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Autore: Aceaddicted_    12/04/2021    0 recensioni
«Ehi… una volta che avrò sistemato questa faccenda e avrò fatto di Barbabianca il Re dei Pirati…un giorno salperemo per mare, vivremo come vorremo più liberi di qualunque altro! Non perderò mai, hai capito Fanie?» disse con convinzione stringendola tra le proprie braccia, baciandole i capelli.
Una storia avvincente, in bilico tra il desiderio della ribalta e l'amore, che porterà Ace e Fanie a fare delle scelte difficili lungo il loro cammino. La Grande Era della Pirateria, sarà davvero giunta al capolinea?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marco, Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Erano passati due anni dalla morte di Ace.
Due lunghi anni da quando Stefanie si era vista strappare da sotto le dita la sua famiglia; l’uomo che amava e il padre che tanto stimava. Più che mai ora avrebbe voluto potergli dire una parola in più o abbracciarlo. Le avevano tolto tutto. Quelle maledette promesse erano giunte a capolinea, lasciandosi alle spalle il loro sogno irrealizzato. Aveva immaginato il loro futuro in maniera completamente diversa, ed ora si ritrovava al mondo senza un proprio posto.
 
Le avevano tolto Ace, ma proprio lui le aveva lasciato uno dei regali più importanti che potesse farle. Ora come un tempo, sarebbe stato sempre al suo fianco: in quei capelli corvini, in quel sorrisetto da teppista e in quegli occhioni vispi che la guardavano con fame di crescere. L’avrebbe guardata invecchiare e le sarebbe stata accanto nelle fredde notti, in maniera completamente diversa, ma era innegabile che in quella piccola creatura risiedeva la volontà della D ereditata dal padre.
 
Scappati da Marineford, lei e Marco, si erano rifugiati in uno dei villaggi sperduti sotto la protezione di Barbabianca, decidendo di stanziarci fino all’arrivo del nascituro. Avevano momentaneamente separato le ciurme, in modo da correre meno pericoli possibili, con la promessa che arrivato il giusto momento si sarebbero riuniti. Hina avrebbe preso le sue parti per questo periodo.
 
Stefanie, grazie all’immenso aiuto dell’amico nonché medico, riuscì ad affrontare il parto ed a riordinare la propria testa definendo dei nuovi obbiettivi, riposizionando le priorità della propria esistenza. Vendetta? L’avrebbe voluta prima o poi, avrebbe ripagato con la stessa moneta chi le aveva stravolto la vita, ma non ora. Tutto si sarebbe concentrato su quel bambino.
Lo avrebbe guidato sulla strada spianata da Ace, tramandandogli aneddoti e conoscenze di esso. Gli avrebbe fatto conoscere i valori della loro pirateria, spronandolo a trovare il proprio posto nel mondo e solo quando pronto gli avrebbe rivelato il significato di quella D. Stefanie era ben a conoscenza del passato di Pugno di Fuoco, delle sue sofferenze legate al proprio sangue e a tutto quello per cui aveva dovuto combattere nel tempo. Loro figlio non doveva patire tutto ciò.
 
Dopo la Guerra dei Vertici tutti i coinvolti avevano fatto perdere le proprie tracce, così come loro, anche Rufy era sparito dalla circolazione ed ancora adesso, non erano riusciti a rintracciarlo in alcun modo. Già due anni, il tempo sembrava correre a momenti e fermarsi in altri.
 
«Sai… tuo padre sarebbe stato così orgoglioso di vantarsi della tua somiglianza con lui, con queste lentiggini poi… Sei ancora piccolo, ma già lo vedo che mi farete dannare allo stesso modo…» sussurrò dolcemente la giovane, cullando tra le braccia il piccolo, mentre se ne stava all’ombra di un albero.
 
Shpinx era la terra natia di Edward Newgate, una piccola isola nel Nuovo Mondo, che nel corso degli anni grazie alla supremazia di Barbabianca era risuscita a sopravvivere e ad essere autosufficiente. Era qui che si erano nascosti. Marco si era prestato ad assistere il villaggio come medico, mentre il Capitano dei Forget Me Not, era diventata un tutto fare tra il piccolo e gli abitanti. Stavano bene, certo faceva decisamente strano ad entrambi essere in quella situazione, ma dovevano temporeggiare prima di rimettersi nella vetta. Il piccolo era priorità.
 
