Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: damnslyth    17/04/2021    1 recensioni
Sono passati tre anni da quando Eren è morto e Mikasa ancora non riesce a darsi pace.
Attraverso un racconto indirizzato direttamente a Eren, Mikasa tenta di elaborare il lutto e dopo vari avvenimenti cerca un modo per poterlo vedere un'ultima volta.
- - -
"Disciplina le tue emozioni e i tuoi sentimenti come fai quando combatti. Non lasciarti fagocitare, devono essere in tuo potere, non viceversa" aggiunge ancora mentre si alza piano grazie alla stampella. Non immaginavo avesse ancora problemi alle gambe.
Sono grata per questa conversazione. "Lo sai perché sono qui?".
Mi guarda di sbieco, con il viso leggermente inclinato, e ci pensa: "No, ma lo intuisco. Fa’ quello che ritieni giusto, ma sappi discernere il momento in cui devi lasciar andare una persona". Lui l’ha saputo fare con Erwin Smith, salvando Armin.
Si allontana lentamente, sorretto dall’ausilio, e attraversa il cortile. Quando giunge al portico opposto, fa qualcosa che mi lascia sbigottita: posa la stampella e prosegue a camminare con le sue gambe e la sua solita andatura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dark Paradise


 
 
                                                                   
                                                                      

 
    All my friends tell me I should move on
I’m lying in the ocean singin’ your song
Lovin’ you forever can’t be wrong
even though you’re not here,
I won’t move on.
And there’s no remedy for memory
your face is like a melody
it won’t leave my head
Your soul is haunting me
and telling me
that everything is fine
but I wish I was dead.
 
 
 

Sono passati tre anni da quando te ne sei andato, Eren. Dal momento in cui ti ho perso, come ho sempre temuto, tutto è stato difficile. Occuparmi di me è stato difficile. Semplicemente alzarmi e lavarmi il viso mi sembrava un’impresa straordinaria. Armin mi è sempre stato accanto, anche Annie e gli altri, ma soprattutto lui. Ho passato giorni senza dire niente, a sentirmi un’ombra intrappolata in un corpo che provava un dolore insopportabile. Stava lì, costante, sulla bocca dello stomaco. A volte saliva in gola e mi sembrava di soffocare, altre riuscivo ad abbandonarmi e piangere. Ho pianto tanto. Abbiamo pianto tanto. Non ci fosse stato Armin probabilmente non ce l’avrei fatta, o forse sì, il mio istinto Ackerman pare essere rimasto anche dopo che grazie a te il potere dei giganti ha smesso di esistere.
Non sono mai riuscita a farmene una ragione. Mi sono posta mille domande, ogni giorno, senza avere mai una reale risposta. Ero così logorata da non essere in grado di stare in mezzo agli altri; per me era inconcepibile festeggiare la gioia di essere vivi e finalmente liberi, mentre la mia sola presenza ricordava loro di te e li rattristava rovinando l’atmosfera conviviale. So che non dovrei ammetterlo, ma spesso provavo rabbia nel vederli ridere insieme attorno a un fuoco caldo o alla tavola di qualche locanda. Mi sembrava fosse arrivata la felicità meritata per chiunque, tranne che per me. E anche per te. Riesci a capirlo, Eren? Ho sacrificato i miei sentimenti, offrendo il mio cuore, e tu la tua umanità per regalare una vita a tutti ma non a noi. Tornassi indietro lo rifarei, certo, io voglio bene ai nostri amici, ai nostri compagni, e quando non sono troppo impegnata a essere amara vederli sereni è come un balsamo per le mie ferite. Ma è così dura sopravvivere. Parlo di sopravvivere perché… è questo che sto facendo. Non riesco a tenere fede alla promessa fatta a me stessa, quella di vivere pienamente, quella volta che ho pensato di stare per morire e tu sei venuto a salvarmi appena trasformato in gigante.
<< Mikasa, Eren non si è sacrificato per vederti così >>.
E’ stato questo che mi ha detto Armin nei momenti più duri, quando a malapena mangiavo e mi alzavo dal letto. E’ stato come uno schiaffo che mi ha permesso di agire. Ma non è che da lì io stia vivendo come vorrei o come avresti voluto tu. Non ce la faccio, non ancora. Così ho scelto di non rimanere con loro a Marley, ma di tornare nella nostra isola. Sono andata a vivere in una casetta piccola molto simile a quella che abbiamo entrambi sognato, vicino all’albero in cui ti ho sepolto e dove tutto è iniziato. Historia si è occupata di ridare una casa a quelli che, come me, non ne avevano più una.
 
