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Autore: _Lightning_    15/04/2021    1 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte III

Ad occhi chiusi
.3.
 



24 Maggio 1908
Distretto di Sarkis, Ishval
21:45


Lultima esplosione lacera laria, inghiottita da unaltra nube di fuoco. Rimango immobile per qualche secondo, scrutando loscurità graffiata dai fasci di luce dalle lanterne cieche. Nella notte echeggiano ancora una sequenza di spari e qualche grido; un boato di granata, uno schianto, lacciottolio di calcinacci che impattano a terra. 

Poi, il silenzio. Non abbasso la mano ancora pronta a trasmutare.

A distanza di pochi minuti, una sagoma corpulenta si inerpica sul terrapieno sul quale ho preso posizione e intravedo a fatica il volto fuligginoso di Roderick.

«Larea è libera,» mi annuncia, trafelato. 

Una chiazza rossa gli impregna la barba sulla mandibola, dove qualche frammento esploso lha sfiorato, bruciando i peli. Mi alzo finalmente in piedi, con le gambe strette dai crampi dopo ore passate accovacciato a forzare gli occhi attraverso il buio cieco di una notte senza luna né stelle.

«Ottimo. Raggruppa gli altri, torniamo al campo.»

Con questo buio non riesco a decifrarne appieno lespressione, ma sembra rilassarsi allimprovviso, lo deduco dalle spalle larghe che perdono la loro rigidezza metallica. La battaglia è finita: ci aspettano il rancio e un breve sonno ristoratore. Quellidillio di serenità fittizia si incrina con le successive parole che pronuncia:

«E i civili? Li facciamo prigionieri?» chiede quasi distratto, mentre ci avviciniamo al magazzino adiacente a un bazar ormai carbonizzato.

Torno istantaneamente in allerta e solo ora noto una fila di soldati coi fucili puntati allinterno della struttura, oltre la grata alzata. Strizzo gli occhi attraverso la caligine e scorgo una trentina di persone in vesti bianche oltre lampia soglia del magazzino, tutte in ginocchio con le mani dietro la nuca. Distolgo in fretta lo sguardo e prendo Roderick da parte, strattonandolo per il gomito lontano da orecchie indiscrete. Volto deliberatamente le spalle ai prigionieri.

«Abbiamo lordine di ripulire la zona,» dico, senza mezzi termini.

Lui non sembra afferrare del tutto le mie parole e ricambia spaesato il mio sguardo. Occhi castani, morbidi, inadatti alla guerra.

«Roy?» chiede esitante, accantonando le formalità.

Fa’ il tuo dovere. La voce di Ironclad mi stride contro i timpani.

«Dobbiamo eliminarli.»

Tutto questo sarebbe molto più semplice, se al posto di Rod ci fosse davanti a me uno dei tanti altri soldati sconosciuti a cui poter impartire un ordine secco e incontrovertibile.

«Sono... sono disarmati,» protesta lui debolmente, e percepisco il suo tono oscillante, in bilico, come se si trovasse a parlare dun tratto con un estraneo.

«Non importa,» ribatto duramente, ma so che i miei occhi mi tradiscono. Vorrei chiuderli, escludere buio e luce e fiamme dalla vista così da non poterli più distinguere.

Solo adesso sembra realizzare ciò che gli sto dicendo. Si porta una mano ampia alla fronte sudata e fa un passo indietro.

«Li fuciliamo sul posto? Come se niente fosse?» farfuglia, guardando dietro di me.

«È il modo più rapido,» dico a mezza voce.

«Rapido?» pianta le pupille nelle mie, ed è la prima volta che le vedo scintillare di rabbia. «Ne stiamo veramente discutendo?»

«No, infatti. Il mio era un ordine.»

«Come puoi aspettarti che mi sporchi le mani di sangue innocente senza fare una piega?» scuote la testa e mi volta le spalle scosse da respiri pesanti, nel tentativo di calmarsi, una mano puntata sul fianco, laltra a scarmigliarsi i capelli con una forza tale da graffiarsi lo scalpo.

