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Autore: ombranelbuio    20/04/2021    1 recensioni
L'autore si ritrova nella Selva Oscura sette secoli dopo il celeberrimo viaggio dantesco e ripercorre le stesse tappe ma con le dovute differenze legate al tempo ormai trascorso da allora.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dante Alighieri, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Inferno - Canto I

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Fiorente era ‘l bocciol di questa vita

quando mi ritrovai per una selva

oscura, che la mente mia ha rapita.

 

Scrutavo e gia nel cogito una velva 1

s’apria mirando le secchite sponde

ove s’alzò ‘l ruggito d’una belva.

 

Tant’eran molte quelle fratte immonde

al par di sterpi, come pruni adusti 2

che per l’animo uman turbe diffonde.

 

Ivi s’alzò ‘l latrato fra l’arbusti

ed io m’ascosi, vinto dal terrore

colà presso due bei ciocchi robusti.

 

Mentr’anco mi sentia tremar lo core 3

e ad ogne passo la ferina rampa

parvommi su la schiena con furore,

 

vidi d’un tratto fulgere una vampa

così mi parve ‘l sorgere del giorno

per cui a l’oscuritade ciascun scampa.

 

Presso la tembra ch’io tenea d’intorno

allora d’aurea coltre lo gran lume

meco cinse ‘l piano e lo fea storno 4

 

e come per lo naufrago le spume

mosse le membra mie fino ad un colle

ver cui m’incamminai contr’al barlume.

 

Sol di Morfeo credea l’imago folle 5

mentre d’un tratto, dai miei nembi assorto 6

mi colse in fallo uno pertugio molle.

 

Lo passo mio ne risultò più corto 7

e mal mi cagionò caviglia offesa

ma fu poi che, mi diedi gia per morto. 8

 

Per quel pendio una bestia era discesa

tanta di tutte brame era rigonfia

che carco ‘l ventre ne pareva lesa. 9

 

Costei d’essere gravida ven tronfia 10

calcandomi d’appresso, alternamente

la maculata lonza ringhia e stronfia. 11

 

‘Mpedito volsi in cerca d’altra gente

ma niuno scorsi che potea soccormi

facendo le speranze mie più spente.

 

Sazia non fu la sorte de li enormi 12

miei turbamenti per l’inceder rotto

ch’altro mostrò per li combusti cormi.

 

Grass’un leone fecemi barzotto 13

e lui restando fero ne la posa

flemmatico s’incamminò di sotto.

 

Così dovei frenar, per l’adiposa 14

figura sua, lo rifuggir del dosso

quand’ecco infin la terza fera esosa. 15

 

Balzand’oltre la pria mi venn’addosso 16

ch’ io per scampar l’assalto ruzzolai

mentr’anco fiso lacera fin l’osso.

 

Per quella lupa, i polsi mi gelai

e attorniato stetti allora inerte, 17

com’al patibolo, quivi vacillai.

 

Ambe pupille mie tenni coverte 18

per non scorger la fin che m’attendea

tal quando tetra squilla da per certe

 

l’or ultime, spirito uman ch’ardea

sì rassegnato tacito s’arrende

e per l’etterna pace ha gia l’idea.

 

Parmenti mi sentii, chi sà comprende, 19

a lungo attesi ma non vi fu moto

al che mi chiesi: - Cosa il fato attende? -.

 

Spalancai l’occhi verso quell’ignoto

vedendo con stupor figura d’homo

splendente com’un Santo ha volto noto.

 

Imposti i palmi, delle bestie ha domo

- Non indugiar conviene in esto loco!

Ché tu giammai leggiesti lo mio Tomo?! -. 20

 

Mi domandò, ed io accigliato un poco:

- Chi siete voi, che non vi riconosco? -

dissi fissando ‘l drappo rosso foco.

 

Allora mi guardò ‘n po’ meno fosco

Rispuosemi: - Non più son io, già fui,

d’antica stirpe, ne lo cor del Tosco.

 

Presso Florenza de li tempi bui

di Gemini ebbi l’asterale influsso 21

e sempre contr’a quel Bonfazio cui

 

del tristo esilio mi fé ahimè concusso. 22

Ramingo fui, pria che Poeta 23

e gia d’esto viaggair ebbi discusso -.

 

Commosso rimembrai di tutta piéta 24

e attonito restai per lo stupore.

