Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: BreathE    10/04/2021    3 recensioni
Valanyar è stata portata nella Terra di Mezzo da Gandalf per aiutarlo con il futuro della Compagnia dell’Anello e distruggere Sauron, ma aver letto un libro e vivere una vera avventura sono due cose completamente diverse.
Riuscirà a portare a termine il compito che le è stato affidato, oppure cadrà mutando per sempre il destino dei nostri eroi preferiti?
Tra cambiamenti di copione improvvisati e il mondo degli uomini che la crede un ragazzo, Valanyar cercherà di proteggere a tutti i costi la sua nuova famiglia mentre lotterà per il suo posto nel nuovo mondo.
*
Ragazza dei giorni nostri finisce nell’universo del Signore degli Anelli. Niente di più scontato.
PARING: Legolas/ Nuovo Personaggio
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Faramir, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
▌ Capitolo 14  ▌
 
 








 
«  Vai e digli che lo trovi carino.
Cosa potrebbe mai succedere di male? »
 
« Potrebbe sentirmi »

 
__F.R.I.E.N.D.S
 
 





 
Ci eravamo accampati ai margini di una delle tante distese d’erba, vicino a delle rocce che da seduti ci permettevano anche un riparo dal sole, mentre i cavalli mangiavano e si godevano un po’ di meritato riposo.
« Cosa stai guardando? » domandò Legolas non appena tornò dall’aver sciolto Ombromanto dalle redini per farlo pascolare in pace.
Bucefalo era stato meno fortunato, ignorando la scomodità delle corde, per mettersi immediatamente alla ricerca dei suoi fiori preferiti da mangiare. Ma d’altronde il mio era un cavallo da guerra, molto più abituato di Ombromanto a quelle sfacchinate senza un apparente motivo.
« Quanto tempo ci rimane » risposi enigmatica mentre l’elfo si sedeva di fianco a me, non abbastanza che i nostri fianchi si toccassero ma a sufficienza per mettermi a disagio se fosse stato uno sconosciuto. Ma mi stupii di notare che le mie membra non si tesero pronte a scattare, infastidite dalla vicinanza, anzi mi ritrovai quasi più in pace con me stessa, come succedeva quando mi addormentavo vicino ad Aragorn. Sapevo di fidarmi di Legolas.
« In che senso? » domandò nuovamente, probabilmente anche leggermente spazientito. Solitamente, erano gli elfi ad essere enigmatici non gli esseri umani e a nessuno di loro piaceva mai, quando tentavamo di togliergli il primato.
Ridacchiai della sua espressione corrucciata, invitandolo ad affacciarsi oltre alla mia spalla per guardare assieme a me.
In grembo portavo una delle lame, Tiriadir per la precisione quella con il simbolo della casata di Imladris. Tutto ciò che avevo a ricordarmi dove fosse la mia vera casa.
Inclinai leggermente la spada, così che vi fosse riflesso il mio viso, aumentandola poi ancora maggiormente  per far sì che risaltassero solo i miei occhi riflessi nella lama.
« Vedi i punti scuri nelle iridi? » domandi indicando i piccoli punti marroni ancora a giro per i miei occhi, non erano più abbastanza da far sembrare i miei occhi quelli di un gatto, anzi, oramai ad un approccio veloce parevano quasi invisibili. Ma se qualcuno si fosse soffermato ad esaminare più a lungo le mie iridi, avrebbe notato che vi erano almeno cinque piccoli punti scuri, tre nell’occhio sinistro e due nel destro.
Legolas annuì, corrucciando le sopracciglia mentre rispondeva al mio sguardo attraverso la spada.
« Rappresentano il tempo che mi è stato concesso dai Valar per aiutarvi. Quando i miei occhi saranno completamente bianchi, allora il tempo sarà esaurito e la missione conclusa, nel bene e nel male » dissi studiando quei piccoli punti scuri come se desiderassi imprimermeli a fuoco nella mente.
Avrei voluto avere più tempo, nonostante mi fosse stato quasi un secolo, mi sembrava non fosse stato abbastanza, quante cose in più avrei potuto fare, se avessi avuto a disposizione centinaia di anni a mia disposizione, come aveva avuto Tauriel?
Mi sarei anche io persa in me stessa, dimenticando i miei doveri?
« E dopo? Cosa succederà quando i tuoi occhi diventeranno completamente bianchi? » domandò l’elfo girando il suo viso verso il mio, obbligandomi a fare lo stesso.
Legolas mi guardava con un sguardo preoccupato che avevo visto altre volte, nelle persone che mi amavano e che rappresentavano oramai la mia famiglia adottiva.
« I miei anni riprenderanno probabilmente a scorrere come quelli di un normale mortale. Compirei finalmente ventisei anni, suppongo » dissi divertita accennandogli un sorriso « Invecchierei … » aggiunsi nuovamente più malinconica.
Non avevo mai invidiato l’immortalità degli elfi, forse perché ero abituata ad essere umana ma mi era sempre sembrata una vita triste. Vivere in eterno e vedere così tanti cambiamenti ma così lentamente …
No era certa che non facesse per me, già dopo i primi dieci anni a Gran Burrone, avevo dovuto iniziare ad andare in guerra con Aragorn perché temevo che sarei impazzita sempre chiusa lì dentro a fare le stesse cose.
« E se invece tu fallissi? » domandò Legolas spostando il suo sguardo verso l’orizzonte. Il suo viso si era indurito, come quando si sa che si sta per ricevere una brutta notizia e si cerca di non fare una scenata, mostrandoci quindi indifferenti.
Sorrisi nuovamente, ma in modo più privato, sentendo una piacevole sensazione di calore avvolgermi lo stomaco come una coperta calda.
« Se fallissi, svanirei. Nessuno di voi saprebbe neppure che sono mai esistita » ammisi amaramente ma senza un reale timore. In tutta onestà temevo il fallimento completo meno del previsto, soprattutto perché la vera riuscita della missione, dipendeva tutta da Frodo e Aragorn. Certo io avrei potuto indirizzarli nella giusta direzione, ma per il resto erano loro a dover vincere le loro battaglie.
Ed io non avevo nessun dubbio sulla loro riuscita.
« Che cosa?! » esclamò l’elfo furioso voltandosi anche con il corpo verso di me, mentre mi poggiava una mano sulla spalla, quasi volesse riscuotermi dalla follia appena annunciata.
« Che significa? » mi incalzò nuovamente mentre io portavo la mia mano sopra la sua, in una carezza confortante.
Lo sguardo di Legolas si posò per un attimo sulle nostri mani, mentre la punta delle orecchie gli si tingeva di un rosso che oramai avevo imparato a riconoscere, ma i suoi occhi rimasero risoluti invitandomi a dargli delle risposte.
« Che non vi ricorderete più di me. Sarà come se non ci fossi mai stata. Avrai tutti i tuoi ricordi della compagnia, del consiglio a Gran Burrone, delle battaglie … Ma non mi troverai in essi, non sapresti neanche che c’era qualcun altro di cui sentire la mancanza » esalai infine sentendo la gola chiudersi come se strozzata, mentre sentivo il mio cuore sempre più pesante, e mi veniva voglia di piangere.
Sbattei le palpebre, non capendo perché improvvisamente mi sentissi a quel modo, quando ero certa che quell’eventualità era molto lontana dalla realtà.
Rabbrividii, come se fosse tornato l’inverno, notando i colori attorno a me farsi più spenti. I cavalli avevano smesso di brucare e ora erano voltati verso di noi. Trovai curiosa la cosa, prima di capire che non stavano guardando tutti e due, ma solo Legolas.
Alzai gli occhi sul viso dell’elfo e lo trovai sempre immobile a guardarmi, in una smorfia di dolore che riconobbi uguale a quella di un paio di mesi prima a Lothlòrien, quando avevo pronunciato il nome di Tauriel.
Non vi era una foresta magica a questo giro a piangere per lui, ma la natura attorno a noi, parve comunque cogliere il gelo che avevo portato nel suo cuore perché io stessa mi sentivo come se potessi crollare a piangere da un momento all’altro.
« Legolas » mormorai guardandolo, ma l’elfo mi guardava senza vedermi, perso in un filo di pensieri che non prevedeva la mia intromissione. Forse la mia confessione gli aveva fatto scattare un nuovo ricordo di Tauriel?
« Legolas guardami » dissi prendendogli il viso con tutte e due le mani, avvolgendogli gentilmente il volto così da costringerlo a farmi entrare nel suo raggio visivo.
« Legolas sono qui, guardami » l’elfo spostò finalmente i suoi occhi su di me, mentre notavo che i suoi occhi brillavano sotto la luce del sole di lacrime non versate.
« Non credevo che gli Dei potessero esser così crudeli » mormorò infine dopo qualche minuto in cui, avevo temuto che avrei dovuto prenderlo a schiaffi in faccia per riscuoterlo da quella situazione di stallo. Era parso così immobile e pallido, da apparire come Haldir quasi dieci giorni prima, ad un passo dalla morte con  la sua anima che si stava preparando a dire addio per sempre al suo corpo.
« Ehi va tutto bene » dissi sorridendogli sinceramente. Non credevo che la notizia di una mia possibile dipartita, avrebbe potuto ferirlo a quel modo. Certo avevamo fatto dei passi avanti, ma sapevo che gli elfi si affezionavo agli altri esseri viventi con particolare diffidenza.
Sembrava che Legolas, fosse destinato ad infrangere ogni aspettativa che mi ero fatta sugli elfi in generale. Ogni volta che credevo di averlo compreso, faceva sempre l’esatto opposto come se giocasse ad un gioco che solo lui poteva vedere.
« Sono qui » aggiunsi carezzandogli leggermente le guance con i miei pollici. L’elfo mi restituì il suo sguardo con una tale intensità, che in un solo attimo mi sentii pervadere da un’ondata d’imbarazzo. Realizzando quanto fossimo vicini e che nonostante quello, il suo volto restava inspiegabilmente perfetto.
Sentivo il suo fiato sfiorarmi le mie labbra e avrei voluto allontanarmi da tutte le emozioni che mi suscitava, con tutta la mia forza di volontà. Peccato che fosse evidente che il mio corpo non voleva collaborare mentre restavo immobile sotto il suo sguardo come se fossi io quella con il viso catturato tra le sue mani.
« Promettimi che ci resterai » disse facendomi andare il cervello ancora più in escandescenza quando realizzai che neanche lui si stava allontanando, anzi se possibile mi sembrava ancora più vicino, mentre riuscivo perfino a vedere il mio viso riflesso nei suoi occhi.
Dovevo apparirgli ridicola, rossa come un peperone, con gli occhi spalancati come un animale braccato e la completa perdita di cognizione mentale.
« Eh? » domandai come sempre, in modo molto intelligente, quando perdevo completamente il filo del discorso. Finalmente riuscii a portarmi qualche centimetro più indietro, ritrovando un po’ di sanità mentale assieme alla distanza che aumentava tra di noi, anche se Legolas non mi permise di lasciargli andare via il viso mentre tratteneva l mie mani con le sue, sulle proprie guancie a fargli da cornice.
« Promettimi che non te ne andrai. Promettimi che non mi- … che non ci lascerai » ripeté inciampando per un secondo nelle sue stesse parole.
Annuii lentamente, desiderando soprattutto da potermi allontanare da quella situazione, così che il mio cuore potesse darsi una calmata e smetterla di scalpitare come se fosse invaso dall’adrenalina nel mezzo di una battaglia. « Te lo prometto » sancii infine, esalando lentamente e riprendendo il tanto desiderato fiato quando mi permise di riprendermi le mie mani che portai immediatamente al petto, incrociandolo sotto le braccia come ad impedirgli di fare nuovamente qualche altra sciocchezza. Come toccare nuovamente l’elfo.
« Credo che possiamo riprendere il cammino, i cavalli sembrano sazi » analizzò lui dedicandosi una breve occhiata tutt’attorno, mentre io mi voltai a guardare Bucefalo, come se lo vedessi per la prima volta in vita mia.
Il cavallo mi ricambiò lo sguardo dedicandomi una lunga sbuffata che assomigliava terribilmente ad una risata, ma optai per non tergiversare oltre, mentre mi limitavo a raccogliere la mia lama e rimetterla nel fodero, per poi dirigermi frettolosamente verso l’animale
 
