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Autore: jomonet    14/04/2021    4 recensioni
[Levi x Petra]
Il filo rosso del destino lega Petra e Levi fino ai nostri giorni.
Ispirato al finale di "Your Name" (privo di spoiler).
Dal testo:
Si strofinò furiosamente gli occhi, le guance e si grattò brutalmente i capelli neri, ma tutto pareva essere inutile per eliminare quella sensazione di vuoto che ostinatamente si era attorcigliata al centro del suo petto. Era come se un filo duro e saldo, stretto e forte, lo tenesse legato a quello che aveva sognato. “Ma chi…eravate? Cos’era? Chi… eri?”
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«Ancora?» Si ripeté a bassa voce, giocherellando distrattamente con il filo rosso che era fuoriuscito dalla sua maglia al livello del polso. «Ancora una volta quel sogno… com’è possibile…e poi… chi…»
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Levi Ackerman, Petra Ral
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Boom. Solo fumo. Un gas quasi invisibile, umido e asciutto lo circondava, appannandogli la visuale sull’orizzonte sfocato. Tutto pareva indefinito e sfumato da una strana e pesante nebbia bianca. Eppure, nonostante sembrasse un ambiente vuoto totalmente avvolto dal fumo, riusciva ad intravedere qualcosa o, forse, qualcuno in fondo, molto lontano. Non capiva cosa stesse guardando, o meglio, chi lo stesse osservando con ammirazione e con profonda devozione tra tutto quel gas. Una sensazione di calore invase il suo corpo, non appena quelle figure furono trasportate leggermente in avanti da un vento caldo che accarezzò delicatamente anche il suo volto. Aveva l’impressione di conoscere ciò che aveva dinanzi, a pochi metri da lui, ma non comprendeva né come né perché. Piccole nuvole di fumo contornarono quelle stesse figure, cancellando lentamente i loro contorni poco definiti e coprendo gran parte delle sua offuscata visuale. Un vuoto improvviso e profondo si impossessò dentro di lui, facendolo cadere d’un tratto in un buco nero.

 

Sudava. Aveva la schiena nuda bagnata, il collo caldo e il viso pieno di tante goccioline che gli rigavano le tempie e le guance. Si rese conto di aver sudato per tutto quel tempo fino ad allora. Le coperte erano scivolate fuori dal letto insieme ad uno dei suoi cuscini. “Che cos’è successo? Cos’era quello? Chi…”, si ripeteva mentalmente, mentre si strofinava la fronte con il polso e si guardava attorno ancora leggermente stupito. Si era svegliato di soprassalto urlando, sedendosi sul letto, non appena il buco nero lo aveva risucchiato in un abisso profondo. Si portò la mano dal volto al petto, che si alzava e si abbassava furiosamente, riempiendosi e svuotandosi affannosamente. “Perché…? Cos’era quello? Sembrava… tutto… così reale.” I suoi pensieri gli tormentavano la testa, creandogli immense raffiche di vento nella mente, che incitavano quella stessa sensazione di vuoto lasciato dal sogno a permeare nel suo cuore. Richiuse le palpebre, tentando di concentrarsi e di riacquistare il controllo su di sé. Rilassò i muscoli tesi del suo corpo ed espirò un groppo d’aria bloccato al centro della sua gola, abbassando spontaneamente le spalle e le braccia irrigidite dallo spavento. Le dita scivolarono lungo la sua pancia e sul resto del suo busto nudo, posandosi e fermandosi sul pantalone a righe del suo pigiama. “Chi era…” Un rapido e violento brivido percorse velocemente la sua schiena, costringendolo a raggomitolarsi e ad abbracciarsi le gambe. «Cosa mi sta succedendo? Io… non ho mai sentito freddo». Con la mano ancora appoggiata sul caldo materasso, strinse fortemente il tessuto morbido tra le sue dite, necessitando un qualsiasi appoggio fermo, solido e concreto che lo aiutasse a tornare completamente nella realtà. Si chiuse con il proprio corpo a chiocciola, cercando di riscaldarsi da solo, come ormai era abituato da qualche anno, da quando abitava in un monolocale della Capitale. Il suono improvviso del cellulare,  abbandonato sul suo comodino la sera prima, lo fece sobbalzare appena sul proprio posto. «Chi diavolo è?!» Strinse gli occhi in due piccole fessure, voltandosi furiosamente verso il telefono che suonava imperterrito. Prese un piccolo respiro e allungò un braccio in direzione della fastidiosa suoneria. In fretta lesse il nome che compariva sullo schermo e, in men che si dica, si ricompose nei suoi comportamenti, schiarendosi la voce prima di rispondere. «Erwin» il tono piatto e serio «sono solo le sette del mattino. Perché mi chiami a quest’ora? C’è qualche problema in ufficio?»

