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Autore: arashinosora5927    16/04/2021    2 recensioni
Io prima di te, o più nel dettaglio il passato di Gokudera dalla nascita con particolare focus sul giorno in cui abbandona il castello, passando per il canon di Bakudan Bambino, esplorando i cinque anni che ha trascorso a vivere per strada prima che incontrasse Tsuna.
[accenni5927] [59 centric]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bianchi, Hayato Gokudera, Tsunayoshi Sawada
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La solitudine divenne la sua compagna di giochi all'indomani di quel giorno.

Non fu improvviso, ma neanche esattamente graduale, da un giorno all'altro Hayato realizzò di essersi chiuso in se stesso.

Il mattino seguente la sua vita cambiò, vennero inserite tutta una serie di cose inaspettate. Hayato iniziò a studiare, aveva un insegnante per ogni materia, insegnanti privati e molto esigenti, i migliori nel loro campo probabilmente. Otto lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese e giapponese. Materie scientifiche e umanistiche. In men che non si dica le sue giornate furono occupate da ore interminabili di studio.

Non gli dispiacevano, anzi saziavano la sua sete di conoscenza, ma aveva sempre meno tempo per dedicarsi al piano e ne sentiva la mancanza.

Alfonso non pervenuto, non aveva nessuno a cui fare storie per chiedere un cambio degli orari.

Bianca iniziò a lamentare la sua assenza a chiedergli di giocare insieme più spesso, ma tra tutti i compiti che gli venivano dati Hayato non riusciva a ricavare del tempo materiale per farlo.

Quando qualche mese dopo suo padre fece rientro alla villa Hayato voleva raccontargli come si trovasse con le lezioni, quanto gli piacessero, ma anche quanto si sentiva stanco e stressato. Fu invece liquidato da un cenno rapido della mano e poi Diana lo venne a recuperare mentre sbatteva i piedi sul pavimento richiedendo attenzione.

Lavinia non tornò più e Hayato si domandò che cosa fosse successo. Forse era colpa sua? Nessuno gli dava spiegazioni, suo padre aveva chiuso qualunque forma di dialogo.
Gli era stato insegnato a scrivere così Hayato iniziò a raccontare tutto ciò che gli stava succedendo in questi lunghi messaggi indirizzati a Lavinia. Aveva chiesto l'indirizzo per spedirli e Daniele un giorno gli aveva detto "gliele consegno io". Non c'era mai stata risposta.

Un giorno che aveva finito di studiare prima andò nella stanza di Bianca, si misero a giocare subito ai travestimenti, gli mancava davvero tanto sentirsi Lavinia. Bianca era entusiasta, gli fece i codini alti e gli fece indossare un suo vecchio vestitino estivo verde. Insieme andarono in giardino e fecero una coroncina di fiori. Tra quelle risate e quella spensieratezza Hayato dimenticò quel vuoto che gli aveva spillato il cuore dal 14 di settembre del 1996 e quando Bianca lo chiamò "Lavinia" si sentì di nuovo vivo.

Più tardi tornarono in camera, fecero un puzzle e poi giocarono con le bambole. Divenne un'abitudine, un appuntamento fisso, poi uscì da quella stanza e così un giorno Hayato si presentò nei panni di Lavinia a uno dei gran balli che villa Bianchi era solita ospitare.

Alfonso non fece gli onori di casa e Bianca disse a chiunque incontrasse che Hayato era in realtà una femmina ed era la sua sorellina. Uno scherzo innocente, entrambi si stavano divertendo molto.

Quel momento idilliaco fu turbato dall'irrompere prepotentemente di Alfonso in quello spazio sicuro che avevano creato all'indomani del gran ballo.

"Bianca, ma ti è dato di volta il cervello?" urlò, strattonò la bambina per un braccio e la costrinse a inginocchiarsi.

"E Hayato, tu che cazzo di problemi hai?" inveì contro suo figlio.

"Sei un maschio, Hayato. I maschi non indossano vestiti da principessa e non giocano con le bambole" sottolineò.