 
 
 
 

Avevamo abbandonato il galoppo per un passo tranquillo, i cavalli non potevano certo correre all’infinito, e dato il solo pomeridiano che ci scaldava le spalle, era quasi un piacere passeggiare lungo la strada che ci permetteva di avvicinarci sempre di più alle montagne.
«Posso farti una domanda? » domandò Legolas mentre Ombromanto rizzava le orecchie interessato. Il cavallo parlava raramente con Legolas, ma ascoltava sempre ciò che l’elfo aveva da dire, come se ogni parola meritasse la sua attenzione.
A differenza di Bucefalo che l’unico momento in cui mostrava interessato a quello che avevo da dire, era quando tenevo una mela in mano.
« Certo » risposi ricercando con lo sguardo tra le alte rocce intorno a noi, una possibile evidenza del passaggio degli hobbit o Faramir. Anche se sicuramente il primo a notare qualcosa sarebbe stato Legolas ma questo non voleva dire che non avrei dovuto fare anche io la mia parte.
« Ho notato che nessuno ti chiama mai per il tuo vero nome, neppure Aragorn. Come mai? » disse Legolas facendomi corrucciare le sopracciglia costringendomi a voltarmi verso il mio interlocutore.
« Cosa intendi? Il mio nome è Valanyar » risposi guardandolo come se gli fosse spuntata un’altra testa poiché era una domanda piuttosto sciocca per un elfo, lui li conosceva oramai tutti i miei nomi e per quanto rispondessi ad ognuno di essi, Valanyar era da sempre stato quello più rappresentativo. D’altronde fino all’arrivo di Haldir ad Imladris non sapevo neppure che ne avevo un altro.
« E’ il nome che ti è stato dato al tuo arrivo nella Terra di Mezzo no? Ne avrai avuto anche un altro prima, non capisco perché nessuno ti chiami mai a quel modo »
« Oh » mormorai comprendendo finalmente cosa intendesse.
Legolas era l’unico a farmi domande sul mio passato, nessuno vi era mai stato particolarmente interessato immaginando semplicemente che io venissi da un altro continente, solo la mia famiglia elfica di Imladris, Bilbo ed Aragorn sapevano la differenza e avevamo abbandonato ogni teoria così tanto tempo prima, che aveva perso ogni aspettativa.
« Certo che ne ho uno » dissi passandomi una mano tra i capelli frustrata. Bucefalo dovette percepire il mio cambiamento di umore perché anche lui si irritò, nitrendo infastidito mentre Ombromanto piegava le orecchie all’indietro segno che anche lui risentiva del mio malumore.
« Non devi dirmelo se non vuoi » intercedette immediatamente Legolas.
« Non avevo intenzione di dirtelo » ribattei prima di sospirare, rendendomi conto quanto fossi suonata sfrontata nella mia risposta.
Lui non aveva colpa alcuna, era solo che le sue domande mi mettevano sempre a disagio, stava cercando di capirmi meglio ed era una cosa che solitamente avrei apprezzato, ma mi costringevano ad attingere a dei ricordi così sfuocati da essere dolorosi.
« Mi dispiace è che … Ho pochi ricordi di prima del mio arrivo a Gran Burrone e sono così sfuocati. Ricordo di aver letto la storia della compagnia in un libro, ricordo palazzi enormi e grigi ricordo … ricordo un mondo popolato solo da uomini » sussurrai certa che Legolas sarebbe comunque riuscito a sentirmi « E’ tutto così confuso, credo che abbia tutto a che fare con un sogno? Forse ho dormito per tutta la mia vita e Gandalf, Galadriel e Elrond mi hanno svegliato con l’incantesimo io … Non lo so » risposi onestamente « Ma conosco il mio nome, ho una voce che me lo ricorda a volte nei miei sogni.  E’mia madre che mi chiama, credo » aggiunsi con un sorriso amaro.
Avevo affrontato una discussione simile anni prima con Frodo quando mi aveva confessato di star dimenticando il volto dei suoi genitori, che aveva paura che gli sarebbero sfuggiti per sempre da un giorno all’altro.
Gli avevo confessato che anche io non ricordavo più niente di mia madre, immaginavo che potesse aver avuto i miei stessi occhi marroni, o almeno quelli  che avevo prima, gli stessi capelli scuri che da lunghi apparivano con dolci onde e se li tagliavi troppo, ti ritrovavi con un nido d’uccello crespo in testa.
Probabilmente la sua  pelle era stata olivastra come la mia? Pallida d’inverno ma che bastavano i primi raggi d’estate  a farla abbronzare …
Scossi la testa rendendomi conto che probabilmente tutti quei pensieri erano inutili, importava bene poco da dove venissi, non vi sarebbe stato comunque più nessuno ad aspettarmi, avevo centouno anni, mia madre doveva essere morta molto tempo prima.
« Comunque il mio nome si posava strano sulle bocche degli abitanti della Terra di Mezzo, e quando Elrond mi ha detto che il mio nome in Sindarin era “Valanyar” mi è sembrato appropriato.
Il mio a quei tempi d’altronde significava Messaggera degli Dei » dissi ricordando l’episodio di quasi settanta anni prima con un sorriso.
Non mi piace” intervenne Ombromanto sorprendendo anche Legolas, che spalancò gli occhi stupefatto come ogni volta che il cavallo faceva l’onore di condividere i suoi pensieri anche con lui.
“ I nomi sono una cosa importante, vanno ricordati. E’ pericoloso non ricordarsi il proprio, potresti finire con il dimenticarti chi sei “ aggiunse inclinando leggermente il muso verso sinistra, così che potessi incontrare il suo sguardo.
« Ma io ho un nome, e so chi sono. Sono Valanyar, di Imladris facente parte della Reale famiglia di Elrond e sorella di Aragorn figlio di Arathon ed erede al trono di Gondor » risposi raddrizzando immediatamente la schiena, come a rispecchiare il leggiadro portamento elfico .
Legolas mi guardò per qualche secondo, come se avesse voluto aggiungere qualcosa a favore della tesi di Ombromanto, ma qualcosa dovette fargli cambiare idea, perché si limitò a sorridermi ed annuire.
« Sono d’accordo con Valanyar, non sono le nostri origini a definirci. A volte si è chi si vuole essere  » concluse dando una carezza delicata lungo il pelo del collo del cavallo.
Ombromanto sembrò apprezzare ma ci chiuse fuori da i suoi pensieri, mentre io mi scambiavo un cenno di ringraziamento con l’elfo.
Dovevo ammettere che era bello, sapere di averlo sempre dalla mia parte.
 

