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Autore: SC_Swami    15/04/2021    0 recensioni
I Libri dell'Anima sono i diari della mia Vita. Sono la testimonianza di un processo di crescita e trasmutazione umana negli anni. Abbracciano un larghissimo arco temporale, ho iniziato a scriverli a 14 anni ed attualmente ne ho 24. Durante il processo di scrittura (e di crescita) ho cambiato stili, opinioni e luoghi. E' testimoniato, tra le righe, molto di ciò che ho pensato profondamente durante la mia vita.
Sono riportati eventi e cambi di orizzonti, incidenti, fortune e mischiarsi di destini. Scritti e pensati in diretta.
Ho deciso, mentre trascrivevo i libri al computer, di lasciare tutto ciò che ho scritto fedelmente riportato, anche negli errori e nella mescolanza di lingue. Ho scelto di rispettarne l'essenza al completo.
Il mio desiderio è che si possa apprezzare come l'accettazione e la responsabilità sul proprio talento e la propria Luce, attraverso un infinito susseguirsi di prove e sforzi, possa produrre l'Oro Filosofale.
Il mio desiderio è che possa ispirare ogni essere umano che vi entra a contatto, incoraggiandolo a perseguire il proprio meglio con tutta la sua essenza.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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05/10/2016
 
Cambi di prospettive.
L’inquadratura è sulle mie parole mutilate.
E se …
Cospargersi di scetticismo è la più fertile delle mie attività.
Ancora un cambio.
Quanti sogni possiamo avere in una vita sola?
Quanti ne possiamo buttare?
Ho perso i colori che decorano il mio buio.
Qual è la strada che voglio percorrere?
Perché Morfeo mi odia?
Strappatemi dalla bocca le parole.
Fatele uscire, fatele respirare.
Non sai più scriverle queste parole.
Dove sei finita?
Dov’è la tua luce? Dov’è la loro?
Esplodo.
Tutto ciò che posso avere sono parole mutilate.
 

CAP.3 (Mirabilis Jalapa)
 
Vomito malessere da ogni poro.
Ho perso il filo delle mie parole. Sono intrappolata in un labirinto fatto di lettere tridimensionali troppo alte da vederne la cima e sparse a caso. Lettere che tremano dalla voglia di acquistare un senso che non riesco più a dar loro. Lettere nere come la pece, come il buio che trasudano i miei pensieri. Prima volavo alto. Non conoscevo l’esistenza di questo labirinto, non conoscevo il peso di quelle lettere. Aiutami a trovarlo.
Affogo in un mare di piombo. Dove sono le mie ali?
Mi hai donato un filo, dolce Arianna. Ma l’ho perso nell’oscurità. Il Minotauro mi guarda assetato di vendetta. È qui, eretto davanti a me, con la mostruosa bocca aperta. Le zanne bramano la mia pelle, gli artigli vorrebbero cercare le ossa stracciando la mia carne. Dove ho lasciato il mio filo?
Quante parole devo comporre per ritrovarlo?
Cerco di dare un senso all’insensato e sono vestita da insensibile. L’apparenza è sempre l’abito più ingannevole. Le lettere incombono su di me, premono per fuoriuscire. Sono nel labirinto e al di sotto di esso. Mantengo me e le mie parole, le mie lettere. Ci mantengo su un giro del mio cervello, o forse più di uno. Forse il mio stesso cervello è il labirinto che pesa nella mia testa.
Dov’è l’uscita? Dove sono i miei colori? E tu? Tu dove sei, dolce Arianna? Srotola il tuo gomitolo, portalo a me, di nuovo. Gli errori possono essere perdonati se c’è la voglia di non commetterne più.
Riavvolgendo quel filo troverò le mie parole? Come un musicista ho perso il callo alle dita e fatico a ritrovare le vecchie melodie. Nella testa ho arpeggi di vocali che non risuonano più come un tempo. Cupo è il rumore delle consonanti e l’unione con il dolce arpeggio stona sulla tastiera pizzicata, sulla carta del mio spartito.
Il fumo esce dalla mia bocca e sale libero verso il cielo. L’aria ha sempre una via di fuga.
Crediamo non sia fatta di nulla l’aria. Crediamo che sia vuota. E invece è l’unica cosa davvero onnipotente. L’aria è ovunque voglia essere. Riempie senza farsi vedere. È cieca e sorda all’insensibilità. È leggera.  È fottutamente libera. Corrisponde ad un concetto di libertà così puro da essere immateriale. Dio quanto posso invidiarla. È questo il prezzo della libertà? Il passare agli occhi del mondo come entità inesistente?
Beh allora voglio essere nulla. Voglio essere invisibile. Voglio essere aria.
 


