Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: PervincaViola    15/04/2021    6 recensioni
Alayne Stone non avrebbe mai potuto ricordare Sandor Clegane; Sansa Stark sì.
{Sandor/Sansa ♥ book!verse What if?}
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A ritroso
Three things Sandor Clegane knew about Sansa Stark
(and one he didn't)










 
 
Era una lady
 
 

Rammenta ancora con nitidezza la prima volta che il suo sguardo si era posato su di lei. Era estate, ma Grande Inverno era così lontano, così remoto, e faceva ancora mostra di alcune tracce di neve e ghiaccio sotto gli zoccoli dei cavalli. Sansa Stark era accanto ai suoi fratelli, accanto al lord suo padre, e aveva solo undici anni e la nobiltà già impressa nel volto – una delicatezza sottile che esibiva con innocenza.
Sandor ricorda il suo abito azzurro come le rose dell’inverno, i capelli raccolti sulla nuca che sotto il sole splendevano ramati e lo sguardo adorante che aveva dedicato al principe e a lui soltanto. Non c’erano state parole, non quel giorno, ma aveva scoperto presto che viveva nel mondo delle ballate, che sognava di dame e cavalieri, dello sfarzo della capitale. Un grazioso uccellino delle Isole dell’Estate, questo era.
Aveva conosciuto Sansa Stark a Grande Inverno e l’aveva vista crollare e rialzarsi con immutata dignità ad Approdo del Re – porcellana, avorio, acciaio – e lì l’aveva abbandonata, la notte in cui le fiamme verdi causate dall’Altofuoco avevano lambito mortalmente ogni cosa: navi, acqua, uomini. Era stato il Mastino a conoscere la figlia di lord Eddard, e il Mastino era morto sull’Isola Quieta, lasciandosi dietro una scia di così tanti cadaveri che la maggior parte degli uomini non avrebbe potuto immaginare in una vita intera.
Eppure non è passato giorno – nemmeno un unico, fottuto giorno – in cui la figura di Sansa Stark non abbia tormentato i suoi sogni. L’uccellino ha rifiutato di essere dimenticato, non concedendogli neppure un briciolo di misericordia. Per questo ora Sandor si sente soffocare, e non è l’aria rarefatta delle Porte della Luna a lasciarlo senza fiato, né il cappuccio che gli copre la quasi totalità del viso.
Petyr Baelish, il nuovo lord protettore della Valle, accoglie la delegazione dei confratelli dell’Isola Quieta con un breve cenno della testa, mentre la ragazza al suo fianco si profonde in un inchino grazioso, fin troppo regale.
«La mia figlia bastarda, Alayne Stone».
Ha tinto i capelli, è questa la prima cosa che pensa. Sansa Stark aveva i capelli di sua madre, il rosso profondo dei Tully, e gli occhi del colore del cielo d’estate; Alayne Stone ha la chioma raccolta in una treccia d’ombra, ma i suoi movimenti sono troppo eleganti, troppo nobili perché possano far pensare a una qualunque popolana.
«È un piacere avervi come ospiti, miei lord».
Sandor studia il suo sorriso cortese, la maniera con cui gli occhi grigio-verdi di Ditocorto si soffermano troppo a lungo sulla sua figura, e la rabbia gli attanaglia lo stomaco in un istante appena. Sansa Stark era scomparsa dalla capitale in ombra e fumo solo per riapparire nella Valle di Arryn – una pedina tra le mani di Petyr Baelish.  
 



 
(Non) sapeva mentire
 
 