Eren… dopo averti ucciso, ho stretto a me la tua testa per interminabili chilometri. Ho percorso vallate, attraversato fiumi, sofferto la sete, la fame e il freddo per arrivare fino a quell’albero oltre la collina. Come un’anima in pena. Quando ho costruito la lapide non mi ricordo quanto tempo abbia passato a piangerci sopra, forse l’intera notte, forse anche la mattina dopo. Fu Armin a prendermi tra le braccia e portarmi via, dopo avermi raggiunta, con la sua premura rispettosa che noi bene conosciamo. Non volevo andarmene da lì.
Mi ha portato con sé a Marley, dove c’erano gli altri. Stavano in tendoni improvvisati dato che dopo la Marcia dei Colossali, cessata allora da pochi giorni, non c’era più traccia di niente, solo distruzione e cadaveri. Hai dovuto spingerti davvero a così tanto?
Quando siamo giunti insieme mi hanno accolta tutti con tanto affetto. Connie mi ha sorprendentemente abbracciata, Annie è rimasta in disparte ma con gli occhi visibilmente lucidi. Reiner non ha detto nulla e Jean… stava seduto a fissare il vuoto e a scuotere la testa. Credo stesse pensando Sei stato solo un dannato con tanta fretta di morire.
Come già ti ho accennato, sono rimasta lì per quasi tre settimane. Nel letto, inerme. La sera del giorno in cui Armin mi ha scrollata con quella frase mi sono unita a loro a cenare attorno al fuoco per la prima volta, ma a metà serata mi sono allontanata. Proprio come hai fatto tu, Eren, al congresso di Liberio quando hai deciso di abbandonarci definitivamente. Armin mi ha seguita.

<< Mikasa, dove stai andando? >>.
L’ho guardato negli occhi e ha capito, supplicandomi preoccupato: << Non devi stare da sola, ti prego, rimani qui con noi >>.
<< Armin, io… ti prometto che mi prenderò cura di me, ma ho bisogno di tornare all’isola e riordinarmi un po’. Ci rivedremo >> ho risposto, stringendogli le mani con convinzione. << Grazie per esserti occupato di me >>.
E l’ho lasciato. Li ho lasciati.
 

   - - -


Ho preso questa casa, l’ho ordinata con cura, l’ho pulita e addobbata. Sistemare lei era come sistemare la mia testa e il mio cuore. Qualche volta sono pure riuscita a provare un senso di… serenità. Ricavare il mio spazio personale, riscoprirmi dedicandomi ad attività nuove mi faceva bene. Ma poi, una volta finita e pronta, quel tremendo dolore è tornato a risucchiarmi. Soprattutto le notti da sola erano difficili. Ti ho sognato spesso, ti sogno spesso. Ti vedo in lontananza in quello che sembra essere il Sentiero, allungo la mano verso di te, tu fai lo stesso, ma non riusciamo a toccarci. E mi sveglio.
Allora ho preso e sono andata da Historia. Ha avuto una bambina e l’ha chiamata Ymir, sai, è molto carina. Avresti dovuto conoscerla.
Quando mi ha vista si è come pietrificata. Non ho saputo decifrare bene cosa le passò per la testa.
<< Mikasa… tu, qui? >>.
 Mi ha invitata a bere un tè dentro e ci siamo raccontate un po’ di cose. In realtà, ora che ci penso non abbiamo parlato molto, le ho detto cos’era successo, che eri morto, che Armin e gli altri erano a Marley, poi siamo rimaste pressoché in silenzio a guardare oltre la finestra. Ci destava dai pensieri la bambina. Giocare con lei mi ha ricordato da piccola quando avevo una famiglia e una vita normale, prima che i miei genitori venissero uccisi e tu, Eren, arrivassi e mi salvassi dai briganti. Ho pensato per un momento di poterla riavere, una vita.
Historia non era sorpresa dal mio racconto su com’erano andate le cose e dall’annuncio della tua morte. Sembrava aspettarselo.

<< Ascolta, Mikasa, posso aiutarti in qualche modo? Puoi chiedermi qualunque cosa >>.