CAP.4
 
Sono io il piombo dei miei pensieri?
Vorrei poter tornare indietro. Riavvolgere il nastro della mia vita, sciogliendolo nei punti in cui si è annodato su se stesso. I miei punti focali. I momenti che mi hanno cambiata, mi hanno allontanata o avvicinata a me?
Li vedo. Sono tutti così chiari davanti ai miei occhi. Il mio personale circo degli orrori.
Sono un giullare triste. Rido in segno di autocommiserazione. Faccio satira su me stessa e non mi do’ tregua. Non mi sfugge nulla su di me, mai. E voi intorno a me ridete, ridete forte, con le lacrime agli occhi. Ridete, ve ne prego. Ridete sempre. Il vostro riso giustificherà sempre il mio dolore. Giustificherà sempre il mio umorismo.
Vedo una cascata di sabbia e sono assetata.
Ogni cosa si sta sgretolando intorno a me, si sveste di senso.
Tutto intorno a me, c’è l’oasi che cercavo. Il fresco sospiro della felicità raggiunta dopo esser stata agognata. Mi butto nella pozza d’acqua che ho davanti per sciacquare il sudore degli anni in cui ho camminato nel deserto. Assaggio l’acqua con cui mi bagno ed una cascata di sabbia a fatica mi scivola dentro, graffiando la gola. Un secondo prima mi bagnavo in quel piacere immenso, uno dopo, ero intrappolata di nuovo nelle sabbie mobili.
Porto il peso di ciò che sono. Il peso dei miei cliché, delle mie storie che si ripetono, dei miei occhi che investono nel suono sbagliato. Sono una zavorra per me stessa.
Affondo. Affogo.
Afferro. Affronto.
Ancora una volta, con tutte le mie cazzo di forze mi tiro su dalla merda in cui mi sono volontariamente buttata.
Quando la smetterò di maltrattarmi?
Mi punisco per qualcosa che non riesco a perdonarmi, ma di cui non conosco la natura. Ci si può sentire colpevoli per qualcosa che non si sa di aver fatto?
E poi ci sono i tuoi occhi che mi scagionano da ogni peccato.
Ancora una volta, disperatamente, affondo e affogo. Ma questa volta in te, te che sei acqua limpida e fresca. Te che hai il mio mare negli occhi. Te che rendi ogni mio cielo azzurro e ogni mio sbaglio, un errore che mi ha portato a noi.
Ti cerco ogni singolo istante e mi esplodi dentro. Sei devastante.
Mi sento risalire, vedo l’apice della gioia, tocco e percepisco la potenza della rigenerazione che mi fornisci. Ma basta un minuto da sola con me stessa per ricadere nel mio oblio.
Ho buttato troppo tempo forse. Ho sprecato fiato e parole in momenti e luoghi sbagliati.
Le parole…
Le migliori amiche che si possa avere, e le peggiori nemiche.
Mie parole. Tiratemi fuori da tutto questo. Salvatemi. Portatemi via e lasciatemi volare.
Voi. Voi che siete la mia forza e la mia debolezza. Voi che siete la mia liberazione e la mia gabbia. Voi che mi abbracciate stretta e poi mi lasciate sola. Voi che mi date l’ossigeno e poi mi bloccate la testa sott’acqua. Voi che siete sollievo e poi mi togliete il sonno. Voi che affilate le lame dei miei coltelli per poi puntarmele alla gola. Voi che asciugate le mie ferite e poi ci pisciate sopra. Voi che mi supportate e poi elogiate il mio nemico. Voi che mi inondate di virgole e poi tagliate con punti. Voi. Proprio voi. Fottutissime parole. È con voi che devo urlare, e per voi che devo combattere.
Siete voi che dovete salvarmi.
Svelatemi i miei misteri. Tirate fuori, strappatemi via ogni parte nascosta. Siate surrogati delle mie azioni incompiute. Siate i gradini per questa scala. Io ho bisogno di voi e sono affamata, saziatemi.
Come potrebbe mai essere abbastanza? Come potrei mai sentirmi piena?
E ora in un momento siete accanto a me, e in quello dopo state già di nuovo andando via.