 
 

 
« C’è un avamposto di Gondor là » soppesai osservando il fiume in lontananza. Eravamo quasi all’entrata del sentiero che ci avrebbe permesso una scorciatoia verso l’Ithilien, e non potevo credere che fosse stata una coincidenza che il mio sguardo fosse caduto proprio sulle bandiere di Gondor.
Vi era forse qualcosa che mi sfuggiva? Ricordavo gli eventi che si sarebbero scatenati se Faramir fosse stato Capitano, avrebbe portato gli Hobbit ad Osgiliath perché attaccata. La città era in netta minoranza a causa dei continui attacchi degli orchi da tutte le sponde del fiume.
« Proteggono il fiume. Ma verranno annientati, vedo Pirati almeno a due giorni di distanza, forse tre se non avranno il vento a favore » studiò Legolas al mio fianco, lo guardai ammirata, come sempre mi capitava quando riusciva a vedere o sentire cose che per me erano troppo lontane.
« A cosa stai pensando? » domandò quindi l’elfo incrociando il mio sguardo, mi morsi il labbro inferiore combattuta, mentre mi voltavo nuovamente verso l’accampamento sul fiume. Era un piccolo porto, probabilmente prima della guerra veniva usato solo dai pescatori dei villaggi vicini. Al momento l’unica forma di vita presente erano i soldati.
Erano una guarnigione piuttosto numerosa, Boromir aveva fatto bene i suoi calcoli poiché vi saranno stati almeno mille uomini, ma non sarebbero mai bastati. Un numero simile davanti alle forze di Mordor? Non avrebbero neppure rappresentato un ostacolo.
« Vorresti avvisarli » concluse da solo l’elfo mentre seguiva con me lo sguardo verso la guarnigione di Gondor. L’elfo sospirò probabilmente dandomi dell’idiota in tutte le lingue che conosceva ma si limitò a sorridere benevolo quando infine, rincontrò il mio sguardo.
« Inizi a conoscermi » ribattei ricambiando il suo sorriso con uno più grande.
« Giusto un po’ » confermò lui evidentemente soddisfatto, mentre entrambi facevamo contemporaneamente cambiare direzione ai cavalli, dando così le spalle al sentiero che stavamo per imboccare, e dirigendoci verso le acque più a Nord.
 
Impiegammo non più di qualche ora per raggiungere l’accampamento, abitudinariamente tirai su il cappuccio del mio mantello, celando la stranezza dei miei occhi, tranne a chi già la conosceva.
Dubitavo di conoscere davvero qualcuno di quei soldati poiché mi sembravano tutti, tristemente troppo giovani. Evidentemente addestrati e costretti alle armi in fretta e furia, così che potessero proteggere i confini delle loro case a costo della loro stessa infanzia.
« Chi siete? E cosa porta un elfo ed un ramingo nelle Terre di Gondor? » domandò uno dei due soldati di ferma al sentiero. La loro divisa era sporca e consumata segno che erano oramai anni che non gli era più permesso di tornare a casa, ma i suoi capelli erano pettinati e la barba era stata fatta da meno di due giorni, segno che il loro comandante esigeva il rispetto delle vecchie tradizioni.
« Il mio nome è Gwend, e lui è Legolas di Bosco Atro. Veniamo per parlare con il vostro comandante, un nemico troppo potente si staglierà su di voi, sono qui per offrirgli consiglio » dissi cercando di imporre nella mia voce, la stessa autorevolezza con la quale avevo ingannato i soldati di Boromir anni prima.
I due di guardia si scambiarono un’occhiata scettica, segno che non avevano la più pallida idea di cosa stessi parlando e men che meno chi fossi, prima di limitarsi ad un cenno di assenso.
« E sia, lasciate qui le vostre cavalcature, sarà il Comandante a decidere se vale la pena o meno, di ascoltare i vostri consigli » rispose saggiamente il più anziano dei sue.
Sia io che Legolas scendemmo da cavallo, senza neppure disturbarci a legarli a qualche parte, certi che i due animali non si sarebbero neppure allontanati.
I soldati ci guidarono attraverso varie tende e visioni di soldati spenti e con ben poco speranza rimasta ad animargli il volto. Alcuni avevano persino perso pezzi di armatura, oppure non si erano sprecati a vestirsi completamente. Nonostante la calma apparente, era evidente che non doveva essere passato molto tempo da quando avevano subito le ultime perdite. Il dolore impregnava l’aria come il fumo di un falò.
Quando ci trovammo davanti ad una tenda messa meglio delle altre capimmo che dovevamo essere dinanzi il famoso Comandante, il soldato di guardia entrò probabilmente per annunciare la nostra presenza ed io sorrisi tra me e me attirando l’attenzione di Legolas, che mi dedicò una domanda silenziosa inarcando il sopracciglio.
« E’ solo che, mi ricorda molti anni fa quando incontrai Boromir, nonostante abbia per lui sfoderato il mio migliore fascino, mi cacciò più volte dalla sua tenda » dissi ridacchiando tra i baffi al ricordo. Anni prima ero stata davvero disperata, dopo la mia decisione di coinvolgere Faramir nella compagnia era giunta a Gondor solo per scoprire che il fratello minore era via per l’ennesima missione suicida a causa del padre. E il fratello era stato un vero bastardo negli anni a venire che avevo passato in attesa.
« Fammi indovinare, ti sei presentata nella sua tenda senza nemmeno degnarti di presentarti e hai preteso che facesse quello che gli suggerivi mh? » ribatté Legolas retorico beccandosi una lieve gomitata nelle costole da parte mia.
« Ma smettila io non sono così »
« E’ esattamente come ti sei presentata la prima volta che ti ho vista. “Io sono Valanyar e voi altri dovreste fare come dico” » aggiunse l’elfo ridacchiando della mia espressione fintamente offesa, mentre mi trattenevo dal tirargli ancora un’ennesima gomitata.
« Ti sbagli, sono stata l’esempio dell’educazione » persistetti raddrizzando la schiena non appena il soldato di poco prima riuscì dalla tenda, seguito da un altro guerriero visibilmente più vecchio.
« Che gli Dei mi maledicano se non sei proprio tu! » disse venendomi incontro e chiudendomi in un abbraccio stritolatore che mi permise immediatamente di riconoscere chi avevo davanti.
« Accidenti quanto sei invecchiato male Damrod! » lo salutai stringendolo a mia volta. Il comandante si voltò indicandomi al suo sottoposto con un sorriso a trentadue denti che sorprese anche il ragazzo.
« Questo è Gwend! Questo Disgraziato era sempre con me in prima fila perché continuava a far infuriare il Capitano come nessuno mai! » Legolas mi lanciò un’occhiata divertita come a dire “Stavi dicendo?” che ignorai voltandomi dalla parte opposta « Pensavo tu fossi morto ragazzo! » continuò Damrod prendendomi le spalle tra le mani e scuotendomi verso di lui.
« Allora? Cosa ti ha riportato a Gondor? » domandò con gli occhi che gli brillavano, come se fossi la prima buona notizia che riceveva da, beh da sempre.
« La flotta di pirati che sta per attaccarvi e radervi al suolo » dissi dopo una lieve pausa di silenzio in cui avevo cercato di affrontare la situazione in modo diverso, solo per poter dare torto a Legolas. Ma forse un po’ l’elfo aveva ragione, in fin dei conti io ero davvero Valanyar ed era sempre meglio che gli altri facessero come gli dicevo. D’altro era per il loro bene che lo facevo, un grazie sarebbe stato sufficiente.
 
