Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Enchalott    12/04/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Carissimi, mancano due capitoli e l'epilogo per completare la mia storia, che spero vi abbia tenuto piacevole compagnia in questi anni. Ringrazio dal profondo del cuore i lettori che non si sono stancati di seguire "Anthos" e spero che il distacco non sia troppo duro. O forse (positivamente) sì, poiché significherebbe che si sono, ciascuno a suo modo, affezionati alle mie pagine. Un bacio.

Nel cuore di una notte di luna
 
«Rei» mormorò Dare Yoon, corrugando la fronte e fissando un punto in mezzo alla moltitudine festante.
Il generale seguì la direzione del suo sguardo e colse Adara che si allontanava verso le dune. Si mosse per seguirla.
«Lasciatela andare.»
La voce gentile ma autorevole di Dionissa arrestò l’intenzione di entrambi. I due si scambiarono un’occhiata, ma rinunciarono al pedinamento.
«Non corre alcun pericolo» garantì la sacerdotessa, allungando la mano verso quella del marito «Ha bisogno di una pausa, ha resistito sin troppo.»
Rei annuì e restituì la stretta, indugiando sull’anello che le aveva infilato al dito.
Quando la battaglia si era conclusa ed era divenuto lecito tirare un sospiro liberatorio, si era presentato al cospetto del reggente per fare rapporto come suo dovere. Macinando ben altro genere di pensieri. Stelio lo aveva obbligato a rialzarsi, gli aveva assestato una poderosa pacca sulla spalla e aveva affermato che lo aveva reso nonno nel momento peggiore della storia del Regno e che per quello gli era grato.
Nello scorgere la commozione negli occhi del sovrano, nel vedere come aveva stretto la figlia e la nipote, Rei aveva ritenuto corretto celebrare una cerimonia davanti al popolo di Elestorya. Dionissa non lo reputava necessario, il matrimonio delle fiamme e del sangue era valido, sarebbe bastato un annuncio ufficiale. Ma Rei aveva insistito, pur sentendosi inadatto al rito formale. Era persino rimasto serio e non aveva affrontato la celebrazione con la consueta faccia tosta, quella che elargiva a piene mani per celare le emozioni. Un record insomma.
L’amore che era calato sull’apocalisse in quella luce bianca, risparmiando chiunque ne avesse provato altrettanto, lo aveva persuaso a non nascondersi. A divenirne ambasciatore.
«Com’è che non hai invitato alle danze nessuna ragazza, Dare Yoon?»
Questi gli scoccò un’occhiataccia, ma non raccolse la provocazione.
«Rei, fatti gli affari tuoi!» lo richiamò Dionissa.
«Ma è un atteggiamento sospetto!»
«Ci vado adesso!» bofonchiò il capitano «Basta che la pianti!»
Si mise in piedi e abbandonò il tendone, mescolandosi alla folla.
 
Trovò Yazad che chiacchierava con due coetanee al fuoco principale. Attese in disparte, lieto che vivesse la possibilità di non dedicarsi solo al combattimento e rallegrato dal fatto che le interlocutrici, due graziose Alkivion, lo guardassero con occhi sognanti.
Il fratello lo raggiunse con le guance arrossate per l’emozione.
«Perdona l’attesa» biascicò imbarazzato.
«E tu l’intrusione. Prima di rientrare, ci tenevo a salutarti. So che domattina tornerai a Ebi. Spero di rivederti presto.»
«Anch’io lo vorrei.»
«Inoltre desideravo che avessi questo» continuò l’ufficiale dipanando un involto e traendone un sobrio bracciale di rame «Era della nonna. Lo ha sbalzato lei.»
«È magnifico!» esclamò Yazad ammirato «Ma non voglio che ti privi di un ricordo.»
«Ho avuto la fortuna di conoscere Yrfane e di restare con lei a lungo. Lei era anche tua nonna.»
