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Autore: Shadow writer    15/04/2021    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il professor Thomson

 

Nate lanciò un’occhiata al cellulare, abbandonato sul divano al suo fianco, e vide che aveva circa un miliardo di chiamate perse da Alison. Fissò per un istante lo schermo, poi sospirò e tornò a guardare il documentario sui lemuri che stavano trasmettendo in TV. Anche se il loro precedente televisore era stato portato via con la rapina, Jay era riuscito a procurarne uno nuovo dal negozio in cui lavorava. Nate lo ringraziò mentalmente, perché altrimenti non avrebbe saputo cosa fare quel sabato pomeriggio.

Dopo la multa che gli era arrivata a casa – e che Richie aveva pagato per lui – tutte le accuse erano cadute e sarebbe potuto tornare tranquillamente alla sua vita. Purtroppo, l’azienda per cui lavorava aveva deciso di non aver più bisogno del suo aiuto e lo aveva licenziato. 

Nate aveva preso la notizia straordinariamente bene. La sua vita non era stata in discesa in quel periodo, ma un precipitare rapido in un baratro senza fine, quindi il licenziamento non era poi così tanto sconvolgente. 

Neanche il Devil Wheels avrebbe potuto tenerlo impegnato, dal momento che gli organizzatori avevano pensato di metterlo in pausa fino a che la polizia avrebbe dimenticato dell’arresto di Nate.

Quella mattina aveva chiamato sua madre. Le aveva chiesto come stava e come se la stesse passando.

«Oh, bene» gli aveva risposto la donna con voce confortante. «La signora Jenkins si è trasferita, quindi ora mi occupo io dei bambini che teneva. Ma perché mi hai chiamato? C’è qualche problema?»

Nate aveva esitato. Sarebbe stato inutile cercare di nasconderle il proprio stato d’animo, così aveva deciso di minimizzare.

«Solo qualche problema al lavoro. Risolverò tutto presto» le aveva detto. «Ti… Ti servono dei soldi?»

Lei aveva riso. «Smettila di preoccuparti per me. Lo sai che io me la caverò».

Mentre il narratore raccontava della vita amorosa dei lemuri, il ragazzo vide con la coda dell’occhio che una nuova chiamata aveva illuminato lo schermo del suo cellulare. Gli rivolse uno sguardo stanco e quasi saltò sul divano quando si accorse che si trattava di Mila.

Lo afferrò e rispose di getto.

«Pronto?»

«Sono Mila. Ho bisogno di riscuotere il mio favore. Questa sera. Vestiti elegante».

La ragazza non gli diede tempo di replicare e chiuse la chiamata. Nate rimase di sasso, seduto sul divano con il cellulare in mano e gli occhi vitrei sui lemuri in TV.

 

Qualche ora più tardi, il ragazzo scoccava occhiate scettiche alla propria immagine riflessa. Aveva sistemato i suoi capelli perennemente spettinati con del gel che aveva rubato a Jay e aveva indossato la sua unica camicia elegante. 

Il suono del campanello lo distolse dalla contemplazione, così corse ad aprire. Mila entrò nell’appartamento senza aspettare di essere invitata e gli si piazzò davanti. Indossava un lungo cappotto nero che arrivava alle caviglie e lasciava vedere solo le decolleté nere lucide che portava ai piedi. Dell’ombretto scuro metteva in risalto i suoi già grandi occhi blu e il rossetto rosso che le tingeva le labbra le conferiva un’aria matura. In mano teneva un copriabiti che subito tese a Nate. 

«Provalo» gli disse in tono deciso. 

Lui non poté replicare a quel modo così autoritario, perché sapeva di essere ancora in debito con la ragazza.

Prese il copriabiti che gli porgeva e, quando ebbe abbassato la zip, si accorse che conteneva un completo elegante da uomo. Non riuscì a nascondere il proprio fastidio e commentò: «Ti fidavi così poco di me da procurarmi tu stessa i vestiti?»

Lei alzò gli occhi al cielo. «Mentre venivo qui ho notato un negozio che affitta abiti eleganti e ho pensato di fermarmi. Almeno stai attento a non macchiarlo».