"Ma padre, ad Hayato piace tanto giocare con me, non facciamo nulla di male" provò a dire Bianca.

"Zitta tu" tuonò Alfonso.

"Che me lo farai diventare frocio!"

Hayato rimase in silenzio, non sapeva quale fosse il problema, ma sentiva di aver fatto qualcosa di molto sbagliato.

"Padre, io sto solo recitando. Io e Bianca abbiamo inventato questo gioco dove io sono la sua sorellina e il mio nome è Lavinia..."

Hayato si ammutolì perché gli occhi di Alfonso divennero rossi e lui poté vedere un'aura spaventosa attorno a lui.

Gli arrivò uno schiaffo, così forte che fece un incontro diretto col pavimento, Bianca urlò spaventata.

"Lavinia è morta, Hayato! È morta, cazzo! Vedi di fartene una ragione e non fare la femminuccia. Sii uomo!"

Hayato sentì un fischio assordante nelle sue orecchie, il cuore si strinse così tanto da farlo soffocare, le lacrime negli occhi di Alfonso le vide solo Bianca.

Ci furono delle urla strazianti, così forti da fare tremare le pareti, Hayato non sapeva di chi fosse quella voce, non sapeva fosse la sua, lui non sentiva niente, era morto in un istante.

Bianca osservò suo padre crollare in ginocchio, cercare disperatamente di accarezzare Hayato che continuava a sgolarsi senza sosta, che aveva iniziato a tremare come una foglia. Ci vollero un medico e un sedativo, quella fu la prima volta che Trident Shamal si occupò di un maschio.

All'alba dei quattro anni Hayato Bianchi aveva accumulato più sofferenza di quanto il suo piccolo corpo potesse contenere.

La sua unica amica era morta e lui aveva trovato conforto solo nei libri, non quelli di studio, ma quelli che raccontavano di mondi bellissimi pieni di avventure e affetto.

Sognava di viverne di simili, ma aveva la sensazione che il suo libro non fosse uno di quelli in cui alla fine c'è scritto "e vissero per sempre felici e contenti."

Lui e Bianca furono separati, routine completamente incompatibili per evitare che incidenti simili si ripetessero.

Gli mancava essere Lavinia, ma ancora di più gli mancava giocare con Bianca e gli mancava ricevere attenzioni.

Andrea, il figlio di Diana, si era preso una brutta influenza quell'estate e con questo erano ufficialmente azzerate le persone che di solito si dedicavano a lui.

Gli uomini di suo padre erano tutti impegnati, le balie oltre che lavarlo, vestirlo, dargli da mangiare non facevano. Hayato voleva conversare, voleva le coccole, un contatto fisico che gli desse sicurezza, ma non c'era niente di tutto questo.

Qualcosa stava cambiando, anche quel compleanno ne era testimonianza. Non aveva ricevuto così tanti regali come al solito, l'atmosfera non era stata così allegra. Le persone non lo rispettavano più? Non lo amavano più?

Non sapeva dirlo, la solitudine crebbe in lui ogni giorno di più andando ad anestetizzare il cuore. Soffiò cinque candeline che era diventato cinico e acido e non aveva più rispetto per nessuno.

Senza sapere né quando né come Hayato iniziò ad arrampicarsi sugli alberi, a parlare con gli scoiattoli e gli uccellini. Sembravano molto più capaci di tenere una conversazione soddisfacente delle persone che lo circondavano.

Passava intere giornate sugli alberi nel frutteto restostante la villa e a nulla valevano le preghiere di Diana perché scendesse.
I gatti randagi che di tanto in tanto venivano a fare visita nel suo giardino si rivelarono amici ancora più interessante, Hayato amava osservarli, studiarne il comportamento e imitarli.

Non gli importava più, Alfonso lo picchiava continuamente sperando che cambiasse atteggiamento che la smettesse di essere così impertinente, ma per Hayato poteva anche ammazzarlo, non aveva più senso vivere senza Lavinia.

Fare saltare i nervi a tutti era il suo passatempo preferito, era così carico di rabbia che il pensiero di mettere ogni persona nella sua stessa situazione mentale gli sapeva di giustizia, di vendetta.