Il giovane guerriero accolse il dono, infilandolo con orgoglio all’avambraccio.
«Lo indosserò sempre. Yrfane, Yoon e Yazad. Sembrano nomi scelti dal destino per unirci. E poi la Y, se la capovolgi, per le tribù di anydri è…»
«Il simbolo del fuoco» completò il capitano, senza lasciarsi scalfire dal riferimento al fato e dalle credenze Haltaki «Un’ottima osservazione.»
Il minore arrossì al complimento, prendendo licenza.
«Sono felice che tu sia mio fratello. Verrai alla cerimonia per i miei sedici anni?»
Dare Yoon assentì, palesando senza parole un identico pensiero. Lo osservò tornare al falò e qualcosa nell’animo si mosse.
«Yazad!» lo richiamò «Porta i miei saluti a tuo… a nostro padre.»
Nel pronunciare quelle parole fu colmato da una sensazione di libertà.
 
Adara guidò Illtyd attraverso le dune schiarite dalla luminosità argentea.
La luna era enorme, più splendente del consueto, ma forse era un’impressione: a Iomhar non era mai così nitida, quando compariva con regolarità nel cielo cristallino.
Lo stallone avanzò sulla sabbia come se fosse assuefatto al terreno, imprimendovi labili orme. Allentò le redini e lo lasciò procedere.
Anche nella gioia che aveva travolto l’intera Elestorya, avvertiva un terribile vuoto: il tempo era un medico incompetente, inadatto a curare le sue ferite. Per paradosso la solitudine la avvicinava a quanto non aveva mai smesso di anelare.   
Lo specchio di Aref si profilò all’improvviso, luccicando le palme, indicandole quanto si fosse allontanata dalla capitale. Si augurò che nessuno fosse in pena per lei, in particolare sua madre.
Quando si erano ritrovate, Eudiya le aveva sfiorato con tenerezza il segno bianco del lutto, senza parlare. Nei suoi occhi pieni di lacrime erano transitati altri pensieri, non espressi per mero rispetto: non si forniva ragione del dolore della figlia, come se quella di Anthos non fosse una perdita da piangere. Era stato difficile convincerla che lo avesse amato davvero, che lui l’avesse ricambiata in piena sincerità. Che la belva spietata, che era Anthos allo sguardo del mondo, era convissuta con una natura opposta, empatica, tormentata. Che era stata quella parte di lui a salvarli.
Suo padre si era unito all’abbraccio e l’aveva ascoltata in silenzio, comprensivo e amorevole. Adara non aveva specificato che suo marito era Irkalla: si era limitata a garantire che il dio della Distruzione non era mai stato loro nemico e che avrebbe meritato il rispetto e la preghiera che gli esseri umani non gli avevano mai accordato.
Prestandole ascolto, i sovrani avevano assentito e qualcosa aveva fatto breccia nei loro animi angosciati. La vicenda di Shion e di Ishkur aveva strappato ai suoi genitori tutte le lacrime che erano in grado di versare.
Adara aveva cercato di non essere un peso aggiuntivo. Ma trattenere i sentimenti e recitare una parte la sfiniva, sebbene Dionissa conoscesse la verità e non avesse smesso di confortarla nei momenti di scoramento. Sebbene Rei avesse provato a distrarla, domandandole la rivincita per la sconfitta all’Anello del Sole. Era grata a tutti loro, ma talvolta aveva bisogno di fare i conti con se stessa, di abbandonarsi alla disperazione che non le concedeva tregua.
Smontò di sella e raggiunse la riva, si inginocchiò, immerse le mani nell’acqua trasparente. La notte conferiva all’oasi lo stesso colore azzurro scuro del bacile di cui Anthos si serviva per richiamare la trance.
L’incanto è semplice, chiunque è in grado di usarlo.
