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Autore: Black Beauty    15/04/2021    5 recensioni
Le riflessioni di Draco Malfoy all'indomani della morte della moglie, su quella che era Astoria e su quello che era il loro rapporto, perennemente teso tra la spinta all'amore e l'istinto di sopravvivenza - la prudenza - che la vita gli aveva insegnato.
Dal testo: Astoria non era stata la prima scelta dei suoi genitori, quello lo sapevano tutti. Non aveva nulla della compostezza dei Malfoy. Sua madre aveva sempre nascosto il suo animo d’acciaio, tanto che quella menzogna nella Foresta Proibita aveva lasciato di stucco tutti quanti, Draco in primis. Narcissa era sempre stata il serpente che si cela dietro ai petali della rosa innocente, Astoria era stata fuoco e fiamme dal primo minuto. In pochi sapevano che Astoria non era stata neanche la sua, di prima scelta. Era stata lei a scegliere lui. Il perché, Draco ancora se lo chiedeva; in quindici anni di matrimonio gliel’avrebbe voluto domandare, ma per prudenza non l’aveva mai fatto.
Questa storia partecipa al contest “Canon's Revenge”, indetto da lapacechenonho sul Forum di EFP e si classifica prima!
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Bellatrix Lestrange, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Draco/Astoria, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Mai abbastanza
Questa storia partecipa al contest “Canon's Revenge”, indetto da lapacechenonho sul Forum di EFP e si classifica prima.

Mai abbastanza

“Di tutte le forme di prudenza, la prudenza nell’amore è forse la più fatale alla vera felicità.”
(Bertrand Russell)
 

Non l’aveva amata abbastanza.

Era quella la pura e semplice verità, nonostante non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce. Nessun altro, del resto, gliel’avrebbe mai rinfacciato – non Scorpius, suo figlio, che fissava la bara della madre con lo sguardo vuoto di chi non avrebbe sorriso mai più, non Daphne, sua cognata, che piangeva a dirotto sulla spalla di suo marito. Nemmeno la sua stessa coscienza, ci avrebbe pensato lui stesso, a costo di pagare qualcuno per farsi scagliare un Oblivion bello potente – non sarebbe stato in grado di compiere da solo nemmeno quel gesto. E come avrebbe potuto, d’altronde? Gli incantesimi di memoria sono complicati, si rischia di finire al Quarto Piano del San Mungo indeterminatamente, e lui non voleva mica ritrovarsi rinchiuso insieme alle vittime di zia Bella. Bisogna usare prudenza, in certi casi.

Non l’aveva amata abbastanza.

Maghi e streghe vestiti di nero gli sfilavano davanti, stringendogli la mano: «Condoglianze, Signor Malfoy» e «Una disgrazia, una vera disgrazia, era così giovane». Buffo, perché a detta sua Astoria aveva smesso di essere giovane da anni e anni. La conosceva da una vita, se ci rifletteva bene, anche se non le aveva prestato attenzione per molto tempo; lui e Daphne erano stati compagni di classe e di Casa, tra di loro c’era stata un’amicizia superficiale, nulla di più. I suoi anni ad Hogwarts erano nettamente divisi in due: quelli prima del Marchio, quando alle ragazze proprio non ci pensava, troppo impegnato ad arrovellarsi il cervello per trovare un modo per mettersi in mostra, sperando di far sfigurare Potter, e quelli dopo il Marchio, quando alle ragazze proprio non ci pensava, troppo impegnato ad arrovellarsi il cervello per rendersi il più invisibile che poteva, sperando che l’attenzione di tutti fosse puntata su Potter piuttosto che su di sé.

Non l’aveva amata abbastanza, non ne aveva avuto la forza.

Draco era sì cresciuto di colpo, nell’estate tra i quindici e i sedici anni, ma si era poi tristemente arenato a quell’età o poco più. E come avrebbe potuto fare altrimenti? Il freddo che gli era penetrato nelle ossa, quella notte sulla Torre di Astronomia, più glaciale del respiro di qualsiasi Dissennatore, lo aveva cristallizzato perennemente in quell’istante. Una vocina maligna gli aveva sussurrato che anche Potter aveva assistito più omicidi di lui ed era comunque riuscito a muoversi nel mondo.

