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Autore: Always_Potter    12/04/2021    2 recensioni
Quando Ryuk lascia cadere il suo quaderno sulla Terra, l’unica speranza dell'umanità è il primo detective al mondo... e una squadra non troppo scelta di Auror.
°*°*°*°
«No, aspetta, fammi capire. Tu hai passato gli ultimi vent’anni a fingere di non esistere, c’è gente seriamente convinta che tu sia un vampiro, e ho visto Robards sull'orlo delle lacrime perché ti sei rifiutato di apparire davanti al Wizengamot per quattordici volte. Ora lanci minacce in diretta televisiva, prendi il tè delle cinque con sei Auror e vuoi presentarti al primo sospettato? Il prossimo passo qual è? Invitare Kira a prendere parte alle indagini e diventare amici del cuore?!»
«Beh, all’incirca… sì, quello sarebbe il piano a lungo termine. Acuta come sempre».
La strega, allibita, accarezzò l’idea di piantare qualcosa di molto acuto nel cranio del detective. Tipo un coltello da cucina.
O una katana.
Avrebbe fatto un sacco di scena.
°*°*°*°
Un detective dal genio imbattuto.
Una Auror dalle abilità eccezionali.
Una quantità sterminata di bugie.
Il Mondo Magico ha di nuovo bisogno di essere salvato.
Genere: Fantasy, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

Solo una pedina

5 gennaio 2004

Sophie osservò L incupirsi mentre leggeva la lettera che Ukita, dal Ministero, aveva inviato loro: secondo l’agente, erano finalmente arrivate informazioni importanti.

«Watari, “Naomi Misora”» scandì il detective, e l’uomo si connetté rapidamente a un database che, la strega ne era sicura, doveva essere più consistente di quello dell’intera Confederazione Internazionale dei Maghi.

Gli occhi neri di L si spalancarono leggermente mentre scorreva con lo sguardo le informazioni trovate, e la rossa prese un altro sorso di tè.

In cuor suo, Sophie si rendeva conto di star osservando troppo e parlando troppo poco per essere sé stessa, ma il leggero disagio nei confronti dei nuovi agenti e l’arrivo di quegli incubi l’avevano scossa abbastanza da ignorare la cosa. Per un giorno, per quell’anniversario, si disse, poteva concedersi un po’ di silenzio.

Peccato che L non sembrasse dello stesso parere.

«Quando Raye Penber si è recato in Giappone, la sua fidanzata era con lui. Stavano nello stesso hotel» iniziò a spiegare, mentre la lettera nelle sue mani si consumava in un fuoco purpureo, «dal giorno successivo alla morte di Penber, se ne è persa ogni traccia».

In quel momento, Sophie si ricordò della foto che aveva raccolto da terra, in un pomeriggio di dicembre: la foto di Raye Penber e di una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri, entrambi in costume, entrambi sorridenti e visibilmente felici mentre si stringevano davanti all’obbiettivo.

La rossa storse la bocca e prese un altro sorso di tè.

«Chiunque cadrebbe in disperazione per la morte del proprio fidanzato… non si sarà mica…»

«Suicidata?!» terminò Aizawa per Matsuda, lo sbigottimento scritto in volto, ma L respinse subito l’ipotesi, dando a intendere di aver già lavorato con lei.

Nel frattempo, Sophie rifletteva col naso affondato nella tazza di ceramica, fissando le foglie di tè sparse sul fondo: sapeva che L in rari, rarissimi casi, si avvaleva della collaborazione di maghi e streghe al servizio governativo- chi più di lei poteva saperlo? No, non era quello a farla meditare. Piuttosto, lo era il fatto che il ragazzo conoscesse abbastanza Naomi Misora da poter essere così certo circa la sua analisi caratteriale… e rimanere comunque impassibile davanti alla sua morte.

La strega si chiese distrattamente se sarebbe successo così anche a lei, se un giorno L avrebbe liquidato la notizia della sua dipartita con una serie di elucubrazioni su ciò che la sua morte avrebbe implicato nel caso di turno.

Si ritrovò a studiare il profilo del detective, ancora intento a parlare.

Quanto ci metterei a dimenticarti di me?