CAP. 5
 
Broken. Rota. Rotta.
In che lingua si sviluppa il mio dolore?
Non sono mai stata così accartocciata. Scrivo e butto pezzi di me nel cestino ogni notte nella mia mente. Cosa salverà e cosa scarterà, questa notte, la spietata censura che mi auto impongo?
Guido da giorni. È il viaggio più profondo che abbia mai compiuto. Devo smetterla di vivere per te e imparare a farlo per me. Le immagini scorrono veloci e percuotono i finestrini dell’auto. Ho una canzone in testa e non riesco a liberarmene. Mi sento ovunque. Sono l’aria spaccata dal muoversi dell’auto. Sono l’aria viziata e intrappolata dentro l’abitacolo. C’è puzza del mio respiro qui, apro un po’ il finestrino. Le immagini filtrano e percuotono me.
Il verde mi rilassa. Ho bisogno di spazi verdi. Di alberi. Di foglie estive. Ho bisogno di caldo, il freddo mi fa ritirare i capezzoli. Chiudo il finestrino e accendo l’aria calda. Penso di volere ancora una volta che sia il tuo calore a riscaldare la mia pelle, le tue mani. Dove sono le tue mani? Chi stanno toccando? Stai riscaldando qualcuno proprio adesso?
Ira. Spengo il condizionatore. Ho caldo.
Devo liberarmi dalla necessità che ho di te.
Tutto quello che mi ha sempre guidato mi brucia addosso e sono stanca. Fatico a respirare e premo l’acceleratore. Corro incontro alla vita, scappo da me. Quanto manca all’arrivo?
Come faccio a riconoscerlo?
Ogni volta che mi sembra di essere arrivata a tagliare il traguardo, basta che io chiuda per un solo istante gli occhi e il nastro da tagliare scompare di nuovo all’orizzonte.
C’è vita dopo l’Amore? Posso credere ad un mondo in cui esista una vita dopo l’Amore? Vorrei poter essere certa che se l’amore scomparisse come i miei traguardi, riaprendo gli occhi, potrei ancora sentirmi. Ora non so se è possibile. Tutto quello che so è che tu mi hai salvata. Tu. Non io. Non mi sono salvata da sola. Mai. Basta che mi guardi negli occhi e mi sento a casa. Perché se guardo me allo specchio non mi sento così?
Sono un’esteta.
Curo la bellezza in ogni suo singolo aspetto. Pretendo la bellezza. Voglio possederla, devo possederla, con ogni mezzo. L’arte è tra le più sublimi forme di bellezza, ma pecca di presunzione. Intrappola la bellezza in un contenitore immobile. Dove è ferma. Dove perde la sua libertà. La bellezza è meraviglia quando pervade ed è in movimento. Quando cambia e vola libera. Quando corre e si percuote con immagini sui finestrini sporchi della mia auto.
Le consapevolezze arrivano come schiaffi in pieno viso quando le abbiamo davanti agli occhi ma è qualcun altro a farceli aprire. Sono un’esteta. L’amore è la forma di bellezza più autentica che conosco. È l’unica forma che so modellare e che prende esattamente le sembianze che desidero darle. Se immagino qualcosa che voglio disegnare, lì, nella mia mente, è perfetto in ogni sfumatura e in ogni colore, in ogni linea e in ogni tratto, ma quando poggio la matita il foglio si sporca di una pessima riproduzione del mio pensiero. Con l’amore non è così. Io riproduco esattamente ciò che voglio. In ogni minimo dettaglio, spasmodicamente alla ricerca della perfezione, costruisco, spesso a suon di scalpellate sulle mani, esattamente ciò che voglio. Ogni volta è un lavoro lungo. Passo anni a levigare e a porre le sfumature al posto giusto a seconda della provenienza della luce. In questo gioco sono io quella che vince, lascio agli altri solo il piacere di partecipare. Certo ci sono amori che ho curato di più e ci sono opere incomplete. Chi non le ha? Il problema non è quello.
Il problema è che l’arte intrappola la bellezza e ad opera compiuta l’unica cosa che mi resta da fare è guardare il modo tutto nuovo che ho trovato per rinchiudere quella stessa bellezza che voglio vedere volare. Tutto quello che mi rimane è tutto quello che non voglio e ogni singola volta distruggo tutto con le stesse mani con cui ho creato per poi guardare altrove con il solo scopo di ricominciare da capo.
Vedo il traguardo.
Il nastro blu da passare per poter dire ‘sono arrivata dove volevo arrivare’ è qui davanti a me. Assaporo il piacere della liberazione. Sento la bocca premermi un sorriso nelle guance. Sento i denti accaparrarsi spazio nella fessura delle labbra.
Chiudo gli occhi un solo istante.
Non ci sono più.
Sono stanca di me.