L’affermazione altezzosa le balenò per la mente, trasportando un flusso di ricordi struggenti. Non era mai riuscita a evocare nulla, ma il fatto di averlo pensato apparve come una soluzione. Se fosse riuscita a varcare la soglia del contingente, avrebbe contattato il Distruttore attraverso lo spazio-tempo, ovunque si trovasse.
O al contrario sono un’illusa: neppure mia sorella ha osato tanto.
Ma il cuore non udì ragioni e le dita rifiutarono di emergere dal liquido tiepido. Provò a concentrarsi, compresa nel silenzio accogliente del deserto.
«Non ho dimenticato la tua voce, Irkalla. La stessa che mi ha raggiunto nell’abisso di Yfrenn-ammri. Se l’amore ha penetrato le barriere del luogo più infimo del creato, non esiste divieto al suo attraversare i cancelli del presente per raggiungerti. Mi rivolgo a te in termini non umani, in amore e speranza, gli stessi che ci hanno legati in eterno e nei quali abbiamo creduto. Ho inseguito la felicità, ho giurato sul tuo ultimo respiro. Ho osservato le nubi diradarsi, il creato affrancato dal male, l’alba del nuovo giorno irrompere da oriente con il vigore del dono che ci hai concesso. Ma questo sole ardente non riesce a riscaldarmi. Hai scelto di fuggire lontano per sconfiggere i demoni, non quelli che bramavano dilaniare le nostre anime, bensì quelli che risiedevano in te. È così, Irkalla? È per questo che non rispondi? Stai ancora cercando di proteggermi da te? Io ti troverò. In un luogo che non conosco, per tutto il tempo che mi sarà concesso, fino all’ultimo ansito e nell’aldilà. Splenderò come una fiaccola e ti indicherò la strada per tornare. So che mi ascolti, come sempre è stato. La mia felicità sei tu, Irkalla, in qualunque forma sceglierai di mostrarti. Nella neve, nel vento, nella sabbia…»
Strinse nei pugni la rena del fondale e una lacrima le scese lungo la guancia. Attese e non accadde nulla, ascoltò e non ebbe riscontro.
Si levò, appoggiando la mano sul Crescente: non aveva inviato segnali dopo il duello con il Nemico, come non fosse più parte di lei e il suo compito si fosse esaurito. Inchiostro sulla pelle e nient’altro, ricordo di un amore inseguito e conquistato in opposizione al destino.
Si spinse nell’acqua limpida, fino lasciarsi lambire il bordo ricurvo dell’Imis’eli.
Trasse il pugnale dalla fascia di seta. Dionissa le aveva raccontato di quel rito ancestrale e potenzialmente pericoloso. Ma Ishkur era stato sconfitto e il retaggio da parte di madre apparteneva all’antica gente di anydri. Non aveva a disposizione altro che quel rischio, versare il sangue nell’oasi, pregando che Leuhan la aiutasse un’ultima volta. Stese la mano e vi appoggiò la lama affilata.
Non lo fare.
Adara trasalì.
Si voltò di scatto, ma lo spazio verdeggiante di Aref non mostrò presenza. L’unico suono concreto era lo sciacquio dell’acqua contro il suo corpo. Lui le avrebbe rivolto quella raccomandazione, era un automatismo della coscienza. Sospirò, spingendo lo sguardo all’orizzonte. Nessuno.
Un fiocco di neve volteggiò e andò a posarsi sul suo palmo. Lo fissò allibita, finché non si sciolse contro l’anello opalescente che non aveva mai tolto. Illusioni.
Riportò l’attenzione allo specchio placido dell’oasi. Il respiro si arrestò.
Lui era l’essere più straordinario che avesse mai visto.