 
Convincere Damrod che Osgiliath sarebbe stata attaccata la cosa migliore da fare sarebbe stato andare là e abbandonare la postazione perché sennò sarebbero morti da entrambe le parti fu piuttosto facile.
Mentre invece, convincerlo a seguire quel piano fu tutto un altro paio di maniche.
Vi fu un consiglio, il Comandante richiamò la maggior parte dei suoi uomini più anziani tutt’intorno ad un falò così che potessi presentare a tutti ciò che sapevo e ciò Legolas aveva visto. Quegli uomini non mi conoscevano, come non si fidavano degli elfi, quindi convincerli ad andare contro un ordine diretto del loro Capitano fu una delle cose più difficili che mi ritrovai a fare negli ultimi vent’anni.
Una parte di me pensò a Théoden e a quanto avrebbe desiderato avere uomini simili, che si limitavano a rispettare gli ordini, ignorando i miei consigli in favore di quelli del loro Re.
Ma Gondor non aveva un Re, il problema era proprio quello e quei soldati sapevano che il loro Capitano aveva sempre voluto il meglio per loro quindi non li avrebbe semplicemente lasciati a morire se non lo avesse ritenuto utile per la guerra.
Nominai Faramir e Mithrandir, cercai nei loro ricordi qualcosa che li ricongiungesse a me, così che potessero capire da soli che potevano fidarsi delle mie parole che non stavo cercando di ingannarli.
E funzionò, nessuno di loro credeva più che io stessi mentendo certo, ma non vollero comunque abbandonare la loro postazione, se Boromir li aveva mandati lì a morire, anche solo per rallentare quei pirati allora sarebbero morti con onore.
Perché sapevano che il Capitano della Torre Bianca, era un uomo d’onore e non gli avrebbe mai chiesto di fare un simile sacrificio se non perché non c’era altra soluzione, se era per Gondor che sarebbero dovuti morire di lì a quel qualche giorno, così sarebbe stato.
« Cosa farete ora? » ci domandò Damrod mentre ci riaccompagnava dai nostri i cavalli.
« Boromir tenterà un’imboscata contro gli Haradrim, cercheremo di raggiungerli prima che la vittoria gli volti le spalle » risposi con una lieve scrollata di spalle, qualcosa passò nello sguardo del soldato di Gondor che non riuscii ad identificare.
« Haradim, Pirati, Sudroni e orchi da Mordor. Che speranze abbiamo di vincere questa guerra Gwend? » mi domandò l’uomo mentre mi osservava riprendere il mio posto sopra il dorso di Bucefalo.
Abbassai lo sguardo, non riuscendo a dedicargli nient’altro se non un sorriso messo.
« Se l’anello non verrà distrutto? Nessuna amico mio. Sauron ci annienterà  fino a che sia gli uomini, che tutte le altre razze, non saranno neppure un ricordo custodito dalla nuda Terra. » risposi sinceramente. Poiché la cosa più stupida che potevi fare con un veterano, era mentirgli o cercare di addolcirgli la pillola.
Damrod mi sorrise, dandomi un ultima pacca sulla gamba ed augurandoci buona fortuna, mentre noi, riprendevamo il nostro viaggio alla ricerca di Faramir.
 

 
 
 

La nostra ricerca proseguì per quasi un altro giorno ed un'altra notte. Ovviamente fu solo grazie all’udito elfico di Legolas che riconobbe gli olifanti da kilometri di distanza, che trovammo la giusta strada appena in tempo.
Sempre che di giusta strada potessimo parlare, tecnicamente eravamo una decina di metri troppo in alto. Ci affacciamo appena in tempo per riuscire a scorgere Frodo e Sam che arretravano, tirati via dai mantelli anche da Gollum mentre Faramir si parava coraggiosamente dinanzi suo fratello, intimandolo a non proseguire oltre.
I minuti parvero rallentare mentre i due fratelli si contendevano, il minore continuava a supplicare il maggiore di smetterle, di tornare in sé. Ma Boromir era guidato da una furia cieca, che lo avrebbe fatto ammazzare se solo non avesse avuto davanti qualcuno che lo amava.
Vidi Faramir evitare più volte di non colpire il fianco scoperto del Capitano più anziano, proprio per non ferirlo, peccato che non stesse ricevendo gli stessi favori in cambio.
Mi agitai sul posto, preparandomi a scattare in avanti.
« Che cosa pensi di fare? » disse Legolas riprendendomi per il braccio quando minacciai di affacciarmi troppo dalla sporgenza.
« Legolas non posso lasciare che si uccidano »
« E quindi cosa farai? Non puoi combatterli da sola, non mentre tu vuoi farli ragionare e loro cercano di ucciderti! »
« Se lo uccide, Boromir non se lo perdonerà mai. Non ci sarà nessuno a guidare l’ultima difesa di Gondor, Minas Tirith sarà perduta  » gli feci presente voltandomi nuovamente verso i due fratelli, come temevo la situazione era degenerata e adesso Faramir era ad un passo dal perdere l’arma.
Nonostante la distanza non faticavo ad immaginare quanto fosse dura in quel momento per il giovane Capitano. Cosa lo avevo costretto a fare?
Se non fossi stata tanto stupida e avventata, il suo destino non lo avrebbe mai costretto a battersi contro il suo stesso fratello per proteggere Frodo. No non potevo permettergli anche di morire per quella stessa causa, anche se sapevo che lo avrebbe fatto senza mai condannarmi.
« Va bene, quale è il piano? » domandò l’elfo lasciandomi il braccio e guardando nuovamente sotto di noi.
« Oh non c’è un piano » dissi prima di lanciarmi verso la scena sottostante.
 Il volo non fu dei peggiori, il salto era poco meno di cinque metri d’aria, poiché la distanza era data dalla lunga discesa di terra, ma in fin dei conti mi ritenni soddisfatta quando atterrai sul lato di burrone inclinato, finendo così per spingere via Faramir dalla scena e farlo ruzzolare lungo il baratro sottostante.
« Ehilà » salutai parandomi davanti a Boromir e ritrovando l’equilibrio appena in tempo, mentre il Capitano di Gondor mi guardava con un odio negli occhi che non gli apparteneva ma perlopiù appariva, sorpreso.
« Ma che cosa? » commentò guardandomi da capo a piedi mentre un po’ di sanità mentale sembrò tornargli nelle iridi, come se stesse cercando di mettere a fuoco chi aveva davanti.
« Valanyar? » esclamò una voce alle mie spalle che però non mi fermai ad analizzare poiché si stava già facendo sempre più lontana « Avete le visioni Padron Frodo andiamo, lei è a kilometri da qui, dobbiamo andarcene » gli rispose una voce che riconobbi come quella di Sam mentre mantenevo lo sguardo fisso sull’uomo davanti a me.
Boromir continuava a spostare lo sguardo tra me, il baratro e le mie spalle, nonostante non ci fosse sicuramente nessuno da vedere lì. Le voci dei due Hobbit erano state troppo lontane perché lui ora potesse vederle oltre la curva.
« Boromir, sono io Gwend » dissi cercando di farlo tornare in sé, mentre portavo in alto le mani, perché la smettesse di registrarmi come una minaccia.
Ma forse sopravvalutai la mia bravura nel leggere le persone, oppure sottovalutai la persuasione dell’anello nel sottomettere le persone perché nonostante lo sguardo rabbioso negli occhi di Boromir e l’urlo spaventato di Legolas sopra la mia testa, registrai troppo tardi la mossa successiva del soldato di Gondor per riuscire ad evitarla.
La sua lama mi trapassò da parte a parte sul fianco sinistro, mentre boccheggiavo con il mezzo sorriso di poco prima ancora sulle labbra.
« Boromir … » mormorai sputando sangue quando lui estrasse la sua lama, il suo sorriso di follia scemò così rapidamente che sarebbe stato quasi divertente se non fossi stata sul punto di morire dissanguata.
« Gwend? Oh mio Dio cosa ho fatto? Che ci fai tu qui ? » disse in preda al panico facendosi avanti per sostenermi, mentre sentivo le ginocchia iniziare a cedere sotto il mio peso, mi sforzai di continuare a respirare, mentre il Capitano di Gondor lasciava cadere la sua arma per sostenere la mia maggior parte del mio peso mentre cercava di fermare il flusso di sangue che fuoriusciva copioso dalla feria, con la stessa stoffa del mio mantello.
« Levagli le mani di dosso! » sentii una voce gridare dall’alto che riconobbi con facilità, alzai lo sguardo su di lui e lo vidi in alto nel crinale con l’arco incoccato in una freccia che puntava dritta alla testa di Boromir.
«Legolas » lo ripresi guardandolo e cercando con tutte le mie forze di non fare qualcosa di stupido come svenire o cadere anche io nel baratro dietro Faramir.
Lui probabilmente era riuscito a sopravvivere alla caduta, con solo qualche nuovo livido, io con la ferita che in quel momento mi ritrovavo dubitavo sarei stata altrettanto fortunata.
« Hai promesso » gli ricordai mentre vedevo il suo sguardo vacillare e finalmente spostava lo sguardo da Boromir a me.
« Non puoi chiedermelo adesso » mi supplicò con così tanto dolore nella voce, che fui certa che avrebbe fatto male perfino a me quella separazione.
I suoi occhi erano colmi di dolore e preoccupazione, e mentre la sua presa nell’arco restava sempre impassibile, un incoccata ancora mortale per Boromir se solo avesse lasciato andare la freccia, i suo occhi tremavano di incertezza. Il colore delle sue iridi mi apparve quasi sfumato a causa delle lacrime non versate e mi sentii immediatamente ancora più in colpa perché in quel momento compresi veramente, che Legolas di Bosco Atro, avrebbe sofferto per me se fossi morta. E non perché ero cara ad Aragorn o ero un membro della compagnia, ma perché ero divenuta cara a lui e sapeva, che non sarebbe riuscito ad affrontare la mia morte con la dovuta indifferenza che quei tempi richiedevano a tutti noi. Eppure io sapevo anche, che non poteva rimanere.
« Legolas » iniziai guardandolo con tutta la determinazione che sapevo di poter possedere, anche se in quel momento me la sentivo sfuggire come acqua tra le mani.
« Sei vincolato a me con un giuramento e sotto di esso ti ordino - »
« Per favore » mormorò in un sussurro così flebile che temetti di essermelo immaginato, ma la disperazione nei suoi occhi faceva intendere ben altro.
«- di andartene. Trova Aragorn, combatti al suo fianco e guidalo nel suo cammino » conclusi senza riuscire ad immaginare cosa significasse un simile scambio di battute per tutti i presenti.
Ma gli uomini restanti erano evidentemente tutti troppo scioccati, alcuni continuavano a guardare tra me e Legolas, altri, erano affacciati dal burrone sottostante alla ricerca di Faramir senza fortuna alcuna.
L’elfo continuò a guardarmi per qualche secondo prima di ritrarre la corda del suo arco, riprendendosi così in mano la sua freccia ed annuì tristemente, concedendomi un’ultima occhiata che sembrava chiedermi un’ulteriore giuramento, uno dove gli avrei potuto assicurare che ci saremmo rivisti.
Quando finalmente Legolas  si voltò per scomparire dalla mia vista, mi voltai verso Boromir che mi guardava ancora sconvolto, con le mani sporche dal mio stesso sangue e un’espressione di totale confusione, sul perché l’elfo non l’avesse ucciso.
Sorrisi dinanzi a quella sua buffa espressione, prima di svenire, crollandogli tra le braccia come una pivella alle prima armi.
 
