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Autore: Picci_picci    12/04/2021    9 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Passò l’ultima volta il rossetto rosso sulle labbra, stando attenta a non sbavare.

“Tesoro, ti tremano le mani.”

“E a te no?”, rispose lei di rimando a Paul.

Era arrivato Il giorno, il grande giorno della sfilata della maison Agreste con conseguente party. Era stata tutto il pomeriggio a controllare ogni minimo dettaglio: dalla passerella alla musica, dalle modelle agli abiti. Per non parlare della supervisione su truccatori e parrucchieri per i vari briefing creativi. 

Adesso, lei e Paul si erano ritirati nel regno di lui (ovvero il magazzino) per prepararsi all’evento. Non poteva perdere tempo, Marinette, per tornare a casa sua o, peggio, andare a Villa Agreste per sistemarsi.

“Sì, no”, disse Paul incerto, “non sono io la mente creativa della sfilata, non è su di me che hanno aspettative.”

“Grazie, Paul, adesso sì che non ho ansia.”

“Sono qua per questo.”

Rilesse un’ultima volta il messaggio di incoraggiamento che le aveva mandato Alya e poi ricontrollò la scaletta nella sua agenda. Ormai l’aveva imparata a memoria.

“Rilassati”, le sussurrò Paul, “sennò farai una figuraccia assicurata come è successo il tuo primo giorno di lavoro.”

Lei si portò una mano sugli occhi, “ti prego, non ricordarmelo.”

Si guardò nello specchio cercando un errore o qualcosa che non andava.

Il vestito che indossava era scarlatto dal corpetto con le stecche di balena, le spalline sottili con pizzo nero ed effetto vedo non vedo. La gonna in chiffon scendeva morbida, ondeggiava ad ogni suo passo, e l’orlo era decorato da inserzioni di pizzo nero. I capelli erano rinchiusi in un morbido, e volutamente spettinato, raccolto con alcune ciocche more che le incorniciavano il volto. Il trucco? Una semplice linea di eyeliner nera, ad enfatizzare i suoi occhi celesti, e rossetto rosso.

Non si era mai sentita più sexy e elegante di così.

“Vuoi tenere quegli orecchini anche oggi?”, le chiese Paul mentre annodava il papillon bianco. 

Faceva veramente la sua porca figura in smoking.

“Sì”, rispose Marinette credendo impensabile di riuscire a portare a termine la serata senza il supporto silenzioso di Tikki.

“E la collana?”

Sfiorò con due dita il ciondolo in questione che, da quando aveva scoperto tutta la storia dietro, non si era mai tolta.

Lei e Adrien non avevano ancora realmente parlato dopo il branch; erano stati troppo impegnati. Eppure, qualcosa era cambiato: negli sguardi che si lanciavano, nelle parole che si rivolgevano come se esistessero solo loro due, nei tocchi frequenti quando erano vicini. Nel tacito accordo da parte di lui di accompagnare lei ogni giorno a casa e di andarla a prendere, nella tacita promessa di lei di far sorridere lui il più possibile facendogli gravare il meno possibile il peso dell’eredità della maison.

“La tengo”, disse sicura guardando il suo riflesso con occhi sicuri.

Le labbra di Paul si aprirono in un sorriso degno del gatto cheshire, “bene. Perfetto, oserei dire.”

“Dobbiamo andare”, disse lei, marciando sulle decolletè in pizzo nero dal tacco a spillo vertiginoso.

Paul annuì serio, mentre la prendeva sottobraccio per scortarla al nuovo e tanto bramato ascensore per arrivare alla terrazza. 

Nella salita, Marinette torturò la clutch in pendant con il suo vestito e dove al suo interno si trovava la sua fidata kwami che quella sera faceva il tifo per lei.

“Ti prego, fermati. Stai mettendo ansia pure a me.”

“Bene perché dovresti averne.”

“E perché?”

“Perché se questa sfilata andrà male, sarà la fine della mia carriera. Monsieur non mi vorrà più come stagista e mi licenzierà, io non metterò più piede in maison e non ti vedrò più. Finirò per morire dalla vergogna nel mio letto, sola soletta.”

Paul la guardò scettico, “ti sei scordata della parte in cui vieni derisa dagli altri stilisti.”

Marinette alzò le mani al cielo, “vedi, per questo sei il mio migliore amico.”