«Levi. Ho già informato Hanji. Tra un’ora vi voglio entrambi in ufficio. Ho appena ricevuto un’email molto importante» Erwin si irrigidì ancora di più «La compagnia Titan’s ha ritirato la sua controffensiva. Hanno avuto paura delle prove schiaccianti che gli hai mostrato ieri sera» una fredda e orgogliosa risata si mescolò alle sue frasi. «Credo che il grande e stimato Zeke Yeager non abbia chiuso occhio stanotte dopo la tua visita al suo ufficio. Ora tocca a noi. La Capitale sarà di nuovo nostra. Il nostro studio legale riconquisterà il suo vecchio, alto e pregiato posto fra tutti gli altri uffici del Paese. Sono finiti dentro la nostra trappola. Sono nelle nostre mani. Li faremo fuori una volta per tutte e saremo noi a vincere questa battaglia giuridica. La prossima volta devono pensarci bene, prima di dichiarare guerra ai migliori avvocati della Capitale». Le ultime parole gli tremarono in gola, seguendo un tono sempre più cupo e determinato «Ti aspetto in ufficio, Levi. Oggi è il grande giorno. L’ho così desiderato che mi sembra quasi irreale».

«Va bene» Levi rispose con voce atona «A tra un’ora» Chiuse la chiamata e lanciò il cellulare sul letto ancora in disordine e scoperto. Si strofinò furiosamente gli occhi, le guance e si grattò brutalmente i capelli neri, ma tutto pareva essere inutile per eliminare quella sensazione di vuoto che ostinatamente si era attorcigliata al centro del suo petto. Era come se un filo duro e saldo, stretto e forte, lo tenesse legato a quello che aveva sognato. “Ma chi…eravate? Cos’era? Chi… eri?”

 

«Ancora?» Si ripeté a bassa voce, giocherellando distrattamente con il filo rosso che era fuoriuscito dalla sua maglia al livello del polso. «Ancora una volta quel sogno… com’è possibile…e poi… chi…» 

«Mi scusi, signorina» una voce anziana richiamò la sua attenzione dai suoi pensieri «La sua pasticceria fa le consegne a domicilio?»

Petra sollevò il suo sguardo assente e disorientato dal banco del suo negozio, ricco di torte, crostate e di pasticcini di ogni tipo, al volto sereno e gentile della prima cliente della giornata. «Scusi?»

«Oh!» La donna anziana si fece una leggera risata. «Sa… me ne ero accorta che non mi avesse né notato né sentita entrare nonostante il campanello all’entrata. Se vuole… posso ripassare più tardi. Non è così urgente. Ho ancora un po’ di tempo. Sa… mi sono solo voluta anticipare un poco… eh, eh! Me ne rendo conto che sono solo le sette e un quarto della mattina…»

«Mi perdoni, signora!» Petra si portò istintivamente una mano al cuore «Stavo ripensando ad una cosa e…»

«Uh! Spero nulla di grave» la fermò l’anziana «Una bella signorina come lei non deve corrucciarsi sulle cattiverie della vita. Ha ancora tanti anni davanti a lei!» Le sorrise cordialmente.

«Non si preoccupi, signora. Va tutto bene. Mi dica, mi dica».

«Va bene, cara. Mi chiedevo se il suo negozio garantisse delle consegne a domicilio. Oggi è il compleanno di mia nipote… è una dolce e cara ragazza. Ho notato che la sua pasticceria è l’unica del quartiere che apre a quest’ora, perciò… sono passata per prenotare una crostata che vorrei farle mangiare quando mi passerà a trovare a colazione. Mia nipote lavora davvero tanto… non si ferma mai! Eppure, oggi è riuscita a trovare un buco nella sua colma agenda solo per me. È una ragazza gentile e premurosa. Lei un po’ me la ricorda, sa?»

Petra sorrise amorevolmente «Sì, sì, certo! Facciamo anche le consegne» inarcò simpaticamente un sopracciglio «Ah, sì?» Le rivolse uno sguardo incuriosito. 