19/02/2017 Barcelona
 
Esser soli tra la gente.
Ora so cosa significa.
Sono seduta in un bar del quartiere gay di Barcellona. Ho camminato venti minuti alla ricerca di bar LGBT, senza successo. L’unico avvistato era chiuso, e perse le speranze, mi ritrovo qui. Seduta sola con le mie parole in un caffè. Cosa ci faccio qui?
Avrei voluto fare esattamente questo. Avrei voluto sedermi e sperimentare la solitudine. Ma avrei voluto farlo in un bar con persone che possano condividere la mia stessa tipologia di storia; e invece, mai na gioia.
Dove sarai ora?
C’è una parte di me che ti tiene lontana, ed è la parte di me che vuole proteggerti. Sono marcia. Non sono affidabile. Perché continui ad amarmi? Dovresti correre e scappare a gambe levate.
Perché non lo capisci?
Dovresti andare via da tutto questo.
Non posso appartenere a nessuno. Nemmeno a me stessa.
Sono il vuoto intorno a me.
Sono il velo che mi separa dalle cose reali.
La solitudine mette soggezione. Preme addosso e pesa sulla pelle.
Credo di non averla mai sentita così profondamente.
Forse è a lei che appartengo. Forse appartengo al vuoto che mi circonda e mi perdo in esso.
Quando ho smesso di credere ai miei sogni?
Dopo averli curati, assecondati, seguiti, tutelati. Dopo averli raggiunti, conquistati e fatti miei, li ho bruciati al rogo. Una scopata e via. Li ho lasciati su un letto sfatto e sono andata via, senza lasciare nemmeno un biglietto.
Che parte di me sono realmente?
Colei che crea, colei che distrugge?
Se provi ad abbracciarmi l’anima ti ritrovi a mani vuote.
Sono il vuoto.
Ho paura di me.


05/2017 Pescara
CAP.X                 
C’è alta marea nei tuoi occhi.
 Li guardo attentamente, mentre la margherita bianca, che sfumata appare su quello sfondo blu marino, viene inondata di acqua salata.
Sta per straripare una piccola onda dal lato esterno del tuo occhio sinistro.
Il tuo sguardo non è più quello di ieri. Posso solcare nuovi mari, scivolando piano tra la pupilla fino a sprofondare nel baratro della tua iride.
Mi guardi.
« Dopo tutto quello che ho vissuto, dopo tutto il dolore. Dopo aver pianto in questi quattro giorni ogni singola lacrima di odio, rabbia, rancore, sofferenza. Dopo tutto questo, posso finalmente permettermi di piangere per la felicità. »  Chiudi la frase con la voce strozzata e un sorriso che ti trema sulle labbra. Una goccia del mio mare preferito ti scivola lungo il viso, io aspetto che arrivi sul mento per leccartela via e vedere quanto è salato oggi.
Il cuore prende spunto dal tuo sorriso e vibra forte.
 