Cerco di trattenermi e sto per rimbrottarlo, ricordandogli chi è in comando, ma le parole escono ancora una volta di loro volontà:

«Allora me ne occupo io.»

Lui torna a guardarmi, più confuso che mai.

«Da solo? E come...» chiede distinto, ma sinterrompe a bocca schiusa. «Non vuoi...»

«Non posso ucciderli uno alla volta, Sergente Eckhart.»

Prendo le distanze da lui, ma non sembra funzionare e ricevo solo unocchiata astiosa, sbieca. Di qualcuno che fissa insistentemente una macchia sul soffitto, chiedendosi da dove sia spuntata o se sia sempre stata lì, e perché non lha mai vista. Forse mi sto ponendo la stessa domanda, ma la verità è che non sto pensando. Non sto realmente riflettendo su ciò che mi sono proposto di fare. Per ora riesco solo a capire, pragmaticamente, che sparare a ognuno di loro di persone e lasciare che vedano i loro cari morire uno dopo laltro sarebbe molto peggio.

«Con... col fuoco?»

Il suo tono è colmo di paura e orrore, oltre la piattezza dello sconcerto, e sento una stretta al petto opprimermi. Vorrei mettermi a urlare e rompermi i pugni contro un muro, sbrindellarmi le mani, invece riesco solo a riversare la mia rabbia su Roderick.

«Sì, se non vuoi impugnare tu il fucile assieme a me e ai tuoi compagni e risparmiarci questo supplizio.»

Una pagliuzza annidata sotto il mio cuore implora Rod di riconsiderare, di scegliere il modo più pulito che infangherà la coscienza di noi tutti a pari merito. Non riesco a credere di aver appena pensato una cosa simile – come se il modo cambiasse davvero il risultato. Il crimine di cui ci macchieremo inevitabilmente.

Fa’ il tuo dovere. Di nuovo, i guanti sembrano farsi di piombo.

Rod, però, non risponde, e lo vedo mordersi quasi a sangue le labbra, gli occhi annacquati da lacrime che, forse, sono solo frutto del fumo denso. Lo incalzo, intravedendo la crepa, lo spiraglio che un amico non dovrebbe mai forzare volontariamente:

«Hai una scelta che non dovrei nemmeno darti. Ma va fatto: se non obbediamo saremo noi a trovarci di fronte a un plotone desecuzione.»

«Io non credo di poter... credo di parlare anche per gli altri quando dico che...» incespica nelle sue stesse parole, sprofondando infine nel silenzio, viscoso come morte.

Prendo un respiro prima di parlare, ed è come se qualcuno mi stesse soffocando con un nodo scorsoio.

«Allora me ne occupo io.»

Sento un fardello scivolarmi sulle spalle e piantarsi lì, doloroso. Roderick continua a scuotere la testa, sconvolto.

«È disumano, Roy,» mormora, a occhi bassi.

Non lo nego. Farlo sarebbe futile e ridicolo. Mi limito a fissarlo, cercando i suoi occhi castani in cui guizzano i riverberi del fuoco.

«Tutto questo potrebbe finire con pochi spari in pochi secondi. E saremmo tutti egualmente colpevoli,» la mia voce suona innaturalmente fredda.

«Non siamo assassini,» replica debolmente lui.

«Nemmeno io lo ero, fino a stamattina.»

Sostengo il suo sguardo, finché è lui ad abbassarlo per primo. I bei discorsi che facevamo allAccademia, le chiacchiere spensierate sul treno... come tutto questo sembrasse un gioco non molto diverso dalle esercitazioni e dalle parate militari a cui prendevamo parte: tutto sfuma nellinevitabile verità su cui poggiamo i piedi, fatta di sangue e sabbia. Sprofondiamo, lentamente, inesorabilmente.

Vedo Roderick e non vedo un soldato, ma un ragazzo troppo cresciuto catapultato in una divisa, con degli occhi da bambino incastonati tra la folta barba rossiccia, le guance ancora rosse del sole dellEst.