«Sì, sì. Avete gli stessi occhi color caramello e la stessa morbida espressione dolce e simpatica. Quello sguardo che farebbe innamorare chiunque». L’anziana rise tra sé «Il fidanzato di mia nipote me lo disse la prima volta che lo conobbi! Lo colpì proprio lo sguardo sereno, caldo e intraprendente di mia nipote. Lui è un caro ragazzo». Le iridi della signora si illuminarono per un istante veloce «Immagino che anche il suo lo sia. Deve essere un uomo davvero fortunato».

Petra spalancò involontariamente la bocca, sorpresa e stupita da quelle parole inaspettate che la toccarono inavvertitamente. «Eh?» Socchiuse per un momento gli occhi, ripetendo in mente le frasi della cliente, poiché era davvero sicura di aver inteso male. Si coprì la bocca con il palmo di una mano per non sembrare maleducata.

«Il suo fidanzato. Una bella ragazza come lei, avrà sicuramente un bel fidanzato».

«Io… io non ce l’ho. Non ho nessun fidanzato».

«Ah, mi scusi. Mia figlia me l’ha detto tantissime volte… parlo troppo! Mi perdoni. Ma sono sicura che prima o poi troverà la persona giusta. Basta aprire un po’ di più gli occhi». L’anziana aprì la sua borsa e iniziò a trafficarci dentro alla ricerca del suo portafoglio «Torniamo alla crostata per mia nipote… vorrei questa qui ai frutti di bosco per le otto». Indicò contro il vetro una bianca confezione grande che presentava una deliziosa e invitante crostata viola, sistemata perfettamente sotto i loro occhi «Lei ama questa marmellata».

Petra prese una penna e un taccuino che erano stati abbandonati accanto alla cassa la sera prima. «Perfetto! Mi dica l’indirizzo. Gliela consegnerò io di persona». Le  regalò un altro cordiale sorriso.

 

“Che schifo. Tutti questi mocciosi che urlano di prima mattina in questa merda di metropolitana. Ugh. Tutto è così sporco.”, pensò il giovane, mentre attendeva l’arrivo della metro insieme a tantissimi e rumorosi liceali, “Ma non si rendono conto da soli che sono solo le sette e quarantacinque della mattina? Dove trovano tutta questa voglia di parlare? Statevi zitti e basta.” Levi frugò nella sua borsa per prendere il suo cellulare e controllare se nel frattempo avesse ricevuto un nuovo messaggio da Erwin o da Hanji, ma sulla loro chat condivisa tutto taceva. “Perfetto. Concludiamo questa merda e inutile battaglia giuridica una volta per tutte.”

Poco distante da lui un gruppo di ragazzi stava ridendo a crepa pelle, richiamando su di loro l’attenzione di diverse persone che attendevano pazientemente nella fermata, soprattutto a causa dei rumorosi schiamazzi e delle frasi urlate con gioia da una particolare ragazza di quel gruppetto. 

«Sapete fare questo?» Esclamò lei, mentre riusciva a voltare il panino che aveva nella bocca solo con l’uso della lingua. 

«È possibile che non esista nemmeno un momento nella tua abituale giornata in cui non pensi al cibo?» Le chiese un suo amico, l’unico che era seduto sulla panchina.

Il resto del gruppo rispose con una sonora risata, mentre la ragazza faceva un grosso morso al suo panino con la frittata.

Levi li aveva osservati per bene, uno ad uno, non muovendo neppure un singolo muscolo facciale. “Tzk. Giovani.”, pensò istintivamente. Tuttavia, in quell’istante, la sensazione di totale vuoto interiore di quella mattina lo investì improvvisamente, comparendo di nuovo, come un carro armato e, in un attimo, si sentì pesante, stanco e più solo di prima. D’un tratto quei volti giovanili, allegri e pieni di vita gli parvero familiari. Sapeva, ma non comprendeva come, di aver giù udito le loro voci da qualche parte. Si sforzò di ricordare dove li avesse incontrati, se in qualche parco della Capitale quando usciva presto dall’ufficio oppure in una caffetteria, ma nulla sembrava sistemarsi al suo posto. Nella sua mente era tutto slegato. Rimembrò il suo solito sogno, analizzandolo passo dopo passo, ma sapeva di per certo che quei visi non erano tra quelli che lo fissavano con devozione, fedeltà e solidarietà. Soprattutto nessuna delle facce sorridenti di quel gruppo di liceali corrispondeva a quel volto. Il primo viso che si formava lentamente tra la nebbia chiara in prima fila, davanti a tutti gli altri, e che ogni volta gli regalava un solare e splendente sorriso insieme ad un dolce e caldo sguardo, che gli trasmetteva un’irrefrenabile voglia di vivere e di amare