Era un primato non destinato a durare, in ogni caso, ed era veramente difficile essere coraggiosi mentre si stava in piedi davanti a Lord Voldemort, che ti chiedeva di porgergli il braccio. Draco si era arrotolato la manica con fare quasi spavaldo, aveva incrociato lo sguardo di zia Bellatrix, che sorrideva fiera («A te ha fatto male, zia Bella?» «È stato il dolore più bello della mia vita, sarà anche quello della tua» aveva risposto lei, sognante).
Due secondi dopo si era ritrovato per terra, in ginocchio, a strillare come un maiale portato al macello. Le lacrime gli erano scese a fiotti, il Signore Oscuro gli aveva dovuto conficcare le unghie nel braccio per evitare si dimenasse troppo, con scarso successo, tanto che la cerimonia si era protesa più a lungo del dovuto, tra le risate di scherno dei Mangiamorte più anziani, che alla fine l’avevano lasciato lì, svenuto dal dolore, in una pozza della sua stessa urina.
«Codardo».

Il senso d’impotenza di quei due anni di terrore era stato orrendo, ma dopo un po’ era diventato famigliare. Una volta, il Signore Oscuro, per torturarlo, gli aveva imposto la Maledizione delle Pastoie, mentre sottoponeva suo padre alla Cruciatus, senza che lui potesse farci nulla. Una volta, dopo la guerra, un gruppetto di sopravvissuti rancorosi per le angherie subite dai Mangiamorte lo aveva immobilizzato e appeso a testa in giù con un Levicorpus abbastanza potente da durare ore – non si era ribellato in nessuno dei due casi, non ci aveva neanche provato, né davanti alla tortura psicologica, né davanti a quella fisica. D’altronde, bisogna essere prudenti davanti ai nemici, bisogna evitare che questi si accaniscano fino ad ammazzarti – bisogna strisciare nel terreno come vermi, pur di avere salva la vita.

Gli rimanevano in mente i sibili del Signore Oscuro, così diversi eppure così simili alle urla di quel branco di Sanguesporco che lo stavano colpendo con qualsiasi maledizione la legalità consentisse: «Cos’hai da dire, eh? Parla, codardo!»

Astoria non era stata la prima scelta dei suoi genitori, quello lo sapevano tutti. Non aveva nulla della compostezza dei Malfoy. Sua madre aveva sempre nascosto il suo animo d’acciaio, tanto che quella menzogna nella Foresta Proibita aveva lasciato di stucco tutti quanti, Draco in primis. Narcissa era sempre stata il serpente che si cela dietro ai petali della rosa innocente, Astoria era stata fuoco e fiamme dal primo minuto. In pochi sapevano che Astoria non era stata neanche la sua, di prima scelta. Era stata lei a scegliere lui. Il perché, Draco ancora se lo chiedeva; in quindici anni di matrimonio gliel’avrebbe voluto domandare, ma per prudenza non l’aveva mai fatto – non sia mai che l’inganno finisse, non sia mai che sua moglie si rendesse conto di chi aveva sposato, in realtà.

«Mi dispiace tanto, Draco, so che l’amavi molto». Draco non avrebbe saputo dire se sua madre avesse pronunciato quella frase solo a beneficio degli astanti, o se lo pensasse davvero.

Non abbastanza.

«Grazie, madre» aveva risposto lui, senza troppo colore nella voce. Aveva percepito gli occhi di Daphne addosso e si era si era sentito in dovere di aggiungere: «Nessuno sarà mai come lei». Lei era stata la brillante, energica, nuova Signora Malfoy, quella che aveva slanci d’affetto nei confronti del figlio anche in pubblico, quella che si era presentata al Ministero della Magia in pantaloni Babbani, quando lei e il neo-marito erano stati ad assistere all’ultimo processo di Lucius, quello che poi l’aveva scagionato, tra gli sguardi stupefatti di mezzo Mondo Magico – lui era il figlio anonimo di un uomo reietto, nella sua tunica da mago grigio perla come gli occhi sbiaditi da generazioni dei veri Malfoy, mentre lei era la fidanzata bionda come il Sole e bella come un fiore, con un completo verde smeraldo, così Serpeverde e così Babbano al contempo, quella che faceva sembrare l’integrazione delle due cose così semplice, così ovvia. Narcissa aveva giudicato la scelta della nuora poco prudente, troppo rivoluzionaria, ma Astoria era sempre stata cocciuta. Alla fine, aveva avuto ragione lei: metà della stampa aveva ricoperto di ingiurie il loro nome, ma nemmeno la penna velenosa di Rita Skeeter aveva saputo trovare un difetto a sua moglie.