Scoprì presto a furia di scappare dalle eventuali mazzate che gli spettavano di sapersi arrampicare non solo sugli alberi, ma anche sulle grate e sui tetti dei palazzi, la sua villa compresa.

A un certo punto Alfonso convenne che era il caso di lasciare che si sfogasse col pianoforte che aveva sempre tanto amato. Prese questa decisione troppo tardi, Hayato aveva già tentato il suicidio.

Alfonso lo raccolse dal pavimento contro il quale si era schiantato, aveva fatto un volo di tre metri ciò nonostante non gli era andata bene ed era ancora vivo.

"Scusami piccolo mio, perdonami" pianse Alfonso stringendolo appena tra le braccia, le sue ferite erano gravi, la peggiore era il trauma cranico. Non poteva occuparsene un medico qualsiasi. Quella fu la seconda volta che Shamal trattò un maschio.


Le cose avevano ripreso una buona direzione, Hayato era tornato a studiare, a ricevere attenzioni, a suonare il pianoforte e le sue ferite erano quasi del tutto guarite almeno quelle fisiche.

Sua madre, Clara, era una specie di entità mistica che non vedeva mai e quelle rare volte che vedeva si pentiva di averlo fatto. La donna non aveva mai una buona parola per lui mentre Bianca riceveva complimenti anche per quanto fosse brava a respirare.

Era da un po' che si domandava se fosse normale avere un rapporto simile e inesistente con la propria madre.

"Prendi esempio da tua sorella" era la frase preferita di Clara.

Hayato non sapeva davvero in che modo visto che l'ultima volta che aveva preso esempio da Bianca l'aveva pagata cara e amara.

Clara neanche si faceva chiamare "mamma", non da lui. Nacque presto in Hayato la convinzione che Clara lo odiasse e ne ebbe conferma quando un giorno dopo aver rovesciato una tazza di tè sul tappeto persiano in salotto Clara gli disse senza mezzi termini "vorrei che non esistessi".

Hayato passava le notti a piangere, sentendosi solo e abbandonato anche tra le braccia di Diana che canticchiava ninnananne cercando di farlo addormentare senza successo.

Presto si convinse di dover eccellere in tutto così Clara lo avrebbe amato, ma tutti i suoi tentativi avevano come unico risultato un glaciale "Bianca lo sa fare meglio".

Senza rendersene conto iniziò a odiare sua sorella, odiarne la presenza, la voce, tutto. Si chiedeva perché Bianca sì e lui invece che era figlio a propria volta di Clara no.

Pro e contro di essere maschio? A un certo punto si diede questa spiegazione, ma presto finì per domandarsi quali fossero i pro tanto decantati.


Un giorno avvenne una cosa inusuale a villa Bianchi, suo padre lo convocò nel suo ufficio e gli presentò una bambina, aveva dei lunghi riccioli d'oro e gli occhi blu, indossava un vestitino rosa a balze e sembrava uscita da uno di quei libri di fiabe che aveva letto.

Hayato si intimidì, ebbe la tentazione di nascondersi dietro una gamba del padre, ma non lo fece rimase invece in silenzio a fissare la bambina dando di tanto in tanto uno sguardo all'uomo alto che la affiancava.

"Permettimi di presentarti Beatrice Rossi, figlia di Vittorio Rossi, nostro stimatissimo alleato" disse Alfonso.

La bambina fece un elegante inchino al quale Hayato rispose con un leggero cenno della testa.

"Avete la stessa età" spiegò Alfonso cercando di mettere suo figlio a proprio agio.

Hayato annuì, tese una mano e si presentò a propria volta.

"Ha-Hayato Bianchi" disse timidamente.

L'uomo alto accanto alla bambina sorrise ampiamente.

"Devo ammetterlo Alfonso, sono proprio una bella coppia" disse.

Alfonso sorrise fieramente a propria volta, Hayato sentì esplodergli il cervello.

"Coppia?" domandò confuso.

