano a sua mamma: “Perchè ci attaccano? Cosa dobbiamo fare?” balbettò incredula.
La donna si inginocchiò davanti a lei: “Ascolta bambina mia. Devi scappare da qui, verso il lago. Devi continuare a camminare senza voltarti indietro, hai capito? Io sarò sempre con te” aggiunse, dandole un bacio sulla fronte e facendole un cenno concitato di andare.

La bambina cominciava ad essere stanca; aveva freddo e sentiva le estremità intorpidite.
Le era sempre piaciuta la neve: si divertiva spesso con i suoi amici a realizzare pupazzi di neve e, con l’aiuto degli adulti, una volta erano riusciti a costruire un piccolo igloo.La neve che aveva tanto amato, però, si stava trasformando in una trappola mortale.
Anya si fermò, cercando di prendere fiato. Voleva voltarsi indietro, verso casa, ma sapeva che ormai il villaggio era nascosto alla vista dalla collina su cui si era appena inerpicata.
Sua mamma le aveva parlato spesso degli Opricniki: diceva che erano degli uomini malvagi, dei demoni che eseguivano gli ordini dello zar senza provare alcuna pietà né compassione.
Anya aveva sempre creduto che quelli fossero soltanto racconti per bambini, favole per ricordare loro di comportarsi bene, se non volevano essere rapiti da quei soldati diabolici e portati lontano.

Le spalle della bambina vennero scosse da numerosi singhiozzi, mentre le lacrime cominciavano a scorrerle lungo le guance, senza che lei potesse fare nulla per fermarle. Si inginocchiò a terra, affondando nella neve e si prese il volto tra le mani.
Piangeva sommessamente, cercando di non far rumore, temendo che da un momento all’altro comparissero quei mostri per farle del male.
Intorno a lei regnava il silenzio: i fiocchi di neve attutivano qualsiasi rumore e, solo se aguzzava l’udito, riusciva a sentire qualche suono indistinto provenire dal villaggio. Non aveva un posto dove andare, era sola e non sapeva cosa fare. Il lago era ancora lontano e non sapeva se il vecchio pescatore l’avrebbe accolta.
Lei e sua madre, in estate, andavano dal vecchio Ivan quasi ogni settimana, per comprare il pesce fresco. Anya adorava il pescatore: l’uomo era sempre sorridente e la faceva spesso giocare con la sua folta barba bianca. Ogni tanto le regalava dei giocattoli, piccoli animali che intagliava personalmente nel legno.
Quei ricordi la fecero sorridere, anche solo per un momento. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e si alzò, stringendosi nel mantello e riprendendo a camminare.

Anya aveva cominciato a costeggiare il lago, una fredda ed immobile lastra di ghiaccio che si estendeva al suo fianco.
Le sembrava di camminare da giorni, aveva le mani gelide nonostante tentasse di scaldarle sotto il mantello e camminare era sempre più difficile; si sentiva come se, all’improvviso, le sue gambe avessero deciso di non ascoltarla più, di muoversi in modo scomposto come se fosse una bambola rotta.
La bambina cadde a terra, con la faccia nella neve. Sentì una fitta gelata compirle le labbra, gli occhi ed il naso. Voleva rialzarsi, desiderava almeno riparare il viso dal freddo, ma il suo corpo intorpidito rimaneva immobile.

Perché nessuno l’aiutava? Perché sua mamma o il vecchio Ivan non la salvavano, portandola in un posto caldo e all’asciutto?

Anya si appallottolò nel mantello: sua mamma aveva detto che sarebbe stata sempre con lei. Avrebbe seguito le sue impronte nella neve, l’avrebbe trovata e l’avrebbe portata fino alla casa del pescatore, dove sarebbero state entrambe al sicuro.
Sì, sarebbe andato tutto bene, pensò Anya prima di chiudere gli occhi e concedersi del riposo.

   
 
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