Non l’aveva amata abbastanza, non quando sarebbe stato ancora in tempo.

Astoria era stata giovane un tempo, era stata giovane quando l’aveva scelto – lui era stato un errore di gioventù, certamente dettato dalla poca prudenza. Era stata lei a chiedergli di uscire, lei a scegliere il posto, non era stata lei a pagare solo perché sarebbe stato veramente indegno di un Malfoy. Lui le aveva detto di no, all’inizio, l’aveva quasi evitata – aveva perso giorni preziosi che avrebbe potuto trascorrere con lei. Ma del resto, cosa avrebbe dovuto fare? Quando mai si è vista una signorina Purosangue che fa la prima mossa con un mago, anche se dei più timidi o scostanti? Quando mai si era vista una ragazzina di quindici anni con uno sguardo tanto splendente e tanto deciso, che chiedeva di uscire a uno di diciotto, dagli occhi slavati e il sorriso nervoso? Chiudersi a riccio era stata la mossa più prudente, anche se ovviamente non era valsa a nulla contro di lei.

Astoria era invecchiata pian piano, dentro le mura di quella Villa ancora piena di orrori. Malfoy Manor era grigia come la pietra, come l’animo dei suoi padroni, e rossa come il sangue, che spesso ne aveva impregnato le mura. Rossa come il sangue della nuova Signora Malfoy, che era così giusto e così sbagliato al contempo, abbastanza puro da garantirle quel matrimonio, così tanto puro da garantirle quella morte. Astoria aveva fatto di tutto per dipingerla con tutti i colori dell’arcobaleno, per renderla un posto dove Scorpius potesse avere un’infanzia felice. Non aveva permesso che certe cose venissero anche solo menzionate a casa sua e le riunioni di famiglia erano sempre state venate di una certa tensione; da un lato della grande tavolata sedeva Astoria, con la sua dirompente novità, dall’altra Narcissa, che non si era mai davvero convertita, e che l’aveva sempre ritenuta una delusione.

Non l’aveva amata abbastanza, non l’aveva mai difesa.

Lucius e Narcissa l’avevano sempre mal tollerata, ma il matrimonio era stato veloce – Astoria aveva voluto così e i due si erano sposati tre anni dopo la fine della guerra, in un pomeriggio di tardo settembre ed era stato poco prudente sposarsi in un mese tanto volubile, ma la sposa aveva insistito e la sposa aveva sempre ragione – ed era arrivato in un momento delicato per la famiglia Malfoy, con le udienze di Lucius ancora in corso (sarebbero finite solo cinque anni dopo quel fatidico secondo di Maggio, in quello che a posteriori era stato il periodo più bello per lui e per la sua giovane moglie). Astoria era stata, dopotutto, la chiave del loro successo mediatico.

Eppure, quando avevano accompagnato uno Scorpius undicenne a fare compere lungo le vie di Diagon Alley per il suo primo anno a Hogwarts – lui era l’impettito nuovo-ma-vecchio Signor Draco Malfoy, ma Astoria, ancora bionda come il Sole, non era più giovane e fresca come un bocciolo; indossava una veste da strega color cielo e lo guardava come si guardano le cause perse.

«Lucius, canaglia fedifraga che non sei altro!» tuonava la voce di Bellatrix Lestrange, con tanta potenza che l’avrebbero sentita fin nelle cantine.
Narcissa fissava la sorella con poco interesse, mentre quella continuava a sbraitare contro il cognato. «Draco, caro» aveva detto, infine «Tuo padre è una causa persa, ma tu, tu devi essere migliore, per questa famiglia».
 

A casa Malfoy, le donne sedevano ai posti d’onore, a capotavola: Lucius era lo spettro di se stesso e dopo le sue azioni durante la guerra non aveva più il coraggio di contrariare la moglie, a Draco semplicemente non interessava la disposizione dei posti, gli scivolava addosso come tutto il resto. Narcissa e suo marito non avrebbero mai smesso di rimbeccare la nuora per le sue mancanze e se le prime volte Astoria gli aveva chiesto aiuto, si era arrabbiata con quel suo marito troppo apatico, troppo accondiscendente, aveva presto capito che quella era una battaglia che avrebbe dovuto combattere da sola.