Mi svegliai che attorno a me vi erano solo mura e colonne senza un vero tetto, e faceva freddo, troppo per essere primavera. Sapevo perfettamente dove mi trovavo, c’era un solo posto in tutta la Terra di Mezzo che riusciva ad essere così fastidiosamente umida undici mesi su dodici. Osgiliath.
Mugolai di dolore, tentando di voltarmi di lato per mettere a fuoco i volti delle voci che sentivo tutt’attorno a me, al mio verso di dolore il parlottio tacque. Chiusi gli occhi, inspirando ed espirando dal naso per cercare di tenere sotto controllo il dolore che sentivo nell’addome.
Ricordai cosa era successo e gemetti nuovamente, dannato Boromir, dannato anello e dannato buco nella pancia.
« E’ sveglio? » domandò una voce che si fece sempre più vicina.
« Beh si è mossa no? » rispose un'altra.
« Vado a controllare » aggiunse un’altra ancora che fui certa di conoscere.
« Ma a te non era stato ordinato di andartene, perché sei sempre tra i piedi? » domandò scontroso un certo Capitano che riconobbi immediatamente come Boromir.
Aprii nuovamente gli occhi, strizzando forte le palpebre così da mettere meglio a fuoco i volti che accerchiavano la mia periferica visiva.
« Legolas? » sussurrai dopo qualche secondo confusa, chiusi di nuovo gli occhi pensando fosse un problema di messa a fuoco, ma quando li riaprii l’elfo era sempre lì vicino ad un Boromir con un labbro spaccato che mi guardava più o meno con lo stesso sguardo di mala sopportazione che mi aveva sempre dedicato.
«Ma non ti avevo detto di andartene? » domandai iniziando a dubitare dei miei ricordi. Forse in realtà era successo qualcos’altro? Ma allora cosa ne era stato di Faramir?
«  Già è quello che gli ho detto anche io, ma orecchie a punta qui è più testardo di un mulo. Voleva assicurarsi che stessi bene » commentò il Capitano di Gondor beccandosi un’occhiataccia dall’elfo che però ignorò con la stessa bravura che era solito mostrare Gimli all’inizio. Mi chiesi se sarebbero stati buoni amici quei due, Gimli e Boromir. Sicuramente sarebbero stati pericolosissimi nel mezzo di una taverna dopo aver svuotato troppe pinte.
« Ti avevo detto di andartene » ribattei automaticamente cercando di mettermi a sedere, solo per venire prontamente bloccata da due paia di mani che mi costrinsero a restare sdraiata.
A giudicare dalla scomodità della mia schiena, ero stata adagiata su una panca, ma poiché la maggior parte dei presenti sembrava stare in piedi, intuii che non dovevano esserci state molte opzioni.
« Non potevo lasciarti, ti avevano ferito » ribatté l’elfo inginocchiandosi accanto a me e poggiando una mano sulle mie che però sfilai frettolosamente, allontanandomi dal suo tocco.
« Non è quello che ti ho chiesto Legolas. Hai giurato che te ne saresti andato se te lo avessi detto, e invece sei tornato indietro » lo ripresi voltandomi verso i lui, la rabbia fu un sentimento che abbracciai volentieri, mi distraeva dal dolore e al momento mi permetteva perfino di ignorare la piccola folla attorno a noi.
« Aragorn ha bisogno di te, dovresti essere da lui- » iniziai solo per venire interrotta da uno sguardo altrettanto freddo e tagliente.
« Aragorn sa cavarsela perfettamente da solo non ha bisogno di me » aggiunse facendomi solo infuriare ancora di più, mi tirai su, scacciando via le sue mani quando provarono nuovamente ad impedirmelo. Mi sedetti che avevo già il fiatone per lo sforzo ma lo ignorai mentre tiravo su il mento, tirando su la mia migliore maschera di indifferenza mentre fulminavo l’elfo.
« E credi che io invece ne abbia? Non ho bisogno di te Legolas del Reame Boscoso, né di nessun altro. Prenditi la tua pietà e vattene »
« No, non è questo che intendevo, so benissimo che puoi badare a te. E’ solo che Aragorn- »
Non gli concessi di continuare oltre mentre lo interrompevo, solo per cacciarlo una volta per tutte dalla mia vista.
« Heren Legolas Thandruillion caned dortha-nìm lhonn. Nunnen peth si aphada-Aragorn, pendrath gaer egleriad eithannen cuia-gaw  [ Ti ordino Legolas figlio di Thandruill di rispettare il tuo giuramento. Legato alla tua parola vattene adesso e trova Aragorn, continua il tuo destino al suo fianco o se mai incrocerai la mia strada dovrai pagare il prezzo della vergogna ] » il cielo tuonò sopra di noi, come se gli stessi Dei fossero offesi dinanzi al comportamento dell’elfo. O forse erano offesi con me che avevo il coraggio, di parlare a quel modo con una delle creature più perfette che avesse mai camminato sulla Terra di Mezzo. Ma poco mi importava di cosa fosse la risposta, poiché Legolas strinse i denti così forte che la sua mascella si irrigidì mettendo in evidenza i suoi zigomi.
I suoi occhi tempestosi, apparivano piene di parole non dette mentre si alzava con i pugni chiusi lungo i suoi fianchi.
«Anìra-raddanën [Sia fatta la tua volontà] » rispose solamente l’elfo, suggellando la chiusura del patto. Dubitavo che avessero veramente un qualche fondamento magico, ma Legolas parve combattere quasi contro se stesso mentre mi concedeva un ultimo sguardo prima di andarsene svanendo dalla mia vista tra la folla i soldati, probabilmente alla ricerca di Ombromanto.
Tutta la rabbia che mi aveva dato la forza di tenermi ritta fino a quel momento evaporò, ritrovandomi nuovamente boccheggiante, sdraiata lungo la panca.
« Beh è stato interessante » commentò sopra di me Boromir con voce piatta, mentre invitava tutti i suoi sottoposti a riprendere le proprie posizioni. « Adesso, spiegami come hai convinto il mio comandante più fedele a lasciare un intero avamposto scoperto, per venire a salvare questa fazione di Osgiliath appena in tempo. »
« Damrod è venuto? » domandai stupita guardando Boromir speranzosa, tirando un sospiro di sollievo, quando l’uomo sopra di me annuì accennando un perfino un sorriso, piegando leggermente un angolo delle labbra all’insù.
 

 
 
 
 