 

“Chi sei?”, si chiese mentalmente, “Perché non mi lasci in pace? Sono mesi che mi tormenti durante la notte. Cosa vuoi da me?”. La donna strinse maggiormente le dita attorno alla busta che conteneva la crostata, mentre scendeva le scale per raggiungere la sua fermata. Si guardò un po’ attorno, cercando il display delle partenze e degli arrivi. “Perché continuo a sognarlo? Uffa! E perché ogni volta mi sento così…”

Sopra di lei lo schermo indicava l’arrivo della metro alla sua fermata in pochi minuti. “Meno male. Almeno riuscirò a consegnarla in tempo.”, pensò tra sé. Osservò amorevolmente la crostata all’interno della busta, fatta quella stessa mattina, dopo vari tentavi fallimentari per riprendere  del sonno e chiudere nuovamente gli occhi. “È perfetta. Spero che piacerà.”

«Non sentite anche voi questo buon odore?» 

Petra sollevò lo sguardo dalla sua creazione mattutina e posò curiosamente i suoi occhi gialli in direzione di quella allegra voce femminile, tentando di capirne la provenienza. Fissò alcuni volti di diverse persone della sua fermata, ma tutte le loro palpebre erano abbassate e catturate dallo schermo di un cellulare. Guardò dinanzi a sé, nell’altro marciapiede, e notò diversi gruppi di ragazzi con gli zaini sulle spalle e fra questi risentì la simpatica voce della ragazza.

«Mh! Sembra una crostata!»

Petra spalancò gli occhi e, dopo aver rivolto una fulminea occhiata al suo pacco, volle seguire il suono di quella stessa voce per scovarla tra i tanti visi giovanili. 

«Sasha, hai appena finito un enorme panino con la frittata!» 

«Ma questa crostata sembra buonissima! Non la senti?»

La donna finalmente la individuò: era una ragazza alta con i capelli castani legati, bella, sorridente, e camminava avanti e indietro con la punta del naso rivolta verso il basso, come un cane che fiuta ed è alla ricerca del suo pranzo

«Come fai a sentire una crostata in una metropolitana?» Le chiese curiosamente un suo amico con i capelli rasati.

“In effetti… come riesce a sentire l’odore della mia crostata a questa distanza? Ci sono ben due binari che ci separano. E… si sa che… la metro non profuma! È risaputo!”, Petra pensò tra sé, mentre si guardava nuovamente attorno, soffermandosi più spesso sull’altro marciapiede, “Forse… qualcun altro avrà con sé una crostata…” 

«Mh. Ora ho assolutamente bisogno di una crostata!» Esclamò esasperata la ragazza, alzando disperatamente le braccia verso l’alto. «Devo scrivere a Niccolò».

«Povero ragazzo». Disse l’amico che era seduto sulla panchina. 

Petra l’osservò prendere da una tasca il suo telefono e digitare velocemente qualcosa contro lo schermo.“Che ragazza strana, ma davvero simpatica!”, commentò mentalmente ciò che aveva appena assistito dal vivo. Finalmente, da quella mattina, si sentiva leggera, carica e con tutte le energie pronte ad affrontare una nuova giornata. Quella ragazza le aveva trasmesso serenità e gioia. Sorrise felicemente, mentre controllava i minuti rimanenti all’arrivo della sua metro. Osservò distrattamente davanti a sé, ma i suoi occhi dorati si focalizzarono su di un uomo con i capelli neri alto quanto lei. Aveva lo sguardo nascosto sotto la sottile e fine frangia, ma lei riusciva a intravedere i suoi lineamenti seri e impassibili. Tra tutto il rumoroso caos dei liceali, lui era l’unico ad essere solo, silenzioso e distaccato da quel mondo giovanile ricco di una forza naturale. Pareva che nulla lo potesse scuotere da quell’espressione stoica e fredda. Petra notò che si voltava spesso, quasi con ossessione, verso il gruppo di ragazzi che fino a quel momento anche lei aveva spiato curiosamente. Rise tra sé al pensiero che entrambi fossero stati catturati da tanta gioia e dalla loro giovanile e naturale baraonda mattutina. Una sensazione calda di benessere e familiare la circondò accarezzandola da dietro fino ad addentrarsi nel suo corpo, salendo velocemente verso il collo, incanalandosi fin dentro le sue vene. Si sentiva come abbracciata da una morbida coperta di lana invisibile. Tuttavia un’emozione diversa, opposta e contrastante si formava sopra al suo stomaco. Pareva come se il suo petto fosse stato lasciato scoperto da questo improvviso caldo e dolce fuoco buono, estraniato, abbandonato al freddo, indifeso e nudo dinanzi a qualsiasi attacco. In contrapposizione al resto del suo corpo che bruciava lentamente, il suo busto era tiepido e, man mano che ci si avvicinava al centro, diventava gelido. Era come se dentro di lei, al posto dei polmoni, si fosse creato un feroce e secco tornado che era capace di risucchiare qualsiasi suo sentimento felice e gradevole, abbandonandole il cuore in uno stato di vuoto pesante. Petra dondolava sui suoi piedi, tentando di capire e di comprendere cosa stesse succedendo dentro di lei e il motivo per cui provava così tante sensazioni diverse e opposte contemporaneamente in quel preciso momento, come le accadeva ogni notte prima di addormentarsi nel suo letto. I suoi pensieri vagavano, sormontando una violenta tempesta che infuriava nella sua testa e che lottava contro il suo cuore, affogando ed emergendo come una piccola nave di legno in mezzo all’oceano. Le sue iridi gialle erano spente, ma continuavano a fissare, come attratte involontariamente, l’uomo dai capelli neri intento ancora a controllare il suo cellulare.