Affondandosi le unghie nei palmi delle mani, Sophie riportò testardamente l’attenzione alla sua tazza di tè.

«Ascoltatemi» concluse L, «indagheremo soltanto su coloro che sono stati pedinati da Raye Penber prima del 19 dicembre, il giorno in cui Kira ha iniziato i test sui carcerati… è un numero molto ristretto di persone.

«Tuttavia, se tra loro si nasconde Kira, non possiamo permetterci di effettuare normali interrogatori, sarebbe troppo pericoloso…»

Sophie lo ascoltò, quasi certa di dove volesse andare a parare: raccogliere prove, senza spaventare o aizzare Kira, utilizzare un approccio indiretto che li facesse arrivare con maggiore certezza al risultato.

Ergo, qualcosa di spiacevole, che agli agenti non sarebbe piaciuto per niente.

Soprattutto perché Sophie ricordava benissimo su chi stesse indagando il collega.

«Chi sono le due persone sulle quali indagava Penber?» chiese il Sovrintendente, teso, mentre Matsuda si affrettava a recuperare delle pergamene da un mobile vicino all’ingresso.

Le parole di L, pesanti come una sentenza, lo batterono sul tempo: «Il Direttore Generale Kitamura e il Sovrintendente Yagami, più i loro familiari... Vi chiedo di lasciarmi installare telecamere e microfoni nelle vostre case».

A quel punto protestarono, certo che protestarono, tutti insieme e vivamente, mentre Sophie si massaggiava con discrezione le tempie pulsanti. Devo tirarmi insieme, si disse stancamente, mentre ascoltava solo a metà una discussione inutile: L non avrebbe mai ammesso seriamente i suoi sospetti, e tantomeno avrebbe fatto marcia indietro su quel piano.

«E sia! Ti lascerò piazzare quelle microspie» sentenziò il Sovrintendente. Il suo volto era terreo, e gli occhi spalancati e ricolmi di preoccupazione, ma l’uomo parlò con la massima dignità. «Però… devi promettermi che non ometterai alcun punto, nemmeno il bagno!»

Sophie inarcò le sopracciglia, mentre il resto degli agenti scatenava un putiferio ancora più acceso, che fece alzare la voce persino al loro superiore. L, totalmente incapace di calmare la situazione con il suo fare apatico, si limitò a ringraziare l’uomo, aggiungendo: «Come misura di riguardo, saremo soltanto Yagami e io a occuparci dei suoi familiari…»

«O magari» intervenne Sophie, attirando lo sguardo sorpreso degli agenti, «i bagni li controllerò io.» Malgrado fosse evidente la vena di stanchezza con cui aveva parlato la strega, il suo tono sapeva poco di suggerimento e molto di affermazione.

Lo sguardo affilato di L su di lei era perfettamente percepibile, anche senza voltarsi a guardarlo. «Non credo che questa soluzione garantisca lo stesso livello di-»

«Credo» lo interruppe fermamente l’Auror, «dall’alto della mia esperienza, di saper dire se succede qualcosa di losco in bagno, Ryuzaki». Matsuda ridacchiò, beccandosi un’occhiataccia da Aizawa. Anche Sophie, però, aveva un sorrisetto di sfida disegnato sulle labbra.

«… Sì, immagino che tu ne sia in grado» capitolò il detective, e Sophie si dovette trattenere dal ringraziarlo con un’abbondante dose di sarcasmo. Non ne aveva le energie. Piuttosto, sorrise in direzione del Sovrintendente.

«Bene. Dopotutto mi sembra il minimo, data la sua disponibilità». Soichiro la guardò con occhi pieni di gratitudine e la rossa, per la prima volta da qualche giorno, si sentì un po’ meno un burattino senza vita.

Guardò quell’uomo, immobile in un angolo della stanza, i pugni serrati e il volto abbassato. Guardò i colleghi, che avevano ripreso a lavorare e parlare, ma sottovoce e scambiandosi sguardi carichi di tensione. Guardò L, in piedi davanti alla finestra, le mani affondate nelle tasche e lo sguardo lontano.

Guardò e guardò, ma non vide nessuna squadra.

Si morse un labbro, stringendosi nella coperta avvolta attorno alle spalle, poi si alzò.