D’altronde, però, cosa avrebbe dovuto farci lui? Non aveva mai preso nessuna delle due parti, perché la vita gli aveva insegnato la prudenza e la prudenza era non attirarsi addosso le ire di nessuno. Le ire di nessuno, ma il fastidio di tutte le parti coinvolte. Il fastidio, però, non feriva e non faceva vittime, si limitava a crepitare sottopelle ed era così facile da ignorare.

Non l’aveva amata abbastanza, anche se sarebbe stato così semplice farlo.

Astoria sarebbe stata semplice da amare. Non ci sarebbe stato bisogno di gesti eclatanti, di passioni complesse, di dichiarazioni struggenti o altro.

A volte, Draco si chiedeva se “amore” e “disperazione” fossero sinonimi: era certo che sua madre amasse suo padre, ma la sua sola vicinanza sembrava nuocerle e una smorfia di dolore le adombrava costantemente il viso, durante gli anni della Guerra; la preoccupazione l’aveva fatta invecchiare precocemente. L’immagine di Narcissa Malfoy che sospirava afflitta mentre guardava suo marito venire rattoppato da Severus Piton, figura che Draco avrebbe riconosciuto come ugualmente tragica solo anni dopo, era perennemente incisa nella sua memoria.
Zia Bellatrix, poi, era un caso a parte: si era innamorata perdutamente di uno che non l’amava niente. A suo zio Rodolphus, uomo poco prudente in tutti gli aspetti della propria vita, era toccata la stessa sorte; i due dormivano separati e non perdevano occasione di sfottersi crudelmente ogni volta che s’incrociavano. Messe una di fianco all’altra, le cinque figure tutto sommato più presenti in quella fase della vita di Draco formavano un quadretto nero e disperato.

Astoria, invece, era stata una donna dai mille colori e dall’infinita pazienza. Ce l’aveva messa tutta per insegnargli l’amore. A volte, Draco si era chiesto se la moglie fosse un angelo venuto dal cielo, perdendosi nella fantasia selvaggia di un universo che forse, a discapito del sangue che gli lordava l’anima, non lo odiava. Questi pensieri duravano poco: non era prudente illudersi in questo modo, ci si rimaneva solo delusi, dopo. Draco non credeva veramente di essere degno della misericordia e della giustizia dei cieli, quindi che senso avrebbe avuto pensarci più di tanto?

Non l’aveva mai amata abbastanza; non l’aveva mai amata troppo poco.

C’erano stati momenti in cui Draco si era prodigato per renderla felice, oh sì. Era sempre stato parsimonioso di sentimenti, ma i gioielli non erano mai mancati sul collo e sui capelli di sua moglie e Scorpius aveva sempre ottenuto qualunque cosa avesse desiderato. Astoria non si era mai dovuta preoccupare di nulla, Draco si era ritirato – si era rinchiuso, sospirando di sollievo – nel suo studio e aveva lavorato sodo per far sì che i Malfoy, che erano tra coloro che avevano dovuto pagare i risarcimenti di guerra più ingenti, avessero ancora una camera blindata alla Gringott, alla fine di tutto.

Astoria era stata portata a cena, a teatro, in vacanza, dovunque desiderasse – mai con chi desiderasse – e l’uomo al suo fianco era sempre stato impeccabile ed elegante – mai appassionato o gioioso. Ma d’altronde era bene che non mostrassero i propri sentimenti davanti al mondo intero, era più prudente così, perché altrimenti sarebbero chiaramente stati usati contro di loro, che nel bene o nel male erano sempre sotto le luci della ribalta e sulla copertina patinata del Settimanale delle Streghe.

Non l’aveva mai amata abbastanza, non si era mai lasciato vincere dalla passione, perché non le aveva mai davvero aperto il suo cuore.