«Ah! L’ho trovata!» Urlò la stessa ragazza di prima con molta più enfasi.

Petra si voltò lentamente verso di lei e sobbalzò immediatamente sul proprio posto. La giovane la stava indicando con entrambe le mani, mentre saltellava e chiamava i suoi amici. 

«Ti ho scovato, crostata delle mie brame!»

Senza alcuna ragione e logica apparente, gli occhi di Petra si spostarono velocemente, cadendo nuovamente sulla figura maschile davanti a lei. La donna si immobilizzò: le gambe tremarono incontrollate, le braccia diventarono molle e leggere, la gola si fece improvvisamente secca e arida, le guance bruciarono e le pupille si allargarono. Lo riconobbe. Era lui. Lui. L’artefice dei suoi continui sogni di un altro mondo. Ingoiò con difficoltà un po’ di saliva, ma nel farlo si rese conto che il vuoto al centro del suo cuore era scomparso, come per magia, facendo spazio ad un calore avvolgente sempre più forte e intenso che oramai l’aveva inglobata totalmente.

 

Lei. Era lei. La riconobbe subito. Non gli ci volle neppure un secondo per associare il volto della donna che era in piedi nell’altra parte della metropolitana, nell’altro marciapiede, con quello che si insediava  quotidianamente nei suoi sogni. Gli parve di tornare a galla dopo tantissimo tempo speso a stare in apnea in un mare di solitudine e di lotte. I suoi occhi azzurri come il ghiaccio tremavano furiosamente, come se da un momento all’altro si sarebbero sciolti sotto quelli gialli e solari della donna, fissi e concentrati nei suoi. “Sei tu…”, pensò, mentre allungava istintivamente un braccio nella sua direzione. Per la prima volta non era più imprigionato in un abisso vuoto, fatto di gelo e di paura pregno di un odore fin troppo simile a quello della salsedine mescolato a quello ferroso che gli ricordava il sangue. Ora riusciva a percepire l’aria attorno a sé, l’ossigeno fresco e caldo che gli entrava nei polmoni, penetrando delicatamente in ogni sua parte del suo corpo pulendo ed eliminando ogni sua oscurità più profonda.

 

Improvvisamente un forte rumore di freni si intromise tra i loro sguardi incatenati da un filo invisibile, ma forte e resistente, fissi l’uno nell’altro, incastrati perfettamente insieme, riuscendo ad annullare ogni singolo elemento vicino a loro. Una lunga fila di vagoni si susseguirono rapidamente davanti ai loro occhi, facendo muovere velocemente nell’aria fredda i loro capelli e alcune frange dei loro vestiti. In un batter d’occhio entrambi i marciapiedi si riempirono di gente che saliva frettolosamente nelle due metro per occupare i pochi sedili liberi. Petra si allungò ripetutamente con il collo, tentando invano di riuscire a intravedere lui attraverso i finestrini e i pochi spazi lasciati liberi. Alcune signore l’avevano addirittura spinta accidentalmente a causa della massa, si voltarono gentilmente per scusarsi, ma la sua completa attenzione era ormai catturata dalla fondamentale ricerca all’uomo con i capelli neri dell’altro marciapiede. “No, non posso.”