Avrebbe solo voluto andare a dormire, avrebbe solo voluto essere sicura di poter chiudere gli occhi e fare un sonno senza sogni, da giorni questo era tutto quello che desiderava.

Però, in quel momento, si rese conto che c’era qualcosa di più in quella stanza oltre a una manciata di investigatori, diffidenti per natura e per lo più estranei. C’era più di una branca di disperati che stavano scommettendo il tutto per tutto. Poteva, perlomeno, esserci di più, per ognuno di loro, e anche per lei. Anche se non era a Londra.

«Signore, vorrei dirle che lei è un Auror di tutto rispetto, e che sono fiera di lavorare con lei» disse Sophie con sincerità, i capelli rossi che le piovevano in volto mentre si chinava davanti al Sovrintendente, in quella che sperò essere una buona imitazione dei saluti che aveva visto fare ai colleghi.

L’uomo, sorpreso, agitò le mani. «Oh, non è necessario ma... il sentimento è reciproco, signorina Clarke, e la ringrazio per quanto si è offerta di fare» le disse compito, piegando a sua volta il capo.

«Lei non mi deve assolutamente ringraziare, come ho detto, è il minimo, inoltre…» la ragazza tentennò. Con la coda dell’occhio, vide Aizawa spiarli in perfetto silenzio, mentre Matsuda parlava a macchinetta nelle orecchie di uno stoico Mogi.

Sospirò, abbassando per un attimo lo sguardo con aria colpevole. «Senta, già che ci siamo… le volevo parlare, riguardo tutta la faccenda dei pedinamenti, io… io mi rendo conto che non abbiate motivi per avere chissà quale fiducia in me, ma spero vivamente che possiate… che possiamo collaborare al meglio.»

Soichiro Yagami, nonostante la tensione, parve sciogliersi abbastanza da esibire un leggero sorriso. «Sophie, non posso negare di essere rimasto spiazzato dalla notizia, ma comprendo le scelte di Ryuzaki… soprattutto, lei stava solo facendo il suo lavoro.»

Sophie batté le palpebre un paio di volte. «Quindi anche gli altri…?» chiese, indicando gli altri agenti con un vago cenno del capo.

Il sorriso sul volto dell’uomo si accentuò. «Sono ragazzi molto appassionati, Sophie, e forse non sono abituati a lavorare con lei, ma non possono- non possiamo che nutrire stima per lei, è rimasta nonostante ciò che accaduto agli altri Auror, così lontano da casa per giunta…» L’uomo la guardò negli occhi, e Sophie vi lesse un sincero dispiacere… e una sincera gentilezza. «Nessun risentimento, ora siamo una squadra».

Squadra.

Quella parola le gonfiò il petto.

Dopotutto, lei aveva sempre lavorato in squadra, sapeva quanto fosse fondamentale e non per dividersi il lavoro, o scambiarsi sorrisi di circostanza sopra il tè. Merlino, se si fosse ridotto a quello, allora qualsiasi investigatore avrebbe lavorato in solitaria come L.

No, la squadra era molto più che ottimizzare i tempi: era discutere, ipotizzare, consigliarsi, anche arrabbiarsi, e persino distruggere uffici, talvolta. Soprattutto, era sostenersi, esserci gli uni per gli altri, gli uni dove non arrivavano gli altri.

E in quel caso, quello stramaledetto caso… stavano mettendo in gioco le loro vite ma, vedendo lo stato in cui era ridotto il Sovrintendente, non ci voleva molto a intuire che quell’investigazione avrebbe potuto chiedere loro molto più della vita.

Tutti loro avrebbero avuto un immenso bisogno di essere una squadra.

Un flebile sorriso fiorì sulle labbra della strega. «Allora mi chiami Sophie, Sovrintendente».

Lui, sebbene con leggera sorpresa, annuì.

La ragazza sorrise in modo più convinto, poi guardò il resto dei colleghi con aria pensosa:  Aizawa aveva smesso di fissarla, ma poteva ancora vedere quanto fosse accigliato mentre impilava faldoni; la tensione era ancora palpabile nell’aria, e gli agenti sarebbero sicuramente rimasti qualche ora per ricontrollare anche l’ultima serie di nastri.

