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Autore: SkyDream    10/04/2021    3 recensioni
[Ship!SakuAtsu][Challenge]
Partecipa alla challenge Slot Machine! di Juriaka e all'iniziativa "Apri le challenge" indetta da Gaia Bessie su Facebook.
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«Non ti ho mai invitato ad un appuntamento».
«Perché andare ad un appuntamento mi è sempre sembrata una roba troppo da dottori».
Atsumu sbuffò a ridere, una risata amara e acida come quando rigurgiti i sogni andati di traverso e cerchi di non morire soffocato da essi. E trovi tutto maledettamente ironico.
«Diventi sempre sarcastico quando sei nervoso, Kiyoomi».
«Tu diventi sempre stronzo quando non accetti qualcosa che viene fatto per il tuo bene. Non è difficile solo per te, Atsumu».
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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From Now On
[Ship!SakuAtsu]

 
Challenge Slot Machine: 8 porta un personaggio a vostra scelta a vedere le stelle.
Genere!Bonus: romantico
 
Apri le challenge: Oh, com’è necessaria l’imperfezione per essere perfetti! – Giovanni Pascoli.
 
Il pavimento era freddo, davvero, gelato come mai doveva esserlo stato. E i muri, dolorosamente colorati, scomparivano sotto le ombre tetre delle serrande abbassate, ombre create dai lampioni scossi dal vento sulla strada.
Il letto era rifatto, le lenzuola stirate per bene sotto il copriletto a pois blu e bianchi su cui spesso avevano fatto l’amore, travolti da una passione incontenibile.
Sopra i cuscini, appeso al muro, vi era un quadro con un puzzle sulla savana, due giraffe tentavano di mangiare delle foglie al tramonto.
Ma il quadro era ormai coperto dall’oscurità, per cui si rese conto di vedere il contenuto solo perché già lo conosceva.
D’altronde quella era ormai casa sua, ne conosceva ogni angolo, ogni mobile e ogni cassetto.
Sapeva che Atsumu nascondeva il suo profumo preferito nel cassetto dei calzini, così da tirarlo fuori solo nei momenti propizi.
Sapeva che le caramelle al latte erano dentro il comodino accanto al letto e che le patatine andavano sempre posate sullo scaffale più alto per rendere più ostile il loro raggiungimento.
Sapeva che il telecomando della televisione aveva ormai vita breve e che il secondo joystick della playstation aveva un tasto rotto – e doveva accaparrarselo sempre lui! -.
Kiyoomi apparteneva a quella casa, a volte pensava ormai di esserne parte in tutto e per tutto, di appartenergli nonostante quella casa non gli appartenesse.
Se n’era reso conto troppo tardi, quando ormai separarsi era inevitabile. Era una questione di vita, e non quella sua.
Kiyoomi si alzò in piedi quando il rumore dei treni in arrivo gli riempì le orecchie, quando il vento si sollevò quel tanto che bastava per entrare dalla finestra e scuotergli il ciuffo scuro davanti gli occhi, la luce del lampione gli schiarì appena una mano e si spostò sul pavimento rendendolo di un tenue dorato.
Richiuse la finestra e prese la valigia, diede un’ultima occhiata al letto e alla lettera che giaceva immobile sul cuscino.
Girare la chiave nella toppa fu tremendo, ma la conservò nella tasca interna della valigia, come faceva sempre quando andava a Tokyo per un paio di giorni ed era certo che sarebbe tornato in quelle mura così familiari.
Raggiungere la stazione ferroviaria fu semplice, non distava che pochi metri, ma il peso della valigia era irrazionale. Dei semplici vestiti e un paio di scarpe pesavano come macigni, sembravano mattoni di cemento pronti a farlo sprofondare.
Kiyoomi sorrise. Buffo come quella valigia pesasse comunque meno della sua anima.
Obliterò il biglietto e raggiunse il binario numero quattro. Era vuoto.
Era vuoto ad eccezione di un ragazzo seduto su una panchina, aveva i capelli biondi che oscillavano davanti al viso e una sigaretta tra le mani che creava ghirigori di fumo nel vento.
Kiyoomi si avvicinò fino a sedersi accanto a lui.
«Sai che non mi piace vederti fumare».
«Neanche a me piace vederti andare via, eppure eccoci qui».
Atsumu non spense la sigaretta né raddrizzò le spalle per guardarlo meglio, sembrava un vagabondo in balia del vento e del tempo che voleva prendersi gioco di lui.
«Puoi sempre far finta che sia un appuntamento, non guardarla come una cosa negativa.» la buttò lì Kiyoomi sorridendo appena e rivolgendogli uno sguardo sarcastico.
Atsumu era distrutto, era una sagoma di fumo e speranze in frantumi.
«Non ti ho mai invitato ad un appuntamento».
«Perché andare ad un appuntamento mi è sempre sembrata una roba troppo da dottori».
Atsumu sbuffò a ridere, una risata amara e acida come quando rigurgiti i sogni andati di traverso e cerchi di non morire soffocato da essi. E trovi tutto maledettamente ironico.
«Diventi sempre sarcastico quando sei nervoso, Kiyoomi».
«Tu diventi sempre stronzo quando non accetti qualcosa che viene fatto per il tuo bene. Non è difficile solo per te, Atsumu».
Kiyoomi vide il treno fermarsi di fronte a sé, qualcuno uscì e percorse il marciapiede del binario in tutta fretta guardando l’orologio, qualcuno aveva delle buste colme per la cena e qualcun altro si affrettava a tornare a casa dopo gli allenamenti.
 