- Siete voi Dante, il Sommo Poeta?

 

Perdoni l’ignoranza, quale onore! -.

Allora mi prostrai come mio segno

d’ammirazion e aggiunsi nel tremore:

 

- Della presenza vostra non son degno! -.

Egli tese la mano e mi sorrise.

- Chè io lo fui, giungendo in esto regno? 25
 

Di chi scrisse de lo figliol d’Anchise?

Non trattasi di dignitade, orsù -.

E in front’ a me ne lo dir suo s’assise. 26
 

Allor aggiunse: - Alto volere fù 27

nel dire ch’esto viàr ha da tenersi -.

Tal mi convinse e non dubìtai piu.

 

- Oh miserere! Ahi quant’io soffersi!

pe’ lo salvar l’italica mia gente

eppur sorda rimase a li miei versi! -. 28

 

Subito diss’io, con parol fervente:

- Sorda?No,mai! Voi non vedeste come

esempio siete per ogni studente?!

 

In tutto il mondo, sia gesta che nome

e la Commedia vostre son famose?! -.

- Intender non l’intendo come some

 

Per fama no, bensì per altre cose

io fui qua pe’ cantar di tutti i mali -.

Alzandosi così fu che rispuose.

 

Allora si rivolse a l’animali

- Mira quale son loro condizioni

loro fattezze non sono più tali! 29

 

Tanto lonz’ha liberte perversioni

e mortalmente ingravidata svelle

tanto ha più fretta di goder passioni. 30

 

Lion privo d’orgoglio resta imbelle

sì che vol ch’ombra sua fè tutto pari

e de la lupa ha l’grasso ne la pelle. 31

 

Proprio ella cagna, infine de l’avari

diffusamente ne le peggior brame

sazia del feltro cinti n’ha i collari. 32

 

Di tutte genti che fan viver grame

codeste rie, pasce son ne’secoli

da che d’ogne virtù fecero strame -. 33

 

Caddero pe’ cigli suoi dei rivoli.

- Or principiamo ciò per cui discesi

Intra lo regno de l’umani vincoli -.

 

- Ma perchè io?Non son nessuno - chiesi.

- Io al confronto vostro sono stolto,

inesperto, politica mai intesi -.

 

- A nullo vituperio val, rivolto

con sè medesimi, ché tal appruova

sè, pur conscio del difettar molto. 34

 

Se manduchi lo pane che ti giova

appresso lo Convivio di tua sponte

tal basta che lo saggio gia t’appruova. 35

 

Or sii solerte, d’omo fè l’simbionte! -. 36

M’esortò austero, e a quello scherno

io annuii con vergognosa fronte.

 

- Or dunque andremo insieme nell’inferno?

Già son curioso per le gran persone

che vedrò tra antichità e moderno!

 

Vlad terzo, Hitler e Napoleone

Poi Van Gogh, Da Vinci, Borromini,

Hemingway, Marilyn, Al Capone.

 

Elisabetta prima, Paganini... -.

Lui confermò: - Ma certo, di costoro

ed altri ancora tu vedrai i destini!

 

Dal basso Averno fino al Santo Coro,

Dal Purge fin la porta di San Pietro -.

Allora con mirabile decoro

 

s’incamminò e io li tenni dietro.

_

1:“Scrutavo...ecc.” Osservando, già nel pensiero (cogito) un ricordo (velva da valva cioè soglia, porta, qui sta per “apertura nel pensiero” cioè un ricordo vago).

2: “pruni” genere di albero. “Adusti” dal lat. bruciati.

3: “Mentr’anco...ecc.” Mentre ancora mi batteva il cuore per la paura del ruggito udito, ad ogni passo avevo l’impressione che presto avrei sentito addosso sulla schiena la zampata della bestia (rampa: in araldica, zampa anteriore di animale, munita di unghie).

4: “storno” dicesi di cavallo con mantello grigio macchiettato. Il terreno, per via dell’albeggiare, assume una simile tintura a seguito dei raggi di luce che attraversano i fitti rami della selva.

5: “Sol di Morfeo...ecc.” Il paesaggio appare così irreale che sembra essere solo l’immaginario (imago) mondo di un sogno (di Morfeo).

6: “nembi” qui sta per “pensieri”.

