Mai abbastanza
“Di tutte le forme di prudenza, la prudenza nell’amore è forse la più fatale alla vera felicità.”
(Bertrand Russell)
Non l’aveva amata
abbastanza.
Era
quella la pura e semplice verità, nonostante non
l’avrebbe mai ammesso
ad alta voce. Nessun altro, del resto, gliel’avrebbe mai
rinfacciato – non
Scorpius, suo figlio, che fissava la bara della madre con lo sguardo
vuoto di chi
non avrebbe sorriso mai più, non Daphne, sua cognata, che
piangeva a dirotto
sulla spalla di suo marito. Nemmeno la sua stessa coscienza, ci avrebbe
pensato
lui stesso, a costo di pagare qualcuno per farsi scagliare un Oblivion
bello
potente – non sarebbe stato in grado di compiere da
solo nemmeno quel gesto.
E come avrebbe potuto, d’altronde? Gli incantesimi di memoria
sono complicati,
si rischia di finire al Quarto Piano del San Mungo indeterminatamente,
e lui
non voleva mica ritrovarsi rinchiuso insieme alle vittime di zia Bella.
Bisogna
usare prudenza, in certi casi.
Non l’aveva amata
abbastanza.
Maghi
e streghe vestiti di nero gli sfilavano davanti, stringendogli la
mano: «Condoglianze, Signor Malfoy» e
«Una disgrazia, una vera disgrazia, era
così giovane». Buffo, perché a detta
sua Astoria aveva smesso di essere giovane
da anni e anni. La conosceva da una vita, se ci rifletteva bene, anche
se non
le aveva prestato attenzione per molto tempo; lui e Daphne erano stati
compagni
di classe e di Casa, tra di loro c’era stata
un’amicizia superficiale, nulla di
più. I suoi anni ad Hogwarts erano nettamente divisi in due:
quelli prima del
Marchio, quando alle ragazze proprio non ci pensava, troppo impegnato
ad
arrovellarsi il cervello per trovare un modo per mettersi in mostra,
sperando
di far sfigurare Potter, e quelli dopo il Marchio, quando alle ragazze
proprio
non ci pensava, troppo impegnato ad arrovellarsi il cervello per
rendersi il
più invisibile che poteva, sperando che
l’attenzione di tutti fosse puntata su
Potter piuttosto che su di sé.
Non l’aveva amata
abbastanza, non ne aveva avuto
la forza.
Draco
era sì cresciuto di colpo, nell’estate tra i
quindici e i sedici
anni, ma si era poi tristemente arenato a
quell’età o poco più. E come avrebbe
potuto fare altrimenti? Il freddo che gli era penetrato nelle ossa,
quella
notte sulla Torre di Astronomia, più glaciale del respiro di
qualsiasi
Dissennatore, lo aveva cristallizzato perennemente in
quell’istante. Una vocina
maligna gli aveva sussurrato che anche Potter aveva assistito
più omicidi di
lui ed era comunque riuscito a muoversi nel mondo.
Il
senso d’impotenza di quei due anni di terrore era stato
orrendo, ma dopo
un po’ era diventato famigliare. Una volta, il Signore
Oscuro, per torturarlo,
gli aveva imposto la Maledizione delle Pastoie, mentre sottoponeva suo
padre
alla Cruciatus, senza che lui potesse farci nulla.
Una volta, dopo la
guerra, un gruppetto di sopravvissuti rancorosi per le angherie subite
dai
Mangiamorte lo aveva immobilizzato e appeso a testa in giù
con un Levicorpus
abbastanza potente da durare ore – non si era
ribellato in nessuno dei due
casi, non ci aveva neanche provato, né davanti alla tortura
psicologica, né
davanti a quella fisica. D’altronde, bisogna
essere prudenti davanti ai
nemici, bisogna evitare che questi si accaniscano fino ad ammazzarti
– bisogna
strisciare nel terreno come vermi, pur di avere salva la vita.
Gli rimanevano in mente i sibili del Signore
Oscuro, così diversi eppure così simili alle urla
di quel branco di
Sanguesporco che lo stavano colpendo con qualsiasi maledizione la
legalità
consentisse: «Cos’hai da dire, eh? Parla,
codardo!»
Astoria
non era stata la prima scelta dei suoi genitori, quello lo sapevano
tutti. Non aveva nulla della compostezza dei Malfoy. Sua madre aveva
sempre
nascosto il suo animo d’acciaio, tanto che quella menzogna
nella Foresta
Proibita aveva lasciato di stucco tutti quanti, Draco in primis.