La giornata passò tra una spiegazione e l’altra, mentre on Boromir ci aggiornavamo di tutti i passi compiuti dal nemico e dagli alleati, cercando di farci una chiara idea, della scacchiera che era in quel momento la Terra di Mezzo.
Fino a quando giunti a poco prima del tramonto, Boromir non congedò tutti gli ufficiali restanti, invitandoli ad andarsene dalla stanza mentre si avvicinava a me con un nuovo set di fasciature e dell’acqua in una piccola coppa.
« E’ l’ora di ripulire la tua ferita, se ti prendi un’infezione, le cure del tuo elfo saranno state inutili » disse inginocchiandosi al lato della panca sulla quale ero sempre sdraiata. Iniziò a sbottonarmi la camicia, ignorando il mio sguardo di panico totale, dubitavo che il mantello sarebbe riuscito a mantenere il mio segreto se il Capitano di Gondor mi avesse visto senza niente indosso .
« Emh Boromir vedi, forse questo è un buon momento per avvertirti che - » tentai inciampando leggermente nelle mie stesse parole, mentre l’uomo alzava il suo sguardo nel mio, inarcando un sopracciglio scocciato.
« Per dirmi cosa? Che sei una donna? » domandò guardandomi come se avessi scoperto l’acqua calda. Mantenni lo sguardo sul soldato dinanzi a me, ritenendomi completamente colta alla sprovvista mentre lui si stava evidentemente godendo la situazione, ridacchiando sotto i baffi.
« Quando? » domandai cercando di assumere un’espressione meno allucinata, almeno per togliergli quel sorriso soddisfatto dalla faccia.
Boromir iniziò a sfare la fasciatura che a quanto pareva, era stata fatta quella mattina da Legolas mentre continuava a parlarmi come se niente fosse « Quando l’ho capito? Quasi subito ovviamente. Hai sempre avuto un viso troppo bello per essere quello di un ragazzo ma poi con il tempo era diventato evidente. Non ti lamentavi mai, ma ti stancavi più facilmente di altri potevo vederlo, senza contare che eri sempre … Beh pulita »
« Hai capito che ero una donna perché tengo alla mia igiene personale? » commentai sbattendo le palpebre come un allocco.
« Esatto » si limitò a commentare lui con un leggera scrollata di spalle mentre iniziava delicatamente a pulire il contorno della mia ferita.
Era profonda e pulsava ancora sangue non appena la sfiorava, le foglie di Athelas che Legolas vi aveva messo, dovevano essere la mia intera scota, ma non erano evidentemente abbastanza per aiutare a velocizzare la guarigione. Boromir si morse il labbro inferiore, come a volersi impedire di commentare in alcun modo, quando gemetti per un passaggio delle sue dita un po’ troppo pesante.
« Come mai non hai detto niente? » gli domandai spostando il mio sguardo altrove, optai per il cielo.
Le stelle erano invisibili oltre quell’orrenda coltre di nuvole, ma sapevo che c’erano ancora lassù da qualche parte. Quel pensiero mi rincuorò.
« Non erano affari miei. Ognuno sceglie come morire e poi eri un buon combattente, cosa importava se eri un uomo o una donna? » disse retoricamente mentre io mi ritrovavo a sorridere al cielo e lui richiudeva cautamente la fasciatura.
« Grazie Boromir » dissi mentre lui mi rispondeva con l’ennesima scrollata di spalle « E’ solo una fasciatura » disse fingendo, o senza comprendere veramente, per cosa gli fossi grata. Forse era vero che io e Boromir eravamo troppo diversi per essere amici, probabilmente avremmo continuato a pestarci i piedi a vicenda per il resto delle nostre vite, ma in quel momento fui grata del mio egoismo. Del mio voler scegliere di salvare entrambi i fratelli, anche Boromir aveva molto da poter insegnare al mondo.
 
Ore dopo, la discussione sul da farsi sull’armata di Mordor che si faceva sempre più vicina e consistente aveva raggiunto un punto morto.
Così decisi di fare quello che mi riusciva meglio per irritare il Capitano di Gondor, dire la mia:
« Beh io avrei un piano » mormorai da dove ero sdraiata malamente su una panca con la mia mano ancora poggiata sul lato della ferita che aveva ripreso a pulsarmi dolorosamente.
« Siamo tutti orecchie » ribatté Boromir voltandosi verso di me e guardandomi da oltre la sua spalla.
« Sì beh non ti piacerà … Dovremmo dare alle fiamme questo lato della costa » risposi ricevendo in cambio solo occhiate allucinate che mettevano in dubbio la mia sanità mentale.
Boromir sospirò, come lo avevo udito fare migliaia di volte nelle battaglie affrontate assieme ogni volta che io aprivo bocca « I tuoi piani non mi piacciono mai, ma purtroppo funzionano. Avanti spiegati meglio e ci adopereremo per realizzarlo » i più anziani tra i soldati, quelli che già mi avevano conosciuto di vista o di nome borbottarono tra loro, scrollando lievemente le spalle e annuendo assieme al loro capitano, che in effetti era così. Tutti gli altri invece, si voltarono a guardare i veterani come se la mia fosse stata una malattia facilmente trasmissibile e adesso ne pagavano anche loro le conseguenze.
« Ci serviranno quindici uomini. Dopo il tramonto quando gli orchi di Mordor abbasseranno le proprie difese noi ci infiltreremo tra i loro armamenti.
Tengono sicuramente i capanni vicino alle sponde del fiume, così che lo scarico sia immediato e veloce. E questo andrebbe  nostro vantaggio, dobbiamo cercare un solo tipo di carico quello che contiene il fuoco greco. E’ un artefatto dello Stregone Saruman, se riuscirete a rubarlo vi permetterà di dare fuoco perfino al fiume » dissi accennando un sorriso pieno solo di sofferenza quando tentai di tirarmi a sedere, sentendo la ferita muoversi e lacerarmi dentro dal dolore.
« Dare fuoco al fiume? Ma questa è follia » iniziò a mormorare qualcuno dei soldati scambiandosi dello occhiate frustrate tra di loro.
« Ho sentito voci di simili diavolerie. Sembra che Re Théoden abbia dovuto affrontarli nell’ultima guerra. Tu c’eri non è vero? Alla Battaglia per Il Fosso di Helm  » domandò Boromir voltandosi completamente verso di me, scavalcando con una gamba la panca su cui era seduto, ritrovandocisi così a cavalcioni da potermi guardare senza doversi voltare.
« Già è stata uno spasso » ribattei ripensando brevemente al mio ultimo scambio di battute con il suddetto Re.
« Accidenti forse le leggende sono vere, sei davvero immortale » commentò rivolgendomi uno sguardo ammirato Madril mentre io in quel momento mi sentivo tutto tranne che immortale.
Boromir dovette arrivare alla mia stessa conclusione perché sbuffò perfino una risata quando io mi limitai a commentare con un « Beh il tuo Capitano ha cercato di dimostrare in modo piuttosto esemplare che non lo sono » dissi rendendomi conto, che non avevo mai sentito tanto la mancanza di Aragorn come in quel momento. Un guaritore vero e proprio faceva sempre comodo non c’era che dire, già potevo immaginarmi la sequela di insulti con la quale mi avrebbe salutato, non appena mi avrebbe rivista.
La discussione tornò sulla retta via, mentre io descrivevo il carico che probabilmente era stato portato da Isengard. Saruman era piuttosto fissato con il voler ricevere i propri meriti e sicuramente, aveva contrassegnato le casse con la sua classica mano bianca.
« Dobbiamo mandare anche un messaggio a mio padre. Sicuramente avrà saputo del passaggio così vicino a noi da parte dell’anello. Vorrà una spiegazione » disse Boromir passandosi una mano tra i capelli che a causa del sudore e del sudicio avevano assunto una paio di tonalità di scuro in più. Ma rispetto a tutti i soldati presenti, era sicuramente colui che aveva prestato più attenzione alla sua estetica, poiché si era anche evidentemente lavato il viso alla belle e meglio quella mattina. Non potevo dire lo stesso di tutti i restanti presenti.
« Dovreste mandargli un messaggio scritto. Così che non venga messa in discussione la parola del messaggero » suggerì il sottoufficiale mentre io osservavo la scena ancora malamente appoggiata al muro dietro la mia panca, quasi aggrappandomi con le dita alla seduta in legno.
Le cure di Boromir stavano facendo effetto,e  perlomeno adesso riuscivo a reggermi a sedere ma temevo che avrei rischiato di riaprire la ferita solo provando a muovermi più velocemente di un lemure addormentato. Senza contare che faceva un male cane e dovevo aver perso più sangue del previsto poiché la mia pressione restava sempre così bassa da annebbiarmi la vista.
« Potremmo usare le sue spade. Nessuno usa due lame in quasi tutta la Terra di Mezzo, vostro padre capirà sicuramente »
« Cosa? » ribattei confusa guardandomi attorno come se fossi appena arrivata. Era evidente che mi dovevo essermi appena perso qualche pezzo d conversazione perché cosa c’entravano adesso le mie spade?
« E’ un ottima idea, Gwend dammi le tue spade manderemo quelle a mio padre » disse Boromir marciando verso di me con una mano tesa.
Come se uno potesse chiedermi di donargli una parte di me così, per hobby. Come se niente fosse, e come se non avrei preferito marciare a piedi fino a Minas Tirith e tirare una bastonata in capo al Sovrintendente tutta da sola, piuttosto che dargli le mie spade.
« Non se ne parla » ribattei poggiando immediatamente una mano su una delle due else con fare protettivo.
« Non è come se ti servano a qualcosa, seduto in eterno su quella panca » commentò il Capitano di Gondor, guadagnandosi una delle mie migliori occhiatacce che ovviamente gli scivolarono via come acqua.
Discutemmo per quella che Boromir si lamentò essere un eternità mentre a mio parere, fu troppo poco. Ma alla fine sfoderai le spade, guardandole con amarezza mentre Madril me le sfilava di mano con gli occhi così felici che sembrava quasi le stessi donando a lui.
« Vi avverto che le rivoglio indietro, o non sarà la mia vendetta di cui dovrete preoccuparvi. La furia di Arwen sarebbe devastante » li avvisai mentre l’uomo impallidiva leggermente, alzando lo sguardo su di me.
« Chi è costei ? Un altro stregone? » domandò l’uomo di Gondor mentre Boromir sorrideva da sotto i baffi poggiandogli una mano sulle spalle.
« Molto peggio amico mio, è una principessa, figlia di Re Elrond »
« E perché un principessa elfo dovrebbe spaventarmi ? » domandò Madril confuso, guardando tra me e Boromir con un sorriso ironico che notando le nostre espressioni serie, si spense in frette.
« Capisco, farò attenzione Gwend » mormorò congedandosi frettolosamente mentre Boromir gli urlava dietro di sporcarle un po’ con del sangue, così per dargli un effetto più drammatico.
Sospirai, accasciandomi ancora di più contro le fredda mura alle mie spalle, sperando che Arwen mi perdonasse per aver macchiato a quel modo il suo meraviglioso dono.
 

