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Autore: Baudelaire    10/04/2021    4 recensioni
Rebecca Bonner sta per tornare ad Amtara, per il suo secondo anno.
Questa storia è la continuazione della mia precedente "La stella di Amtara".
Cuore di ghiaccio diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un caldo pomeriggio d’agosto e il termometro sfiorava i trentacinque gradi. La barca scivolava leggera sulla superficie del mare, liscia come seta.
Le due ragazze remavano piano, in direzione del mare aperto. La costa, dietro di loro, appariva frastagliata e sfuocata, sotto gli implacabili raggi del sole.
“Non è che ci stiamo allontanando troppo?” – chiese la ragazza mora.
“Non avrai mica paura?” – la canzonò l’altra, con un lampo di malizia negli occhi.
“Certo che no! Ma comincio ad essere stanca. Non possiamo fermarci qui?”
Rebecca Bonner depose i remi e lanciò un’occhiata alla costa, schermandosi gli occhi con una mano.
“Mmm… sì, penso di sì.” – rispose, alzandosi per gettare l’ancora.
Elettra Gambler era arrivata tre giorni prima.
Si erano conosciute alla Scuola di Protezione per Streghe Bianche Prescelte “Amtara”, un anno prima.
Come tutte le studentesse di Amtara, le due ragazze non erano Streghe Bianche comuni. Erano chiamate “Prescelte” perché possedevano il dono dell’Antiveggenza, cioè delle Premonizioni.
Proprio questa loro particolarità aveva indotto la presidentessa del Consiglio Superiore di Stregoneria Bianca, Calì Amtara, ad istituire una scuola, che avrebbe portato il suo nome, che formasse ed addestrasse le Prescelte a difendere dalle Streghe Nere i Protetti, cioè i figli di Streghe Bianche e Stregoni.
Le Streghe Nere miravano allo sterminio dei Protetti e agivano per conto di Posimaar, chiamato anche Demone Supremo, che le aveva riportate in vita nonostante, anni prima, le Streghe Bianche le avessero sconfitte durante la Guerra dei Due Mondi.
Nessuno era a conoscenza del motivo per il quale il Demone intendesse distruggere il mondo della Magia Bianca, ma proprio l’anno prima Rebecca era venuta a sapere dal suo professore di Gestione Antiveggenza, Gustav Cogitus, rivelatosi poi spia ed alleato di Posimaar, che il Demone Supremo la stava cercando per ucciderla.
Rebecca non ne conosceva il motivo, ma era stata costretta a fare i conti con la realtà. Se il Demone voleva lei, presto o tardi avrebbe dovuto affrontarlo faccia a faccia.
Aveva paura, naturalmente. Ma sapeva di non avere scelta.
Da allora, la sua vita aveva assunto un nuovo significato. Solo un anno prima, Rebecca si sarebbe lasciata sopraffare dalla disperazione. Ora, invece, guardava avanti, cercando di vivere il presente come meglio poteva. E aveva deciso di relegare le preoccupazioni in fondo ad un cassetto e godersi le meritate vacanze estive. A tutto il resto avrebbe pensato a tempo debito.
Aveva invitato Elettra a trascorrere qualche giorno nella sua casa sull’oceano, Villa Bunkie Beach, una grande costruzione antica, eredità dei suoi genitori, che dominava la collina sopra la spiaggia da cui prendeva il nome.
Rebecca aveva sempre vissuto lì con sua madre, Banita. Suo padre, lo Stregone Anshir, era morto quando lei aveva solo due anni e l’unico ricordo che Rebecca aveva di lui erano alcune foto racchiuse in un album di famiglia.
Banita era morta pochi mesi prima che Rebecca fosse ammessa ad Amtara e, da quando aveva cominciato a frequentare la scuola, Rebecca vi trascorreva solo le vacanze estive.
Al termine dei tre anni di studio, come tutte le Prescelte, Rebecca sarebbe stata assegnata ad un Protetto e Villa Bunkie Beach sarebbe rimasta vuota.
Il solo pensiero le provocava una fitta allo stomaco. Non era facile rassegnarsi all’idea di dover abbandonare per sempre la casa dove aveva vissuto i momenti più felici della sua vita.
Forse anche per questo, Rebecca era felice di ospitare Elettra. A volte quella casa le sembrava troppo grande e silenziosa per lei e il pensiero di avere qualcuno con cui condividere le sue giornate di vacanza le riempiva il cuore di gioia.