Narcissa era
sempre stata il serpente che si cela dietro ai petali della rosa
innocente,
Astoria era stata fuoco e fiamme dal primo minuto. In pochi sapevano
che
Astoria non era stata neanche la sua, di prima scelta. Era stata lei a
scegliere lui. Il perché, Draco ancora se lo chiedeva; in
quindici anni di
matrimonio gliel’avrebbe voluto domandare, ma per prudenza
non l’aveva mai
fatto – non sia mai che l’inganno
finisse, non sia mai che sua moglie si
rendesse conto di chi aveva sposato, in realtà.
«Mi
dispiace tanto, Draco, so che l’amavi molto». Draco
non avrebbe saputo
dire se sua madre avesse pronunciato quella frase solo a beneficio
degli
astanti, o se lo pensasse davvero.
Non abbastanza.
«Grazie,
madre» aveva risposto lui, senza troppo colore nella voce.
Aveva
percepito gli occhi di Daphne addosso e si era si era sentito in dovere
di
aggiungere: «Nessuno sarà mai come lei».
Lei era stata la brillante, energica,
nuova Signora Malfoy, quella che aveva slanci d’affetto nei
confronti del
figlio anche in pubblico, quella che si era presentata al Ministero
della Magia
in pantaloni Babbani, quando lei e il neo-marito erano stati ad
assistere
all’ultimo processo di Lucius, quello che poi
l’aveva scagionato, tra gli
sguardi stupefatti di mezzo Mondo Magico – lui era
il figlio anonimo di un
uomo reietto, nella sua tunica da mago grigio perla come gli occhi
sbiaditi da
generazioni dei veri Malfoy, mentre lei era la fidanzata bionda come il
Sole e
bella come un fiore, con un completo verde smeraldo, così
Serpeverde e così
Babbano al contempo, quella che faceva sembrare
l’integrazione delle due cose
così semplice, così ovvia. Narcissa
aveva giudicato la scelta della nuora
poco prudente, troppo rivoluzionaria, ma Astoria era sempre stata
cocciuta.
Alla fine, aveva avuto ragione lei: metà della stampa aveva
ricoperto di
ingiurie il loro nome, ma nemmeno la penna velenosa di Rita Skeeter
aveva
saputo trovare un difetto a sua moglie.
Non l’aveva amata
abbastanza, non quando sarebbe
stato ancora in tempo.
Astoria
era stata giovane un tempo, era stata giovane quando l’aveva
scelto
– lui era stato un errore di gioventù,
certamente dettato dalla poca
prudenza. Era stata lei a chiedergli di uscire, lei a
scegliere il posto,
non era stata lei a pagare solo perché sarebbe stato
veramente indegno di un
Malfoy. Lui le aveva detto di no, all’inizio,
l’aveva quasi evitata – aveva
perso giorni preziosi che avrebbe potuto trascorrere con lei.
Ma del resto,
cosa avrebbe dovuto fare? Quando mai si è vista una
signorina Purosangue che fa
la prima mossa con un mago, anche se dei più timidi o
scostanti? Quando mai si
era vista una ragazzina di quindici anni con uno sguardo tanto
splendente e
tanto deciso, che chiedeva di uscire a uno di diciotto, dagli occhi
slavati e
il sorriso nervoso? Chiudersi a riccio era stata la mossa
più prudente, anche
se ovviamente non era valsa a nulla contro di lei.
Astoria
era invecchiata pian piano, dentro le mura di quella Villa ancora
piena di orrori. Malfoy Manor era grigia come la pietra, come
l’animo dei suoi
padroni, e rossa come il sangue, che spesso ne aveva impregnato le
mura. Rossa
come il sangue della nuova Signora Malfoy, che era così
giusto e così sbagliato
al contempo, abbastanza puro da garantirle quel matrimonio,
così tanto puro da
garantirle quella morte. Astoria aveva fatto di tutto per dipingerla
con tutti
i colori dell’arcobaleno, per renderla un posto dove Scorpius
potesse avere
un’infanzia felice. Non aveva permesso che certe cose
venissero anche solo
menzionate a casa sua e le riunioni di famiglia erano sempre state
venate di
una certa tensione; da un lato della grande tavolata sedeva Astoria,
con la sua
dirompente novità, dall’altra Narcissa, che non si
era mai davvero convertita,
e che l’aveva sempre ritenuta una delusione.
Non l’aveva amata
abbastanza, non l’aveva mai
difesa.