"Sì, io sono tua moglie" disse Beatrice con entusiasmo.

"Un giorno ci sposeremo e avremo trenta bambini."

Hayato rabbrividì, pensava fosse uno strano scherzo di cattivo gusto e impulsivamente si mise a ridere.

"Ah no... dice sul serio?" chiese supplicando con lo sguardo suo padre di smentire la cosa.

Beatrice si lanciò letteralmente su Hayato gettandogli le braccia al collo.

"Perché non dai un bacino alla tua mogliettina?" disse.

Hayato cercò immediatamente di liberarsi da quella presa e iniziò a correre immediatamente, Beatrice lo inseguì.

"Si comportano già come se fossero sposati" commentò Vittorio.

Per fortuna Beatrice era rallentata dall'ingombrante gonna, ma Hayato andò a sbattere contro Diana, la corsa si arrestò e si trovò di nuovo Beatrice addosso.

"Che sta succedendo qui?" chiese Diana guardando le lacrime sul viso di Hayato, era terrorizzato.

"Perché stai piangendo?" chiese.

Hayato tirò su col naso, si dimenò cercando di scollarsi la bambina di dosso.

"Perché ha detto che ci sposeremo" piangnucolò.

"Stai piangendo perché non vuoi sposarla?" domandò Diana con un tono dolce.

"Esatto" rispose Hayato asciugandosi una lacrima.

"Perché no?" proseguì Diana.

In quel momento Beatrice urlò "io ti sposerò, che ti piaccia o meno" e Hayato urlò a propria volta un "no" che veniva dal più profondo della sua anima.

Diana sospirò, divise i due bambini e sorrise a Beatrice.

"È presto per sposarvi, perché non andate a giocare per il momento?" disse.

Non ci volle molto per convincere la figlia dei Rossi e Hayato tirò un sospiro di sollievo. L'idea del matrimonio gli metteva i brividi sempre glieli aveva messi e sempre glieli avrebbe messi.

"Non voglio sposarti" aveva detto Hayato poi di punto in bianco mentre giocavano con le costruzioni.

"Metti che mi stai simpatica poi ci sposiamo e finiamo come i miei genitori che neanche si guardano più in faccia."

Beatrice ascoltò attentamente, una lacrima fugace solcò il suo viso.

"Neanche i miei non si parlano e papà non fa che dirmi che vuole diventi la Madonna dei Bianchi, però io voglio qualcuno che poi mi fa le coccole e non mi fa sentire da sola."

"Anche io..." mormorò Hayato.

Per quanto potesse sembrarlo il matrimonio combinato tra Hayato e Beatrice non era una scusa per avere un campanello Bianchi-Rossi che facesse patriottismo e fosse al contempo motivo di scherno, ma una mossa strategica per consolidare il legame tra le famiglie.

Così come i Bianchi erano esperti di veleni, i Rossi erano esportatori di armi. Con questa unione il prestigio delle famiglie sarebbe aumentato al punto tale da rappresentare un pericolo per le famiglie in assoluto più potenti esterne all'alleanza.

Ben presto però Hayato e Beatrice si resero conto di non sopportarsi, Beatrice lo reputava noioso e Hayato superficiale. Non c'erano punti di contatto tra loro se non la sofferenza che dava una famiglia in cui c'era un clima teso animato da urla e indifferenza.

Non si sviluppò mai neanche un'amicizia tra loro anzi, Hayato le insegnò come importunare la servitù costruendo dei piccoli petardi e Vittorio ritirò l'accordo dicendo che l'erede dei Bianchi aveva una pessima influenza su sua figlia. L'alleanza saltò e Hayato non rivide mai più Beatrice. Fu sollevato al pensiero di non doversi sposare, rimpianse quasi di averlo pensato quando suo padre decise che stavolta andava punito a frustrate sulle mani. Non poté suonare il piano per un mese intero.


Doveva ammetterlo, Beatrice gli mancava ed era stanco di sentirsi solo e sfruttato da suo padre che lo trattava da schifo quasi tutti i giorni eccezione fatta per quando doveva esibirsi nelle serate sfarzose che ancora venivano organizzate e allora magicamente diventava il suo prezioso Hayato.

