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Autore: Ghostclimber    18/04/2021    2 recensioni
Questa è l'ultima volta che Adam chiama Tadashi "il suo cane".
Tadashi ne è certo, perché sta per andarsene.
Ma Adam lo raggiunge...
Fix-it-fic Adam x Tadashi
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ainosuke Shindo, Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Ok, lo ammetto, fino a stamattina ero dell'idea che le migliori ship contenenti questi due fossero Adam x psicoterapeuta e Tadashi x altro psicoterapeuta. Poi ho visto un'immagine (che logicamente ho perso subito) su Tumblr e boh, ho cominciato a chiedermi se Adam è capace di dire le cose normalmente oppure no.
Forse no, nessuno gli ha mai spiegato come funziona la testa della gente sana... e forse quel "non lascio andare il mio cane" o comecacchioera quella frase cringe a cui Tadashi arrossisce nascondeva altro. Forse. Oh, insomma, avevo del tempo libero ed eccoci qui!
Disclaimer: non siamo qui per romanticizzare abusi, siamo qui a farci pippe mentali da olimpiade su personaggi psicolabili.
Spero vi piaccia, se gradite battete un colpo!
XOXO







Tadashi non l'aveva detto ad alta voce.

Non avrebbe mai potuto dirlo ad alta voce, non era così che era cresciuto.

Non aveva parlato, ma avrebbe fatto.

Aprì l'armadio, prima di poter cambiare idea, e prese una manciata di appendiabiti. La plastica che copriva i completi di sartoria frusciò come a rimproverarlo mentre li lanciava frettolosamente nella valigia, poi la porta si spalancò.

“Ho un problema.” disse Adam.

“Ainosuke sama...” si lasciò sfuggire Tadashi. Era solo una questione di istanti, poi Adam avrebbe notato la valigia, gli abiti gettati sul letto, il caos che preannunciava l'imminente partenza di Tadashi.

E infatti, lo sguardo di Adam viaggiò dal letto, mezzo sfatto con la valigia sopra alla trapunta tirata su a caso, ai vestiti gettati su di essa, all'armadio mezzo vuoto, poi si fermò sul volto di Tadashi; quest'ultimo sapeva di avere stampata in faccia la paura, il sacro terrore, il senso di colpa. Istintivamente si ritrasse, come se si aspettasse di essere colpito.

“Come ho detto, ho un problema.” ribadì Adam, guardando verso il letto, “Ed è più grande di quel che pensavo, vedo.”

“Ainosuke sama, io...”

“Perché...” lo interruppe Adam, avvicinandosi. Si chinò, prese il mucchio di vestiti e li scosse prima di riappoggiarli sulla valigia aperta in una disposizione più elegante, che li avrebbe stropicciati di meno, “Forse tu puoi dirmelo, perché le parole nella mia testa hanno un suono, se poi escono e ne hanno uno completamente diverso?”

“Ainosuke sama, io... io non capisco.” Tadashi continuò a ritrarsi, un passo indietro per ogni passo avanti di Adam. Ma la fisica non era dalla sua parte, e quando incontrò il muro non poté più indietreggiare ulteriormente, mentre Adam fu in grado di avvicinarsi a lui tanto da intrappolarlo.

Tadashi cominciò a tremare e Adam gli sfiorò una guancia con il dorso delle dita: “Vorrei che tu la smettessi...” mormorò.

“Di... di fare cosa, Ainosuke sama?” riuscì a spremersi Tadashi.

“Di tremare al mio cospetto.” Tadashi voltò repentinamente il viso e serrò gli occhi. Per quanto Adam non gli avesse mai messo davvero le mani addosso con l'intenzione di ferirlo, le sue percosse mascherate da gioco erotico avevano raggiunto l'obiettivo, trasformando Tadashi in uno schiavo pronto a strisciare e tremare e soffrire in silenzio.

“Non devi temermi. Non più.” disse Adam. Tadashi non rispose, e dopo qualche minuto il corpo di Adam si staccò dal suo. Suonò come un addio.

“Vuoi che ti prenoto un biglietto?” chiese Adam. La sua voce era stranamente atona e Tadashi spalancò gli occhi. Adam aggiunse: “No, naturalmente no. Così saprei dove stai andando, e non è questo che vuoi.” e si cavò un sorriso amaro. Tadashi continuò a tacere: non capiva dove Adam volesse andare a parare, e questo lo spaventava ancora più di quando lo vedeva entrare in camera con candele e sistemi di costrizione.