Poco convinto, Nate si diresse verso la propria stanza e si cambiò. Quando tornò a guardarsi allo specchio, non riuscì a trattenere un moto di sorpresa. Il completo che Mila gli aveva portato era semplice ma di qualità, lo si vedeva dal modo in cui la giacca gli fasciava le spalle o da come lo vestivano i pantaloni.

Avrebbe voluto che i suoi amici fossero a casa per poter mostrare loro che poteva anche sembrare una persona seria.

Tornò da Mila e la vide sgranare gli occhi. Si sentì a disagio. «Cosa c’è? Sembro ridicolo?»

La ragazza gli rivolse un piccolo sorriso. «No, stai molto bene».

Nate distolse lo sguardo.

Si affrettarono verso l’auto che li attendeva in strada e sedettero per qualche minuto in silenzio. 

La berlina nera scorreva veloce tra i quartieri puntando verso un’area della città che Nate non conosceva.

«Hai intenzione di dirmi di che si tratta?» fu lui a parlare per primo, guardando la ragazza di sbieco. 

Mila teneva le mani in grembo e le torturava nervosamente, anche se il suo volto si sforzava di mantenere un’espressione pacifica. 

Si voltò leggermente verso di lui. «Lo scoprirai presto, no?»

Il ragazzo sbuffò, ma decise di desistere. Come Mila aveva previsto, presto l’auto si infilò in quello che sembrava un campus universitario e li lasciò davanti ad una grande villa in mattoni rossicci.

Una volta che l’auto fu ripartita, il ragazzo si guardò attorno. La villa era illuminata da alcuni faretti e un vociare allegro proveniva dall’interno. Dopo una piccola rampa di scale, il portone aperto sembra invitare ad entrare. Tutt’intorno, il resto del campus era avvolto dal silenzio e dall’oscurità. Solo alcune, rare figure passeggiavano tra gli alberi alti, ma rapidamente scomparivano all’interno degli altri edifici sparsi nel parco.

«Nate?»

La voce di Mila riprese la sua attenzione e notò che lei aveva già salito i gradini e lo attendeva accanto al portone d’ingresso. La ragazza controllò l’orologio al polso, poi la sua fronte si corrugò. «Saremo gli ultimi se non ci sbrighiamo.»

«Arrivo, arrivo». Con pochi rapidi passi, fu al fianco di lei e insieme entrarono nella villa.

Si ritrovarono in un ampio salotto, arredato con mobili d’epoca in legno scuro, intonati al parquet che rivestiva il pavimento. Le pareti erano rivestite di scaffali e librerie colme di volumi massicci e dall’aspetto antiquato.

Alcuni quadri, contenenti vecchi planisferi, decoravano gli spazi vuoti sui muri.

La stanza era affollata da uomini e donne ben vestiti, che si atteggiavano in modo formale ed elegante.

Una donna si avvicinò a loro, chiedendo se potesse prendere le giacche. Nate imitò la ragazza, la quale si sfilò con disinvoltura il cappotto e lo porse alla donna. 

Mentre faceva lo stesso, ebbe modo di osservare come era vestita Mila. Il suo corpo esile era fasciato da un abito nero che ne accentuava le curve — sebbene fosse di corporatura esile — mentre degli intarsi dorati le conferivano un’aria sofisticata.

«Che c’è?» domandò lei intercettando il suo sguardo.

«Sei cambiata» commentò lui.

La ragazza si sistemò nervosamente i capelli dietro alle orecchie. «In senso positivo o negativo?»

Nate le rivolse un sorriso triste. «Non sei più la Mila Barnes che si infilava le mie vecchie magliette».

Lei lo fissò per qualche secondo, con gli occhi blu sgranati, come per capire cosa volesse dire, così Nate puntualizzò: «In senso positivo, credo».

Ottenne di farla arrossire e distogliere lo sguardo, mentre avanzavano per lasciare posto a nuovi venuti che necessitavano del guardaroba.

Mila lo condusse in una sala adiacente, altrettanto affollata, ma che aveva un aspetto più istituzionale della prima. In un angolo era stato sistemato un piccolo palco, rivestito da un tappeto di velluto scarlatto e su di esso si trovava un espositore con un manifesto. 

Nate strinse gli occhi e riuscì a leggere “Premio di Studio Thomson per giovani di talento e bisognosi”.