I miei occhi hanno incrociato i suoi, azzurri limpidi ma velati di tristezza, forse come dovevano apparirle i miei. Non so cosa mi ha preso, ma in quel momento gliel’ho chiesto spontaneamente.
<< Vorrei lavorare per voi, Vostra Altezza. Potrei aiutarvi a tenere a bada gli Jaegeristi, proteggervi, io… >> ho abbassato la voce, un po’ insicura, e anche lo sguardo << potrei addestrare nuove reclute. So di non eguagliare i Capitani dei vecchi distretti ora non più esistenti, ma potrei diventare il nuovo comandante >>.
Due secondi dopo mi sono resa conto di avere Historia addosso. Mi stava abbracciando mentre piangeva silenziosamente. Sono rimasta sorpresa e l’ho stretta piano.
<< Oh, Mikasa, è un’idea meravigliosa >> si è staccata per guardarmi e sorridere in un modo che ho trovato caldo e sincero, alla Historia, mentre si asciugava le lacrime << mi sono sentita così inutile e sola, in tutto questo tempo. Pensavo nessuno di voi sarebbe tornato così presto a Paradis; l’idea di averti accanto a proteggermi mi fa sentire tranquilla. Sei l’unica persona che conosco davvero e di cui mi posso fidare >>.
Mi sembrava quasi impossibile, ma a pensarci bene era così. Aveva sposato un vecchio amico di infanzia ma che per lei era pressappoco uno sconosciuto e nell’isola erano rimasti solo i tuoi compagni più estremisti. << La tua presenza e forza potrà aiutarmi a tenere le cose sotto controllo. Dobbiamo essere pronte a tutto, non farci cogliere alla sprovvista. Un giorno l’umanità oltre le mura potrebbe decidere di fare una rappresaglia, come no, oppure i cittadini dell’isola agire per vendetta verso Eren. Non so cosa ci aspetta, ma non abbassiamo la guardia >>.
 Mi sono ripresa e alzata, facendole eseguire lo stesso.
<< Allora è deciso, mi presenterò domattina >>.
Ha annuito veemente. Ho salutato entrambe e sono tornata a casa a prepararmi la divisa e una piccola valigia, avrei soggiornato per un po’ a palazzo. Non so se ho fatto la scelta giusta, ma essere un soldato e indossare la divisa contribuivano a mantenere salda la mia identità e a darmi un nuovo scopo per tirare avanti e non abbandonarmi alla disperazione. Non volevo credere alla teoria di Historia di una nuova e futura guerra, in questo modo la tua morte, Eren, sarebbe stata vana, ma la mia presenza accanto a lei avrebbe indotto a mantenere la pace ottenuta.
Quella sera ho camminato e sono arrivata all’albero, sedendomi accanto alla tua lapide, appoggiata al tronco.  << L’ho fatto anche per te, Eren. L’hai sempre voluta proteggere, ora lo farò al posto tuo >>.
 

- - -

 
I miei tre anni come comandante sono stati un diversivo al dolore che mi trascinavo dietro ovunque. Ho addestrato qualche nuova recluta, ricordando i miei momenti con te, ma soprattutto sono stata accanto a Historia. A volte mi sembrava di rispecchiarmi in lei, così provata, piena di pensieri, infelice. La bambina era l’unica cosa che le procurava gioia e le scaldava visibilmente il cuore. A volte provavo invidia nel vederla avere accanto una persona che amava con ogni cellula del suo corpo, mentre io se non ero in una delle stanze del campo, da sola, ero nella casa, sempre sola, o seduta accanto a te.
Aggiornavo Armin e gli altri da lontano tramite lettere e piccioni viaggiatori. Tenevo a bada gli Jeageristi. Ah, Eren, hai impersonificato il demone e sei morto, ma un’ideologia è dura a morire. Se solo sapessero la verità, chissà che magari non smetterebbero di volerti vendicare. Spesso immagino i pochi superstiti oltre le mura credere tu sia stato davvero un mostro e nient’altro. Sicuro in parte lo sei stato per sterminare tutte quelle persone innocenti, ma non eri solo quello. Eri molto di più, ma loro forse non lo sapranno mai.
Armin veniva a trovarmi di nascosto nell’isola, qualche volta. Mi portava rifornimento di cibo buono di Marley; mi aggiornava sui loro piani come ambasciatori di pace, stava qui tre giorni, poi ripartiva. Cercava di convincermi in tutti i modi ad andare con lui.

<< Presto torneremo anche noi, è questione di tempo. Dobbiamo organizzare meglio la diplomazia, i vari trattati, poi verremo a vivere qui >> mi ha detto uno di quei pomeriggi, mentre pelavamo insieme le patate che la nostra Sasha amava particolarmente.

<< Appunto per questo vi aspetterò. Devo proteggere Historia e spianarvi la strada con gli Jaegeristi, serve io rimanga qui >>.