Lucius
e Narcissa l’avevano sempre mal tollerata, ma il matrimonio
era
stato veloce – Astoria aveva voluto così e i due
si erano sposati tre anni dopo
la fine della guerra, in un pomeriggio di tardo settembre ed era stato
poco
prudente sposarsi in un mese tanto volubile, ma la sposa aveva
insistito e la
sposa aveva sempre ragione – ed era arrivato in un momento
delicato per la
famiglia Malfoy, con le udienze di Lucius ancora in corso (sarebbero
finite
solo cinque anni dopo quel fatidico secondo di Maggio, in quello che a
posteriori era stato il periodo più bello per lui e per la
sua giovane moglie).
Astoria era stata, dopotutto, la chiave del loro successo mediatico.
Eppure,
quando avevano accompagnato uno Scorpius undicenne a fare compere
lungo le vie di Diagon Alley per il suo primo anno a Hogwarts
– lui era
l’impettito nuovo-ma-vecchio Signor Draco Malfoy, ma Astoria,
ancora bionda
come il Sole, non era più giovane e fresca come un bocciolo;
indossava una
veste da strega color cielo e lo guardava come si guardano le cause
perse.
Narcissa fissava la sorella con poco interesse, mentre quella continuava a sbraitare contro il cognato. «Draco, caro» aveva detto, infine «Tuo padre è una causa persa, ma tu, tu devi essere migliore, per questa famiglia».
A
casa Malfoy, le donne sedevano ai posti d’onore, a
capotavola: Lucius era
lo spettro di se stesso e dopo le sue azioni durante la guerra non
aveva più il
coraggio di contrariare la moglie, a Draco semplicemente non
interessava la
disposizione dei posti, gli scivolava addosso come tutto il resto.
Narcissa e
suo marito non avrebbero mai smesso di rimbeccare la nuora per le sue
mancanze
e se le prime volte Astoria gli aveva chiesto aiuto, si era arrabbiata
con quel
suo marito troppo apatico, troppo accondiscendente, aveva presto capito
che
quella era una battaglia che avrebbe dovuto combattere da sola.
D’altronde,
però, cosa avrebbe dovuto farci lui? Non aveva mai preso
nessuna delle due parti, perché la vita gli aveva insegnato
la prudenza e la
prudenza era non attirarsi addosso le ire di nessuno. Le ire
di nessuno, ma
il fastidio di tutte le parti coinvolte. Il fastidio,
però, non feriva e
non faceva vittime, si limitava a crepitare sottopelle ed era
così facile da
ignorare.
Non l’aveva amata
abbastanza, anche se sarebbe
stato così semplice farlo.
Astoria
sarebbe stata semplice da amare. Non ci sarebbe stato bisogno di
gesti eclatanti, di passioni complesse, di dichiarazioni struggenti o
altro.
Zia Bellatrix, poi, era un caso a parte: si era innamorata perdutamente di uno che non l’amava niente. A suo zio Rodolphus, uomo poco prudente in tutti gli aspetti della propria vita, era toccata la stessa sorte; i due dormivano separati e non perdevano occasione di sfottersi crudelmente ogni volta che s’incrociavano. Messe una di fianco all’altra, le cinque figure tutto sommato più presenti in quella fase della vita di Draco formavano un quadretto nero e disperato.
Astoria,
invece, era stata una donna dai mille colori e dall’infinita
pazienza. Ce l’aveva messa tutta per insegnargli
l’amore. A volte, Draco si era
chiesto se la moglie fosse un angelo venuto dal cielo, perdendosi nella
fantasia selvaggia di un universo che forse, a discapito del sangue che
gli
lordava l’anima, non lo odiava. Questi pensieri duravano
poco: non era prudente
illudersi in questo modo, ci si rimaneva solo delusi, dopo. Draco non
credeva veramente
di essere degno della misericordia e della giustizia dei cieli, quindi
che
senso avrebbe avuto pensarci più di tanto?
Non l’aveva mai amata
abbastanza; non l’aveva mai
amata troppo poco.
C’erano
stati momenti in cui Draco si era prodigato per renderla felice, oh
sì. Era sempre stato parsimonioso di sentimenti, ma i
gioielli non erano mai
mancati sul collo e sui capelli di sua moglie e Scorpius aveva sempre
ottenuto
qualunque cosa avesse desiderato. Astoria non si era mai dovuta
preoccupare di
nulla, Draco si era ritirato – si era rinchiuso,
sospirando di sollievo – nel
suo studio e aveva lavorato sodo per far sì che i Malfoy,
che erano tra coloro
che avevano dovuto pagare i risarcimenti di guerra più
ingenti, avessero ancora
una camera blindata alla Gringott, alla fine di tutto.