All’improvviso, si sentì come se tutta la gente intorno a lui sparisse. Ciò che riusciva a percepire erano il fischio che gli percorreva le tempie e un improvviso calore che lo infiammava da dentro.

Si voltò verso Mila, mandando saette dagli occhi, e la ragazza parve cogliere immediatamente il suo stato d’animo perché cominciò a sparare parole che avevano lo scopo di calmarlo.

Nate la ignorò e puntò dritto verso la vetrata che si affacciava sulla parte posteriore della villa. Scansò rapidamente la gente che affollava la stanza e si trovò in un piccolo giardino circondato da un’alta e fitta siepe.

L’aria della notte lo rinvigorì e smorzò un poco la vampata che lo aveva colto. A riaccenderla, fu Mila, che ricomparve subito al suo fianco.

«Nate» sibilò sottovoce, afferrandolo per un braccio perché non le sfuggisse. «Siamo in pubblico, quindi niente sceneggiate, per favore. Lasciami spiegare».

Lui si guardò attorno. Il giardino era deserto, solo una coppia di persone fumava in un angolo, troppo lontani per sentirli e anche per distinguerli chiaramente, visto il buio che vi regnava.

«Non c’è nulla da spiegare qui, tesoro» replicò lui pungente, senza sforzarsi di nascondere l’irritazione nella propria voce. «Ancora pensi che io sia un povero che necessita il tuo aiuto, o sbaglio? Mi ha portato qui perché pensi che l’aggettivo “bisognoso” mi descriva perfettamente, o sbaglio?»

Il suo tono si alzò più del previsto e vide Mila guardarsi alle spalle. I due fumatori erano rientrati ed erano rimasti da soli nel giardino. 

«Nate, credo sia il caso di crescere» ribatté lei a tono. «Ti ho portato qui perché il Professor Thomson cerca giovani talenti e io credo che tu rientri nella categoria. Per fortuna non c’è nessuna eccezione per le teste di cazzo, altrimenti ne saresti escluso. Idiota».

I due si fissarono per qualche secondo senza parlare. Nate non riusciva a togliersi l’espressione incazzata dalla faccia e notò che lo sguardo di Mila non era da meno.

«L’altro requisito per la borsa di studio è non essere ricchi sfondati, non mi sembra ci sia nulla di offensivo in questo» proseguì la ragazza, raddrizzando la schiena per assumere una posa più contenuta, ma senza perdere lo sguardo tagliente.

«Non voglio l’elemosina» mormorò Nate.

«E non l’avrai, coglione. Non significa che solo perché sei qui otterrai la borsa di studio. Questa sera bisogna presentare le domande, poi i candidati verranno valutati e solo i migliori verranno presi. Capito?»

Se gli occhi di Mila avessero avuto il potere di incenerirlo, Nate si sarebbe tramutato in un cumulo fumante in quell’istante.

Sospirò e la ragazza subito chiese: «Che c’è?»

Sostenne lo sguardo di lei, poi accennò un sorriso. «Una volta non dicevi le parolacce».

Mila alzò gli occhi al cielo e, sbuffando, si voltò. 

«Ti aspetto dentro quando avrai finito di essere offeso» gli disse, tornando verso le sale illuminate della villa.

Nate prese un respiro profondo, mentre la guardava muoversi con imprevista disinvoltura su quei tacchi alti. Risalì con lo sguardo la linea delle sue gambe, ombreggiate dalle calze scure, per poi raggiungere l’orlo dorato nel vestito. Prima che la sua mente cominciasse a produrre immagini non adatte alla situazione — e al fatto che avesse una ragazza — scosse il capo e decise di seguirla. 

La sala lo accolse con un tepore piacevole dopo la ventata d’aria fresca del giardino e, quando raggiunse Mila, si accorse che non era sola. Con lei stava un uomo alto ed elegante, che riconobbe come l’avvocato Carter.

Non appena lo vide, James gli tese la mano. «Nathaniel, che piacere rivederti!»

Nate gli strinse la mano tesa senza riuscire ad evitare un’espressione dubbiosa nei suoi confronti. L’altro dovette accorgersene, perché assunse un tono comprensivo e calmo, quando riprese a parlare: «Mila mi ha tenuto aggiornato sui dettagli di questa serata e sono contento di vedere che sei riuscito a partecipare. Mi rallegra sempre riuscire ad aiutare chi ne ha bisogno e ne è meritevole».