“In quanto tale, ti dico seriamente che dovresti calmarti. Io sarò qui a darti una mano, tutti quanti te la daremo, e tutto andrà per il meglio.”

Respirò profondamente e misero piede sulla terrazza coperta allestita per l’occasione: ai lati si potevano trovare enormi composizioni di fiori dai toni neutri, al centro troneggiava la passerella bianca ed intorno ad essa delle sedie bianche. Rimaneva, poi, vicino al famoso ascensore, uno spazio libero allestito con un piccolo banchetto per intrattenere gli ospiti prima della sfilata. Passando lì accanto, Marinette fermò uno dei camerieri nella divisa bianca e gli prese dal vassoio un bicchiere di champagne. Lo buttò giù tutto in un sorso.

“Sai, affogare l’ansia nell’alcool non è una buona idea.”

Si girò e spalancò gli occhi in automatico.

Gabriel e Adrien Agreste camminavano verso di lei con passo sicuro trasmettendo fascino da tutti pori, vestiti tutti e due con uno smoking nero, con papillon, Agreste.

“Non credo”, disse Paul al suo fianco per interrompere il silenzio causato dalla secchezza nella gola di Marinette, “l’alcool non risolve qualsiasi cosa.”

“Disse l’alcolizzato”, commentò Marinette con voce roca.

Cavolo, quanto cazzo era bello Adrien?

“Non sono io quella che si è appena scolata un bicchiere di champagne.”

Gabriel interruppe tutti con una gesto della mano.

“Tutto pronto?”

Marinette annuì, “devo fare l’ultimo giro di perlustrazione, ma per ora tutto procede come dovrebbe essere.”

“Bene”, disse Gabriel posando lo sguardo sulla targa di riconoscimento in quanto edificio storico che, grazie a Chloe, era stata da poco installata. Avevano fatto inserire anche una doppia targa per la terrazza che avevano intitolato “Terrasse Emiliè”.

Monsieur si riprese velocemente, “avete visto che bella figura fa l’ascensore?”

“Fantastica”, esclamò serio Paul.

“Bene, io vado a fare quel controllo che vi dicevo prima”, disse Marinette per non continuare a vedere quella pazzia per un trabiccolo elettrico.

Andò dietro i tendoni color crema che separavano la passerella dal backstage, scrutando minuziosamente che tutto fosse in ordine.

“Allora, l‘ascensore-“

“Ti prego, pure tu no”, pregò lei girandosi verso Adrien.

Lui rise e le andò incontro, occupandosi di controllare le postazioni delle modelle...lui ne capiva molto più di lei su quel fronte. 

“Facciamo così”, iniziò il biondo, “io mi occupo dei modelli, tu controlla gli abiti e la scaletta.”

Marinette annuì e in silenzio fecero ciò che avevano concordato.

Quando lei ebbe finito si girò a vedere Adrien che stava finendo di controllare l’ultima postazione di una delle modelle.

“È incredibile che tu ne sappia così tanto”, disse Marinette alludendo a ciò che lui stava facendo.

“Bè, ci sono cresciuto. Penso sia normale per il figlio di Gabriel Agreste.”

“Uhm, è anche normale stare così bene in uno smoking per il figlio di Gabriel Agreste?”

Spalancò gli occhi un attimo dopo.

Non lo aveva detto seriamente.

Non poteva averlo fatto.

Adrien ghignò sornione.

Sì, lo aveva detto.

Urgeva che tenesse sotto controllo gli ormoni.

“Sai, nemmeno tu sei male.”

Con la testa ancora tra le nuvole, Marinette se ne uscì con un, “cosa?”

Il biondo si avvicinò a lei fino a giocare con una ciocca dei suoi capelli, “Marinette, stasera sei stupenda. Quando ti ho visto mi si è mozzato il respiro e, da allora, non riesco più a staccarti gli occhi di dosso.”

Marinette annaspò un po’, alla ricerca dell’ossigeno che improvvisamente gli era mancato.

Solo lei sentiva tutto quel caldo?

“Mi fa piacere saperlo.”

Cosa aveva detto?!

Erano rimasti in quella terra di nessuno e, cavolo, Marinette sapeva che non era indifferente ad Adrien e viceversa (perfino un cieco se ne sarebbe accorto!), ma nonostante tutto nessuno stava compiendo quel passo.