 

“Dove sei? Merda! Schifose persone levatevi, spostatevi! Io devo vedere! Devo vederla!” La metro era colma di studenti e di giovani lavoratori. Alcune porte cominciarono a suonare, segnando la loro  prossima chiusura. Quella dinanzi a lui era ancora aperta e il corridoio era semivuoto, eppure le sue gambe non parevano voler seguire la sua ragione, rimanevano immobili sul marciapiede, incollate ad esso. Levi strinse fortemente le sue mani in due pugni, tanto che tutte le sue nocche ben presto si colorarono di un bianco giallastro per lo sforzo. Cercò di identificare una chioma rossa nell’altra metro, ma anche quella era piena di persone e le uniche che incrociava erano diverse da quella di lei, sembravano più scure o più chiare e il taglio era più corto o più lungo. «No, non posso» bisbigliò tra sé con tono deciso, chiudendo con maggiore forza le sue mani «Al diavolo il lavoro». E con uno scatto fulmineo, si diresse verso le scale per raggiungere l’altro marciapiede in fretta e furia. 

 

“Che faccio?”, si domandò, mentre le porte davanti a lei iniziavano a suonare e a lampeggiare, “Io… io devo salire. Non posso… io ho una cliente e lui… lui… non sa chi sono… non mi conosce… anche se i suoi occhi… sembravano… sì, sembrava avermi riconosciuto. Oh! Ma cosa penso? Io non lo conosco e non posso… abbandonare un cliente per uno sconosciuto.” 

In quel momento un urlo dietro di lei la destò improvvisamente dai suoi pensieri, facendole tremare  nuovamente le gambe.

«Non chiudete! La prego! Fermi!» Esclamò un ragazzo dai capelli biondi che correva nella sua direzione.

Petra si mosse meccanicamente in avanti per bloccare la chiusura delle porte scorrevoli, mentre il ragazzo aumentava sempre di più il passo, facendo addirittura un lungo salto per ritrovarsi in un batter d’occhio dentro il corridoio della metro.

«Grazie!» Aveva due occhi azzurri, come il mare, gentili e buoni «Bisogna crederci fino all’ultimo!» Le ricordò con un grande sorriso.

Petra spalancò le palpebre, come colpita improvvisamente da una freccia in pieno petto, socchiuse le labbra e sentì un selvaggio e intimo fuoco divampare nelle sue guance e nei suoi piedi. Scossa da quelle semplici, ma veritiere, parole, si svegliò al suono dell’ultima frase, che riecheggiava ossessivamente nella sua testa, come una canzoncina melodiosa. In un attimo prese coscienza nuovamente del suo corpo e, spinta da uno strano e irrequieto istinto naturale, abbandonò il marciapiede della sua fermata per dirigersi verso l’altra parte della metropolitana. “Credici.”

 

Era lì. A pochi passi da lui. Lei era in piedi all’inizio del piccolo corridoio che li divideva. Erano  entrambi fermi nelle rispettive estremità del passaggio che collegava le due diverse fermate della metropolitana. Stranamente, quel luogo comunemente affollato, era vuoto, non vi era anima viva che li potesse disturbare o che riuscisse a catturare la loro attenzione. Il petto di Levi era una bomba accesa pronta a scoppiare di lì a poco. Le mani tramenavano come mai avevano fatto nella sua vita. Le gambe parevano leggere, ma allo stesso tempo erano ben robuste e coraggiose nel continuare a camminare, nonostante la sua chiara volontà nel rimanere immobile dov’era. Fu il suo corpo a sposarsi da solo, facendo qualche passo in avanti verso la figura femminile che sembrava attenderlo. “Merda. Cosa sto facendo? Vorrei fermarmi. Merda! Non ci riesco! Perché? Merda, Levi! Ferma i tuoi stessi piedi, idiota!”. I suoi occhi era come paralizzati e incantati da quelli gialli di lei, scorgendo tra le sue iridi sfumature chiare e luminose, come tanti piccoli raggi di sole imprigionati tra le sue grandi palpebre. Lo sguardo dolce e caldo della donna lo chiamava a sé,  invitandolo ad andare sempre più avanti, come se lui fosse solo un pupazzo sotto l’incantesimo di un magico e inebriante odore di una torta fatta in casa. “Chi sei? Io… non capisco. Tu… tu mi conosci?”