Era luce soffusa, priva di ombre. Era un fruscio lieve di abiti candidi, trasparenti in quell’azzurro notturno. Era lunghi capelli del colore dell’argento, sciolti lungo la figura snella e virile, scintillanti dello splendore del ghiaccio. Era il sorriso dolce e triste che gli aleggiava sul volto perfetto. Era il cerchio disgiunto, irradiante il bagliore dell’intero esistente, orgoglioso sulla sua fronte. Era l’ambra profonda dei suoi occhi straordinari, un crogiolo di furia e misericordia che avrebbe riconosciuto ovunque. Era…
«Irkalla…» esalò, mentre le gambe cedevano per l’emozione.
Le sue braccia la circondarono all’improvviso, come se non fosse esistita distanza: fu il contatto tangibile a convincerla di non essere preda di un eikatoptri. Quello e il suo profumo, che la avviluppò in un altro, invisibile abbraccio.
Sentì che le toglieva il coltello, il suono ovattato dell’arma gettata sulla sabbia della riva. Recuperò la contezza di sé quando il Distruttore la baciò d’impeto, con passione vera, infondendole il suo incancellabile calore. Lo strinse le braccia e restituì il bacio con le lacrime che piovevano nell’adiacenza serrata delle loro membra.
«Non dovrei essere qui, non adesso, non così» sussurrò lui «Ho tentato, ma non averti accanto è un supplizio che non sopporto. Ti ho udita, Adara. Ogni giorno, nello straziante dolore dell’essere divisi…»
La piega dimensionale si avvitò intorno a loro, costringendo i colori del Sud a virare in tonalità innaturali. La principessa tremò nella stretta del dio della Distruzione.
«Amore mio…»
«Perdona il tempo che ci ha tenuti lontani, esso non fluisce allo stesso modo per gli Immortali. I giorni sono scivolati, tramutandosi in mesi di snervante attesa. Giuro che ho desiderato arrestarne lo scorrere, per tornare da te. Perdona il mio silenzio, poiché esistono vincoli che non posso infrangere. Ma non m’importa affatto a fronte dell’amore che da solo ha spezzato ogni prescrizione esistente: sei mia moglie, perciò basta. Basta! Non c’è ragione per vivere con l’animo in pezzi. Il principe del pantheon mostrerà clemenza o sarà costretto ad affrontarmi.»
Adara sgranò gli occhi atterrita, sfiorandogli la guancia.
«Stai trasgredendo le leggi divine?»
«Sì. Non mi è consentito presentarmi in questa veste a una creatura mortale. Non è ammesso che gli esseri umani posino gli occhi su di me nella mia vera essenza, meno che mai è tollerato un contatto fisico. Quando ero Anthos, ero carne e sangue e tutto ciò faceva parte del mio bagaglio di umiliazione, dunque lecito per gli dei.»
«Violi un’interdizione per me? Non voglio che tu sia castigato una seconda volta!»
Irkalla le appoggiò un dito sulle labbra, sogghignando sfacciato.
«Mi piacerebbe scoprire chi si presenterà per impedirmi di restare con la donna che amo. Ho iniziato a non rispettare le regole quando ti ho sposata, Adara, e nel frattempo non ho riacquisito il buon senso. Neppure quando sono tornato tra i miei pari, che ritengo ne siano consapevoli.»
La principessa continuò ad ammirarlo sbalordita, con il cuore che le martellava spasmodico nel petto per la sua vicinanza e per timore delle ritorsioni che quelle parole insolenti avrebbero potuto provocare.
«E ora?»
«È semplice. Manterrò la promessa di renderti felice in eterno, se a te non importa come lo realizzerò. Ma sappi che dispongo di un solo modo.»
«Mi rimetto nelle tue mani. Mi fido di te, amore mio.»
Le iridi d’oro fuso di Irkalla luccicarono intense al chiarore lunare.
«Ogni volta che lo affermi, penso che l’impossibile non esista. Sono un dio arrogante e ne traggo vanto.»
Sollevò la sinistra e l’anello nuziale scintillò al pollice affusolato. Prese la sua sposa tra le braccia, avvolgendola negli abiti nivei, e montò in sella a Illtyd, come faceva quando era il reggente del Nord. Fissò lo sguardo sulla luna immensa.