Daphne Greengrass e sua madre si assomigliavano spaventosamente. Non era la prima volta che ci faceva caso, le due avevano la stessa apparente pacatezza e lo stesso fascino opaco. L’unica volta che aveva visto Daphne vibrare era stato davanti alla tomba di sua sorella, quando si era sciolta in un mare di lacrime che a lui era parso così alieno, così estraneo da sé. Sua madre non aveva mai pianto davanti alla tomba di zia Bellatrix. Non sarebbe stato affatto prudente, in un clima come quello dopo la seconda e ultima caduta di Lord Voldemort, questo era chiaro a tutti. Sua madre andava a visitare sua sorella una volta all’anno, il giorno del suo compleanno, e Draco si chiedeva sempre se lo facesse per decenza nei confronti dei morti o per affetto sincero. Se ne stava lì, impalata a fissare il vuoto, ma una volta aveva sentito suo padre borbottare «Lo sta maledicendo, e fa bene».

Daphne Greengrass di sicuro malediceva lui con molta più veemenza di quella che sua madre riservava a Colui-Che-Ormai-Poteva-Essere-Nominato. Lo guardava con lo stesso sguardo con cui si guardano gli scarafaggi prima di spappolarli sotto il tacco di uno stivale e Draco avrebbe potuto giurare che sua cognata gli avrebbe frantumato le ossa più che volentieri. Non riusciva a reggere il suo sguardo, così tanto odio era sbagliato nel verde degli occhi di Astoria, non sarebbe riuscito a sopportarlo, avrebbe pianto. E non sarebbe stato prudente piangere ora, al funerale di sua moglie, Merlino solo sapeva perché.

Non l’aveva amata abbastanza, perché amarla troppo non sarebbe stato prudente.

Astoria era tutto fuorché pacata, era una che aveva vissuto la vita fino in fondo, nonostante sapesse di dover morire. Astoria doveva morire ed era decisa a farlo col sorriso sulle labbra. La data della morte di Draco era più che lontana – troppo lontana – ma la sua vita senza infamia e senza lode non aveva nulla a che vedere con quella di sua moglie, virtuosa fino alla fine.

 

In seguito, le malelingue, le bisce messe a tacere sotto una roccia per lungo tempo, sarebbero venute fuori strisciando. Avrebbero detto di sua moglie che era stata un’adolescente irrequieta e ribelle, una giovane cocciuta e caparbia, una signora che aveva dato scandalo con la sua modernità, ma anche una donna ammantata di una certa aria di superiorità, di un sicurezza di sé che deriva solo dal sentirsi il mondo in mano: in quanto Purosangue convertita, in quanto esponente di un nobile e antico casato andata in sposa ad un ancor più nobile e antico casato, icona di tradizione comunque aperta alla modernità, Astoria era stata intoccabile. Nessuno, non i suoceri, relitti di un mondo morente, non la stampa, che teneva abilmente in pugno, non la sorella, che aveva fatto un matrimonio meno vantaggioso, nonché sterile, e nessun altro avrebbe mai potuto contraddirla o criticarla in qualche modo. Decisamente non quel marito insipido e privo di midollo, ma tutto sommato piacente e fedele, che aveva scelto per sé, che aveva reclamato come proprio, a cui era stata pateticamente devota per anni in cambio di altre, piccole e grandi soddisfazioni.

Draco non avrebbe dovuto stupirsi per questo giudizio, riusciva a stento a rammaricarsi per il fatto che forse, sotto sotto, sua moglie non l’aveva mai conosciuta o capita davvero.

Ma non era stato forse più prudente così? Non era stato forse un matrimonio felice il loro? Il più di successo tra quelli che conosceva, tra le coppie nella sua cerchia di amici, che litigavano per le cose più banali, strillandosi contro i peggiori da sopra al tavolo cena? Draco e Astoria Malfoy non erano forse stati, per anni, la coppia più invidiata del Mondo Magico?

Non l’aveva amata abbastanza perché non aveva mai capito, e forse neanche Astoria aveva mai capito, che “ben riuscito” e “felice” erano cose diverse.

Ben riuscita era la festa di Capodanno che avevano dato a Villa Malfoy due anni prima, ma felici erano i Potter, che vi avevano partecipato e che si erano scambiati un bacio appassionato allo scoccare della mezzanotte, mentre lui si chinava per sfiorare freddamente le labbra di sua moglie.