7: “Lo passo...ecc.” avendo distrattamente messo il piede in un buco (probabile impronta lasciata da Dante a suo tempo), il passo si posa nel vuoto, inciampando e procurando una storta.

8: “ma fu poi...ecc.” ma non fu la caduta il peggio, bensì ciò che venne dopo, cioè la bestia, tanto da darmi gia per spacciato.

9: la prima fiera, la Lonza, qui compare leggermente diversa rispetto al passato. Risulta gravida e talmente gonfia che pare stia per scoppiare. Di seguito sarà lo stesso Dante a darne la spiegazione, così come delle successive due.

10: “tronfia” gonfia di boria.

11: “stronfia” dal tosc. Sbuffare rumorosamente per ira o fatica.

12: “Sazia non fu...ecc.” La sorte, non contenta per aver inviato gia una difficoltà (la lonza) rivelò qualcos’altro venire da dentro la selva (“combusti cormi: cormo è il corpo vegetativo delle piante. Qui si riprende l’immagine figurativa della selva composta di alberi secchi e bruciati).

13: “barzotto” in gergo volgare sta per moscio, od anche in stato di semi ubriachezza.

14: anche per la seconda fiera, il leone, appaiono evidenti differenze. Il felino adesso è grasso, lento (flemmatico) e proviene dal basso del monte piuttosto che dalla sommità. Il ruggito udito nella selva inizialmente infatti era il suo.

15: “esosa” dal lat. avida, bramosa, affamata.

16: infine la terza fiera la lupa, appare qui talmente affamata da non attendere di valutare la preda, ma balzandogli addosso scavalcando la lonza (oltre la pria). Per evitarla cado, ma tenendo lo sguardo fisso su di lei e vedendola ancor piu ossuta e con la pelle lacerata.

17: “attorniato” circondato dalle tre fiere.

18: “Ambe pupille...ecc.” chiuse le pupille per non vedere l’assalto finale delle bestie, è come quando le campane funerarie (tetra squilla) suonano per i condannati a morte, il cui desiderio di vivere (spirito uman ch’ardea), udendo i rintocchi, si arrende e così loro iniziano gia a pregustare l’idea dell’aldilà.

19: “Parmenti” pari merito, allo stesso modo.

20: “Tomo” la Divina Commedia.

21: benchè non sia nota la data esatta della nascita di Dante, molti studiosi concordano sul fatto che si aggiri tra il 21 Marzo e il 21 Giugno, periodo sotto l’influenza astrale (asterale) del segno dei Gemelli. Il Sommo Poeta quindi si limita a rivelare il suo segno astrologico, mantenendo segreta la propria data di nascita.

22: durante gli scontri fiorentini tra Guelfi Bianchi e Neri, Papa Bonifacio VIII (Bonfazio) da sempre nemico di Dante, nomina Cante Gabrielli potestà di Firenze. Costui approfittando dell’assenza del Poeta, lo condannerà falsamente al rogo per concussione e baratteria, esiliandolo assieme ad altri esponenti Bianchi.

23: “Ramingo” dopo l’esilio Dante “vagabonderà” da una città all’altra senza trovare mai pace.

24: “pièta” dal lat. dolore, angoscia.

25: “Chè io lo fui...ecc.” Dante intende: “Perchè, io sono forse stato degno di Virgilio (chi scrisse de lo figliol d’Anchise) quando son venuto qui la prima volta?”. Cerca di tirar su il morale in tal modo spiegando che non si tratta di questione di essere o meno degni.

26: “s’assise” si sedette.

27: “Alto volere” il volere di Dio.

28: Dante si lamenta del fatto che nonostante i suoi sforzi, le sue parole non sono state prese sul serio come avrebbe voluto. E non intende in quanto fama, così come viene frainteso (some = di solito), ma in quanto a significato cioè a missione salvifica per cui tutte le genti, prendendo coscienza delle conseguenze dei peccati, avrebbero dovuto ravvedersi, cosa mai accaduta col passare dei secoli.

29: “loro fattezze...ecc.” Dante mette in evidenza il fatto che l’aspetto delle tre fiere è mutato rispetto a come lo ricordava, passando a spiegarne la ragione.