«Esibizionista» sputò tra i denti.
«Oh… parli di lei
«Mh-mh» assentì Irkalla, dando di tallone al purosangue.
«Tu l’hai incontrata? L’hai…?»
«Perdonata. Ho sfogato la mia millenaria collera cancellando dall’esistente Ishkur e l’intero deamhan. Quando mi sono trovato faccia a faccia con Amathira, la mia voglia di disintegrare risultava già appagata. Peccato.»
La ragazza lo fissò sconcertata, cogliendo nei suoi lineamenti affascinanti un guizzo ironico. Appoggiò la schiena al suo petto.
«Pensi che io ci creda?»
«All’assoluzione? In effetti non è da me.»
«Non ho mai dubitato che le avresti concesso la grazia. Amare significa anche rinunciare e tu ne sei pienamente conscio.»
Amare, rinunciare, essere felici.
Irkalla tirò le redini.
«Ho cambiato idea» le sussurrò sulle labbra «Non mi va di galoppare.»
La realtà traslò, piegandosi alla sua divina volontà: le torri ritorte di Erinna si stagliarono tra le dune, lambite dal riverbero arancio dei festeggiamenti.
«Che intendi fare?» mormorò Adara.
«Contravvenire al veto più severo di tutti.»
L’esistente ebbe una nuova, impercettibile vibrazione: lo spazio intimo della tenda riservata alla principessa li accolse nella sua penombra, resa silenziosa dalla dimensione ultraterrena in cui erano avvolti.
Il Distruttore la spogliò, trascinandola verso il talamo, cercando la sua pelle nuda e guidandole le dita sul proprio corpo accalorato.
«Noi… non potremmo, vero? Tu non sei più un essere umano…»
«Niente mi impedirà di fare l’amore con te. Per una volta, una soltanto, voglio unirmi a te nella mia vera forma. Voglio essere io, Irkalla, a darmi e ad averti, a riposare tra le tue braccia dopo averti resa mia.»
«Questo è realizzabile?» sospirò lei, avvertendo la pressione palpitante delle sue membra e il tocco sensuale delle sue mani, in una sinfonia di sensazioni che le toglievano il fiato.
«Il fatto che non sia mai accaduto non significa che non possa avvenire.»
Si avvinghiarono l’uno all’altra, muovendosi piano, assaporando ogni istante, precipitando in un crescendo di passione travolgente, necessaria, placandosi nell’amplesso per tornare a pretendersi, guardandosi negli occhi al riverbero discreto della luna piena. Rimasero avvinti, la chioma argentea di lui a fare da mantello, mentre i respiri si regolarizzavano e si fondevano nella quiete.
«Una volta soltanto, unico modo» ripeté Adara.
«Sì» replicò lui sereno, come se non avesse appena compiuto un atto proibito.
«Irkalla…»
«E tu» la interruppe la divinità «Hai detto che ti fidi di me.»
 
Il chiarore dell’alba varcò timido la stoffa del padiglione, posandosi sulla regina di Iomhar con la soavità di una carezza.
Adara socchiuse gli occhi e per un attimo ebbe la sensazione di trovarsi tra le mura possenti di Leu-Mòr, nella stanza nuziale. Strizzò le palpebre e realizzò di essere nel deserto, ma la percezione della presenza lui non scemò.
«Anthos?» mormorò, offuscata dal sonno residuo e dalla notte infuocata trascorsa tra le braccia del dio della Distruzione.
Si sollevò sul materasso, stringendosi nelle lenzuola. Era sola.
Era certa di non aver immaginato, non per via del talamo in disordine e del profumo di lui sulla sua pelle. Irkalla era tornato, rinnovando il giuramento.
Sospirò, appoggiando la fronte sulle ginocchia.
