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Autore: Alarnis    10/04/2021    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 25 Il mio obbiettivo

 
“Voglio la verità prima che sia tardi!” lo mise letteralmente spalle ad un albero Braccioforte. Moros sudò freddo sentendosi in trappola; nella schiena marchiate le venature della corteccia.
La mano di Braccioforte sul suo torace, come un ariete premuto su di un portone, gli impediva quasi di respirare per la compressione a cui sottoponeva il suo fisico.
“Non voglio tu corra pericoli inutili. Lo stesso vale per tuo cugino, chiunque lui sia.”. Lo sguardo di Braccioforte confermava avesse intuito non fosse un servo o a patto lo fosse, ci fosse dell’altro, tanto da renderlo di valore per Gregorio.
Nonostante questo, Moros tacque: le sue labbra serrate.
Il soldato lo fissò negli occhi, per poi ammettere comprensivo “E’ dunque così importante da non rivelare la verità!”.
Lui annuì, ma gli costò fatica farlo.
“Se è così portalo via da Rocca Lisia e non seguire i progetti di Ludovico.” disse dettandogli la priorità di non concedersi altri incarichi, neppure provvisori o tamponatori.
L’amico diminuì la presa “Non perdere il tuo obbiettivo!” consigliò da soldato. “Ludovico cerca eroi ma non baderà ai tuoi interessi. Anzi è probabile li calpesterà! Tu stesso gli hai dato una carta da giocare, muovendoti come un pivellino!” disse inclemente.
Moros restò nuovamente muto, arido di parole, ferito nell’orgoglio, tuttavia rilassando le spalle indolenzite, ora meno costrette.
“E’ un delitto credere nell’affetto e, che per gli altri valga altrettanto?” confidò il proprio animo. L’amico lo lasciò definitivamente, solo dicendo con voce buona e leale “No. Affatto.”: lui le condivideva, ma non era così per tutti.
Braccioforte lo lasciò e si sedette stanco, a terra, nello steso posto in cui l’aveva aggredito “Ti capisco.”.
Moros fece altrettanto, sedendosi a terra, rivelando “Io sono sempre stato solo o meglio mi sono sempre sentito tale.” ma sapeva non fosse una giustificazione sufficiente per il vecchio soldato. “Ho avuto una madre, ma come ti ho detto, non s’è mai curata di me e dei miei tanti fratellastri. Un po’ mi spiace parlare di lei così, povera donna…” sviolinò con lui. Si morse il labbro “Forse, se avessi avuto un padre sarebbe stato diverso. Sarebbe stato diverso per tutti.” disse con voce fiacca, leale verso i propri familiari.
“Fu quando Nicandro arrivò da noi, che capii che potevo riuscire ad essere il punto di riferimento di qualcuno, pur essendo io stesso alla deriva. Con Nicandro mi risultò facile.”.
Braccioforte ascoltò. “Fosti bravo, allora.” lo sostenne ed un accenno di sorriso gli alzò leggermente le guance. “Io… Io. Noi” parve scusarsi con la memoria della propria Betta “Abbiamo avuto due figli.” lo stupì, confidandosi.
“Maschi!” disse con orgoglio.
Braccioforte sospirò.
“Gli abbiamo persi.” rivelò crudo “Oliviero di malattia ancora in fasce. Goffredo…” continuò “Un soldato. Per una ferita che s’infetto.” increspò le labbra fino a dire la verità “Bevo, alle volte, per sentirli vicini… Tutti e tre.” disse sensibile e gli occhi parvero cedere a un moto liquido che tuttavia non sgorgò.
Silenzio.
“E di tuo padre sai nulla, ragazzo?”.
Moros parve rifletterci, la mano al mento “Ricordo un giorno… ci fu un uomo da Matilda. Ben vestito. Lei lo accolse come un buon amico e mi chiamò. Disse che gli somigliavo, ma ero piccolo e non ci feci caso, pur incuriosito.” ammise. “Più grande chiesi notizie su mio padre, ma lei negò di non sapere nulla se non del suo viso e dei suoi attributi.” rise un po’ imbarazzato di parlare apertamente del tenore su cui vertevano i giudizi di sua madre.
Braccioforte sorrise, arruffandogli la testa bruna per smorzare il suo disagio; scomponendogli il ciuffo frontale.
“Ti sei fatto eroe di qualcuno! Ti fa’ onore.” non lesinò le parole, dandogli conforto.
“Come ti ho detto fu anche merito del carattere di Nicandro!” scherzò modesto delle lodi ricevute, mentre nel suo cuore affioravano mille ricordi che lo vedevano assieme al cugino e il suo viso prendeva ad illuminarsi.
“Scommetto che non ha il tuo!” ammise Braccioforte con volto disteso e tono ironico.