Il torneo, si mormora, è stato organizzato per annunciare il fidanzamento di Harold Hardyng e della figlia bastarda di lord Baelish, per regalare un ultimo divertimento prima dell’imminente inverno. Non sono molti i cavalieri che prenderanno parte alla competizione, ancora meno quelli degni di essere sfidati – niente a che vedere con il torneo che il Mastino aveva vinto anni prima, con cavalieri arrivati da ogni angolo dei Sette Regni.
Eppure, il vino scorre a fiumi, il vociare allegro di uomini e bardi s’ode in ogni anfratto del castello e trovare l’uccellino da solo sembra impossibile. C’è l’ombra di Ditocorto che segue ogni suo passo, che osserva e complotta, e due ragazzine che l’accompagnano ovunque vada. E tuttavia, quando la incontra per caso nei corridoi della fortezza, ha la sensazione che lo sguardo di lei si soffermi sulla sua figura, sul suo viso coperto – non gli rivolge la parola, non accenna ad averlo riconosciuto, ma i suoi occhi sognanti lo scrutano come alla ricerca di qualcosa.
Quella sera il vento freddo ulula tra i fianchi scoscesi delle montagne, dal cielo plumbeo volteggiano i primi fiocchi di neve – è l’inverno che minaccia di arrivare con tutta la propria ferocia. Nessuno s’azzarderebbe ad uscire dalla sala grande, nessuno del sud, ma fuori dalla finestra, lontana da tutti, una figura solitaria si dirige verso i giardini.
Il buio sta calando e l'uccellino si muove lentamente fra gli alberi secolari che la celano alla vista, il viso rivolto verso il cielo, il mantello che ondeggia silenzioso dietro di lei. Persa nel suo sogno, non s’avvede della sua presenza finché i suoi passi non si arrestano ad un niente da lei: l’uccellino si volta bruscamente e con espressione inquieta, i lunghi capelli che frustano l’aria e si confondono nel buio.
«Oh, siete voi» sospira, portandosi una mano al cuore. «Non vi avevo udito arrivare».
Sandor non parla, come richiesto dal voto dai confratelli dell’Isola Quieta; non parla, ma il suo sguardo non la lascia. È più alta, nota, il suo corpo è più pieno e i tratti del suo volto sono più nitidi e femminili, ma gli occhi sono rimasti identici – sono dello stesso azzurro terso del cielo estivo.
Lei gli sorride con gentilezza, non più spaventata. «È la vostra prima volta nella Valle di Arryn?» chiede, per fare conversazione, e continua dopo un suo secco cenno di assenso. «Ora potrebbe non sembrarvi così, ma in estate è un luogo molto accogliente e piacevole».
Il vento non smette di soffiare e piccoli fiocchi di neve le si depositano sul viso, sul mantello e sulla chioma scura mentre cammina quietamente al suo fianco, un uccellino solitario nell’abbraccio della notte.
«Sapete, la prima volta che vi ho visto ho avuto l’impressione…» confessa lei d’un tratto, scuotendo poi la testa, sorridendo con quella che pare mestizia. «Mi ricordate un uomo che ho conosciuto tanto tempo fa».
Sandor alza il capo di scatto. Alayne Stone non avrebbe mai potuto ricordare Sandor Clegane; Sansa Stark sì.
«Non parlava molto, proprio come voi. Alcuni direbbero che era crudele, e forse non sarebbero così lontani dalla verità» prosegue, in un sussurro, ma senza alcuna acredine nella voce, e lui non riesce a capire se stia parlando a se stessa o a un uomo che ritiene vincolato al silenzio. «Eppure più di una volta mi ha salvata, proprio come in una canzone».
Sandor l’ascolta parlare e per un momento è assalito da una rabbia cieca, al pensiero che lei si stia prendendo gioco di lui – perché non solo non l’aveva salvata, ma le aveva estorto una canzone poggiandole un pugnale alla gola. Tuttavia uccide quell’idea sul nascere, perché lei non è come Cersei Lannister, e nemmeno come Ditocorto. È ed è stata molte cose, Sansa Stark, ma mai crudele; non ha ancora imparato ad esserlo, nonostante la vita lo sia stata fin troppo – con lei, con la sua famiglia, con il Nord stesso.
Quando torna a guardarla s’accorge che l’uccellino non canta più, che si sta guardando attorno come appena svegliata da un sogno: abeti e faggi sono spruzzati d’argento, le torce del castello brillano rossastre, flebili come candele prossime a spegnersi.  
«Perdonatemi, vi sto trattenendo più del dovuto» si scusa, cercando i suoi occhi e dedicandogli un inchino pur in tutta quell’oscurità. «Buonanotte, ser».
Una lady, ancora una fottuta lady. A quelle parole Sandor si riscuote, le poggia una mano sulla spalla proprio mentre lei fa per allontanarsi.
«Non sono un fottuto ser» raspa, la voce che suona fin troppo roca persino alle sue stesse orecchie.
È sufficiente quella breve frase perché lei si volti e gli pianti uno sguardo incredulo in pieno viso.
«Tu sai che chi sono» le dice, avvicinandosi di un passo. «E io so chi sei tu, uccellino».
Sansa lo guarda con le labbra socchiuse, tremanti, e con il respiro che le gonfia il petto a scatti, come se avesse visto un fantasma in una notte d’inverno.
«Sono Alayne Stone, la figlia di Pety-» ribatte, cercando di liberarsi dalla sua stretta, ma lui la interrompe con una smorfia sprezzante che gli storce la bocca.
«Col cazzo. Un cane sa riconoscere le menzogne, pensavo lo avessi imparato» ribatte a denti stretti, mentre le afferra un polso con una mano, mentre la costringe a sollevare il mento e a guardarlo negli occhi. «Il tuo vero nome, uccellino».
«Sansa» esala lei, così piccola sotto le sue dita. «Sansa Stark».