Sophie curvò appena il capo di lato, e si sarebbe presa a calci se si fosse resa conto di quanto quel movimento fosse lo stesso che L faceva tanto spesso. Il sogghigno che le si disegnò in volto, però, era inequivocabilmente targato Sophie Winchester.

«… Ragazzi, vi ho mai raccontato di come ho fatto quasi divorare Draco Malfoy a una piovra gigante?» esclamò, avvicinandosi ai colleghi. Gli Auror si scambiarono sguardi straniti, e tutto nella stanza tacque per qualche secondo.

«… L’ex-Mangiamorte?!» chiese infine Matsuda, gli occhi accesi di una curiosità nemmeno troppo velata.

«Matsuda!»

«Ahem, i-il-l’Auror?» si corresse freneticamente l’agente, sotto lo sguardo di disapprovazione di Aizawa.

«Quello, in tutto il suo biondo e laccato splendore» confermò annuendo la rossa, mentre aiutava a riordinare le pile di documentazioni e nastri con pochi gesti della bacchetta.

«Ehm, no, direi di no…»

Il sogghigno di Sophie si allargò. «Bene.»

 

Dieci minuti più tardi, Watari stava servendo coppette di gelato mentre un attonito Sovrintendente guardava la sua squadra ridere di gusto: i tre agenti si erano raccolti attorno al tavolino per compilare richieste da spedire alla compagnia ferroviaria che gestiva la linea Yamanote. La loro attenzione, però, era rivolta all’allegra parlantina di Sophie.

Il clima della stanza si era fatto improvvisamente più leggero, la cupa tensione di prima quasi svanita. Il Sovrintendente alzò lo sguardo sul limitare della stanza, da dove L fissava la scena col capo inclinato di lato: sebbene avesse dimostrato più volte una mal sopportazione delle chiacchiere inutili, il detective non sembrava minimamente intenzionato a intervenire.

In tal caso, decise Soichiro, non sarebbe stato lui a farlo.

«Sovrintendente, questa la deve sentire!»

 

A Londra, seduto alla sua scrivania, Draco Malfoy imprecò per l’ennesimo starnuto.

 

***

8 gennaio 2004

L uscì dalla suite di Watari quando era ormai notte inoltrata.

Assieme al mago, aveva trascorso ore a incantare le videocamere e i microfoni da installare l’indomani: Watari amava gingillarsi con la tecnologia babbana, ed era stato lui stesso l’ideatore di una delicata magia in grado di interagirvi. L considerò distrattamente che i suoi collaboratori non sarebbero mai più stati zitti se si fossero resi conto di chi fosse davvero Watari.

In ogni caso, i dispositivi avrebbero trasmesso loro ogni dettaglio di casa Yagami e casa Kitamura, ben protetti dalla magia comune: ciò significava niente cortocircuiti, una difesa contro incantesimi rilevatori, e un paio di settimane di copertura.

Soddisfatto del lavoro svolto, camminò nella penombra del soggiorno con le mani in tasca, sentendosi ben più a suo agio nel buio silenzio di una stanza vuota che nell’ambiente concitato di quei giorni… un ambiente a cui, ne era fastidiosamente consapevole, si sarebbe dovuto abituare in fretta.

Del resto, non era stato poi così difficile abituarsi a Sophie.

Un fruscio improvviso raggiunse il fine orecchio del mago, che si voltò di scatto verso il divano. Inarcò un sopracciglio, gettando un’occhiata al costoso orologio appeso a una parete. Era tardi, davvero tardi, o almeno questo gli insegnavano i rapporti prolungati con esseri umani dotati di un ritmo sonno-veglia standard.

Si avvicinò sapendo esattamente chi avrebbe trovato: Sophie era seduta in mezzo a delle pergamene illeggibili, la schiena contro i piedi del divano. La strega, però, aveva il capo abbandonato sulle ginocchia, e una penna le era rotolata via dalle dita, sul tappeto cosparso di candele spente.

La fissò per qualche secondo, prima di schiarirsi la voce. «Sophie?»

«…Eh?» fu la risposta scocciata, brontolata nel dormiveglia. L, divertito, la chiamò nuovamente.