 

Petra avvertiva il suo cuore pompare all’impazzata al centro del suo petto, come se questo non riuscisse più a desistere dal suo desidero di uscire e di avvicinarsi all’uomo prima delle sue gambe. Appena lui aveva cominciato a fare i primi passi verso di lei, una sensazione d’ansia mista ad una  naturale e istintiva gioia improvvisa si era impossessata di lei, accendendo ed espandendo ogni suo senso. Il suo sguardo si appannò leggermente a causa di alcune sottili lacrime che, da brave, rimasero appollaiate all’inizio delle sue palpebre. Il suo respiro si mozzò, lasciandola in uno stato di apnea momentanea che durò solo per qualche istante, fino a quando la sua mente non le ricordò i suoi soliti sogni, disegnandole l’immagine seria, fredda, ma gentile e determinata dell’uomo che ogni notte la rassicurava e le regalava l’energia e la speranza necessaria per affrontare la nuova giornata. Iniziò lentamente a camminare verso il centro del corridoio, accorciando la poca distanza fra di loro, avvicinandosi con calma alla figura davanti a lei. “Chi… Cosa… Perché…? Ogni centimetro della mia pelle trema. Le dita delle mie mani sono congelate. Non sento più i miei piedi. Ho il cuore a mille e la testa… non lo so… pare essere tra le nuvole per quanto è leggera.”, inspirò velocemente un po’ d’aria fresca, “Voglio sapere chi sei, uomo dei miei sogni. Oh! No. No, Petra, non in quel senso…”. Si morse istintivamente il labbro inferiore con molta forza, assaporando un leggero sapore metallico sulla punta della lingua. “Cosa faccio? Cosa dovrei dire? I metri che ci separano diminuiscono sempre di più e lui… lui è proprio davanti a me. Aiuto! Ho bisogno di un aiuto.” 

 

“Bene, stupido che non sei altro! Stupendo! Ora? È lì. Lei è a tre metri da te. Adesso? Vuoi continuare a camminare? Idiota. Sono un completo idiota.” Levi rallentò di molto il suo passo, nascose le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri e, con una forza quasi sovrumana, spezzò la magnetica connessione fra i loro occhi che, ad ogni passo, aumentava vertiginosamente, regalando al suo corpo scosse elettriche che percorrevano rapidamente tutta la sua schiena fino a concentrarsi insieme in un gomitolo di fulmini agitati sulla nuca. Le iridi azzurre si focalizzarono su un punto lontano del corridoio, distogliendosi e distaccandosi completamente dalla figura femminile. “Merda. Ok, Levi Ackerman, quindi ora…”

 

“Ora… fai qualcosa, Petra Ral.” Inspirò profondamente, ma espirò con fatica. Abbassò istintivamente lo sguardo verso il pavimento sporco e nero del corridoio. “Non puoi basarti solo su qualche sogno… in fin dei conti non ne sono stati così tanti! Giusto un paio…”, espirò un bel po’ d’aria dalla bocca, come a voler togliere un grosso peso dal suo petto, “Sì… un paio di volte a notte! Petra… inventati qualcosa!”, si grattò distrattamente il polso con l’indice, sfiorando con il pollice il filo rosso che fuoriusciva dalla sua maglia. Un leggero e impercettibile sorriso si delineò sulle sue labbra. “Lui non mi conosce… mi prenderà per pazza.”

 

“Basta, Levi. Hai mandato al diavolo il lavoro di anni, Erwin, Hanji e l’intera compagnia per uno stupido e insignificante sogno e per una remota e stupida possibilità che forse quella persona… quel volto… esistesse per davvero. Un viso. Uno schifo di…”, i suoi pensieri si bloccarono nell’immediato, incapaci di continuare la frase. Le sottili sopracciglia si corrucciarono verso l’interno e un debole ghignò si disegnò sulla sua bocca. “In realtà… la verità è tutt’altra.”

 

Oramai a dividerli c’era una distanza davvero minima, piccola, ma elettrizzante, colma di un’aria pesante, diversa e frizzante. La sua testa cominciò a girare in un vortice infinito, non facendole capire più nulla. L’ossigeno le si bloccava a metà del collo incapace di scendere più giù nei suoi polmoni, seccandole e prosciugandole la gola e la bocca. Il petto tamburellava così rumorosamente che quando le due metro ripartirono, il suo suono era più forte, rimbombandole come un potente tamburo nelle orecchie. “Io… devo fermarlo. È qui. Lui. Lui è accanto a me. Voglio sapere… voglio… ma cosa?”