 

 
Dentro di lei scorreva sangue di lupo



«Meglio tardi che mai, uccellino».
Sandor la lascia andare, ma lei non indietreggia, non cerca una via di fuga come lui si sarebbe aspettato.
«Mi avevano riferito che eri morto» bisbiglia, rimanendo invece immobile, il viso alzato a studiare quello di lui, ancora coperto.
C’è mancato poco che lo fossi, pensa Sandor. «A meno che io non sia un morto che cammina, ti hanno riferito un’emerita stronzata» bercia in risposta.
Sorride allora, Sansa, un sorriso piccolo, stanco e logorato da quelle che si sono rivelate troppe scelte sbagliate, ma pur sempre un sorriso. Si solleva poi in punta di piedi, alza le braccia per abbassargli il cappuccio, per rimuovere la pezza di tessuto che lo ha nascosto al resto del mondo.
La sente trattenere il respiro e non ha bisogno di uno specchio, Sandor, per sapere cosa stia guardando: i capelli fini e scuri, il naso aquilino, l’orribile ustione che marchia metà del suo volto. Se lui fosse ancora il Mastino non le avrebbe concesso di avvicinarsi così tanto, ma se lei fosse ancora l’uccellino di Approdo del Re avrebbe distolto lo sguardo – e invece non lo fa.
«Una volta non riuscivi a sopportare di guardarmi» la provoca, velenoso, eppure lei non dà neppure segno di aver ascoltato le sue parole.
«Sei davvero tu» mormora con voce rotta, e Sandor potrebbe giurare di aver visto i suoi occhi farsi lucidi. Si spinge persino ad accarezzare la parte sana del suo viso, tastando timidamente la sua guancia, come a volersi sincerare che la sua presenza sia reale, prima che lui l’afferri con stizza, allontanandola.
«Che gioco stai giocando con Ditocorto?» le domanda con asprezza, e lei pare essere stata schiaffeggiata.
«Mi ha fatta fuggire da Approdo del Re, ha detto che mi avrebbe aiutata a tornare al Nord» risponde, sollevando orgogliosamente il capo. «Ha promesso che mi avrebbe protetta».
Sandor si lascia andare a una risata amara. «E tu gli credi?» latra, e Sansa riesce a sostenere il suo sguardo per poco, prima di abbassare gli occhi in quella che è ben più di un’ammissione. «È coinvolto nella morte di tuo padre tanto quanto Joffrey e ora sta progettando di venderti al miglior offerente, non è così?»
L’uccellino stringe le labbra in una linea sottile; sembra a disagio, come repentinamente consapevole del baratro sui cui è sospesa.
«Ha ucciso mia zia Lysa» ammette, flebilmente, come se qualcuno potesse essere in ascolto. «Ed è implicato nella morte di Jon Arryn».
Il disgusto di saperla nelle mani di Petyr Baelish gli fa torcere le viscere; per lui è una pedina, pensa, la sacrificherà pur di vincere la sua partita. Un dubbio atroce si fa strada nella sua mente. «Ti ha fatto del male?» ringhia.
«No» si schernisce Sansa, quasi spaventata dalla sua collera improvvisa. «Non ancora... Ma non posso lasciarlo. Non un ho altro posto dove andare, mia zia era l’ultima persona a cui potessi chiedere aiuto».
Sansa lo guarda con occhi limpidi, e poi volge lo sguardo a terra, come se si vergognasse di ciò che sta per dire.
«Sarei dovuta fuggire con te quella notte, forse qualcosa sarebbe stato diverso» confessa quietamente, un pensiero che probabilmente non ha mai osato esprimere ad alta voce.
Sandor stringe le proprie mani con rabbia, divorato dai rimorsi. Se non fosse stato ubriaco, se non l’avesse terrorizzata con i propri demoni, forse la storia sarebbe andata diversamente. Il Mastino non saprebbe che farsene di questi rimorsi, non saprebbe che farsene di questi rimpianti, ma il Mastino, ricorda Sandor, è morto sull’Isola Quieta.
«Vieni via con me, uccellino» si sente dire, e non sa nemmeno perché lei dovrebbe rispondere sì, quando già una volta aveva rifiutato di fuggire con lui – perché lui non può offrirle niente, non un letto o dei vestiti, eppure potrebbe davvero tenerla al sicuro, lontana da Ditocorto e dal suo fottuto spasimante e da chiunque volesse farle del male.
Sansa solleva gli occhi e tace per un lungo istante e stringe le labbra come per impedirsi di sorridere.
«Petyr mi cercherebbe ovunque» gli fa notare, quasi per dissuaderlo.
«Posso ucciderlo, se vuoi» sibila, quasi per ricordarle che la sua ferocia è rimasta.
«Verrai con me questa volta, uccellino? Non te lo chiederò una terza volta» l’avverte, e a quelle parole Sansa gli prende una mano tra le sue, infinitamente più piccole e morbide, e così incredibilmente calde anche con la neve che le si posa sulle dita, sciogliendosi piano.
È una lady del Nord, una Stark di Grande Inverno, e Sandor pensa che non ha bisogno delle sue cortesie, perché ha visto il lupo dentro di lei, l’aveva visto ringhiare il giorno in cui Joffrey Baratheon le aveva offerto la testa mozzata di suo padre, sa che lo vedrebbe mordere chiunque si sia macchiato di tradimento nei confronti della sua famiglia – e, Dei, la ama anche per questo.
Lei inclina la testa e gli sorride con gli occhi, e sono passati anni, ma è come se fossero di nuovo nella sua camera buia, con il fuoco color veleno che brucia il cielo e la sua voce dolce nelle orecchie e la sua mano sulla guancia umida di sangue e lacrime.
«Pensavo non me lo avresti chiesto più» gli dice.
 