“Per questo andiamo d’accordo!” scherzò lui, poi quasi in sberleffo confidò “Faceva bene anche a me avere qualcuno accanto.”: avere il cugino tra le braccia lo faceva sentire meno solo e quel respiro così sottile e rilassato riempiva la sua notte con la dolcezza di una musica.
Braccioforte si alzò di slancio, stupendolo. Gli allungò la mano per aiutarlo “Perciò datti da fare. Pensa solo al tuo obiettivo!” gli rammentò il precedente monito.
Moros si alzò annuendo, concedendogli la mano; una mano piccola in confronto a quella che sembrava di un gigante.
Il suo obbiettivo.
Quanti ricordi riaffiorarono in lui a quelle parole.
“E dai sbrigati! E’ possibile che non tieni mai il mio passo e resti sempre indietro?” e le infinite scuse del cugino, di camminata meno spedita della sua in zoccoli, forse troppo grandi di taglia, in cui incespicava.
Il sentiero sempre uguale, procedeva serpentino lungo la foresta che vi faceva da margine, mentre ragazzetto ripeteva mille raccomandazioni saputello.
“Non mangiare i funghi colorati di rosso, anche se sono belli.”.
“Se vedi forestieri, non ti fidare e starne alla larga.”.
E ancora, un guarnito repertorio frutto delle paranoie di Matilda o orecchiate dai suoi frequentatori: per carità, alcune legittime.
“Segui il sentiero. Non ti addentrare da solo nella foresta perché potresti incontrare il lupo…”.
Fece una pausa, mentre aspettava Nicandro.
“Perché altrimenti ti mangerebbe in un sol boccone!” ammoniva decisamente impertinente. Sì, perché il lupo avrebbe mangiato solo Nicandro. Lui, non poteva comparire altrettanto, nella lista delle vivande?
“Se procedi per la strada maestra sarai protetto…”.
“Dai taglia legna e dai cacciatori.” ripeteva a seguire Nicandro, prendendolo in giro: appuntando non ci fosse poi stata molta differenza, se il taglia legna in questione fosse stato Moros, ma concludendo a memoria l’epilogo da bravo allievo.
Così proseguivano lieti tra un “Aspettami!” e un altro.
“Se non ti sbrighi resterai nuovamente indietro!” argomentò nuovamente seccato.
Le gerle sulle spalle erano pesanti, ma quella di Moros decisamente più carica, larga e scomoda. Anche le sue spalle erano a pezzi, non faceva eccezione, eppure camminava!
Uno scoiattolo veloce era corso tra gli alberi, tra le fronde alte, veloce. La coda che sbucava e ne faceva intravedere i movimenti che si confondevano con lo sfondo bruno del fogliame. Una coda fulva e lunghissima, all’apparenza soffice e lanosa. Istintivamente Moros corse avanti al grido “Bellissimo! Uno scoiattolo!”.
Ristette. Immobile.
Intimò al cugino il silenzio col dito, solo bisbigliando “La regina del bosco.”.
Come un funambolo, una splendida volpe rossa se ne stava in equilibrio sopra alcuni tronchi d’albero caduti con in bocca un grosso e pasciuto roditore. Lo guardò con le iridi color ambra, quasi incuriosita.
Un corpo affusolato con zampe brevi. Il muso aguzzo con lunghe vibrisse sensoriali. I denti affilati e sporgenti che tenevano la preda in un morso deciso. Il pelo rosso arancio era brizzolato di scuro facendo risaltare la parte inferiore del muso bianca, con la tipica linea di demarcazione netta.
Attenta, teneva le orecchie triangolari dritte mentre la coda, lunga e folta, controbilanciava il corpo, concedendo un’immagine aggraziata.
Nonostante il rispetto reverenziale che provava, Moros sentì di promettere “Quella coda, ti terrebbe al caldo.”: l’estremità bianca che sembrava invitarlo.
“Potrebbe avere dei piccoli..” fu il veloce ammonimento di Nicandro.
Moros si sentì di poterlo ignorare; le spalle che si liberavano veloci della gerla, poggiandola cauto a terra; gli occhi alla volpe che continuava a fissarlo, rinsaldando il morso.
Scattò al medesimo scatto della volpe, rapido quanto lei sfuggente, accompagnato dalle proteste di Nicandro di lasciarla andare “Non è necessario!”.
“Se riesco ad acciuffarla potremo venderla!” gridò, sicuro di acchiapparla.
Aumentò il ritmo della corsa, respirando ampie sorsate d’aria a caricare i polmoni; le gambe che veloci si muovevano; i muscoli che gli davano slancio per tentare di gareggiare con l’agilità dell’animale.