«Sono d’accorto, avrebbe corso avanti ed indietro per la Moby Dick facendo un chiasso assurdo…» intervenne Marco alle sue spalle, accarezzando dolcemente i capelli corvini del bambino. Era tale e quale al padre, nemmeno l’avessero ricalcato.
 
«Speriamo che di testa cresca meglio. Prendi dalla mamma almeno questo!» risero tutti e tre, divertiti dai versetti simpatici che il piccolo emetteva.
 
«M-Marco… ho fatto la scelta giusta? Non voglio che abbia alle spalle lo stesso destino di suo padre…» sussurrò appena la ragazza, quasi vergognandosi di quella domanda, lasciando un tenero bacio su quella piccola fronte rosea. Ogni volta era un insieme di emozioni: tanto amava suo figlio, tanto faceva fatica ad accettare la morte di Ace. Non si poteva scappare.
 
«Certo. Lui è figlio tuo e di Ace, non di Roger. Avranno lo stesso sangue sì, ma ha alle spalle un passato completamente differente…in più sarà lui a scegliere il suo destino crescendo, no?» cercò di smorzare la tensione Marco, giocherellando con il piccolo.
 
La Fenice le era sempre rimasto accanto, forse un po’ per dovere verso il padre della giovane o forse per rispetto all’amico scomparso. Li aveva visti crescere insieme sulla Moby Dick, aveva fatto da mentore ad entrambi ed ancora adesso considerava Stefanie come una sorellina minore da vegliare. Non l’avrebbe abbandonata, nemmeno ora che entrambi avrebbero avuto nuove responsabilità. Erano una famiglia e avrebbero continuato ad esserlo.
Si sedette accanto alla giovane, godendosi quella leggera brezza che li accompagnava sull’alto della collina che svettava sul villaggio. Da lì potevano osservare lo scorrere del tempo, dei giorni, la crescita e lo sviluppo di ogni cosa. Ci andavano spesso, forse cercando di ricevere un consiglio dall’altro, che mai arrivava.
 
«Pensi che se potesse… mi direbbe qualcosa?» domando la ramata, alzando gli occhi al cielo, lasciando la propria testa appoggiarsi sulla spalla del biondo, che le avvolse un braccio attorno alle spalle stringendola a sé.
 
«Beh…sicuramente se potesse si siederebbe qui in mezzo spostandomi con un “Proprietà provata, via.” e sono certo che ti direbbe di sorridergli di nuovo come hai sempre fatto…» continuò l’uomo sfoggiando un sorriso genuino sulle labbra, lasciando un bacio su quei capelli ramati.
«In ogni caso ho io qualcosa da dirti.» continuò Marco catturando in toto l’attenzione della giovane, che si sollevò dalla sua spalla guardandolo con scetticismo e perplessità, sistemando sulle gambe il piccolo erede. Il silenzio di quell’istante si fece più intenso, accompagnato da un venticello più prorompente.
 
«Ho trovato Rufy…» le confessò il medico.
 
Era dalla conclusione della Guerra dei vertici che avevano perso completamente le sue tracce. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Il nulla. Marco aveva investigato nel corso dei due anni, recandosi in anonimato in giro per i territori alla ricerca di Cappello di Paglia, ma nessuno sapeva. Lo credevano morto chissà dove.
 
«È v-vivo?!» balbettò sorpresa da quella notizia del tutto inaspettata. Aveva perso le speranze di rivederlo, di poter potergli presentare il figlio di suo fratello. L’unico pezzo della famiglia rimastole.
 
«Sì, ho scoperto che si è rifugiato ad Amazon Lily sotto la protezione di Boa Hancock, l’imperatrice delle Kuja. Ha condotto un addestramento intenso di due anni con un grande pirata, Silvers Rayleigh. Era il vicecapitano della ciurma di Roger…» spiegò l’uomo.
«Che dici, vuoi incontrarlo?» le domandò sorridendole, sapendo già quale sarebbe stata la riposta da parte della neo-madre.
 