Un essere superiore, nonostante le intenzioni, non può risiedere tra i mortali. È così che sarà? Attenderò che lui si manifesti, infrangendo le prescrizioni, mettendosi a repentaglio, costringendo all’angolo i suoi doveri divini per raggiungermi tra gli esseri umani?
Una via di mezzo che avrebbe reso infelici entrambi, ma che costituiva l’unica possibilità. Rabbrividì, fissando il soffitto drappeggiato della tenda. No. La promessa era quella di renderla felice. Si fidava, non si sarebbe persa d’animo come la volta precedente e...
Qualcosa si mosse tra le sete del letto.
Adara sussultò: fino a un istante prima era vuoto, ora sembrava che qualcuno vi stesse riposando, avvolto dalla stoffa leggera, steso tra i cuscini ricamati. Il palpito cardiaco accelerò, intrappolato tra il timore e l’aspettativa. Fissò la figura umana celata dalle coltri, senza trovare il coraggio di scostarle per scoprirne l’identità.
Un movimento fece scivolare le lenzuola, scoprendo il volto dell’uomo assopito.
Lei eruppe in un grido soffocato.
«Na… Narsas!»
Il giovane si levò a sedere, sostenendosi con le mani, disorientato. Si guardò intorno con palese smarrimento, poi le rivolse uno sguardo carico di incertezza.
«Narsas? È il mio nome?»
Adara si limitò ad annuire, le lacrime iniziarono a scivolare sulle sue guance.
L’arciere si raddrizzò e il lenzuolo gli cadde in grembo, rivelando la sua nudità: la pelle abbronzata, i muscoli delineati, il petto forte, la schiena priva di segni. Attraente e prestante com’era prima che il koreyon lo divorasse, più di quando lei lo aveva incontrato già condannato e segretamente intaccato dal veleno.
«Sono la causa del vostro pianto, mia signora?» domandò rammaricato «Non rammento nulla e pavento l’idea di avervi mancato di riguardo, trovandomi in una situazione tanto ambigua.»
Lei avvampò: erano a letto insieme, senza vestiti.
Oh, per tutte le oasi!
«Non è accaduto nulla di disdicevole» lo rassicurò con una vena di imbarazzo «Narsas… non ti ricordi di me?»
Lui aggrottò le sopracciglia, a cercare un indizio che lo aiutasse a recuperare uno sprazzo di passato per riconoscere la bellissima donna che gli sedeva vicino. Distolse lo sguardo dalle trasparenze che la velavano. Il corpo fremette come fosse a conoscenza di informazioni che la mente non riusciva a mettere a fuoco. Tornò a contemplarla rispettoso. Distinse qualcosa nella memoria annaspante: un punto vivido nel bianco assoluto che lo annebbiava. Quando lei lo aveva chiamato, una sorta di barriera si era incrinata e un raggio effimero aveva schiarito il suo obnubilato trascorso.
«Pronunciate il mio nome, vi prego.»
«Narsas… tu sei Narsas» lo accontentò Adara speranzosa.
Allungò con gentilezza le dita e strinse le sue. Il guerriero gemette, attraversato da una fitta lancinante. Si sottrasse al contatto, portando le mani alle tempie. Una marea di immagini gli si rovesciò dentro, lo invase, lasciandolo senza fiato.
«Pronunciatelo… ah, pronuncia…»
Si accasciò turbato, esaminando il vissuto che riprendeva con il suo posto all’interno del suo essere. I pensieri acquisirono forma.
 
Il mio nome. Dillo ancora… e poi di nuovo, senza stancarti… apprenderò chi sono e perché vengo da così lontano, incurante del prezzo pagato per il nostos. È questo ciò che sento, senza comprenderlo appieno. Lascia che condividiamo i ricordi che ci appartengono e raccontano di noi, affinché io possa ritrovare l’estremità primigenia del filo che ci avvince…  capire perché provo tanto amore per te…
 
Cercò la mano della ragazza, stringendola con forza, ancorandosi a quel contatto, scacciando le lacrime inspiegabili che gli impedivano di guardarla.