Non aveva mai ospitato nessuno a Villa Bunkie Beach e si era data un gran daffare per mettere in ordine e tirare a lucido la casa, fatica premiata dalle molteplici lodi espresse da Elettra dopo il suo arrivo.
Trascorsero i primi due giorni ad oziare in spiaggia. Elettra, che non era mai stata al mare, si crogiolava al sole come una lucertola. La pelle candida di Rebecca, purtroppo, non le permetteva di esporsi troppo a lungo al sole, senza l’inevitabile comparsa di fastidiosi eritemi che le causavano un tremendo prurito. Si cospargeva il corpo di crema solare, riparandosi il viso con un grande cappello di paglia e osservava, con una buona dose di invidia, Elettra, che non batteva ciglio sotto gli impietosi raggi del sole.
Il terzo giorno Elettra aveva espresso il desiderio di noleggiare una barca. Le previsioni annunciavano una giornata torrida e Rebecca aveva tentato di dissuaderla, proponendo di rinviare la gita ad un giorno meno caldo. Ma Elettra aveva tanto insistito che, alla fine, Rebecca era stata costretta a cedere, premurandosi di prendere tutte le precauzioni per ripararsi dal sole.
Mentre Rebecca gettava l’ancora, Elettra depose i remi e si sdraiò a prua.
Restarono in silenzio per un po’, cullate dalle onde e accarezzate da un vento leggero che alleviava solo in minima parte la calura. Quando il caldo si fece insopportabile, si tuffarono in acqua e nuotarono a lungo, senza mai allontanarsi troppo dalla barca.
“Dove passerai il resto delle vacanze?” – le domandò Rebecca quando furono risalite a bordo, sdraiandosi accanto a lei.
“Dalla nonna.”
Rebecca corrugò la fronte. “Credevo fosse morta.”
“Cosa? Oh no, non lei. L’altra. Vado a stare dalla mamma di papà.”
Lo scorso Natale Rebecca aveva scoperto che i genitori di Elettra erano separati. Sua nonna, che si era sempre presa cura di lei, era venuta a mancare. Per questo, Elettra trascorreva le vacanze natalizie a scuola. Rebecca fu lieta di sapere che c’era un’altra persona, in famiglia, che potesse aver cura di lei. I suoi genitori pareva avessero sempre di meglio da fare che occuparsi della figlia.
“Ricordi la bionda che stava con mio padre?”
Rebecca annuì. Come avrebbe potuto dimenticarla? L’anno prima, quando Elettra, insieme ad altre Streghe, era stata rapita dal professor Cogitus, suo padre si era presentato a scuola con la sua compagna, una bionda in minigonna che era stata la causa di un’imbarazzante discussione tra lui e la sua ex moglie, cui avevano assistito la preside e altre persone, tra cui la stessa Rebecca.
“L’ha mollato.” – annunciò Elettra, in tono piatto.
Rebecca sgranò gli occhi, mettendosi a sedere. “Cosa!?”
“Già.”
“E come mai?”
Elettra si alzò a sedere e cominciò a giocherellare distrattamente con il bordo dell’ asciugamano.
“Non ne ho idea. Papà si tiene per sé certe cose. Ma è molto cambiato, da allora. Mi chiama quasi ogni giorno. All’improvviso, si è ricordato di avere una figlia.”
Rebecca avvertì un’amara ironia in quelle parole e la cosa non la stupì. Da quando si erano separati, i genitori di Elettra l’avevano completamente ignorata, come se la fine del loro matrimonio avesse significato, per loro, anche la fine delle responsabilità nei confronti della loro unica figlia.
Rebecca era orfana, ma i suoi genitori l’avevano amata smisuratamente. Era crudele che ci fossero genitori tanto insensibili e indifferenti. Elettra non meritava di soffrire in quel modo.
“Dovrei essere contenta delle sue attenzioni.” – continuò Elettra. “Ma non posso fare a meno di chiedermi cosa accadrà il giorno in cui troverà un’altra donna.”
Rebecca cominciò a spalmarsi una generosa dose di crema solare sulle gambe. “Magari non accadrà.”
“Magari sì.”                     
Elettra sospirò, guardando il mare. “Sono stanca di soffrire.”
Rebecca non rispose. Si pentì di aver cominciato quella conversazione. L’ultima cosa che voleva era rattristare Elettra.