 

Quando i loro corpi si sfiorarono, o meglio, le loro braccia si toccarono appena, Levi percepì uno strana aurea umida circondarli e un forte calore che dal gomito si espanse voracemente verso la sua spalla e il suo collo e scendere rapidamente verso il busto fino al suo bacino. Per un istante, come un colpo di riflesso, sentì i suoi piedi e le sue gambe farsi fredde e una scarica elettrica scottante muoversi frettolosamente attraverso le sue vene, giungendo in pochi secondi nella sua nuca. Le sue iridi rimasero immobili, fisse e concentrate in un punto qualsiasi dinanzi a loro, mentre la donna lo superava timidamente, persa nei suoi pensieri, con lo sguardo puntato contro il pavimento. “È stato tutto così stupido.”, si disse mentalmente convinto. Eppure, improvvisamente, il suo cuore balzò un battito, le palpebre si spalancarono e una piccola fiamma divampò lentamente nel suo stomaco, abbracciandolo dolcemente dall’interno, riuscendolo a fermare dopo un paio di passi. “Eppure…”

 

«Hey» lo sentì schiarirsi la voce «Mi scusi, signorina…»

Il cuore di Petra perse un battito, o forse due. “Lui mi ha…”

«Avrei bisogno di…»

«Sì?» Con uno strano e agguerrito coraggio, finalmente si voltò verso l’uomo dal tono buono, seppure profondo, pesante e tagliente.

 

Eccola. L’aveva trovata. Era lei. Era decisamente lei. Lo sapeva. Il viso incorniciato da tante corte ciocche rosse che accarezzavano morbidamente le guance rosee. Le labbra incurvate in un gentile e solare sorriso fresco che gli ricordava un prato ricco di petali di rose. E i suoi occhi. Le palpebre grandi, le iridi gialle, tinteggiate da sfumature chiare e scure in base alla luce che vi si rifletteva. Il suo sguardo caldo e dolce che avrebbe potuto far innamorare chiunque

«Sì?» Dovette ripetere lei con voce soave, tenera e calma.

Levi chiuse per un momento le sue palpebre.“Sembriamo così diversi. Cosa c’entro io con lei? Lei pare così viva e piena di gioia,  pura e angelica, mentre io sono esclusivamente devoto alla guerra e ai combattimenti in tribunale. Sono una bestia che colpisce i propri nemici a sangue freddo.” Prese un lungo respiro, prima di risponderle con cordialità. «Per caso ci siamo già incontrati da qualche parte?»

 

Sentì le sue guance infuocarsi per la milionesima volta, mentre tutti i polpastrelli delle sue mani si raffreddavano paurosamente e le sue ginocchia vacillavano terribilmente. «Io… io credo di sì».

L’uomo allungò un braccio nella sua direzione. «Il mio nome è…»

Una scarica elettrica le attraversò velocemente tutto il corpo, dalla testa ai piedi, lasciandole un po’ di pelle d’oca lungo il busto e le braccia, solleticandole in particolare la nuca. «Levi» Lo bloccò, anticipandogli inavvertitamente la risposta.

Le palpebre del corvino si spalancarono ancora di più, mostrando le due piccole iridi azzurre, come il ghiaccio, scosse e stupite. «Com’è…» la voce gli tremava fin dentro la gola. Il suo stesso pomo d’Adamo vibrava appena al centro del collo.

“Non lo so” gli avrebbe voluto dire, poiché quel nome era come riemerso da un lungo sonno dentro la sua mente e le era sfuggito istantaneamente dalla bocca, senza che lei avesse avuto il tempo di ragionarci o di rendersene conto. «Io sono…»

 

«Petra» questa volta fu lui ad anticiparla, mentre la sua mano rimaneva immobile, in aria, tra i loro corpi fermi. «Petra» ripeté con tono più basso, come se conoscesse già quel nome, come se già gli appartenesse per qualche strano e ignoto motivo.

«Sì. Io sono Petra Ral».

Levi si avvicinò istintivamente, diminuendo maggiormente la loro distanza, mentre lei separava lentamente le sue labbra e i suoi occhi cadevano intensamente nei suoi. «Petra Ral» il suo tono vacillò pericolosamente, come mai e poi nella sua vita era successo «Petra» sussurrò, sollevando il suo braccio verso il volto di lei.

«Io… io ti conosco» balbettò lei, prima che una delle tante lacrime cedesse all’istinto di uscire dai suoi grandi occhi gialli, bagnando un dito della mano di Levi che sfiorò delicatamente una sua guancia e il mento con la punta fresca dei suoi polpastrelli.

«Petra» bisbigliò dolcemente lui «Anche io».

   
 
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