«Sophie?»

«S-sono sveglia!» farfugliò la giovane, svegliandosi in un sobbalzo. Si sfregò il volto con entrambe le mani, mentre le candele si riaccendevano con un guizzo. Gli occhi di Sophie sembrarono stranamente sbarrati, nervosi, ma solo per la durata di un secondo.

L guardò le pergamene che la attorniavano. «Non dovresti prendere appunti»

«Lo so, lo so, li faccio sparire…»

«Sophie, sono giorni che ti dico di bruciarli, non di farli sparire»

«Non brucerò i miei appunti! E anche se lo facessi, domani li riscriverei da capo… Senti, mi aiutano a concentrarmi meglio, te l’ho detto»

«Aiuterebbero anche Kira, se li trovasse. Per questo ho vietato alla squadra di prendere annotazioni cartacee»

«Per questo ho aspettato che andassero via, anche stanotte»

«Sophie…»

«Dai, decifrali, mi hai detto che li posso tenere se sono indecifrabili» gli disse la strega, porgendogli le pergamene. L si dovette trattenere dall’alzare gli occhi al cielo, perché quell’ostinazione era snervante solo quanto il fatto che gli avesse strappato quella sciocca scommessa. Lei sogghignò. «Scommetto che stavolta non ce la fai.»

Lui fece correre lo sguardo sulle scritte cifrate… che, effettivamente, non erano di lettura così immediata quanto le sere precedenti. Le scoccò un’occhiata di traverso e, se mai vi era stata, ogni traccia di leggerezza sparì dal suo volto.

Non sapeva perché ci avesse messo tanto a notarlo ma, nella povera luce delle candele, era impossibile non vedere quanto fossero profonde le occhiaie dell’Auror.

«Non stai dormendo» mormorò. Sophie fu presa in contropiede, sia da quelle parole, sia dal tono basso, privo della nota di disappunto, di sfida, di spiacevolezza che solitamente condiva i suoi commenti. Lo guardò con occhi rotondi, spalancati dalla sorpresa per un breve attimo, prima di ridere di un’allegria incerta.

«Beh, so che odi essere contraddetto, ma era esattamente quello che stavo facendo… Tra l’altro, scusami, giuro che ero sveglia fino a massimo venti minuti fa…» disse, chiudendo gli occhi mentre si stiracchiava.

L la guardò in silenzio, leggendo il mal di schiena dietro al movimento della strega, studiandone il pallore sotto le lentiggini, calcolando molto velocemente quanto potesse aver dormito in quegli ultimi giorni.

Giorni in cui l’aveva puntualmente trovata in cucina a guardare l’alba, e a lavorare febbrilmente fino a tarda notte.

Dedizione, aveva constatato, come del resto nelle prime settimane di indagini. Eccitazione, aveva considerato all’arrivo degli agenti. Ma quel… nervosismo, di poco prima?

L piegò un angolo della bocca verso il basso.

«Perché non vuoi dormire?»

Sophie portò gli occhi di scatto sui suoi. Stavolta però non si fece cogliere in fallo, limitandosi a inarcare un sopracciglio, l’ombra di un sorriso ancora presente sulle labbra secche.

«Pensavo fossi tu l’esperto di insonnia, Ryuzaki»

«La mia è una scelta organizzativa»

«Anche la mia»

«Allora ti stai organizzando male.»

Fu quella risposta secca a farle scivolare via ogni traccia di divertimento dal volto.

«Sei scontento del mio lavoro, Ryuzaki?» sbottò, alzandosi di botto. L la vide stringere i pugni e vacillare impercettibilmente.

«No» replicò con pacatezza, per nulla impressionato da quello scatto.

«Ti dà fastidio avere attorno gente anche di notte?»

Come?

«… No»

«Sei sicuro, L? Perché sappiamo fin dall’inizio che questa è una sistemazione strana e che non peserebbe a nessuno se dormissi- se alloggiassi in un’altra suite»

«Non ho alcun problema con la tua presenza qui»

«E allora cosa, L?! Non vedo proprio perché ti debba interessare-»

«Ryuzaki» la interruppe fermamente L, zittendola. «Ryuzaki».