“Facciamo un altro bagno?” – propose.
Elettra scosse la testa.  “Se non ti spiace, preferirei tornare indietro.”
“Come vuoi.”
Rebecca levò l’ancora e, in silenzio, ripresero a remare verso riva.
 
Quando rientrarono in casa, l’umore di Elettra era decisamente migliorato. Evidentemente, l’esercizio fisico le aveva giovato, nonostante la fatica e il gran caldo.
Rebecca prese mentalmente nota di non affrontare più l’argomento. In fin dei conti, Elettra era lì per divertirsi e lei aveva tutte le intenzioni di rendere il suo soggiorno il più piacevole possibile.
Cucinarono arrosto con patate e cenarono in veranda, guardando il sole calare all’orizzonte.
Ad un certo punto, Rebecca si accorse che Elettra la stava fissando in modo strano.
“Che c’è?” – le domandò.
Elettra esitò. Aveva riflettuto molto, chiedendosi se fosse o meno il caso di affrontare l’argomento.
“Allora?” – la incalzò Rebecca.
“Stavo pensando al tuo Potere.”
“Ah.” Rebecca depose la forchetta e si pulì la bocca con il tovagliolo.
“Ti dà fastidio se ne parlo?”
“No. La tua curiosità è più che lecita.”
Sotto lo sguardo di Rebecca, Elettra arrossì.
Ma Rebecca non era arrabbiata. Sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi.
L’anno prima, Rebecca era caduta nel tranello del professor Cogitus e aveva raggiunto il nascondiglio dove questi teneva prigioniere Elettra e altre compagne, una caverna nel cuore della foresta. Con l’aiuto del professore di Storia della Stregoneria, Joseph Garou, era riuscita ad uccidere Cogitus e liberare le ragazze. Ma Garou aveva riportato gravissime lesioni nello scontro con Cogitus, trasformatosi in lupo mannaro e, per poterlo salvare, Rebecca era stata costretta ad usare il suo Potere davanti alle compagne.
Rebecca aveva un marchio di colore blu, a forma di stella, sul polso destro, che le permetteva di Spostarsi da un luogo all’altro semplicemente toccandolo. Era un Potere che apparteneva alla sua famiglia e che nessun’altra Strega Bianca possedeva. Era stato così che aveva portato immediatamente Garou in infermeria, salvandogli la vita.
Elettra, come le altre, li aveva visti sparire all’improvviso, senza capire. Solo successivamente era venuta a sapere che si trattava di un Potere speciale, che solo Rebecca possedeva. Le uniche due persone a conoscenza di questo segreto erano Brenda e Barbara Lansbury, due gemelle, amiche intime di Rebecca, che dividevano la camera con lei ad Amtara.
“In realtà, non c’è poi molto da dire.” – disse Rebecca, con noncuranza.
“Come l’hai scoperto?”
Rebecca cominciò a raccontare del giorno in cui, in punto di morte, sua madre le aveva rivelato questo segreto e di come, successivamente alla sua morte, avesse cominciato ad usarlo.
“Incredibile!” – esclamò Elettra. “E Brenda e Barbara, da quanto tempo lo sanno?”
“Più o meno dall’inizio dell’anno. E’ successo dopo una discussione, un pomeriggio sul fiume. Non so perché l’ho fatto. Credo di essermi sempre fidata molto di loro, così, a pelle. E poi, è stato un gran sollievo per me poterne parlare con qualcuno.”
“E la Collins?”
Rebecca fece una smorfia. “L’ha saputo alla fine dell’anno, come tutti gli altri. Dopo che avevo portato in salvo Garou.”
Elettra spalancò gli occhi. “Vuoi dire che per tutto l’anno lei non ne ha saputo niente?”
“E perché avrebbe dovuto, scusa?” – sbottò Rebecca, irritata. “In fin dei conti, questa è una cosa che riguarda solo me. Non ha niente a che vedere con lei o con Amtara.”
Elettra non rispose. Non era molto d’accordo con questa affermazione. Dopotutto, Rebecca era una Prescelta e tutto ciò che la riguardava includeva anche Amtara. Ormai il loro destino era legato a quella scuola, che a loro piacesse o meno.
“Dev’essere andata su tutte le furie quando lo ha scoperto.” – osservò.
“Non era molto contenta, in effetti.” – ammise Rebecca.