Non c’era nessun intento offensivo nelle sue parole e Nate ne ebbe la conferma spostando gli occhi su Mila, che era tornata a rivolgergli uno sguardo tagliante. La sua espressione lo stava ammonendo a comportarsi bene.

Decise di rivolgere all’avvocato un sorriso accompagnato da qualche parola di ringraziamento.

In quel momento, una voce maschile richiese l’attenzione dei presenti e due uomini salirono sul palchetto allestito nella stanza.

Il primo si occupò di dare il benvenuto ai presenti e di presentare il vecchio canuto che stava al suo fianco come il Professor Thomson. Il filantropo era un benamato docente ormai in pensione che non riusciva ad abbandonare l’ambiente accademico. Quanto ottenne il microfono, l’uomo parlò in modo conciso, ma appassionato e, nonostante l’età, dimostrò una grande vivacità.

Il signor Thomson fu congedato con un applauso e l’altro riprese la parola. Mentre illustrava i requisiti per il premio di studio, Nate spostò gli occhi e cercò Mila. La ragazza se ne stava al fianco di James, con un braccio di lui che le cingeva il fianco e la teneva vicino a sé. Come se avesse percepito di essere osservata, si voltò e incrociò lo sguardo di Nate. 

Si fissarono in silenzio, immobili e muti. 

 

 

La mezzanotte era ormai prossima quando la villa del Professor Thomson cominciò a svuotarsi. Il padrone di casa era scomparso da tempo, ma gli ospiti si erano trattenuti a chiacchierare nelle sale del piano terra.

Nate aveva passato la maggior parte della serata tentando di mimetizzarsi con le librerie contro le pareti, ma non era riuscito a sottrarsi completamente dalla conversazione. Mila e James lo avevano presentato a conoscenti, amici, e perfino ai suoi competitori per la borsa di studio. Si erano dimostrati tutti molto gentili nei suoi confronti. Troppo gentili per i gusti di Nate.

«Toglitelo dalla testa» gli disse Mila ad un certo punto. James era andato a recuperare i cappotti e si trovarono soli in una delle sale. 

Lui le rivolse uno sguardo interrogativo e lei sbuffò. «A volte le persone sono gentili con gli altri senza un secondo fine. Non fare il solito paranoico».

Nate alzò gli occhi al cielo, un poco scocciato di essere sempre ripreso, ma alla fine si ritrovò a sorridere.

«Grazie» le disse e Mila ne parve felice, perché le sue guance si tinsero di un lieve rossore.

«E mi dispiace per prima, mi sono arrabbiato troppo in fretta».

La ragazza le rivolse uno sguardo strano, che faticò ad interpretare. Era forse… dolcezza?

Spostò nervosamente il peso da una gamba all’altra e si passò una mano tra i capelli ancora ingellati.

«Credo che forse… non ho mai veramente accettato il fatto che tu non sia voluta partire con me»

Cercò gli occhi di Mila e notò che stava trattenendo il fiato, in attesa. Si maledisse mentalmente per la sua straordinaria capacità di parlare della cosa sbagliata nel momento peggiore, ma sapeva che ormai il danno era fatto. Tanto valeva proseguire.

«Per tutto questo tempo l’ho considerato peggio di un tradimento, ma credo sia arrivato il momento di lasciar andare il rancore…» si interruppe quando scorse James comparire alle spalle della ragazza. 

Mila seguì la direzione del suo sguardo e si voltò in tempo per vedere l’uomo che li raggiungeva con le giacche in mano.

«Nathaniel, la tua macchina ti sta aspettando fuori» gli disse.

Nate prese il cappotto gli tendeva e spostò gli occhi su Mila, che era tornata a guardarlo, senza parlare.

«Grazie per la serata» disse ad entrambi e, con un cenno di saluto, si congedò.

Quando uscì all’esterno, gli parve di respirare per la prima volta dopo molto tempo. Come aveva detto James, un’auto lo stava aspettando. Si infilò all’interno e chiese all’autista di partire, pregando che si allontanasse di lì il prima possibile.

 

   
 
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