Kiyoomi non salì.
 
«Ti ho chiesto almeno un migliaio di volte di restare, di non andartene ma tu hai preferito rimanere sordo».
«Ho preferito amarti».
Atsumu rise di nuovo, sentì un eccesso di tosse salirgli alla gola e portarlo nuovamente sull’orlo dell’asfissia. Spense la sigaretta a terra e la calpestò.
«Trasferirti a tre ore di shinkansen per un tempo indeterminato non è un modo per amarmi, Omi».
La voce roca e spezzata convinse l’altro a voltarsi e a cercare i suoi occhi lucidi, nascosti appena da quel ciuffo spettinato a cui ormai si era affezionato.
Tante volte lo aveva scostato quando facevano l’amore.
Prima di baciarlo. Ogni volta.
«Rimanere al mio fianco, per te, sarebbe solo deleterio ora. Fammi tornare in me e potrò finalmente darti tutto ciò che ho sempre desiderato».
Atsumu vide il viso contratto del suo ragazzo e si chiese come avrebbe fatto a dormire da solo, neanche se lo ricordava più com’era vivere da solo.
Come si cucinava e si mangiava in silenzio, come si stava comodi sul divano, com’era trovare il bagno sempre libero e il letto sempre vuoto.
Il solo pensiero lo fece piegare in due come se gli avessero tirato un pugno allo stomaco già rivoltato.
«Stare al tuo fianco è ciò che mi fa stare meglio».
«Non è quello che fa stare meglio me, credimi».
Kiyoomi non voleva piangere, sapeva che se fosse uscita anche una sola lacrima, sarebbe stata la fine.
Atsumu prese in mano un’altra sigaretta ma non l’accendino, cominciò a rivoltarla nelle dita senza pensare davvero di fumarla.
«Atsumu?».
«Avevamo promesso che saremmo stati vicini qualunque cosa accada. Io volevo farlo davvero, pensavo di farlo bene. Io ti amo così, ti amo per tutto ciò che sei».
Kiyoomi era devastato, vederlo così lo feriva con una potenza inaudita ma, davvero, non poteva fare altro.
Finchè la germofobia era stata una caratteristica marginale, una mera appendice del suo essere, non aveva mai avuto alcun problema con Atsumu.
Anche quando aveva dovuto imparare ad affrontarla, passo dopo passo, ci erano riusciti insieme.
Finchè gli attacchi di panico erano ridotti ad eventi sporadici dalla durata di una manciata di minuti, Atsumu era sempre stato la sua ancora.
Anche quando gli attacchi cominciarono a diventare più frequenti ed immotivati.
Finchè i pensieri intrusivi erano piccoli tarli della mente, facilmente scacciabili con un bacio e una carezza, Atsumu era stato il suo migliore alleato.
Anche quando i tarli avevano cominciato a non farlo dormire e costringerlo a passare intere notti a guardare il viso rilassato del suo ragazzo.
Poi era stato il declino.
Kiyoomi non era più in grado di respirare, di pensare a mente lucida, di prendersi cura di se stesso e di amare. O meglio, non aveva mai smesso di amare Atsumu, ma cosa poteva dare a quella relazione se lui stesso non era in grado di far fronte a tutti i suoi mostri?
Le alternative erano due: tentare di superarla insieme con il rischio di trascinare Atsumu con sé oppure riprendere il percorso con la terapeuta e rimettersi in piedi da solo prima di stringere nuovamente Atsumu tra le sue braccia.
Kiyoomi era cosciente del suo stato, non era la prima volta che provava una cosa simile e che ricadeva con entrambi i piedi dentro una fossa apparentemente senza fondo.
Non c’erano corde e pulegge né sistemi di sicurezza. L’unico modo per uscirne era alleggerirsi a tal punto da tornare in superficie.
Quando aveva detto ad Atsumu che sarebbe tornato da Motoya, nella sua casa nel Kansai, per un tempo non ben definito, aveva messo fine alla vita di uno dei loro piatti di terracotta. Atsumu era rimasto a fissarlo con gli occhi sgranati, le labbra schiuse in un sussurro appena pronunciato.
Mi stai lasciando?
No, ti sto permettendo di vivere perché ti amo.
Kiyoomi sapeva bene quanto fosse facile farsi trascinare in una situazione simile, soprattutto per il suo ragazzo che era sempre stato empatico nei suoi confronti.
Che si era sempre accovacciato con un sorriso rassicurante durante i suoi attacchi di panico, che aveva sfiorato ogni sua paura e scacciato ogni tarlo della mente. Non poteva permettere che le sue giornate fossero buie, silenziose e cariche di apnee ostruttive e distruttive.