Sophie lo guardò con la fronte corrucciata, il labbro inferiore stretto fra i denti e il petto che fremeva agitato sotto il maglione. Aprì bocca un paio di volte, e la richiuse altrettante.

«Bene. Giusto.» La rossa fece per girargli attorno e andarsene.

«Soph-»

«No, una cosa» aggiunse la strega, troncando sul nascere il suo flebile tentativo di fermarla e alzando il mento mentre gli parlava. «Non ti devo risposte su come e quanto decido di dormire, fintantoché non infici le mie capacità. Non mi devi risposte sul perché continui a far finta di non sapere che non siano affari tuoi. Ma una cosa me la puoi dire».

Sophie sembrò prendere fiato, sembrò cercare di calmarsi, mentre L faceva di tutto per sopprimere la bolla di frustrazione che gli stava crescendo nel petto: non importava come rigirasse le cose, la ragazza sembrava decisa a non finire sotto scacco, e lui non poteva quasi crederci che fosse lei a redarguire lui.

«Se avessi rifiutato…» la voce della ragazza era bassa, quasi timida, come se avesse esaurito tutta l’ostilità, «se avessi deciso di tornare a Londra, mi avresti davvero cancellato la memoria?»

Sophie, per quanto mostrasse chiari segnali di disagio in sua prossimità, e fosse tutto sommato una persona alquanto trasparente, aveva i nervi saldi. Non una sola volta dall’inizio delle indagini gli aveva dato modo di pensare che fosse immatura o impreparata ad affrontare un caso con una posta in gioco così alta, né gli aveva fatto rimpiangere di averla coinvolta in prima persona.

Al contrario, ogni volta che si aspettava di aver raggiunto il punto di rottura della ragazza, lei si limitava a sorridere e nascondere quali che fossero le sue vere emozioni, esercitando un controllo su sé stessa che non si aspettava da parte di una Auror ventenne di casata Grifondoro, cresciuta professionalmente alle calcagna di personaggi impulsivi ed eccentrici come Harry Potter, Ronald Weasley e Draco Malfoy. L’unica volta in cui gli era sembrato fosse prossima a perdere il controllo, era stato in occasione dell’intercettazione: di per sé, era rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che la strega non solo se ne fosse accorta, ma che avesse terminato diligentemente di lavorare, prima di fronteggiarlo. Anche allora, però, la sua ira sembrava essersi placata molto in fretta.

Un altro discorso era stato comunicarle dell’attacco che Kira aveva rivolto a lei e ai suoi colleghi: destabilizzato lui stesso da quanto successo, dalle vite perse sotto il suo comando, aveva momentaneamente faticato a rispondere alle esigenze emotive di Sophie. L’aveva spinta a mangiare qualcosa, l’aveva coinvolta nella pianificazione del caso sforzandosi di non lasciarla troppo all’oscuro, e aveva finto di non vedere come il piccolo gesto di Watari le avesse inumidito gli occhi.

Nonostante tutto, anche allora la strega si era ripresa rapidamente, e aveva mostrato tutta la professionalità e la praticità che L pretendeva dai suoi collaboratori, spesso invano peraltro.

In quel momento, però, Sophie gli si stava mostrando in un momento di… vulnerabilità. Non avrebbe saputo individuare il motivo, ma sotto l’ira della ragazza c’era qualcos’altro, c’era un dubbio; la vulnerabilità dai bordi affilati che vedeva non era quella delle false speranze, bensì quella di voler sapere, dell’essere pronta a sapere le sue reali intenzioni. Che lui fosse sincero o meno nella risposta.

Il giovane, infatti, ebbe l’impressione che Sophie avrebbe avuto una risposta vera, qualsiasi cosa lui le avesse detto.

Rifletté per qualche minuto, distogliendo lo sguardo dal suo.

Lo distolse perché guardarla negli occhi lo metteva in difficoltà… no, diminuiva le sue capacità di concentrazione. E perché forse aveva capito da quel comportamento più di quanto avrebbe voluto.