Astoria
era stata portata a cena, a teatro, in vacanza, dovunque
desiderasse – mai con chi
desiderasse – e l’uomo al suo fianco
era sempre stato impeccabile ed elegante – mai
appassionato o gioioso.
Ma d’altronde era bene che non mostrassero i propri
sentimenti davanti al mondo
intero, era più prudente così, perché
altrimenti sarebbero chiaramente stati
usati contro di loro, che nel bene o nel male erano sempre sotto le
luci della
ribalta e sulla copertina patinata del Settimanale delle Streghe.
Non l’aveva mai amata
abbastanza, non si era mai
lasciato vincere dalla passione, perché non le aveva mai
davvero aperto il suo
cuore.
Daphne
Greengrass e sua madre si assomigliavano spaventosamente. Non era la
prima volta che ci faceva caso, le due avevano la stessa apparente
pacatezza e
lo stesso fascino opaco. L’unica volta che aveva visto Daphne
vibrare
era stato davanti alla tomba di sua sorella, quando si era sciolta in
un mare
di lacrime che a lui era parso così alieno, così
estraneo da sé. Sua madre non
aveva mai pianto davanti alla tomba di zia Bellatrix. Non sarebbe stato
affatto
prudente, in un clima come quello dopo la seconda e ultima caduta di
Lord
Voldemort, questo era chiaro a tutti. Sua madre andava a visitare sua
sorella
una volta all’anno, il giorno del suo compleanno, e Draco si
chiedeva sempre se
lo facesse per decenza nei confronti dei morti o per affetto sincero.
Se ne
stava lì, impalata a fissare il vuoto, ma una volta aveva
sentito suo padre
borbottare «Lo sta maledicendo, e fa bene».
Daphne
Greengrass di sicuro malediceva lui con molta più veemenza
di quella
che sua madre riservava a Colui-Che-Ormai-Poteva-Essere-Nominato. Lo
guardava
con lo stesso sguardo con cui si guardano gli scarafaggi prima di
spappolarli
sotto il tacco di uno stivale e Draco avrebbe potuto giurare che sua
cognata
gli avrebbe frantumato le ossa più che volentieri. Non
riusciva a reggere il
suo sguardo, così tanto odio era sbagliato nel verde degli
occhi di Astoria,
non sarebbe riuscito a sopportarlo, avrebbe pianto. E non sarebbe stato
prudente piangere ora, al funerale di sua moglie, Merlino solo sapeva
perché.
Non l’aveva amata
abbastanza, perché amarla troppo
non sarebbe stato prudente.
Astoria
era tutto fuorché pacata, era una che aveva vissuto la vita
fino in
fondo, nonostante sapesse di dover morire. Astoria doveva morire ed era
decisa
a farlo col sorriso sulle labbra. La data della morte di Draco era
più che
lontana – troppo lontana – ma
la sua vita senza infamia e senza lode non
aveva nulla a che vedere con quella di sua moglie, virtuosa fino alla
fine.
In
seguito, le malelingue, le bisce messe a tacere sotto una roccia per
lungo tempo, sarebbero venute fuori strisciando. Avrebbero detto di sua
moglie
che era stata un’adolescente irrequieta e ribelle, una
giovane cocciuta e
caparbia, una signora che aveva dato scandalo con la sua
modernità, ma anche
una donna ammantata di una certa aria di superiorità, di un
sicurezza di sé che
deriva solo dal sentirsi il mondo in mano: in quanto Purosangue
convertita, in
quanto esponente di un nobile e antico casato andata in sposa ad un
ancor più
nobile e antico casato, icona di tradizione comunque aperta alla
modernità,
Astoria era stata intoccabile. Nessuno, non i suoceri, relitti di un
mondo
morente, non la stampa, che teneva abilmente in pugno, non la sorella,
che
aveva fatto un matrimonio meno vantaggioso, nonché sterile,
e nessun altro
avrebbe mai potuto contraddirla o criticarla in qualche modo.
Decisamente non
quel marito insipido e privo di midollo, ma tutto sommato piacente e
fedele,
che aveva scelto per sé, che aveva reclamato come proprio, a
cui era stata
pateticamente devota per anni in cambio di altre, piccole e grandi
soddisfazioni.