«Io… ah, è doloroso, ma devo… devo…»
 
Parlami in silenzio dei giorni vissuti insieme e di quelli che si sono succeduti prima che io rinascessi… non lasciare la mia mano, trattienila, perché i colori si riversano impetuosi in me, scacciando l’assenza e ricollocandosi nella mente e nel cuore che ti appartiene. Ho varcato i confini del tempo e dell’esistente, anche se è impossibile da credere, ho annullato ogni distanza pur di tornare da te… Adara… Adara…
 
Il nome di lei affiorò dalla bruma, gli accelerò i battiti, gli affrettò gli ansiti.
«Adara…» mormorò incerto, come se ancora stesse cercando in sé la propria storia.
La principessa cedette all’emozione e lo strinse tra le braccia, tremando.
Lui si appoggiò al suo seno, sfiorandole con timidezza il volto. Una luminosità accecante gli esplose dentro, mandando in frantumi il mondo sbiadito che imprigionava il suo passato.
 
Respiro come un essere umano, il mondo di ieri si trasforma in quello di oggi, niente è perduto… ricordo il tocco delle tue dita tra i miei capelli, il sapore salato delle tue lacrime, le parole su cui abbiamo giurato. Perciò ripetilo ancora, pronuncia il mio nome e questa volta non dovrò rinunciare, non dovrò celarti il mio amore… in questa vita conquisterò il tuo cuore e non ti lascerò mai più…
 
«Adara, sono… io vivo…»
«Sì… sì!»
A ripensarci con una lucidità che in quel momento non la supportava, non era l’unica cui Irkalla avesse rivolto una promessa. Quando Narsas aveva esalato l’ultimo respiro, gli aveva garantito che lo avrebbe esaudito e che nella futura esistenza avrebbe fatto in modo che la ritrovasse.
Adara non aveva immaginato che sarebbe accaduto così presto, non sovvertendo ogni legge naturale. Ma Irkalla aveva affermato che i precetti non erano un suo problema, quando si trattava di renderla felice e di tener fede a un impegno. Era quella la sua scelta: restituirle Narsas, una decisione che comportava il mettere da parte se stesso in nome dell’amore, una ricompensa destinata a chi aveva salvato il creato, un unicum.
Le parole agrodolci di Anthos fluttuarono nella sua memoria: se non fosse stato per me, voi due sareste insieme. Aveva considerato giusto riparare alla mancanza che riteneva di aver commesso separandoli. Trascurando l’evidenza che, se Narsas si fosse dichiarato, se lei lo avesse ricambiato, Ishkur avrebbe regnato in eterno.
Aveva imparato a comprendere il modo di agire del suo sposo celeste. In ogni caso si sarebbe innamorata di Anthos.
Fatico a credere che tu possa accettare dimesso questa realtà, Irkalla. Lo hai concesso perché il tempo degli esseri umani, per te, è un battito di ciglia e sai che la mia anima tornerà da te, in men che non si dica?
 
Narsas si scostò, le iridi brune che ardevano come braci.
«Sai perché sono qui?»
«Il Distruttore lo ha accordato.»
Lui assentì, le labbra morbide si schiusero in un sorriso. Appoggiò la fronte alla sua.
«Esiste un’altra ragione, della quale il divino Irkalla è al corrente» sussurrò avvampando «Quanto dura il lutto per una principessa elestoryana?»
«Nove mesi.»
«Capisco. È come una rinascita. È corretto.»
«Perché?»
«Perché allora, nel pieno rispetto della tua perdita, mi inginocchierò davanti a te e ti chiederò di sposarmi. Nella vita che ho compiuto non ti ho rivelato che ti amo, Adara. Non ho amato altri che te. Voglio farlo per sempre.»
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Enchalott