09/2017
Amor perduto.
Benvenute alle prime parole di amor perduto. Benvenuti bocconi di amarezza e fitte di dispiacere. Mangio merda da tre settimane, le prime tre settimane senza te. I nostri ricordi mi imprigionano nella mia mente, i miei sensi di colpa incatenano l’anima. Sei stata la prima ad uscire senza chiedere il permesso.
Ogni notte, nei miei sogni, sei ancora mia. Ti guardo sorridere con gli occhi nei miei, accarezzo la dolcezza del tuo viso. È davvero cosi dolce, ora che sei mia. L’amore è dolce sulle tue labbra. È la caramella che voglio succhiare, il frutto maturo che disseta. Ora che mi ami, è così dolce. Ora che ti amo e passo le dita tra i tuoi capelli, è cosi dolce.
La mattina si porta via i verbi al presente. Trasforma l’ora in ieri.
Svegliarsi è la parte peggiore della giornata.
Nei miei giorni trascino ondeggiando un’immagine del nostro passato e ne cado in un’altra. Mi stupisco di quanto il mio dolore riesca ad essere calibrato. Ogni singola volta che riesco a sentirmi meglio sa esattamente, so esattamente, come colpirmi. Conservo i ricordi migliori, quelli che ora tolgono il fiato dal dolore, proprio per questi momenti. Amo ferirmi col giusto peso.
Mi manchi amore mio. Mi manca il tuo profumo sparso sulle coperte e compatto tra i tuoi capelli. Mi manca tuffarci il naso e inspirare profondamente. Mi manca sentirlo scorrere nei polmoni fino a riempirli di te. Mi manca essere penetrata dalla tua presenza, dai tuoi occhi.
Persino il mare sta piano diventando mio nemico. Come ho sempre visto lui nei tuoi occhi, ora vedo te in lui. Vedo le tue curve avvolte da un costume, uscire piano dall’acqua, bagnate. Vedo il tuo sorriso consapevole dei miei occhi, ti vedo. Ti vedo ovunque. Sei molto più presente di qualsiasi altra persona mi stia intorno. Sei il mio pensiero, sei la mia mente. Sono così tua da sentire di appartenermi a stento.
Prego di sentirmi ancora al sicuro tra le tue braccia, prego di baciare quel sorriso.
Posso vivere senza di te, ma non voglio.
Sto ascoltando la musica che ti piace. Quella con cui una notte ci siamo addormentate nella tua stanza. Era un letto piccolo e scomodo ma maledettamente su misura per noi. Abbiamo smesso di dormirci insieme solo quando siamo diventate ingombranti l’una per l’altra. All’inizio era perfetto. All’inizio eravamo perfette. Che poi chiamarlo inizio è così fuorviante.
Il nostro amore non è cominciato lì. Lì eravamo già pienamente consapevoli di chi fossimo. Per questo quel lettino minuscolo era perfetto. Era un singolo malandato, ma noi eravamo una persona sola e tu eri il mio cuscino. La musica ci cullava ogni notte, proprio quella che sto ascoltando ora, è la stessa musica che ha cullato i tuoi respiri e i miei sospiri.
Ti amo ancora come quella notte. Ti amo di più. Forse sei ingombrante nella mia vita come io lo sono nella tua, ma entrambe ci trasciniamo la disperazione di non riuscire più a colmare il vuoto.
Con te ero completa ogni fottuto istante. Ora sono la metà di qualcosa che non esiste più.
Si può essere metà di qualcosa che non esiste più?
Posso ancora essere la metà di noi se tu non ci sei?


11/2017
Giochi Proibiti.
 
Ho un desiderio che preme dall’interno della pelle. Lo sento pulsare nelle dita, premere nei polpastrelli, implorando di essere compiuto. Siamo in un letto, il mio letto, a casa mia e nel mio quotidiano che sceglie ancora una volta di essere anche tuo. Siamo qui, ed è qui anche il mio desiderio, che intanto sta abbracciando il tuo ancora nascosto. Mi viene in testa di osare, tirarti a me e prenderti fino in fondo. Sospiro e l’aria si spezza in gola.
 Mi limito ad assaporare la tua pelle con pochi millimetri della mia, ciò che quattro polpastrelli della mia mano destra riescono a ricoprire in estensione. Tutto ciò che posso permettermi di toccarti, sfiorando la pelle senza spaventarti, funge da richiamo per quello che toccherò una frazione di secondo dopo.
Come un naso sulla striscia di cocaina, l’indice nutre il mio desiderio, disegnando una linea orizzontale sul tuo ventre. Sei droga. Droga pura, raffinata ed io sono in craving.



 
   
 
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