«Certo che voglio!!!» affermò, spostando il piccolo tra le braccia di Marco, scattando in piedi dall’entusiasmo saltellando e dimenandosi come una pazza. Che notizia, quella era una benedizione. Sapere che fosse vivo e stesse bene, fu come una botta d’adrenalina.
 
Passarono un paio di giorni da quella notizia. Marco cercò nuovamente un contatto con Cappello di Paglia, anche se non riuscì mai ad ottenerne uno con il diretto interessato, ma quello non era fondamentale. L’importante era riuscire a organizzare un incontro. Dalla rivelazione Stefanie sembrava aver cambiato luce, tornando ad essere radiante e sorridente come un tempo, diffondendo attorno spensieratezza e serenità. La Fenice ottenne finalmente il riscontro per quell’incontro; il giorno, l’ora e il luogo. Era tutto confermato.
 
La notte prima del fatidico ritrovo, Stefanie era estremamente in ansia. Silenziosa, irrequieta.
Appena il piccolo si addormentò si alzò dal letto, trascinandosi nella piccola cucina della casa che condivideva con Marco. Camminava avanti ed indietro, la sottoveste bianca che ondeggiava insieme ai capelli ramati sciolti lungo le spalle. Una flebile luce filtrava dalla finestra, illuminandola quasi come se fosse il centro di quella cucina.
 
«Cos’hai?» la voce di Marco la sorprese alle sue spalle, facendole accapponare la pelle. Se ne stava lì appoggiato allo stipite della porta, osservandola. Percepì i suoi occhi addosso, e per un istante si sentì in soggezione.
 
«Niente…» rispose la giovane, notando la Fenice farle una smorfia senza dover proferire parola, portando le braccia conserte al petto.
 
«Okay. Sono agitata, non so cosa aspettarmi. Non voglio farmi aspettative e non so come mi sentirò ad arrivare in quel posto con mio figlio… nostro figlio tra le braccia. Cosa dovrei dire? “Questo è il figlio di tuo fratello morto?”» iniziò logorroica a vomitare un insieme indefinito di parole, senza alcun senso. Tutte le sue paure messe a nudo, e la paura di essere giudicata.
Vedendola così in preda ad un attacco di panico il biondo lasciò quello stipite, raggiungendola velocemente e stringendola a sé. Il viso di Stefanie sul suo petto.
 
«Smettila. Quando sarai lì farai quello che ti sentirai.» l’accudì posando il mento sulla sua testa, con fare protettivo. Un po’ fratello maggiore ed un po’ qualcosa di più che ancora lui stesso non era riuscito a definire. Le baciò una guancia, trascinandola con sé verso la camera da letto. Aveva bisogno di dormire per essere lucida il giorno seguente.
 
Furono le prime luci dell’alba, quando i tre si incamminarono verso il porto di Shpinx pronti a salpare per la meta dell’incontro. Stefanie era, apparentemente, tornata il Capitano dei Forget Me Not che tutto il mondo conosceva. I capelli ramati acconciati in una lunga treccia scomposta che le cadeva sulla spalla. Un miniabito succinto di un verde brillante, lunghi stivali di cuoio ed il cappello che possedeva simile a quello di Ace. Il luogo dell’incontro con Rufy era la collina cui Shanks, il Rosso, aveva adibito come santuario commemorativo per Portgas D. Ace e Edward Newgate.
Voleva che Ace la vedesse come l’ultima volta che si erano amati. L’ultima volta in cui avevano fatto l’amore. La donna di cui era perdutamente innamorato.
 
L’ansia la stava divorando, ma cercava continuamente di nasconderla, portando tutta la sua attenzione sul piccolo corvino che stringeva stretto al proprio seno. Lo strinse a sé come fosse acqua nel deserto, lasciandogli baci sparsi e parole di conforto.
 
«Siamo arrivati, andiamo...» l’accolse Marco scendendo per primo dalla piccola imbarcazione, allungandole una mano per aiutarla a scendere e per la prima volta rivide l’orgoglioso pirata che conosceva, snobbandogli la carineria scendendo con le proprie forze ed il figlio tra le braccia.
La fierezza in quegli occhi vispi e brillanti era abbagliante.
 