Lui non ha visto il cadavere bruciato. Non ha realizzato che William e Dennis, e adesso anche Henry e Douglas, sono morti per qualcosa in cui hanno smesso di credere nel momento in cui una pallottola li ha trafitti. Non ha mirato alla testa col fucile, ma sempre alle gambe. Non si è unito ai più anziani della truppa per assicurarsi che tutti i nemici a terra fossero morti, finendoli con le baionette. Non scaglia le fiammate che lasciano gli uomini a contorcersi a terra invocando una morte rapida, che io non ho il coraggio di accelerare col colpo di grazia.

Gli occhi del guerriero bruciato mi fissano dal buio, bianchi, bolliti dal fuoco.

Mi sforzo di voltarmi verso il resto dei miei uomini. Non vedo altro che un gruppo di ragazzini mandati al macello e so che sono il mio specchio. Sono miei compagni, alcuni anche amici, e in questo momento si abbatte su di me la consapevolezza che probabilmente nessuno di loro vivrà abbastanza a lungo per diventare un soldato.

Forse Jace sarebbe lunico che si prenderebbe questo peso sulle spalle e lo dividerebbe con me, prendendolo come un qualcosa di orribile, ma inevitabile. E capisco ora perché non ho nominato lui luogotenente. Sarebbe come vedere un amico trasformarsi in un mostro; lui ha la capacità per diventarlo. Come me.

Mi chiedo cosa penserebbe Maes di tutto questo. Se riuscirebbe a guardarmi negli occhi in tacita accettazione, come sta facendo Jace, o se mi prenderebbe per il bavero scaraventandomi nella polvere.

Stringo il pugno guantato. Dovrei impormi, costringerli a imbracciare i fucili con me e fare ciò che va fatto. Mi giro verso Roderick e vedo che ha gli occhi velati e laspetto di un vecchio divorato da rughe di tensione.

«Questo pesa sulla mia coscienza quanto sulla vostra,» mormoro infine pungente, superandolo con rapide falcate per avvicinarmi al magazzino.

Lui mi guarda, ammutolito da parole troppo grandi e sbagliate, e mi segue con passo macilento, incerto, come un ubriaco. Sembra già abbastanza consapevole di aver condannato delle persone a una morte atroce – siamo giudici e giuria e boia, nient’altro – ma non posso fare a meno di rimarcare il concetto:

«Siete complici in questo. Non pensate di non esserlo solo perché adesso non vi permetto di sporcarvi le mani.»

Con queste parole avanzo fino alla linea del picchetto, segnalando loro di sciogliere i ranghi. Ignoro volutamente il cenno di saluto di Oskar e lui mi fissa risentito. Patrick e Alena mi lanciano occhiate perplesse. Colgo lo sguardo di Jace – acuto, diretto – e so che lui ha capito. Vedo una freddezza nei suoi occhi che fino ad ora ho scelto di ignorare. Ma è sempre stata là, sin dal momento in cui ci hanno spediti qui.

«Tornate al campo,» ordino, guardando Roderick.

«Roy, non devi per forza...»

Lo fulmino con uno sguardo e lui tace allistante.

«Caporale Sikorsky!» alzo la voce e faccio un cenno perentorio a Jace.

Il brusio degli altri cessa allimprovviso, stroncato dalle mie parole.

«Prendi il comando al posto di Eckhart e riporta la Truppa Flame alla base.»

Da dove viene questa nota metallica che trapela nel mio tono? Sembra scaturire da una parte profonda di me che è sempre rimasta sopita, un pozzo oscuro dal quale adesso si riversa bile nera. I miei compagni mi guardano interdetti, primo fra tutti Oskar.

Li ignoro e scruto con attenzione i prigionieri Ishvaliani davanti a me. Non posso fare a meno di notare quanti giovani ci siano tra loro. Avranno la nostra età. Ci sono anche degli anziani, delle donne. Una di loro stringe un fagotto al petto e sento quella voragine nera che mi inghiotte del tutto, chiudendo le fauci, nel momento in cui scelgo di ignorarlo e fingere che non esista. Non riesco a guardarli negli occhi, ma sento i loro che mi inchiodano sul posto con odio, rabbia, paura – una stilla di speranza affinché io li risparmi. 