<< Mikasa, non… ti pesa continuare a essere un soldato? Non vorresti vivere finalmente in pace? Magari, trovare qualcuno? Provare a frequentare qualche ragazzo. Ahi >> si era tagliato il pollice. Ho preso a bagnare la ferita con un po’ di alcol e a bendargliela. Ha fatto un piccolo sorriso imbarazzato: << Non mi sono ancora abituato al fatto che i tagli non mi si rigenerano più. Dovresti vedere Reiner, è così spericolato da rischiare spesso di morire dissanguato; non ci fossimo noi a fermarlo lui continuerebbe a fare cose con il sangue che zampilla >>. Ho provato a immaginare la scena e ho sentito una leggera loro mancanza.
<< Ecco fatto >> e ho ripreso a pelare patate e tagliare le verdure. Armin mi ha continuato a guardare in silenzio.
<< Mikasa, ecco, io… >> è diventato rosso e si è messo a toccarsi la nuca << voglio chiedere ad Annie di sposarmi >>.
Ho esitato un attimo e preso un bel respiro, ferma, prima di proseguire con quello che stavo facendo. << Armin, sono davvero felice per te >>.
In parte era vero, in parte no. Sembrava sottolinearmi di nuovo come fossi condannata a essere infelice e bloccata mentre tutti gli altri proseguivano nelle loro vite. Ma lui si meritava tutto questo.

<< Mikasa >> mi ha fermata e obbligata a guardarlo << se lei accetterà, ci sposeremo quando saremo qui. Verremo a vivere accanto a te o tu verrai a stare accanto a noi. Se riusciamo ad avere una casa grande puoi… direttamente venirci a stare anche tu, finché lo vorrai >> l’ho guardato negli occhi, sorpresa e intimamente commossa. << Sei come una sorella per me, ti voglio accanto anche se avrò una nuova famiglia >>.
Ho annuito e sorriso in modo sincero. Armin sembrava più sollevato e felice e ha ripreso ad aiutarmi. Quando abbiamo finito ha guardato l’ora appesa alla parete, assaggiando una carota. << Passiamo a dare il solito saluto a Eren? >>.
Mi sono asciugata le mani e diretta verso il bagno.
<< No, non stasera >> e mi ci sono chiusa dentro per un po’. Non ho avuto il coraggio di guardare la sua espressione. Non era mai successo io rinunciassi a porgerti un saluto, Eren, specialmente se ero con lui.
Avrei voluto poterti sposare anche io.
 

 - - -
 

Io e Armin non ci siamo mai detti che cosa tu ci abbia passato in memoria attraverso il potere del Fondatore. Io immaginavo l’avessi incontrato nel Sentiero, e forse lui pensava la stessa cosa di me. Quando se n’è andato sapevo che l’avrei rivisto a breve. Sarebbe arrivato insieme a tutti gli altri nel tuo terzo anniversario di morte e avrebbero provato a trattare con Historia e gli Jaegeristi. Historia li tiene a bada fingendo di concordare con la loro ideologia. Perlomeno credo sia così, è difficile capirla, è diventata così ermetica, anche se sembra agire sempre e solo di testa sua senza influenze esterne.
Ho compreso che c’erano tante cose che non sapevo quando ho accidentalmente origliato una sua conversazione con Onyankopon, venuto a Paradis tre giorni prima degli altri. Erano in una delle sale e dovevo avvisarla di un presunto cadetto sospetto. Stavo per aprire la porta, ma la frase mi ha come congelata.
<< Io incontrai Eren poco prima dell’attivazione del boato. Concordammo insieme che fare un figlio era l’unico modo per salvarmi. Mi disse tutte le sue intenzioni per porre fine a questa storia. Provai a fermarlo, ma alla fine pensai anche io lo sterminio fosse l’unica soluzione. Sono stata una nemica dell’umanità come lui >>.
Dopo ha aggiunto questioni sui probabili avvenimenti successivi, su come gestire l’isola, cose che avete discusso voi due, ma non ho sentito oltre perché in quel momento avvertivo le orecchie fischiare e la mente annebbiata. Davvero, Eren, hai condiviso le tue vere intenzioni solo con lei? Perché?
Mi sono diretta verso casa, frustrata, nonostante avessi dovuto lavorare altre tre ore. Ho usato la scusa del non sentirmi bene. Una volta dentro, ho sfilato la sciarpa e l’ho lanciata a terra. Poi sono uscita e ho iniziato a urlare al cielo, spaventando gli uccelli appollaiati su un albero:

<< PERCHE’! PERCHE’, EREN? DIMMELO! >> gridavo e mi sembrava, in qualche modo, di poterti parlare davvero. Come se potessi sentirmi. Ma mentre all’inizio strillavo sorniona, lentamente la mia voce ha iniziato a incrinarsi. << Perché… non hai coinvolto me e Armin. Perché non hai provato a parlarcene… perché… hai scelto di non condividerlo con noi e di morire >> ed ero di nuovo a terra, in singhiozzi, le mani sul viso. Ancora dolore, mille dubbi, poche risposte. Mi sono alzata, sono tornata dentro e mi sono avvolta nella tua sciarpa, rannicchiandomi in posizione fetale sul divano. A volte vorrei potesse avere ancora un briciolo del tuo profumo. Mi manchi da morire, Eren.

  
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