30: tanto piu variegati tipi di perversioni la lonza ha appreso col passare del tempo, tali che per il gran numero la stanno conducendo alla morte, tanto piu, sapendo che la sua fine si avvicina, si affretta a soddisfarne il piu possibile accelerando quindi la sua fine in un circolo vizioso. Essendo la lonza lo specchio della lussuria umana, la sua gravidanza libertina raffigura la spregiudicatezza sessuale della società odierna, la quale ha raggiunto un tale livello di tolleranza da eccedere in tutti i sensi e in tutte le forme, portando alla degenerazione la società stessa e quindi, per assuefazione, al ricercare ed accettare sempre nuove “stravaganze sessuali” che la faranno collassare del tutto.

31: il leone appare fiacco, vile (imbelle), quasi privato del tutto della sua ferocia alla quale si è sostituita una mera apparenza di grandezza data dal suo esser grasso. E ha aumentato la sua mole per far si che la sua ombra sia piu ampia, in modo che ricoprendo piu ampio terreno, è come se rendesse simile a lui ciò che oscura. Il suo grasso proviene dalla lupa della quale a quanto pare si nutre, ed ecco perchè la lupa appare con la pelle lacera. Il leone, simbolo della superbia, mette così in evidenza l’indebolirsi di tale peccato al giorno d’oggi, il quale, benchè sia qualcosa di esecrabile rappresentava pur sempre in passato un qualche intento di azione attiva, che oggi manca quasi del tutto. Piuttosto che essere aggressivo, il leone preferisce nutrirsi passivamente della lupa, l’avidità, restando tranquillo nella sua posizione di potere, vivendo di rendita e facendo in modo che tutto intorno a lui si adegui al suo stile di vita. Proprio come ad oggi chi ha ruoli di potere resta fedele solo al proprio interesse, fa in modo che i suoi sottoposti giochino al suo stesso gioco e lascia che i problemi si risolvano da soli limitandosi ad emettere sperduti “ringhi nella selva” che non portano alcun risultato concreto.

32: la lupa, come già detto, è piu magra, lacera e piu famelica di un tempo. I collari del verso 120 hanno una duplice interpretazione: possono essere sia i collari ottenuti divorando il feltro (cane da caccia profetizzato da Dante nella Divina Commedia quale uccisore della lupa e salvatore dell’ umanità) dando quindi un accezione pessimistica del futuro che non avrà ormai piu alcuna speranza di salvarsi. Oppure possono essere i collari che la lupa cinge al collo degli avari, rendendoli schiavi del suo vizio, rivelando palesemente il suo pieno significato simbolico. Entrambi i significati portano comunque alla stessa conclusione: nella società, oggi più che un tempo, l’avidità è il peccato piu diffuso e che porta alle peggiori nefandezze. Si è diffuso in più variegati modi e in tutti i ceti, incatenando il popolo con l’illusione di ricchezza e costringendolo a una febbricitante ricerca del denaro, sacrificando tutto il resto.

33: “Di tutte genti...ecc.” Le tre fiere sono sazie dei dolori inflitti a tutti i tipi di persona, di ogni ceto sociale, durante i sette secoli trascorsi dal primo viaggio di Dante, e hanno potuto contaminare in tal modo tutto il popolo proprio perchè grazie alla loro influenza i Valori sono stati abbattuti (strame sono i rimasugli del grano dopo la mietitura, in senso lato sta per “abbattere”,”sradicare” come si fa con la paglia).

34: insegnamento tratto dal Convivio di Dante (trattato I, cap. 2). Il Poeta ammonisce il vittimismo, spiegando che parlare male di sè stessi, esponendo quindi a terzi i propri difetti, equivale a dimostrare di essere consapevole di tali colpe ma al contempo di accettarle e di conseguenza di approvare il proprio “esser cattivi” . L’unico col quale è bene parlare dei propri difetti è con se stessi, ma non per compianto, bensì per individuarli e correggerli.

35: “manducar lo pane” è il tema ricorrente nel Convivio di Dante. Allegoricamente rappresenta il “cibarsi” da parte dell’uomo comune, della conoscenza lasciata dai sapienti tramite lo studio e la lettura. Difatti è la conoscenza che eleva l’uomo, purchè questa sia ricercata di propria spontanea (sponte) volontà.

36: verso dalla duplice valenza. Va inteso sia come incitamento goliardico di Dante del tipo: “basta lamentarsi, sii uomo”, sia come: “sii diligente, poichè rappresenti ciascun uomo comune della tua era, sei qui per farne le veci”.

  
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