Ben riuscito era stato il battesimo di Scorpius, ma felice era stato lo sguardo di sua madre quando, in occasione dei cinquant’anni di suo padre, il primo anno dopo la sua definitiva assoluzione, aveva guardato la sua famiglia con le lacrime agli occhi, mormorando «È finito, è tutto finito».

Ben riuscita era stata l’intervista che avevano rilasciato in occasione dell’annuncio della gravidanza di Astoria, così come quelle che avevano seguito il loro matrimonio e la nascita di Scorpius. Felice, follemente estatica, era stata sua zia Bellatrix, quando il Signore Oscuro l’aveva definita la sua migliore luogotenente, in un tono che Draco, sopraggiunto in quel momento per una delle sue lezioni di Occlumanzia, lo aveva sentito utilizzare solo con quella bestiaccia che si portava appresso.

Ben riuscita era stata la loro vacanza con Daphne e il marito in Francia, quando erano stati tutti insieme per ben due settimane senza che scoppiassero litigi, senza che le loro cene fossero impregnate di frecciatine e rancore. Felice era stato suo zio Rodolphus nelle foto del proprio matrimonio, che sua madre aveva ritrovato in soffitta.

Ne avevano poi trovata anche un'altra, risalente invece al matrimonio di sua madre e suo padre, scattata con un chiaro intento goliardico: suo padre, felice come Draco mai l’aveva visto, si chinava a baciare sua madre, suo zio Rodolphus faceva lo stesso con sua zia Bella, seppur in modo più indecente, mentre qualcuno fuori campo gettava nell’inquadratura un giovanissimo Severus Piton, attaccato ad una bottiglia di champagne, chiaramente alle prese con la sua prima sbronza. «Sembrano proprio felici» aveva commentato allora Astoria, da sopra la sua spalla.

 

«Non l’ho mai amata abbastanza». Erano passati giorni dal funerale di Astoria e Draco aveva tutte le intenzioni di scappare da quella casa che gli era nuovamente diventata una prigione. Astoria aveva preso in mano le redini del maniero fin dal giorno in cui si erano sposati e, anche se Draco non lo aveva mai notato, tutto recava traccia di lei: l’arredamento, la condotta dell’Elfo Domestico, le giornate di suo figlio, quello che ora sembrava un fantasma in terra. Si sentiva soffocare. Senza neanche sapere come si era ritrovato a casa di Daphne, tra tutti, che lo aveva fissato incespicare fuori dal camino e ripulirsi il mantello dai residui di Metropolvere, con aria disgustata. «Non l’ho mai amata abbastanza» ripeté stupidamente, non che ci fosse molto altro da dire.
«Sei qui in cerca di assoluzione, Malfoy?» Non lo chiamava più Draco, non c’era più bisogno di mantenere apparenze di cortesia ora che sua sorella non era più tra i vivi.
«No, no. Non sapevo dove andare, tutto mi ricorda ‘Ria»
«Scommetto che te ne stai rendendo conto solo ora, di quanto cazzo sei stato fortunato». La parolaccia stonava nella bocca di una lady come Daphne, ma senza dubbio l’aveva fatta sentire meglio. Non sapeva se fosse poi così vero: forse, se avesse avuto una moglie meno perfetta, l’avrebbe notata di più. D’altro canto, non sapeva se avrebbe mai preso moglie, qualora non fosse stata questa a sceglierlo. Che diamine aveva scelto lui, poi, nella sua vita? Non la famiglia in cui era nato, il suo status di sangue, o la scuola che aveva frequentato. La sua bacchetta, sua moglie e la sua Casa avevano scelto lui, mentre il suo destino da Mangiamorte prima e annoiato Lord Malfoy dopo gli era stato imposto, esattamente come l’obbligo di produrre un erede.
«Astoria era perfetta» aveva mormorato allora, sottovoce.
«No che non lo era» aveva sibilato Daphne, per tutta risposta, ma la voce le si era incrinata dal dolore. «Sei tu che sei uno sporco codardo, lei era solo molto migliore di te».
Era stata prudente come lui, era stata codarda quanto lui.
 