Evitò di aggiungere che la preside le aveva proibito categoricamente di usare di nuovo il suo Potere a scuola, per tenerla al sicuro da Posimaar. Il fatto che il Demone Supremo stesse cercando di ucciderla era qualcosa che preferiva tenere per sé. Era già tanto che ne fossero a conoscenza le gemelle e la Collins. Del resto, non era certo qualcosa da sbandierare impunemente ai quattro venti.
“Però è strano..” – cominciò Elettra, pensierosa.
Rebecca bevve un altro sorso di vino. “Cosa?”
“Il fatto che tu, una Prescelta, abbia un altro dono, oltre a quello delle Premonizioni. Non so, è come se… come se ci fosse un significato nascosto.”
Rebecca inarcò un sopracciglio. “Cosa intendi?”
Elettra alzò le spalle. “Che sei diversa da tutte noi.”
Rebecca non rispose.
Elettra continuò a mangiare, mentre Rebecca, dopo quelle parole, aveva perso improvvisamente l’appetito.
Lei era diversa da tutte le altre Prescelte, possedeva un dono che nessuna di loro aveva. Solo sua madre Banita aveva la stessa identica voglia a forma di stella sul polso. Cosa poteva mai significare tutto questo? C’era davvero un collegamento tra lei e il Demone Supremo? Per questo lui la stava cercando per ucciderla? Rebecca aveva forse qualcosa che Posimaar bramava con tutte le sue forze? E se il filo conduttore tra di loro fosse proprio il suo Potere? Ma in che modo quella piccola stella avrebbe potuto legarla ad un Demone tanto potente quanto mostruoso?
Posimaar si era rivelato un essere senza scrupoli, nato per distruggere la Magia Bianca. Non aveva esitato ad assoldare un’orda di Streghe Nere per uccidere i Protetti e le Prescelte e non aveva faticato molto per trovare qualcuno come il professor Cogitus, disposto a mettersi al suo servizio per compiere i suoi malvagi fini. Cogitus aveva ucciso due Gnomi e rapito quattro Streghe, solo per arrivare a lei. Quale disegno perverso e terribile aveva portato il Demone a spingersi a tanto, solo per distruggere Rebecca Bonner?
“Non mangi più?” – le chiese Elettra, riportandola bruscamente alla realtà.
Rebecca si alzò. “No. Vado a fare il caffè.”
Si allontanò in fretta, per nascondere il suo turbamento.
 
Elettra si fermò a Villa Bunkie Beach per un’intera settimana. Dopo la gita in barca, si dedicarono a lunghi giri in bicicletta e, su insistenza di Elettra, ad una gita al luna park, che evocò in Rebecca spiacevoli ricordi.
La scorsa estate, durante una delle sue esercitazioni per imparare a padroneggiare il suo Potere, Rebecca aveva commesso un terribile errore. Senza sapere come, si era Spostata su un ottovolante in corsa. Per fortuna, era finita sul sedile all’ultimo posto e nessuno si era accorto di niente. Si era aggrappata con tutte le sue forze alle protezioni, cercando di non urlare. Rebecca odiava i luna park e aveva un terrore folle della velocità. Aveva atteso, pazientemente, che la giostra si fermasse e aveva impiegato un bel po’ per riprendersi dalla brutta esperienza.
L’aveva raccontato solo alle gemelle, scatenando l’ilarità di Barbara, cosa che le aveva provocato una certa irritazione, ragione per la quale evitò di raccontare l’episodio anche ad Elettra. Quando questa la invitò a salire sulle montagne russe, addusse come scusa un leggero malessere. Elettra, allora, propose di tornare a casa, ma Rebecca disse che non era il caso. Non voleva certo rovinarle la giornata. Così andò a sedersi, restando a guardare Elettra che saliva da sola e se la godeva un mondo tra avvitamenti e giri della morte.
Alla fine della settimana Elettra ripartì e la casa tornò vuota e silenziosa. Ma Rebecca non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi sola. I genitori di Brenda e Barbara l’avevano invitata nella loro casa in montagna e Rebecca aveva promesso di informarli, non appena Elettra fosse ripartita.
Il lunedì mattina li avvisò, annunciando il suo imminente arrivo.
Dopo aver trascorso un’intera giornata a preparare la valigia, il mattino seguente Rebecca chiuse Villa Bunkie Beach e si avviò in stazione per prendere il diretto delle nove, che l’avrebbe portata a destinazione poche ore dopo.
   
 
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