Lui non era una persona che preferiva non sapere, mai, ma aveva l’impressione che qualcosa sarebbe cambiato, in base alla sua risposta. Qualcosa che aveva a che fare con la linea su cui entrambi stavano tentennando dall’inizio delle indagini, una linea che avrebbe dovuto separare un rapporto puramente lavorativo da… da tutto il resto.

Da tutto quello che non dicevano.

Da tutto quello che entrambi volevano sapere, e quello che assolutamente preferivano ignorare.

«… No, non ti avrei cancellato la memoria.»

Sophie annuì lentamente, ma non lo pressò con ulteriori domande. Lo superò in pochi passi svelti, mentre le pergamene sfuggivano dalle mani del detective e la seguivano ubbidienti.

L non avrebbe saputo dire se le avesse mentito o meno.

 

«Ryuzaki?»

Il ragazzo si voltò verso Watari, fermo sulla soglia della sua stanza in un rispettabilissimo pigiama a righe celesti. «Vi ho sentiti alzare la voce…».

L gli diede le spalle, andandosi a sedere nella sua poltrona. «Puoi tornare a dormire, non è successo niente». Sentì lo sguardo scettico dell’uomo, che andò a sedersi sul divano di fronte a lui, le gambe accavallate con tutta la classe che un pigiama a righe celesti potesse permettere. Anzi, forse anche un tantino di più.

Il detective fece del suo meglio per ignorarlo. Per ben dieci minuti. Durante i quali l’uomo appellò in tutta tranquillità un carrello portavivande, iniziando a servire due tazze di tè.

«Hai qualcosa da dirmi, Watari?» si arrese infine il detective.

Il mago accennò una piccola risata sotto i baffi candidi. «Ryuzaki, non ho potuto fare a meno di sentire…»

«Di origliare» bofonchiò l’altro.

Watari rimase in silenzio per qualche secondo, dosando con attenzione il latte nella sua tazza. «Fin dall’inizio dell’operazione, mi sono premurato di affittare l’intero piano, oltre alle suite designate come Quartier Generale»

«E io ho già detto che non ho intenzione di farla dormire in un’altra suite» replicò L piccato, alzando gli occhi sul suo mentore. «La corrente sistemazione mi consente di controllare meglio i suoi movimenti»

«E di interessarti di quante ore dorma, a quanto pare» commentò serafico Watari, squadrandolo da sopra le lenti rettangolari.

«Un Auror che non dorme-»

«Non è mai stato di tuo interesse».

L rispose, ma in un mormorio, guardando corrucciato un altro punto della stanza. «Sembra che non voglia dormire. Devo scoprire il perché».

Watari ponderò con cura le sue parole, prendendo un sorso di tè. «Certo… per il caso»

«, sempre per il caso» rimarcò allora il ragazzo con un’occhiata gelida.

Il mago di fronte a lui sorseggiò serenamente l’infuso bollente, studiando L con uno sguardo poco impressionato. «Devo essere schietto, Ryuzaki… non posso fare a meno di notare la straordinaria affinità tra te e Sophie. Se non ti conoscessi bene, mi verrebbe da pensare che tu stia usando una volta di troppo la scusante del caso»

«Watari, penso che tu abbia già protratto a sufficienza queste chiacchiere inutili»

«E io penso che sia la sola persona a tenerti impegnato in una conversazione e a tenerti testa almeno quanto me»

«Sono obbligato a collaborare con lei, lo sai bene» replicò seccamente il detective, stringendo appena la presa sui braccioli della poltrona. «Così come ora sono obbligato a collaborare con il Sovrintendente Yagami e i suoi agenti. Inizierai a fare suggerimenti strampalati anche su di loro?»

Watari non si lasciò provocare, limitandosi a inarcare un sopracciglio. «Eppure, non credo che la presenza di Sophie ti sia mai pesata quanto vorresti. Mi sbaglio?»

L stavolta non replicò, e il maggiordomo lo incalzò senza esitare: «In effetti, tu parli di un’occasione per sapere di più, ma ne hai già avute parecchie di occasioni. Avresti potuto utilizzare metodi più invadenti con lei e invece non mi sembra tu sia giunto a niente»

«Se lo facessi, rischierei di farla fuggire da qui o di spingerla a provarci. Per quanto sia importante scoprire di più, ha la priorità il fatto che lei partecipi a queste indagini, quali che ne siano gli esiti»

«Quindi le avresti cancellato la memoria, se non fosse voluta rimanere? Lei pensa si tratti semplicemente di una precauzione contro le fughe di notizie, ma io e te sappiamo che l’alternativa non sarebbe stata lasciarla andare a casa.»