Draco non avrebbe dovuto stupirsi per questo
giudizio, riusciva a stento a rammaricarsi per il fatto che forse,
sotto sotto,
sua moglie non l’aveva mai conosciuta o capita davvero.
Ma
non era stato forse più prudente così? Non era
stato forse un matrimonio
felice il loro? Il più di successo tra quelli che conosceva,
tra le coppie
nella sua cerchia di amici, che litigavano per le cose più
banali, strillandosi
contro i peggiori da sopra al tavolo cena? Draco e Astoria Malfoy non
erano
forse stati, per anni, la coppia più invidiata del Mondo
Magico?
Non l’aveva amata
abbastanza perché non aveva mai
capito, e forse neanche Astoria aveva mai capito, che “ben
riuscito” e “felice”
erano cose diverse.
Ben
riuscita era la festa di Capodanno che avevano dato a Villa Malfoy due
anni prima, ma felici erano i Potter, che vi avevano partecipato e che
si erano
scambiati un bacio appassionato allo scoccare della mezzanotte, mentre
lui si
chinava per sfiorare freddamente le labbra di sua moglie.
Ben
riuscito era stato il battesimo di Scorpius, ma felice era stato lo
sguardo di sua madre quando, in occasione dei cinquant’anni
di suo padre, il
primo anno dopo la sua definitiva assoluzione, aveva guardato la sua
famiglia
con le lacrime agli occhi, mormorando «È finito,
è tutto finito».
Ben
riuscita era stata l’intervista che avevano rilasciato in
occasione
dell’annuncio della gravidanza di Astoria, così
come quelle che avevano seguito
il loro matrimonio e la nascita di Scorpius. Felice, follemente
estatica, era
stata sua zia Bellatrix, quando il Signore Oscuro l’aveva
definita la sua
migliore luogotenente, in un tono che Draco, sopraggiunto in quel
momento per
una delle sue lezioni di Occlumanzia, lo aveva sentito utilizzare solo
con
quella bestiaccia che si portava appresso.
Ben
riuscita era stata la loro vacanza con Daphne e il marito in Francia,
quando erano stati tutti insieme per ben due settimane senza che
scoppiassero litigi,
senza che le loro cene fossero impregnate di frecciatine e rancore.
Felice era
stato suo zio Rodolphus nelle foto del proprio matrimonio, che sua
madre aveva
ritrovato in soffitta.
Ne
avevano poi trovata anche un'altra, risalente invece al matrimonio di
sua madre e suo padre, scattata con un chiaro intento goliardico: suo
padre,
felice come Draco mai l’aveva visto, si chinava a baciare sua
madre, suo zio
Rodolphus faceva lo stesso con sua zia Bella, seppur in modo
più indecente,
mentre qualcuno fuori campo gettava nell’inquadratura un
giovanissimo Severus
Piton, attaccato ad una bottiglia di champagne, chiaramente alle prese
con la
sua prima sbronza. «Sembrano proprio felici» aveva
commentato allora Astoria,
da sopra la sua spalla.
«Sei qui in cerca di assoluzione, Malfoy?» Non lo chiamava più Draco, non c’era più bisogno di mantenere apparenze di cortesia ora che sua sorella non era più tra i vivi.
«No, no. Non sapevo dove andare, tutto mi ricorda ‘Ria»
«Scommetto che te ne stai rendendo conto solo ora, di quanto cazzo sei stato fortunato». La parolaccia stonava nella bocca di una lady come Daphne, ma senza dubbio l’aveva fatta sentire meglio. Non sapeva se fosse poi così vero: forse, se avesse avuto una moglie meno perfetta, l’avrebbe notata di più. D’altro canto, non sapeva se avrebbe mai preso moglie, qualora non fosse stata questa a sceglierlo. Che diamine aveva scelto lui, poi, nella sua vita? Non la famiglia in cui era nato, il suo status di sangue, o la scuola che aveva frequentato. La sua bacchetta, sua moglie e la sua Casa avevano scelto lui, mentre il suo destino da Mangiamorte prima e annoiato Lord Malfoy dopo gli era stato imposto, esattamente come l’obbligo di produrre un erede.
«Astoria era perfetta» aveva mormorato allora, sottovoce.
«No che non lo era» aveva sibilato Daphne, per tutta risposta, ma la voce le si era incrinata dal dolore. «Sei tu che sei uno sporco codardo, lei era solo molto migliore di te».
Era stata prudente come lui, era stata codarda quanto lui.