Insomma, quanto ci voleva a baciare una persona?, si chiese Marinette mentre si perdeva negli smeraldi di Adrien.

Coraggio. Coraggio e paura di non essere rifiutati. E lei aveva una fottuta paura di essere rifiutata...se fosse successo, stavolta non l’avrebbe retto, non sarebbe più riuscita a rialzarsi.

La voleva ancora? Anche dopo ciò che lei aveva fatto?

“Marinette!”, la voce di Gabriel che la chiamava come la matrigna cattiva di Cenerentola, li risvegliò dalla loro trance.

“Arrivo!”, urlò lei di rimando, inciampando sui tacchi pur di raggiungerlo velocemente.

Allungò una mano indietro, tranquillizzando Adrien che era già pronto a soccorrerla, “sto bene, sto bene.”

Alzò un lembo del vestito e camminò a passo spedito verso Monsieur, “sì?”

“Tutto pronto?”

“Tutto perfetto.”

“L’ascensore funziona?”

“Sì”, rispose euforico Paul, “l’ho provato.”

Marinette li guardò stranita, “siamo tutti arrivati da quell’ascensore!”

“Non si sa mai.”

Continuarono a rigirarsi nei dintorni della terrazza, controllando qualsiasi cosa mentre gli altri dipendenti della maison stavano arrivando. 

“Pronta?”, chiese Gabriel arrivando al fianco di Marinette.

“A cosa?”

“Dobbiamo fare gli onori di casa, stanno per arrivare gli ospiti. Siamo veloci, non dilunghiamoci troppo, poi andiamo dietro le quinte e iniziamo a coordinare. Paul è già lì, truccatori e parrucchieri già all’opera.”

La mora annuì, “va bene, monsieur.”

E così, dettero il via.

***

Era andata.

Incredibile, ma vero, la sfilata era finita.

Un SUCCESSO.

C’erano stati applausi, complimenti e ringraziamenti. Anche a lei: Monsieur l’aveva ringraziata davanti a tutti dopo il suo discorso di conclusione.

Era euforica.

Era su di giri.

E lo champagne che continuava a rifilargli Paul non aiutava.

“Sei stata grande!”, le urlò il suo migliore amico in faccia.

“Sono stata grande! Siamo stati grandi!”

E si strinsero in un abbraccio stritolante.

“Contegno”, sussurrò Natalie nella loro direzione con un sorriso sul volto.

Natalie. Che sorrideva.

Allora i miracoli esistevano veramente.

Erano ancora dietro le quinte, quando dei passi veloci vennero verso il trio.

“È stato fantastico!”, esclamò Adrien facendo volteggiare Marinette per aria, “non si era mai organizzata una sfilata più bella in maison.”

“Non esagerare”, gli rispose Marinette arrossita, ma con un sorriso sul volto.

“Fidati non esagero. E ora, vieni, mio padre ti vuole.”

La prese per mano, fregandosene dei pettegolezzi, e la portò fuori, nella calca degli stilisti e giornalisti.

“Ah, la stagista che tutti vorrebbero!”, esclamò Valentino vedendola.

“L’ho istruita bene.”

E continuarono a parlare finché una mano smaltata di rosso si poggiò sulla sua spalla. 

“Niente male, Dupain-Cheng. Alla fine la tua idea si è rivelata vincente”, disse Chloe con cenno del capo. In un abito stretto e lungo con spacco laterale, spalline sottilissime e di un bianco accecante, Chloe Bourgeois brillava come degna figlia di Audrey. Le labbra, tinte di un rosso cupo come le unghie, si piegarono in un sorrisino, “certo, senza di me, non ce l’avresti fatta.”

Marinette annuì nella sua direzione, “non posso darti torto.”

“Chloe!”, esclamò Adrien che finora era rimasto in disparte a guardare.

“Tesoro!”, e gli butto le braccia al collo stringendolo in un abbraccio...normale? Sincero? No da boa constrictor? 

Allora alle cose tra loro erano cambiate veramente.

Marinette, che aveva ancora gli occhi fuori dalle orbite, bevve l’ennesimo calice di champagne.

Adrien e Chloe continuarono i giusti convenevoli quando un tintinnio fece zittire tutti.