 



 
Sognava di lui



Lasciano le Porte della Luna nell’ora del lupo, la sera dell’inaugurazione del torneo. Tutti dormono, persino il lord della Valle, e le guardie hanno ingollato troppo vino per far caso a due ombre che sgusciano fuori dalla fortezza e svaniscono nella foschia delle montagne  quando si accorgeranno che l’uccellino è scappato dalla propria gabbia saranno già lontani.
Ad attenderli alla Porta Insanguinata c’è Straniero, irrequieto e scalpitante come sempre; Sandor issa Sansa sulla sella e incita lo stallone al galoppo, diretto verso nord. Cavalcano tutta la notte, alternando le andature, non concedendo alla loro cavalcatura nemmeno un attimo di tregua, e dagli stretti sentieri di montagna il paesaggio presto si addolcisce in più morbide colline. L’alba graffia già l’orizzonte quando si fermano per far riposare Straniero, ormai senza fiato.
«Dove stiamo andando?» gli chiede Sansa, muovendo qualche passo sull’erba verde, ancora coperta dalla brina della notte.
«A nord. Tuo fratello è diventato Lord Comandante dei Guardiani della Notte e Stannis Baratheon vuole muovere guerra ai Bolton» taglia corto lui. «In caso di vittoria, ti restituirebbe Grande Inverno».
Ciò che ottiene di rimando è un piccolo verso di assenso e un silenzio breve e indecifrabile – Sandor solleva lo sguardo solo per scoprire che l’uccellino lo sta osservando, gli occhi tersi e le mani intrecciate sul grembo.
«Grazie per avermi salvata» dice, e la sua voce gli ricorda un campanellino d’argento.
«Non sono un fottuto cavaliere delle tue ballate, uccellino» ribatte duramente, perché non si faccia un’idea sbagliata – perché lui non potrà mai essere ciò che lei spera.
«Forse no» conviene Sansa, senza scomporsi. «Ma sei l’unico che mi ha sempre protetta, oltre a lord Tyrion».
Sandor le si avvicina di scatto, senza sapersi spiegare perché il riferimento al Folletto e al passato gli abbia fatto ribollire il sangue.
«Il tuo adorato maritino, eh?» ringhia, senza nascondere la rabbia. «Ho lasciato che ti picchiassero davanti al trono, ho avuto una tua canzone puntandoti un pugnale alla gola. Che onore c’è in questo, mia lady
Torreggia su di lei, minaccioso, eppure l’uccellino non muove neppure un passo indietro – una volta lo avrebbe fatto, pensa, una volta sarebbe scappata. C’è una determinazione tutta nuova sul suo viso, in quegli occhi azzurri che non mostrano alcuna paura e che anzi lo carezzano con un’inaspettata dolcezza.
«Lord Tyrion non mi ha mai toccata» precisa, come se avesse intuito ciò che lo tormenta. «E tu mi salvasti dalla folla di Approdo del Re e mi copristi con il tuo mantello bianco quando nessun altro avrebbe osato farlo» gli ricorda, in qualche modo sfidandolo a negare quella verità.
Sandor contrae le labbra e scuote la testa; la rabbia si è dissolta come per magia.
«Stupido uccellino» sbuffa sdegnosamente, voltandole le spalle per tornare da Straniero. La voce di lei lo raggiunge lieve dopo appena qualche passo.  
«Io non dimentico, Sandor».
 