“Sei libero di andartene, Tadashi, ma sappi che ti troverò.” disse ancora Adam. Tadashi sentì il sangue che gli andava alle tempie e rimase incollato al muro, troppo spaventato per lasciare quel minimo sostegno. Adam scosse il capo in un gesto di stizza e bisbigliò tra sé e sé: “Di nuovo. Cazzo!” senza il minimo preavviso, sferrò un pugno all'anta dell'armadio. Era un mobile vecchio e di scarso pregio, e il legno si spaccò sotto al colpo. Tadashi si lasciò scivolare a terra, consapevole che il prossimo ad essere colpito sarebbe stato lui.

Chiuse gli occhi e sperò che Adam non volesse infierire troppo prima di lasciarlo morire.

Due passi lenti; Adam era di fronte a lui. Un fruscio di stoffa; si stava chinando. Tadashi attese il colpo e ricevette una carezza.

Spalancò gli occhi.

“Io sto...” disse Adam, poi scosse la testa e ricominciò: “Non era una minaccia. Non doveva esserlo. Nella mia testa non suonava così. Perché le cose nella mia testa hanno un suono e fuori ne hanno un altro?” chiese, di nuovo.

“Perché sei un sociopatico.” rispose Tadashi a mezza voce, poi sussultò. Offendere Adam era un po' come firmare la propria condanna a morte, come bussare a Guantanamo inneggiando alla Jihad.

“Forse è così.” rispose Adam, “Cosa devo fare?”

“Lo chiedete a me, Ainosuke sama?” domandò Tadashi.

“Così pare.”

“Perché?”

“Perché sei l'unica persona che mi conosce e che ha le palle di contraddirmi.”

“Fatevi curare. Trovate uno psichiatra, uno bravo, e fatevi curare.” disse Tadashi. Le parole gli uscirono di bocca grondanti astio, come se tutti gli anni ad essere il suo cane, come lui stesso l'aveva definito, fossero emersi tutti insieme.

“Se guarisco, prometti di tornare da me? Senza impegno, solo... rivederci.” disse Adam. Tadashi lo fissò, chiedendosi se per caso le cadute in pista non gli avessero scardinato quel che restava del cervello, già non proprio in forma smagliante grazie all'educazione mezzo spartana e mezzo abusiva che aveva ricevuto. Non rispose, e Adam si corresse: “Non importa. Lascia perdere, vattene e non tornare.”

“Ainosuke sama, che cosa vi prende?” Adam sferrò un pugno al muro, di fianco alla testa di Tadashi, che si raggomitolò su se stesso, spaventato.

“Non volevo. Farti male, dico. Non ho mai voluto. Ma te ne ho fatto, e continuo a farlo. E forse è meglio se te ne vai, forse è meglio se non torni mai più e cerchi di dimenticarmi. Fingi che io sia morto il giorno che mio padre ha bruciato il mio skateboard.” per quanto le parole di Adam fossero brutali, affilate e crudeli, Tadashi riuscì finalmente a leggere tra le righe ciò che l'uomo intendeva comunicare.

Timidamente, mentre una parte di lui ancora temeva ripercussioni, alzò le braccia e le passò intorno al collo di Adam, che si irrigidì.

“Posso starvi accanto mentre cercate di guarire, Ainosuke sama.”

“Tadashi kun...” un nome, un appellativo affettuoso, niente di più, solo un sospiro che solleticò i capelli alla base del collo di Tadashi.

Le braccia di Adam si abbassarono a circondargli la vita e strinsero forte. Tadashi ebbe l'impressione che Adam stesse cercando di mettere in quell'abbraccio tutto ciò che era incapace di esprimere. Cercò di accettarlo come poteva, dal suo guscio di timore accumulato che ancora non avrebbe potuto aprire in sincerità, e ricambiò debolmente la stretta.

“Ti servirà pazienza, con me, Tadashi kun.” bisbigliò Adam con voce tremante.

“Ne ho sempre avuta. E ne avrò ancora.” ribatté Tadashi. La mente cercò di ricordargli tutte le altre volte in cui aveva pensato che Adam fosse cambiato, che fosse diverso, ma lui scacciò il pensiero: i giorni in cui si illudeva di stare bene erano terminati, ora che vedeva il sole riusciva a capire che in passato aveva solo confuso il riflesso di una lampada in un vetro per l'alba.

Le labbra di Adam si posarono sulle sue, umide di lacrime, tremanti. Tadashi ricambiò il bacio, mentre i primi raggi di sole cominciavano a scaldare la terra fragrante della sua anima, risvegliandola dalla sua lunga notte.

 
   
 
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