“Signori”, iniziò monsieur, “sono lieto che abbiate trovato di vostro gradimento questa nuova location, ma vi prego di raggiungere la terrazza panoramica de Le Grand Paris dove continueranno i festeggiamenti della maison Agreste.”

Tutti annuirono e piano piano lasciarono la terrazza. Monsieur scese giù velocemente per raggiungere per primo il nuovo locale della festa per fare gli onori di casa, mentre Marinette, Adrien e Paul rimasero indietro per salutare gli ospiti con i dovuti rispetti.

“Incredibile”, disse Paul quando anche l’ultimo fu salito in ascensore, “sono stanco morto.”

“Non vieni al party?”, chiese la mora mentre sistemava l’ultimo abito dentro la sua custodia.

“Vengo solo per l’alcol. Mai dire di no all'alcol, soprattutto se pagato da Gabriel Agreste.”

“La tua fedeltà a mio padre è proprio massima eh”, disse Adrien scoppiando in una risata.

Paul scosse la testa e approfittò di quel momento per dileguarsi, “lo so. Ragazzi è giunto per me il momento di andarmene. Vado a posare queste cartelle al piano di sotto e, poi, dritto verso l’alcol. Ci si vede al party!”, imboccò la tromba delle scale e sparì.

Loro due rimasero un attimo in silenzio mentre una terza voce interveniva, “quello lì va denunciato agli alcolisti anonimi.” 

Plagg volava davanti alle loro facce con una fetta di camembert tra le mani.

“Bè, tu andresti denunciato per l’eccessivo uso di camembert. Direi che siete pari.”

“Moccioso, non dire una tale assurdità! Il camembert è nettamente superiore a un po’ di alcol.”

Marinette sorrise divertita, “vogliamo andare?”

“Oui, mademoiselle.”

Adrien le prese il braccio e insieme entrarono nell’abitacolo dell'ascensore tanto voluto da monsieur.

Una volta intrappolati lì dentro, Marinette iniziò come sempre a battere il tacco della scarpe sul pavimento di linoleum, in ansia. Rimanere da soli, in uno spazio stretto, le provocava sempre quella stretta allo stomaco.

“Vogliamo parlare?”, le chiese Adrien rompendo quei secondi di silenzio.

“Dobbiamo?”

“Non ho mai amato il silenzio.”

“Oh, lo so molto bene.”

Fissarono le porte in acciaio, non accennando a niente.

“My lady?”

Lei si girò, quasi sorpresa, a quel nomignolo.

Una volta capito che aveva la sua attenzione, Adrien continuò, “oggi sei stata fantastica. Sei sempre fantastica. E penso di essermi innamorato di te dalla prima volta che ti ho vista.”

Rimase in silenzio e così anche Marinette.

“Credo che non si possa smettere di amare una persona.”

Il cuore di lei perse un battito, anzi smise proprio di funzionare, quando sentì quelle parole.

“Credo, anzi, sono sicuro che ti amo ancora. E non posso smettere, non ci riesco. Direi che Luka è stato la prova del nove...cavolo, vorrei spaccare il naso a quel chitarrista da strapazzo.”

Marinette rimase ancora in silenzio, non credendo alle sue parole. Il dolore alle dita dei piedi, lo strattone allo stomaco...era tutto sparito. Sentiva solo il sangue che le scorreva nelle orecchie e il battito del suo cuore.

Adrien si girò con gli occhi spalancati, quasi impauriti, “non dici niente?”

Gli ci volle un momento per capire quelle parole, poi sospirò, “porto ancora la tua collana”, disse accarezzandola con un dito. 

“Ho bisogno di sentirlo, che tu me lo dica.”

“Adrien, ti amo”, disse lei con voce spezzata dall’emozione, “e spero che tu possa perdonarmi per quello che ho fatto.”

Lui scosse la testa prendendole il volto tra le mani. I loro occhi si scontrarono, verde contro celeste, “l’ho già fatto, insettina.”

Lei sorrise, un sorriso di gioia pura, e lo baciò.

Lo baciò forte, per ricordarsi com’era farlo.

Lo baciò forte, per ricordare a tutti e due cosa avevano perso in quei giorni.

Lo baciò forte, perché lo amava come non aveva amato nessun altro.

“Sì!”

Quell'urlo di vittoria gli fece staccare con occhi spalancati, ma quando videro i loro kwami ballare una specie di macarena improvvisata, sorrisero.