La volpe svicolò tra gli alberi: polpastrelli scuri che picchiettavano e raschiavano veloci sottobosco, rocce e nodose radici affioranti.
“Ti prenderò!” urlò Moros, non demordendo nella caccia.
La perse di vista più volte, fortunatamente rintracciandola: il bianco esteso sul ventre e sul petto mentre si fermava quasi con curiosità ad attenderlo o forse solo per riposarsi. Finché non sparì dalla sua vista.
“Oh! Mi è sfuggita!” disse: il dispiacere dipinto in viso, mentre increspava con una smorfia le labbra. La foresta silenziosa, se non il cupo cadere delle ghiande da qualche albero che se ne liberava per non appesantirsi troppo.
Peccato! pensò.
“Sarà meglio tornare indietro.” si voltò ritornando sui suoi passi.
S’era addentrato un po’ più del dovuto nella foresta. Si sentì spaesato. La foresta sembrava tutta uguale attorno a lui e più buia nelle luci del tramonto imminente.
Si girò più volte per orientarsi prima di decidere da dove fosse arrivato. Faticò a ritornare sul sentiero.
La foresta era divenuta silenziosa.
“Nicandro?”.
Si girò su se stesso. A che altezza si trovava rispetto al cugino?
E ancora: “Nicandro?” urlò più forte. La sua mente che si chiedeva Perché non risponde? e subito s’irritava con tono leggermente più alto “Non fare scherzi!”. Un senso di panico l’aveva invaso.
Mise le mani a lato delle labbra, parallele, quasi potesse aumentare la forza della propria voce “Nicandro?”, ma già il suo tono vacillava per la tensione di non ricevere risposta. Tirò un’insolenza.
Prese un forte inspiro ed espirò l’aria per calmarsi e non cedere all’angoscia di correre a casa e uscire da quel buio che sembrava avanzare. Corse indietro sentendone finalmente la voce che lo chiamava e in risposta a quella voce aumentò la velocità della sua corsa.
“Non potevo abbandonarla. Hai fatto tanta fatica.” si giustificò il cugino con dispiacere di non essere riuscito a trasportare la gerla da solo, mentre tentava di smuoverla, trascinandola.
Moros lo abbracciò, tastandolo sul capo, sulle guance, alle spalle, sui fianchi a sincerarsi fosse reale, nonostante ne ricevesse il rimprovero “Ma che fai? Mi fai il solletico.”.
“No, perdonami tu, sono stato presuntuoso. Non dovevo lasciarti solo.” si sentì in dovere di scusarsi.
In quel momento, capì l’onestà delle parole di Braccioforte: Non perdere di vista l’obbiettivo. Doveva restare concentrato sui suoi affetti. Ludovico nella parte di un’insignificante volpe!
Quella volta non era stata l’unica in cui purtroppo aveva lasciato indietro Nicandro, ma non sarebbe più successo!
“Hai ragione!” si sentì in dovere di ringraziare Braccioforte del suo consiglio.
“Avevo effettivamente bisogno d’una boccata d’aria!” si scusò monello, le mani alla sommità del capo, mentre Braccioforte si scuriva in viso.
“Hai ragione. Il piano di Ludovico vacilla!” gli dette ragione l’amico.
“Non bastano dei contadini per fermare i soldati di un castello. Per certo non è sufficiente aprire un’armeria per dar loro ulteriori armi, sia pure grazie ad un passaggio segreto. Quanto del semplice vino.” sottolineò concludendo.
Semplice vino? rifletté Moros; nella mente le parole del rosso cavaliere Alberico. Potremo ripagare Zelio con la stessa moneta spesa contro re Iorio! quindi più che un proposito la certezza di attuare una simile vigliacca strategia.
Sentì nuovamente quella sgradevole sensazione di fastidio, nel trovarsi invischiato in un simile proposito. Gli parve superfluo e quasi da imbecille proporre all’amico “Non c’è un’altra strada per entrare?”; la sua voce coperta da un’altra: di donna.
“Heilà, voi della casa?”. Una richiesta impertinente che non sembrava rivolta a loro, schermati com’erano dall’ombra del capanno e dal fogliame che garantiva loro riparo.
Riconobbero entrambi quella voce, ma soprattutto quella rozza andatura quasi cavalcante: Malia.
Lui e Braccioforte si chinarono rapidi, nascondendosi, silenziosi.
“Cosa ci fa qui, quella donna?” sbottò Moros ricordando quanto l’aveva messo in difficoltà alla locanda.
“Sicuramente porta guai!” confermò Braccioforte.
 
 
 
NdA: grazie a tutti coloro che seguono le mie storie ^_^ vorrei davvero (anche privatamente) sapere cosa ne pensate. Vi ringrazio tantissimo  
   
 
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