 
 

 
All’alba, l’incendio che avevamo creato nella parte opposta della sponda di Osgiliath si era spento, e con esso era arrivata la risposta del sovrintendente che richiedeva a Boromir di tornare a palazzo per aggiornarlo sull’attuale situazione della città e su qualcos’altro.
« Usa il fuoco rimasto per dare alle fiamme il fiume ogni sera dopo il tramonto, rallenterà l’avanzata degli orchi » stavo consigliando Madril mentre rifacevamo in fretta assieme agli altri, il punto della situazione.
« Non per sempre » commentò Boromir crucciato mentre si grattava sovrappensiero la barba.
« No, non per sempre, la guerra alla fine raggiungerà le porte di Minas Tirith » confermai tristemente, mentre i soldati di fronte a noi si scambiavano uno sguardo terrorizzato. E non per sé stessi, non era la loro vita che avevano a cuore, ma quella delle persone che riponevano in loro, la loro salvezza. Quella delle famiglie all’interno delle mura della capitale.
Boromir lanciò uno sguardo amaro verso la città bianca, fosse stato suo fratello o qualunque altro soldato, probabilmente avrei cercato di consolarlo in qualche modo, di ricordargli che non era solo. Ma non mi azzardai neppure a stringergli una spalla con la mano, in solidarietà. Ognuno affrontava la battaglia successiva con il proprio carico di bagagli, Boromir era un grande Capitano, si sforzava sempre di portare anche quello degli altri.
Soprattutto adesso temevo, che si sentisse come se avesse qualcosa da dimostrare, probabilmente a se stesso, che poteva riscattarsi e che quella versione distorta di un Boromir soggiogato dall’anello non era la sua vera natura. Ma solo una parte, che avrebbe potuto domare, per tutta la vita per il bene della sua gente.
« E’ ora, andiamo » ci congedò il Capitano di Gondor mentre io mi sforzavo di non dare a vedere troppo quanto temessi quel viaggio.
Bucefalo mi avrebbe portato fino alle porte della città, ma poi saremmo andati a piedi fino la cittadella dove avremmo dovuto incontrare suo padre. Perlomeno non avevano dovuto sporcare ulteriormente il mio aspetto, tra lo sporco nei capelli e il sangue sui vestiti, sembrava un miracolo che stessi ancora in piedi. Mi chiesi se anche il mantello stesse facendo la sua parte in quella farsa, poiché ero certa di non essere messa così male, come dovevo invece apparire.
 
 
« Non sarò gentile con te » mi avvertì Boromir prima di aprire le grandi porte,che ci avrebbero condotti da suo padre.
« Sai che novità » gemetti tra i denti mentre il Capitano di Gondor mi lanciava davanti a lui di malagrazia, continuando a camminare con passo impetuoso, senza curarsi che io riuscissi o meno a stargli dietro con le mani legate davanti a me, i capelli incrostati di sangue e sudicio.
La faccia sofferente, mi riuscì sena problemi, poiché effettivamente stavo patendo come un cane.
I polsi mi dolevano a causa delle corde troppo strette, le gambe non le sentivo neppure più dopo la lunga camminata nella città e la ferita all’addome non cessava un minuto di bruciarmi, ricordandomi ogni secondo quanto in profondità fosse andata la lama di Boromir.
« Boromir, figlio mio » disse suadente il sovrintendente mentre si alzava dal trono in fondo alle scale sulla quale era seduto prima del nostro arrivo.
« Ho ricevuto il tuo dono » continuò mostrando le mie lame che erano ora un ornamento riposto sopra lo schienale della sua seduta.
Avrei voluto arrabbiarmi a quella vista, ma l’unica cosa che riuscii a provare fu ribrezzo, non le aveva neppure pulite, erano sempre lì, luride di sangue come Boromir le aveva sporcate per dare più crudezza al suo messaggio ma erano state appese sopra la testa dl sovrintendente come se dovessero dimostrare la pericolosità del suo nuovo possessore.
« Ma non capisco perché lui sia ancora vivo » aggiunse indica nomi mestamente con l’indice, per poi spostare immediatamente lo sguardo, come se fossi un essere ributtante a cui sola vista gli avrebbe rovinato la giornata.
Beh almeno quella era una cosa che avevamo in comune, anche io detestavo guardarlo, con tutta me stessa.
« Lui sa » ribatté Boromir prendendomi per i capelli e tirandomi indietro la testa, così che il mio viso fosse esposto alla luce del sole che filtrava dalle finestre, quasi accecandomi a contrasto con i miei occhi.
« I sui occhi vedono il futuro padre. Lei conosce i movimenti dell’anello e di Mordor, possiamo sfruttarla a nostro vantaggio » il Capitano di Gondor alleggerì leggermente la presa, supposi giusto per evitare che mi staccasse l’intero scalpo poiché a mio parere, continuava a farmi un male cane.
Spostai lo sguardo sul sovrintendente, sentendomi quasi rabbrividire dinanzi alla follia che lessi nel suo sguardo. Sapevo che se Boromir avesse deciso di finire lì quella farsa e di vendermi realmente a suo padre come merce di scambio, per me sarebbe stata la fine. Lottai contro il mio stesso istinto per non attaccare l’uomo di fianco a me che mi costringeva in ginocchio dinanzi un padre tanto ignobile. Ma mi costrinsi a non fare niente, poiché era quello che volevamo, che l’attenzione del Re ricadesse completamente su di me, così che non avrebbe richiesto la vita di Faramir in cambio del suo tradimento.
« Ma certo. Ma certo figliolo. Tu sì che mi capisci, tu vedi la reale grandezza a cui siamo destinati! Ma dobbiamo farla parlare come? » mormorò Denethor mentre si avvicinava di qualche passo, istintivamente mi mossi all’indietro, nonostante fossi in ginocchio e con ancora Boromir che mi teneva per i capelli, ma non volevo che quell’essere ripugnante mi toccasse o temevo che avrei mandato tutto all’aria, uccidendolo con le mie stesse mani.
« Beh padre, anche Gwend l’invincibile, parla se invitato a farlo con i giusti strumenti » Boromir pronunciò l’ultima parola così seducentemente, che mi ritrovai a guardare il Capitano di Gondor con un misto di shock e paura quasi reali. Ero certa che lui non avrebbe esitato a torturare il nemico per ottenere le informazioni che gli servivano a difendere Gondor, e per quanto ne sapevo, Gandalf e Aragorn a modo loro non erano stati molto più indulgenti con Gollum, quasi un anno prima. Eppure l’idea mi ripugnava comunque, nonostante non potessi giudicare nessuno dei presenti a causa delle mie azioni passate e presenti, mi era sempre piaciuto ritenermi ad un livello di giustizia diversa. Dove non sarei mai scesa ad usare le stesse crudeli tattiche del nemico, contro di lui.
« Beh questo spiega perché mi stia sporcando il pavimento » commentò Denethor con un’occhiata sprezzante e un leggero risolino. « Adesso vieni figlio mio, raccontami pure cosa è successo con calma, con un bel bicchiere di vino. Il nostro ospite, non andrà da nessuna parte » il sovrintendente si allontanò da me e da Boromir, dirigendosi verso la tavola imbandita mentre io venivo legata alle basi di una colonna come un cane, con un ulteriore cappio che mi passava perfino dal collo, a pochi metri da loro.
Supposi che quella per chiunque altro sarebbe stato solo un’ulteriore tortura ma il mio stomaco era ancora sazio dalla colazione della mattina e personalmente sarei più volentieri morta di fame, piuttosto che accettare il cibo che ora si trovava su quella tavola.
Perfino Boromir non sembrava più a suo agio come lo ricordavo anni dapprima, adesso guardava gli avanzi nei piatti del padre con rabbia contenuta, probabilmente pensando alle razioni di cibo a cui erano costretti i suoi soldati, mentre l’uomo che avrebbe dovuto guidare l’intera nazione era impegnato a  rifocillarsi, girandosi dall’altra parte ogni qualvolta il suo figlio maggiore lo informava delle nuove perdite.
D’altronde per Denethor quei soldati non erano i figli o padri di qualcuno, erano solo pedine nelle sue mani e poco importava se qualcuna cadeva, faceva parte del gioco.
« Dunque hai scoperto i piani del Bianco Stregone? » domandò Denethor quando oramai annoiato dal fatto che la care si era raffreddata, aveva iniziato a giocarci svogliatamente con la forchetta.
« Sì padre, abbiamo catturato Gwend che cercava di penetrare nella città durante le ore più buie » lo disse con un tale tono piatto e fasullo, mentre fissava l’interno del suo calice con disinteresse che fui colpita quando Denethor non mise minimamente in discussione le sue parole, anzi riuscì a marciarci sopra da solo, come se tutto quello che stava succedendo attorno a lui avesse un senso ed ogni evento accadutogli negli ultimi giorni, si stava ricollegando ad oggi.
« Ah ma certo adesso sì che tutto ha un senso. Quel dannato stregone sa che la mia mente non è facile da raggirare come quella di quello sciocco di mio figlio. Per questo mi manda il suo apprendista prediletto come sicario! » Denethor si aprì in una leggera risata gutturale che se non fossi stata legata ad una colonna malconcia e dolorante, me ne sarei andata solo per non dover sopportare oltre la sua presenza. Era così pieno di se stesso che non facevo fatica ad immaginare perché neppure Boromir lo amasse.
Nonostante fosse il figlio prediletto, quello perfetto e magnifico, era evidente che in realtà il sovrintendente vedesse in lui, solo quello che voleva vedere, non quello che era realmente. Come se davanti al vero Boromir vi fosse uno specchio ed ogni volta che Denethor lo guardava rivedeva in lui le sue “migliori” qualità.
Per fortuna la successiva frase di completo delirio fu interrotta da uno dei soldati che avevamo visto prima presidiare di guardia le grandi porte d’accesso alla sala dal Re.
« Mio Signore, lo Stregone Bianco è entrato in città, con lui vi è anche vostro figlio Faramir » annunciò l’uomo di Gondor prima di inchinarsi e aspettare ordini.
Osservai il viso di Boromir stupendomi di quanto il suo volto riuscisse a mascherare le sue emozioni al contrario di quello del fratello. Ma i suoi occhi mentivano con molta meno facilità, poiché non appena udì il nome di Faramir si illuminarono come se li avessero appena tolto dalle spalle un intero muro di cemento.
Era stato sinceramente terrorizzato di aver fatto male alla persona che amava di più a questo mondo. Sapevo che se Boromir aveva accettato tutta quella messinscena, non l’aveva certamente fatto per un bene superiore come Gandalf e neppure per Gondor stessa. No, l’aveva fatto per suo fratello Faramir, per tentare di onorarlo in qualche modo se avesse finito per scoprire, che le sue azioni gli erano costate la vita.
« Padre non farete del male a Faramir non è vero? E’ stato avvelenato dalla magia di Mithrandir » intercedette Boromir quando il sovrintendente ruggì con rabbia a quelle parole, urlando al tradimento e a come osavano, come si permettevano di entrare nei suoi domini come se fosse casa loro.
« A cosa serve quell’inetto Boromir? Perché ti ostini sempre a difenderlo? » soffiò Denethor voltandosi verso suo figlio mentre dava un calcio pieno di rabbia alla favola imbandita rovesciandola in terra.
I servitori sbucarono dalle mie spalle in silenzio e veloci, come se fosse una scena che vedevano tutti i giorni e in poco tempo ripulirono il pavimento, spostando il tavolo adesso vuoto, a ridosso del muro.
Boromir guardò il cibo oramai inutilizzabile venire buttato in dei sacchi che poi probabilmente sarebbe andati a riempiere la pancia dei maiali.
Il Capitano di Gondor scosse le spalle con fare indifferente, avvicinandosi al padre con passo lento e misurato mentre mi superava con uno sguardo di finto disinteresse.
« E’ solo che non è un grande pericolo, se riuscissi a farlo tornare dalla nostra parte, per Gandalf sarebbe una sconfitta mentre se non ci riuscissi … Beh mio fratello non è mai stato un granché con la spada » aggiunse sotto lo sguardo ammirato del padre, che comprese esattamente ciò che Boromir desiderava. Se Faramir si fosse rivelato una nullità come Denethor temeva, Boromir stesso gli avrebbe tolto quella vergogna dalla vista.
« E sia, porta Gwend nelle segrete, io ho degli ospiti da accogliere » confermò il Sovrintendente con un sorriso malevolo mentre rendeva le mie spade che avevano fino a quel momento ornato lo schienale del suo trono, e portandosele in grembo, guardandole come se fossero un gioiello estremamente raro.
Boromir mi slegò dalla colonna, trascinandomi via con la solita poca grazia, tirandomi anche per il cappio che avevo ancora intorno al collo, mentre io guardavo le mie spade con amarezza, giurandomi che le avrei a breve riavute al mio fianco.
 