L non rispose subito, la bocca lievemente piegata verso il basso e lo sguardo fisso e altero.

«Perché tanta esitazione, Ryuzaki?» chiese allora il maggiordomo, cogliendo sapientemente ogni silenzio ed espressione del ragazzo che aveva cresciuto. «Che tu sia effettivamente dibattuto su di lei?»

«Lei è solo una pedina!».

Watari non rispose. Rimase a fissare il suo ragazzo attraverso le strette lenti degli occhiali, le sopracciglia bianche inarcate. Lasciò che le parole appena dette da L si espandessero nella stanza, che il suo tono di voce secco e stranamente alto penetrasse nelle sue stesse orecchie.

«Certamente. Solo, non farti cogliere a dire cose del genere dalla signorina Sophie… credo che i risultati sarebbero spiacevoli»

«Ritengo che Sophie sarà in grado di-»

«Mi riferivo a te, Ryuzaki» lo informò con un sorrisetto ironico l’uomo, prima di alzarsi e rispedire il servizio di porcellana in cucina con un guizzo della bacchetta.

La tazza di L giaceva ancora sul tavolino, intatta.

 

Sophie si svegliò di scatto, terrorizzata dall’essersi nuovamente appisolata per qualche momento. Si premette i palmi delle mani sugli occhi, cercando di scacciare via il bruciore.

Doveva dormire, sapeva di dover dormire, e che prima o poi la stanchezza accumulata avrebbe davvero intralciato il suo lavoro. La paura però non glielo consentiva: sebbene fosse ormai usa a quegli incubi, mai erano stati tanto vividi, violenti, e aveva l’impressione che peggiorassero ogni notte. L’ansia che diventassero davvero ingestibili non faceva che alimentarli.

Era evidente che negli anni precedenti avesse sottovalutato quello strazio, dando per scontato che sarebbero andati a sparire da soli, col tempo. Non aveva previsto, invece, che il suo quieto vivere, l’assenza di situazioni così tese e delicate come lo era il caso Kira, la distrazione e il conforto fornitole dai suoi amici, fossero in realtà stati per anni la sua salvezza. Improvvisamente, si ritrovò a rimpiangere le nottate passate alla Tana, o nella stanza degli ospiti del Malfoy Manor, o parlando e bevendo fino a tarda notte in qualche pub londinese.

Si ritrovò a rimpiangere persino di non aver mai ascoltato i saltuari inviti di Ginny ed Hermione a parlare con un Guaritore, così come non aveva mai veramente considerato di chiedere consiglio a Madama Chips per un qualche sonnifero magico. A malapena, durante un anno particolarmente stressante, si era azzardata ad andare in una Farmacia a chiedere qualche erba per un sonno profondo, timorosa di diventarne dipendente.

Ora, distante da tutto ciò che conosceva e le era familiare, non aveva niente a cui appigliarsi. Non aveva nemmeno pensato a prevenire quel problema, anzi non lo aveva riconosciuto come tale, perché non aveva mai capito quanto i suoi amici la proteggessero dal fronteggiare da sola quei mostri del passato.

Strinse la coperta al petto, desiderando scomparire, desiderando di poter parlare con qualcuno, lei che detestava parlare dei suoi problemi anche con i suoi amici più cari.

Quale lusso aveva avuto, e quale lusso ora le mancava totalmente.

La fiducia.

“… No, non ti avrei cancellato la memoria”.

Tirò su col naso, poi si costrinse a poggiare nuovamente la testa sul cuscino.

Non le rimaneva altro che affrontare i suoi incubi.

 


LUMOS

Ciao bella gentaglia, scusate il ritardo e il capitolo un po’ pesantino, fatemi sapere che ne pensate

Grazie mille come sempre per essere qui, per recensire, seguire, ricordare e preferire, davvero grazie mille :3

Un abbraccioneee💙

NOX

 

 

 

 

  
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