 
Scorpius lo stava fissando; non aveva ereditato gli occhi di sua madre. Erano solo loro due a cena quella sera e, ad essere sinceri, Draco non sapeva proprio cosa dirgli. Astoria se n’era andata e lui, privato di tutte le sue misere certezze, doveva provvedere da solo a crescere il ragazzino tredicenne che gli stava di fronte.
«L’amavi? Dimmi solo se l’amavi» Scorpius aveva un tono asciutto, spaventosamente simile al proprio.
«Ma certo; tua madre è stata l’amore della mia vita».
Scorpius sembrava indeciso: sua madre aveva sempre sorriso, fino alla fine. Non si era mai detta infelice della sua vita sempre più grigia. Eppure, quando pensava a suo padre, Scorpius proprio non ne capiva il perché. «Guarda che non starò meglio, se mi menti. Non l’hai mai amata abbastanza». Alla fine, non solo l’aveva ammesso ad alta voce, ma gliel’avevano rinfacciato sia suo figlio, sia sua cognata e perfino la sua stessa coscienza.
«Non sto mentendo; vorrei aver avuto il coraggio di amarla meglio» Le parole gli uscivano a fatica. «Preferirei essere morto io, al posto suo».
Suo figlio non aprì bocca, ma il non detto tra di loro risuonò doloroso.
Anche io.
 



Nick sul Forum:
Bella Black
Nick su EFP: Black Beauty
Pacchetto scelto: n°6 - Prompt: Di tutte le forme di prudenza, la prudenza nell’amore è forse la più fatale alla vera felicità. (Bertrand Russell). Genere: malinconico. Rating: arancione.
Note dell’Autrice: Io non so perché faccio queste cose, in realtà. Pubblico mezza storia all’anno, visto che, ahimè, il mio blocco dell’autore rispetto alle cose che ho in mente di scrivere (*coff* la Bellamort, a cui qui trovate qualche accenno *coff*) sembra imperituro. Quindi, poi, passo sul Forum una volta ogni morte di Papa, vedo contest che stanno per scadere e mi iscrivo, finendo poi per scrivere queste… cose… in meno di tre giorni. Bah.
In ogni caso, Draco è uno che nella vita non ha mai scelto nulla, un po’ per codardia, un po’ perché si è lasciato sempre trascinare, un po’ perché quest’anno è il settecentesimo anniversario dalla morte di Dante e il canto degli ignavi mi frullava in mente da giorni. Diciamo che la sua caratterizzazione in questa ricalca ed esaspera quello che Draco è tra la fine del sesto e il settimo libro: freddo, ma sempre intento a guardarsi le spalle. Chiaramente, il povero Draco è traumatizzato, come si nota dai flashback, ma la tragedia della vita di Astoria è stata quella di non riuscire mai a scuoterlo e aiutarlo. Daphne lo odia perché è un inetto e ‘Ria poteva fare di meglio, è chiaro ama tantissimo sua sorella, ma al contempo ne è anche un po’ invidiosa; soffre, insomma, delle contraddizioni di tutti i fratelli. Astoria potrebbe sembrare OOC per una ragazza di nobili origini Purosangue, ma dato che sappiamo poco o nulla di lei, tranne che ha insegnato a Scorpius la tolleranza per i Babbani e che è morta per una malattia del sangue (che qui ho ipotizzato fosse dato dalla tendenza dei Purosangue a sposarsi tra cugini), me la sono immaginata come una sorta di novella Andromeda Black, solo con la fortuna di innamorarsi di un Purosangue. Cos’altro posso dire? Il testo è pieno di domande retoriche, le bugie che Draco costruisce per autoassolversi, mentre le frasi in corsivo sono i suoi pensieri intrusivi, le sue colpe. Rendere il rating arancione non è stato facile, ma spero di esserci riuscita, mentre ovviamente la “prudenza” della citazione è vista in maniera nettamente distorta. Dieci punti a chi riconosce tutte e quattro le citazioni colte (pretenziosissime, ma vabbè) nascoste nel testo; per il resto spero di non aver fatto un bordello, soprattutto sul finale, ma la mia Astoria, per quanto mi stia simpatica, non sarà mai una Mary Sue e chi mi conosce sa che non credo nei personaggi perfetticarinipucciosi, soprattutto quelli femminili. Li trovo un cliché banale da sdoganare. 
 
Vi voglio bene anche solo se leggete, ma i commenti sono sempre molto apprezzati,
La vostra affezionatissima Black Beauty di quartiere.
   
 
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