Le cose cambiarono radicalmente quando a palazzo venne assunto un uomo come dottore ufficiale. Un tipo interessante dal fascino misterioso e un po' oscuro. Hayato si ritrovò a spiarlo e un giorno si mise persino a curiosare tra le sue cose.

"Ma tu guarda se un mocioso come te deve ficcare il naso nelle cose dei grandi" disse il medico, si sistemò il camice e gli strappò dalle mani la rivista pornografica.

"Come osi parlarmi in questo modo?" domandò Hayato indignato. Escludendo suo padre e sua madre tutti gli si rivolgevano con grande rispetto, come se fosse un onore anche solo poter ricevere la sua attenzione.

"Tu non sai chi sono io. Io sono Hayato Bianchi, figlio di Alfonso Bianchi, futuro Decimo boss dei Bianchi" disse fieramente.

"E io sono quello che ti ha salvato il culo più di una volta, vostra altezza" disse il medico con un tono impertinente e ironico.

Hayato sorrise istintivamente, era sorpreso di aver trovato qualcuno che gli tenesse testa.

"Che intendi?" chiese.

"Voglio dire che sua grazia è stato curato da me medesimo sia quando ha avuto una crisi isterica che quando si è lanciato dal tetto credendo non so forse di poter volare per poi scoprire che la gravità è valida persino per lui."

Hayato avrebbe dovuto sentirsi offeso, invece si sentiva molto emozionato e propenso a proseguire.

"Oltre a essere uno stronzo hai anche un nome?" chiese.

"Trident Shamal, al vostro servizio, canaglia" rispose il medico abbozzando un sorriso.

"Sei al mio servizio?" chiese Hayato curioso.

"Ti piacerebbe" ribatté prontamente Shamal.

"Non sono proprio al servizio di nessuno. Curo le donne bellissime e solo con te ho fatto eccezione..."

Hayato annuì, gli sorrise nuovamente e si allontanò.

"Aspettati di ritrovarmi attorno, dottore stronzo" disse.

"Non pensare che diventerò il tuo babysitter, Hayato, figlio di nessuno e boss proprio di nulla allo stato attuale" ribatté Shamal salutandolo con la mano.

Esattamente come aveva detto Hayato aveva fatto e in breve tempo si era messo a seguire Shamal in ogni dove. Dopo aver recitato per un po' la parte di quello infastidito Shamal aveva ceduto e lo aveva accolto sotto la sua ala. Passavano molto tempo insieme durante il quale Shamal gli raccontava della sua incredibile vita. Non passò molto prima che la copertura da medico saltasse e Shamal rivelasse di essere un assassino professionista di prima categoria.

Hayato rimase stregato da quella confessione e volle saperne sempre di più perché Shamal era semplicemente "un figo."
Gli piaceva così tanto che voleva assomigliare a lui, così tanto che voleva stare sempre con lui così tanto che la prima volta che lo vide baciarsi con Elisa, una delle sue balie pianse lacrime amare e si ritrovò a cancellare con la punta delle chiavi quel "Hayato e Shamal" che aveva inciso sul muro proprio accanto al suo letto.

Che schifo l'amore, era solo un nome diverso da dare alla sofferenza.

Gli ci volle un po' di tempo per riprendersi, ma quando lo fece e accettò di non essere ricambiato decise di trasformarsi in Shamal, visto che era l'unico modo in cui potesse averlo.

Iniziò col taglio di capelli, proseguì con la camminata, l'abbigliamento.

Al suo sesto compleanno chiese di poter passare una giornata da solo con quel dottore al posto di quelle fottute feste inutili. Era nato in lui il desiderio di opporsi a quelli che erano i programmi del padre. Altro che un patetico boss che stava tutto il giorno in un ufficio del cazzo a firmare scartoffie, lui voleva essere un cazzutissimo assassino indipendente, temuto da tutti. Era l'unico modo per fare il cazzo che ti pare nel mondo della mafia.
   
 
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