Se ne accorge la seconda sera. La radura in cui si sono accampati per la notte è nascosta nelle profondità della brughiera, una distesa di betulle e querce ormai prossime alla resa. Il fuoco crepita lontano da lui, ma abbastanza vicino a lei perché la riscaldi, perché le fiamme danzino con riflessi caldi sulla sua pelle di luna.
Gli basta sfiorarla con lo sguardo per notare gli occhi chiazzati di stanchezza, le striature scure sotto le ciglia, e la consapevolezza arriva improvvisa. Non vuole dormire.
«Puoi dormire, uccellino» si costringe a parlare, roco, accennando alla spada lunga che tiene al proprio fianco.
Sansa sussulta, l’espressione smarrita di chi è stato colto in flagrante; lui la guarda e pensa che si scuserà e fingerà di coricarsi sopra al mantello, invece lei tieni gli occhi fissi sul fuoco e dice una cosa diversa.
«Sognavo di te, ad Approdo del Re» gli confida sommessamente, dopo qualche istante. «E a Nido dell’Aquila».
L’incredulità di Sandor lascia spazio a una risata che riecheggia come un latrato. «Certo, il tuo cavaliere dall’armatura scintillante e la faccia bruciata» commenta, sprezzante. «Il sogno di ogni fanciulla».
«Sognavo di non essere più nella capitale, o con lord Baelish. Sognavo di essere fuggita con te» continua Sansa, come se non l’avesse udito, e pare lontana mille leghe da lì. «Al mattino mi svegliavo desiderando che fosse tutto vero, ma tu non c’eri».
Sandor si muove piano contro l’albero su cui è poggiato e tace; non capisce se voglia farlo sentire in colpa per non essere arrivato prima, o se aspetti una sua risposta, o se quelle parole siano destinate a perdersi nel vento.
«Perché mi stai dicendo tutto questo, uccellino?» le domanda infine, con una stilla di gentilezza che sorprende lui per primo.
Finalmente Sansa si decide a guardarlo, ed è come se ci fosse della rugiada ad offuscare l’azzurro dei suoi occhi. «Perché ho paura che, se mi addormento, poi tu sparirai per sempre» risponde, con sincerità disarmante. «Non voglio che anche questo sia solo un sogno».
Non vuole che sia un sogno, si ripete Sandor, non vuole svegliarsi, ed è una confessione così inaspettata che ogni parola gli viene meno. Perché lui era il Mastino, e un cane non rassicura; perché Sandor Clegane uccide e incute paura e sparge sangue, ma davanti alle labbra tremanti di lei e alla richiesta che le legge in volto non può fare altro che cedere.
«Allora puoi dormire tranquillamente. Questo non è un sogno e io non vado da nessuna parte» grugnisce, e per la prima volta spera che lei riesca a capire cosa intende davvero – non me ne vado, non ti lascio ancora.
C’è il fuoco tra di loro, c’è sempre stato, ma nemmeno il baluginio delle fiamme gli impedisce di scorgere il piccolo sorriso che fa capolino sulle sue labbra, un grazie sussurrato a mezza voce.
Più tardi, quella notte, scivolato nella veglia impalpabile del sonno, Sandor ode l’uccellino che si alza, percepisce i suoi passi leggeri ed esitanti dietro di sé. Finge di non avvertire un corpo minuto rannicchiarsi contro di lui, il seno appoggiato inconsapevolmente contro la sua schiena e le mani di lei che allungano il mantello affinché possa coprire entrambi, ma nel buio i suoi occhi sono aperti e vigili.
 