“Oh, Adrien”, esclamò Tikki volando intorno a loro, “sono così contenta che finalmente avete chiarito e tu sia tornato da Marinette!”

“E io sono così contento che siamo finiti i sospiri drammatici e la tragica situazione!”, esclamò Plagg convinto.

Adrien lo ignorò e si rivolse a Tikki, “non me ne vado più”, poi guardò la sua lady negli occhi stringendole di più il volto, “è una promessa.”

Lei gli accarezzò le mani, “non terrò più tutto dentro, te lo prometto.”

“Bene.”

“Bene.”

“Bene”, aggiunse Plagg, “vissero tutti felici e contenti. Ora possiamo andare al party che ci sono gli stuzzichini al camembert?”

Marinette lo guardò interrogativa.

“Ho dovuto costringere mio padre”, disse semplicemente il biondo. 

Marinette rise e una volta che l'ascensore fu arrivato al piano terra, si avviarono verso il party.

“Mia signora?”

“Sì?”, rispose Marinette con un sorriso e gli occhi celesti che brillavano.

Lui la baciò con le mani sulla vita, “non mi interessa un accidente, stasera vieni a casa con me e ti tolgo questo vestito.”

“Sissignore”, disse lei sempre ridendo.

Lui la baciò di nuovo, “e chiunque saprà quanto ti amo.”

Lei annuí di nuovo e lui la baciò di nuovo.

“Dio, quanto mi era mancato il sapore di miele sulle tue labbra.”

“Andiamoo! Stuzzichini al formaggio!”

“Plagg, piantala”, disse la vocina di Tikki.

Marinette rise e lasciò un dolce bacio sulla punta del naso di Adrien.

“Arriviamo, arriviamo.”

Entrarono al party della maison Agreste mano per mano e se ne andarono insieme.


Il giorno dopo, tutti i giornali parlavano dell’avvicinamento tra la stagista e il figlio di Gabriel Agreste.

Il giorno dopo, un Paul affetto dal dopo sbronza chiamò Marinette eccitato e chiedendo i dettagli.

Il giorno dopo, Gabriel sorrise vedendo la mora prendere posto a colazione al tavolo di Villa Agreste.

Il giorno dopo, Adrien e Marinette si svegliarono sorridenti e continuarono a baciarsi.

Il giorno dopo, Plagg si chiese se era meglio la situazione tragica con sospiri d’amore e tristi o quella in cui i due non riuscivano a tenere le mani e le labbra a posto.

In ogni modo, gli facevano male gli occhi e le orecchie.

Mon dieu, che sciocchi portatori aveva.


Angolo autrice

Sembra strano mettere un punto a questa storia, sembra strano scrivere "the end", eppure sta succendendo. Questa è la stata la mia prima grande storia: quella a cui ho dedicato tempo e sudore, quella a cui ho dedicato ore e ore di idee folli... è un po' il mio bambino e mi sembra strano lasciarlo andare via. Ma l'happy ending è finalmente arrivato! Come ha detto Plagg: tutti vissero felici e contenti. 

Ma ora, veniamo ai ringraziamenti che mi sembra più che doveroso fare!

Grazie, inanzitutto, a questi personaggi che hanno preso forma nella mia testa (che hanno abitato la mia testa!) e mi hanno permesso di scrivere questo racconto. Grazie Plagg, mi ispiri sempre idee contorte e sei di ispirazione.

GRAZIE a tutti voi. Voi che avete letto, commentato, seguito e preferito questa storia, perché senza di voi molto probabilmente mi sarei fermata ai primi capitoli e poi avrei abbandonato l'impresa. Grazie davvero perché, forse a voi sembrerà poco, ma il supporto e la gioia che i vostri commenti scatenavano in me, non avrò mai abbastanza parole per descriverlo. 

Ringrazio, inoltre, il vero protagonista di tutta questa storia: l'ascensore. Lui è stato una costanza in tutta la storia, il mio filo conduttore. Che siano benedetti gli ascensori!

GRAZIE A TUTTI VOI CHE SIETE ARRIVATI FIN QUI A LEGGERE GLI SCLERI DI QUESTA PAZZA.

Aiutatemi ad ingoiare questa pillola amara, a scrivere queste ultime parole, a salutarvi un'ultima volta.

Un bacio,
Cassie
   
 
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