Scendemmo così tanti gradini, che Boromir dovette avere pietà di me, perché mi aiutò a camminare con una mano sotto l’ascella, portando su di sé una parte del mio peso.
Non incontrammo nessuna guardia, cosa piuttosto strana se dovevo dire la mia, poiché anche sena spade, ero certa che fuggire da un simile sotterraneo sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Certo non sapevo orientarmi bene quanto Gimli sotto terra, ma potevo cavarmela.
« Vi è qualcosa che potrei dire per lasciar comprendere ai tuoi compagni che stai bene senza attirare l’attenzione di mio padre? » domandò Boromir quando finalmente giungemmo in una nuova sala.
L’aria era fredda  e pesante, segno che dovevamo essere nel cuore della montagna, l’unica luce, proveniva dalle torce lungo il corridoio, qualche metro più in là.
Nel centro della sala era disposta una colonna, con un telo scuro riverso sopra, che copriva un qualche tipo di oggetto sferico. Anche lì nessuna guardia, solo quello strano piedistallo, posto davanti a quasi una decina di celle.
Con mi sorpresa però, Boromir non mi condusse dentro nessuna di esse, ma anzi mi accostò al muro dove vi erano delle corte catene di ferro, che finivano in delle manette.
Mi legò i polsi costringendomi in ginocchio davanti al piedistallo, con le braccia semi-sollevate sopra di me.
« Ti sembro una che sta bene ? » sbuffai trattenendo l’ennesimo gemito di dolore quando mi mossi per cercare di trovare una posizione che avrebbe costretto la mia ferita il meno possibile.
« Hai capito non ti lagnare, hai passato cose peggiori di questa » allontanò la questione con semplicità Boromir costringendomi ad alzare la testa verso di lui.
Era strano per me, ricevere un commento tanto diverso rispetto a quelli a cui ero abituata con i miei compagni, Aragorn e Legolas mi avrebbero probabilmente cullato tutto il tempo, dicendomi che ero stata avventata e che non avrei dovuto correre un rischio tale. Che si dispiacevano per il mio dolore e avrebbero fatto tutto il possibile per alleviarmelo.
Invece Boromir sapeva di che tempra ero fatta, e a quanto pareva aveva sempre saputo che ero una ragazza, e la cosa mi faceva in realtà estremamente piacere. Mi sentivo trattata come se fossi una che valeva davvero, che non aveva bisogno i alcun aiuto e che se c’era da fare le cose in grande poteva farle da sola. Anche se faceva un male cane.
« Se riesci, prova a dirgli “una vita per una vita” credo che Gandalf capirà » dissi tentando quasi di scrollare le spalle, ma ripensandoci appena in tempo.
Vi fosse stato anche Aragorn nel piccolo gruppo, ero certa che il ramingo avrebbe capito al volo mentre con lo stregone non ne potevo essere certa, sperai di sì, così da non costringerlo ad uno shock troppo lungo.
« “Una vita per una vita”?  » ripeté di nuovo Boromir mentre si slacciava dalla cintura la sua borraccia, avvicinandomela alle labbra così da farmi bere qualche sorso. Non potevamo sapere quanto a lungo sarei dovuta restare lì dentro.
« Già sono state le ultime parole di Re Théoden prima di esiliarmi da Rohan » risposi non appena ebbi finito di bere, ringraziando Boromir con un mezzo sorriso quando mi spostò i capelli dalla faccia, sistemandomeli dietro le orecchie.
« Credevo che Théoden fosse tuo amico » disse Boromir  abbassando lo sguardo su di me « Cosa gli ha fatto cambiare idea? »
« Ha scoperto che ero una donna » sussurrai malinconicamente guardando fisso dinanzi a me, per non incrociare i suoi occhi. Sentii il suo sguardo sul mio viso per qualche altro secondo e qualunque cosa vi lesse, fu sufficiente per farlo tornare sui suoi passi. Non mi disse che gli dispiaceva, non sarebbe stato da lui, ma mi poggiò una mano sulla spalla accompagnata da una leggera stretta di consolazione prima di lasciarmi completamente sola, ad affrontare la noia mortale delle segrete di Minas Tirith, andandosene.
 
 
 
 






NdA : Suppongo che sarebbe meglio che io tacessi e basta a questo giro on è vero? ^^’ Forse farei una figura migliore …
 In tutta onestà, ero certa che avrei postato ieri. Ma è evidente che qualcuno ce l’ha con me, perché ho fatto il vaccino e ovviamente mi è venuta la febbre a 39 e mezzo e ho cercato di scrivere qualcosa combattendo contro il mal di testa per tutta la settimana.
Come si può intuire dal mio ritardo, ha vinto il mal di testa xD
Nemmeno ci provo a dirvi che la prossima volta posto di venerdì come dovrei, perché magari è quello che porta sfiga e se non lo dico, magari ce la faccio davvero ^^’
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante l’attesa e che mi urlerete dietro nei vostri commenti  *-* che sono ovviamente la mia parte preferita in tutta la storia <3
 
PS: Mi sono ricordata, cosa mi ero scordata sabato scorso. Era: Buona Pasqua ._.
Beh oramai è andata sarà per quella del 2022 eh xD
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: BreathE