Il mattino lo sorprende con le sembianze di Sansa Stark sotto al suo braccio, con l’azzurro del cielo d’estate che lo guarda da dietro lunghe ciglia color rame. Lui è un cane e lei una lady, eppure sono stesi a terra insieme, così vicini che non deve nemmeno immaginare il profumo della sua pelle. Non si rende conto di essere sveglio finché lei non preme maldestramente le labbra sulle sue, morbide e fresche e ancora tanto innocenti.
Il respiro gli si spezza in gola, la sorpresa lo fa esitare, impedendogli di muoversi. Per tutti i fottuti Dei. Non dura che un istante, così poco che potrebbe averlo solo immaginato, ma quando lei si ritrae le sue gote sono tinte di un carminio acceso inequivocabile. 

«Che stai facendo?» raspa, senza però allontanarsi – perché ha la sensazione che un minimo movimento potrebbe mandare in frantumi quel fragile equilibrio.
«Nei miei sogni non mi hai mai baciata, per quanto desiderassi che tu lo facessi ancora» spiega Sansa, arrossendo ancor di più. Non c'è disgusto nei suoi lineamenti e i suoi occhi lo studiano con una tenerezza che davvero non riesce a spiegarsi.
Ancora? Si domanda Sandor, ma l’uccellino poggia una mano sulla cicatrice che s’allunga sul lato sinistro del suo viso e parla prima che lui possa replicare alcunché.
«Mi terrai al sicuro?» gli chiede quietamente, ancora distesa a un soffio da lui.
Sandor non deve nemmeno pensare a cosa dire 
 è una decisione che ha preso molto tempo fa, prima della Valle di Arryn, prima ancora di esserne lui stesso consapevole. 
«Sì, uccellino» risponde piano. «Ti terrò al sicuro».


 








 









Momento confessione: sono tornata in fissa con loro  Allora, Sandor e Sansa sono stati una delle mie prime ship di GoT, ma soprattutto di Asoiaf, e non so, mi sono innamorata di loro un’altra volta. Ho quindi preso come spunto il tropo 3+1 per raccontare di come lui la salva dalle grinfie di Petyr.
Il contesto è quello dei libri, quindi è probabile che chi ha visto solo la serie tv fatichi a ritrovarsi in questa ambientazione; in breve, la storyline di Sansa è simile a quella della IV/V stagione, ma Petyr la fa passare come sua figlia bastarda, Alayne, e vuole maritarla a Harold Hardyng invece che a Ramsay.
Piccola spiegazione dell’ultimo paragrafo: dell’incontro con Sandor la sera della battaglia delle Acque Nere, Sansa ricorda un bacio che non c’è mai stato, ma lei ne è talmente certa che lo pensa più volte nel corso della storia. Per questo motivo dice a Sandor che voleva la baciasse “ancora”. Sì, impazzisco per questo dettaglio canon che urla SHIP.
In ogni caso grazie di essere arrivati fin qui, spero di avervi regalato una lettura piacevole. Se avete domande/opinioni ovviamente una recensione fa sempre piacere 

   
 
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