Salirono la collina, camminando lungo la prateria selvaggia e le distese d’erba cullate dal sole. In quello spazio sicuro Stefanie concedette al piccolo corvino di sgranchirsi le gambe, tenendogli una mano e procedendo insieme. Gli occhi attenti di Marco li osservavano, senza intromettersi in quel quadretto che non era il suo. Rimpiangeva la morte di Ace, avrebbe meritato di godersi una scena simile dopo tutte le sue sofferenze. Era tutto così tranquillo, silenzioso. Quasi fosse un paesaggio da racconto infantile.
Stefanie si fermò riprendendo per mano il piccolo teppista, appena i suoi occhi incrociarono la vista di quel cappello arancione spuntare sulla cima. Ebbe un sussulto, prese un profondo respiro e con suo figlio continuò a camminare, finché non furono sotto alle due tombe.
Shanks aveva proprio reso loro un grande omaggio, gli era grato dal profondo per tutto quello che aveva fatto per loro. Per la propria famiglia.
 
«Ciao…am-amore mio…» mormorò mordendosi le labbra, accarezzando appena con i polpastrelli la tomba bianca di Ace, inginocchiandosi tra i fiori sotto di essa.
Rimase in silenzio per un secondo, portando il piccolo a sedersi sulle sue gambe, accarezzandogli quegli indomabili capelli neri.
 
«Siamo venuti a trovarti… è cresciuto vero?» continuò sorridendo.
«Io e Marco stiamo già iniziando a preoccuparci perché è la tua fotocopia in tutto. Sai, si addormenta anche mentre mangia…» rise spensierata in mezzo a quei fiori colorati. Un misto di gioia e dolore avvolgeva quelle parole.
 
«Stefanie…»
 
Vennero interrotti da Marco in quel momento intimo, facendole esattamente capire cosa stesse succedendo. Rufy era lì. La ramata annuì, ricomponendosi e sollevandosi.
Vide in lontananza quel cappello di Paglia e la sua figura andarle incontro accompagnato da qualcuno. Era Jinbe, l’ex membro della Flotta dei Sette. Stefanie prese il piccolo per mano andandogli incontro, quando da sotto quel cappello di rivelò un sorriso sgargiante e felice.
 
«Ehiii!!!» Rufy si sbracciò, intraprendendo una corsa spensierata verso di lei e del piccolo sconosciuto. Il tempo sembrava non essere mai passato, era sempre lo stesso se non per la grande cicatrice che portava sul petto.
 
Il ragazzo andò subito ad abbracciarla, voltandosi poi per salutare anche Marco dietro di loro. Rise di gusto per quel momento, inginocchiandosi successivamente per essere all’altezza del piccoletto davanti a lui. Lo guardò sorridendo. Qualche smorfia con la scusa della sua pelle elastica, per poi scompigliargli quei capelli già ribelli.
 
«È uguale ad Ace da piccolo, che ricordi…» mormorò con un sorriso malinconico Rufy, ripensando a tutti i momenti passati assieme al fratello maggiore e Sabo. Momenti che avrebbe portato per sempre nel cuore. Magici. Che nostalgia.
 
«Zio Rufy, ti presentiamo Portgas D. Nash...» sorrise Stefanie, accarezzando i capelli ribelli del figlio, lanciando uno sguardo complice verso la tomba di Ace alle sue spalle. Sapeva fosse lì con loro in quel momento.
 
«Ciao piccoletto, io sono lo zio Rufy!» esordì avvicinandosi al corvino, il quale subito sembrò provare forte empatia per lo zio appena conosciuto. Era impossibile per chiunque non avere queste emozioni una volta conosciuto Cappello di Paglia. Tutti lo ammiravano.
 
«Sono sicuro che faremo grandi cose insieme piccoletto, d’altronde buon sangue non mente e quella D. avrà in serbo grandi cose anche per te, vedrai!» continuò Rufy colmo d’adrenalina nel conoscere il nuovo membro della famiglia. Avrebbe vegliato su di lui, o meglio su di loro, proprio come i suoi fratelli e Shanks avevano fatto con lui.
 
Chissà se anche Ace se la stava ridendo insieme a loro da là su, ma di una cosa erano certi:
L’era della pirateria stava per scrivere un nuovo capitolo.
  
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