Scorpius lo stava fissando; non aveva ereditato gli occhi di sua madre. Erano solo loro due a cena quella sera e, ad essere sinceri, Draco non sapeva proprio cosa dirgli. Astoria se n’era andata e lui, privato di tutte le sue misere certezze, doveva provvedere da solo a crescere il ragazzino tredicenne che gli stava di fronte.
«L’amavi? Dimmi solo se l’amavi» Scorpius aveva un tono asciutto, spaventosamente simile al proprio.
«Ma certo; tua madre è stata l’amore della mia vita».
Scorpius sembrava indeciso: sua madre aveva sempre sorriso, fino alla fine. Non si era mai detta infelice della sua vita sempre più grigia. Eppure, quando pensava a suo padre, Scorpius proprio non ne capiva il perché. «Guarda che non starò meglio, se mi menti. Non l’hai mai amata abbastanza». Alla fine, non solo l’aveva ammesso ad alta voce, ma gliel’avevano rinfacciato sia suo figlio, sia sua cognata e perfino la sua stessa coscienza.
«Non sto mentendo; vorrei aver avuto il coraggio di amarla meglio» Le parole gli uscivano a fatica. «Preferirei essere morto io, al posto suo».
Suo figlio non aprì bocca, ma il non detto tra di loro risuonò doloroso.
Nick sul Forum: Bella Black
Nick su EFP: Black Beauty
Pacchetto scelto: n°6 - Prompt: Di tutte le forme di prudenza, la prudenza nell’amore è forse la più fatale alla vera felicità. (Bertrand Russell). Genere: malinconico. Rating: arancione.
Note dell’Autrice: Io non so perché faccio queste cose, in realtà. Pubblico mezza storia all’anno, visto che, ahimè, il mio blocco dell’autore rispetto alle cose che ho in mente di scrivere (*coff* la Bellamort, a cui qui trovate qualche accenno *coff*) sembra imperituro. Quindi, poi, passo sul Forum una volta ogni morte di Papa, vedo contest che stanno per scadere e mi iscrivo, finendo poi per scrivere queste… cose… in meno di tre giorni. Bah.
In ogni caso, Draco è uno che nella vita non ha mai scelto nulla, un po’ per codardia, un po’ perché si è lasciato sempre trascinare, un po’ perché quest’anno è il settecentesimo anniversario dalla morte di Dante e il canto degli ignavi mi frullava in mente da giorni. Diciamo che la sua caratterizzazione in questa ricalca ed esaspera quello che Draco è tra la fine del sesto e il settimo libro: freddo, ma sempre intento a guardarsi le spalle. Chiaramente, il povero Draco è traumatizzato, come si nota dai flashback, ma la tragedia della vita di Astoria è stata quella di non riuscire mai a scuoterlo e aiutarlo. Daphne lo odia perché è un inetto e ‘Ria poteva fare di meglio, è chiaro ama tantissimo sua sorella, ma al contempo ne è anche un po’ invidiosa; soffre, insomma, delle contraddizioni di tutti i fratelli. Astoria potrebbe sembrare OOC per una ragazza di nobili origini Purosangue, ma dato che sappiamo poco o nulla di lei, tranne che ha insegnato a Scorpius la tolleranza per i Babbani e che è morta per una malattia del sangue (che qui ho ipotizzato fosse dato dalla tendenza dei Purosangue a sposarsi tra cugini), me la sono immaginata come una sorta di novella Andromeda Black, solo con la fortuna di innamorarsi di un Purosangue. Cos’altro posso dire? Il testo è pieno di domande retoriche, le bugie che Draco costruisce per autoassolversi, mentre le frasi in corsivo sono i suoi pensieri intrusivi, le sue colpe. Rendere il rating arancione non è stato facile, ma spero di esserci riuscita, mentre ovviamente la “prudenza” della citazione è vista in maniera nettamente distorta. Dieci punti a chi riconosce tutte e quattro le citazioni colte (pretenziosissime, ma vabbè) nascoste nel testo; per il resto spero di non aver fatto un bordello, soprattutto sul finale, ma la mia Astoria, per quanto mi stia simpatica, non sarà mai una Mary Sue e chi mi conosce sa che non credo nei personaggi perfetticarinipucciosi, soprattutto quelli femminili. Li trovo un cliché banale da sdoganare.
Vi voglio bene anche solo se leggete, ma i commenti sono sempre molto apprezzati,
La vostra affezionatissima Black Beauty di quartiere.