Kiyoomi, prima di tornare in superficie, probabilmente si sarebbe distrutto in mille pezzi e tutto avrebbe voluto tranne che spezzare anche lui.
Sapeva di essere perfetto per Atsumu, ma non lo era per la loro relazione. Non lo era per la salute dell’altro.
Non erano riusciti neanche a fare l’amore un’ultima volta prima della partenza. Atsumu aveva passato due interi giorni a tentare di convincerlo a restare, gli aveva sfiorato le mani senza mai stringerle davvero. Amandolo anche in quella scelta quasi blasfema per il loro amore.
Avevano passato l’ultima notte schiena contro schiena, sfiorandosi appena le mani senza proferire una sola parola. Con la voglia mortale di stringersi e fondersi per sempre.
Kiyoomi vide un altro treno arrivare, scesero solo tre persone che si dileguarono rapide nella notte. Atsumu non aveva ancora acceso la sigaretta.
Lui non era ancora salito.
La loro vita era bloccata tra il binario di un treno e un mozzicone ormai spento.
«Non abbiamo mai avuto un appuntamento e, prima di andare, vorrei almeno esaudire questo desiderio. Così potrò dire di averci messo del mio per farti stare meglio.» Atsumu incrociò le dita delle mani e guardò l’erba scossa tra le rotaie ormai arrugginite.
«L’ultimo treno passa tra dieci minuti, Atsumu».
«Dieci minuti saranno più che sufficienti».
Kiyoomi aggrottò le sopracciglia senza capire, ma vide il suo ragazzo sorridere – stavolta un po’ meno acido e amaro – e prendergli la mano. Era fredda, gelata.
«Omi, ti va di venire a vedere le stelle con me?».
L’altro ragazzo non ebbe il tempo di annuire che si ritrovò in piedi, Atsumu lo stava trascinando sulla linea gialla al confine con i binari.
Alzarono entrambi la testa verso l’alto. La notte brulicava di tenere stelle luccicanti e la luna, in tutta la sua bellezza, sembrava rischiarare qualunque cosa.
Atsumu allargò le braccia e lo avvolse fino a stringerlo contro il petto, gli baciò i folti riccioli scuri e vi passò le dita scoprendoli morbidi come sempre.
«Ti aspetterò a casa nostra ed esigo che tu entri con il tuo mazzo di chiavi».
«Lo prometto».
Kiyoomi sollevò gli occhi per guardarlo e si soffermò sulle labbra morbide e chiare, si avvicinò quel tanto che bastava per sfiorarle con le proprie.
Sapevano di fumo e caramelle al latte, le stesse che teneva dentro il comodino e che a volte la sera mangiava prima di andare a dormire.
Kiyoomi non aveva alcuna intenzione di andare via davvero, voleva tornare in sé e amarlo come aveva sempre fatto. Senza remore, senza tarli, senza il terrore di farlo precipitare in una fossa senza fondo.
Il treno arrivò – troppo – veloce di fronte a loro e costrinse Kiyoomi a sciogliersi dall’abbraccio e a riprendere la sua valigia prima di salire.
Atsumu lo guardò un’ultima volta con gli occhi imploranti, se fosse stato davvero per il suo bene lo avrebbe lasciato andare.
Ma, per puro egoismo, moriva dalla voglia di portarlo via da lì e tornare a casa.
In un letto abbastanza grande da contenerli entrambi.
In una cucina altrimenti troppo vuota.
In un divano allora scomodo.
Kiyoomi però salì e gli fece un cenno con la mano, gli occhi contornati da profonde occhiaie che non accennavano a scomparire. Le braccia troppo vuote che aspettavano di essere colme dei suoi abbracci.
«Tornerò presto! Te lo prometto!».
 
E Atsumu volle credergli. Si fidava di lui e sapeva quanto fosse forte.
Forte e leggero abbastanza da riemergere, da tornare a respirare.
 
Chiamami almeno una volta al giorno, perché ho paura di dimenticare la tua voce.
E chiamami perché voglio essere certo che tu riesca ancora ad amarmi.
E lotta, lotta per continuare a giocare sullo stesso campo e a dormire sotto la stessa coperta.
 

Angolo autrice: So che nell'ultimo periodo ho pubblicato tanta roba, ne sono cosciente ed è colpa delle sopracitate autrici - che vi consiglio di seguire perchè ne vale assolutamente la pena!-.
 
Per chi se la fosse persa, ho pubblicato una Fantasy!AU - > ≈ Karakara Town ≈ ~ L'Universo dei Doni ~ 
   
 
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