Brucia. Qualcosa, dentro di me, prende fuoco e resta accesa, ad ustionarmi gli organi interni con fiamme fredde.

«... sissignore,» arriva tardiva la risposta di Jace, che si riprende con prontezza e ordina alla truppa di schierarsi e mettersi in marcia. Non protesta.

Colgo con la coda dellocchio Oskar che sta per tornare indietro a passo di carica, un pugno alzato. Jace lo placca bruscamente e gli ordina di proseguire con uno spintone – da superiore a subordinato, non da amico ad amico. Rimango solo davanti allampio ingresso del magazzino, con gli occhi di trenta o più Ishvaliani puntati addosso. Consapevoli di ciò che sta per accadere: hanno visto come ho devastato il distretto poco fa.

Jace si attarda in fondo alla colonna ed esita ad avvicinarmi. Sospiro e mi volto verso di lui. I prigionieri non si muovono. Consci che non cè via di fuga, che un singolo uomo ha molto più potere e forza di quanto ne avrebbero loro messi insieme. Ogni secondo che passa è un secondo di ulteriore tortura per queste persone. 

Uno di loro grida con voce sfatta di paura e ira qualcosa di incomprensibile e gli altri gli fanno eco. Deamhan, deamhan*, ripetono, in una litania rabbiosa. Non ho bisogno di capire lishvaliano per sapere cosa vogliano dire.

«Non eravamo pronti,» dice laconico Jace, ora accanto a me.

La sua voce è calma, anche se venata di amarezza. Vorrebbe essere una giustificazione per questatto, ma è debole, troppo debole. Do le spalle ai prigionieri. Esito e lancio unocchiata dietro di me. Sarebbe così facile non farlo.

«Non lo saranno mai,» rispondo a bassa voce, escludendo volutamente lui e me da quellaffermazione. 

I suoi occhi non vacillano, concordando in silenzio. Sfrego il guanto senza guardare, scagliando una violenta vampata di fiamme allinterno del magazzino – fiamme bianche, le più potenti che ho, le più misericordiose.

Colgo solo per un istante il riverbero abbacinante del fuoco, un lampo nella notte. Le grida sono così distorte da sembrare a malapena umane, confuse al ruggito della vampa. Jace mi affianca, ma dopo pochi passi accelera, torna velocemente in testa alla truppa e mi lascia solo.

Stringo i pugni fin quasi a farmi male mentre il fuoco ruggente divampa dietro di me, avvolgendo il magazzino. Di nuovo, sento una scia di carne bruciata perseguitarmi e sono costretto ad appoggiarmi al muro per domare la nausea. Mi tremano le mani. Le urla strazianti, vere o irreali, mi lacerano le orecchie in echi di morte. 

Chiudo gli occhi, ma continuano a risuonare per tutto il cammino e anche quando mi addormento e per tutta la notte e fino allalba del mio primo giorno di guerra. Fisso il sole appena sorto che trapela dallapertura della tenda, illusoriamente luminoso. Lo fisso fino a sentirmi cieco.

Cè luce, oltre le tenebre. Ma non qui, non dentro di me.
 



Fine Parte III



Note:
*Deamhan: non c’è alcun glossario di ishvaliano in giro, né è mai stato esplicitato alcun termine in questa lingua, ma chi mi segue sa la mia fissa per le conlang (lingue fittizie), quindi è una mia invenzione per "demone/demonio", che ho scoperto coincidere con il suo corrispettivo in gaelico.

Note dell’Autrice:

Cari Lettori,
l’avevo detto, che ci voleva un po’ di stomaco, per questa storia? Beh, lo ripeto.

Amo il personaggio di Roy, ma credo che ci si dimentichi troppo spesso che ha preso parte attiva in una guerra di sterminio. E che, al contrario di Armstrong, che ha avuto la forza di sottrarsi e rifiutare di perpetrarla ulteriormente, Roy ha scelto di obbedire agli ordini. Intendo esplorare a fondo questa sua area buia senza giustificarla, pur motivandola.

Allacciate le cinture: la guerra è iniziata davvero, adesso.
Alla prossima settimana,

-Light-

 

   
 
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