Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: LadyPalma    20/04/2021    3 recensioni
“Cinquantasei” disse soltanto, dopo un lungo sorso di Whisky.
“Scusa, cosa?”
“È il numero delle mie cicatrici”.

Dolores si presenta da Alastor dopo che ha perso la gamba e l'occhio. Alastor/Dolores.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, Dolores Umbridge
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Alastor&Dolores'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Guardi il mondo che ti sbuccia le ginocchia
e ti fa sanguinare
[Baustelle – Ragazzina]

 





Cinquantasei cicatrici



 



 

Si aspettava di tutto, ma non lei. Non lei senza il suo stupido vuoto sorriso e gli occhi da rospo spalancati in disgusto, perlomeno. Invece, eccola qui: una bambola rosa confetto al centro del suo salotto, perfettamente immobile e impassibile.

“Che ci fai qui, Bamboluccia?” Mai aveva usato quell’appellativo in tono così aspro, ma mai si sarebbe deciso d’altronde a chiamarla in altro modo.

Dolores si schiarì la voce, e c’era un solo motivo per farlo se aveva già la totale attenzione del suo unico interlocutore: era nervosa – e di questo lui era curioso. “Hem hem… hai bisogno di aiuto, Alastor”.

La fissò con l’unico occhio che aveva – quello nuovo le perforava il cranio e poi tornava alle pareti e alla porta perché forse dietro qualcuno… – e le scoppiò a ridacchiare direttamente in faccia. “E fammi indovinare, sei venuta a prestarmi tu soccorso?”

“Può darsi”.

La risposta era ancora più divertente, eppure stavolta lui serrò le labbra invece di ridere, perché la maggiore ironia corrispondeva anche a una maggiore amarezza. E fu solamente l’amarezza a trasformare il suo brusco tono in un soffio rauco: “Non sono più quello che ricordi tu, è rimasto tipo un quarto dell’uomo che ero o non te ne sei accorta”.

“Suvvia, Alastor” ridacchiò lei, recuperando una delle più tipiche reazioni vuote, “anche io non sono più la stessa. Sono passati dieci anni…”

Sì, lo sapeva bene, ed era certo che quella puntualizzazione inutile fosse solo un altro sottile tentativo di ferirlo. Dieci anni da quando la loro breve relazione si era spenta per la scelta di strade diverse; è che lei lo aveva messo di fronte a un aut aut – “Non posso stare con un uomo che tutti i giorni va a cercarsi la morte” – e lui aveva scelto out – “Non posso smettere di combattere, lo sai”. Era stata colpa di entrambi, o forse di nessuno. Fatto sta che, mentre lui combatteva e perdeva anche quando vinceva, lei era andata avanti e appariva sorridente nei giornali sullo sfondo di qualche potente di turno. E poi, tra l’altro, il tempo non si era comportato con loro allo stesso modo, proprio no.

“Stronzate, Bamboluccia” la interruppe, alzando gli occhi al cielo (uno di quei movimenti dello sguardo che doveva ancora imparare a sincronizzare), “tu non sei cambiata affatto”.

O perlomeno non significativamente. C’erano due rughe d’espressione attorno agli angoli delle labbra per tutti i sorrisi falsi che forzava, ma nessuna vicino agli occhi perché agli occhi quei sorrisi non ci arrivavano mai. A parte quello, niente di diverso, se non forse qualche chilo in più. Tonda e bassa e bruttina lo era sempre stata, ma pareva inalterata nel tempo. E la bruttezza che non invecchia è una specie di bellezza.

“Io invece…” riprese, curvando le labbra in un ghigno rivolto a se stesso, “…mi sorprende che tu mi riconosca. Una gamba di legno, un occhio pazzo, mezzo naso, tante cicatrici e, ah, non so se tu voglia sapere i dettagli”.

Dolores abbassò lo sguardo e poi lo risollevò, schiarendosi di nuovo la gola. “Anche io ho ehm delle cicatrici” mormorò incerta. Ma prima che lui potesse anche solo iniziare a preoccuparsi del possibile significato implicito di quella confessione, lei si tirò su delicatamente la manica del cardigan. “Ecco, vedi?”

Si avvicinò col suo passo strascicato e guardò meglio, regolando anche la vista speciale. Non vedeva niente, però, solo la pelle lattea senza la minima imperfezione, le leggere linee blu delle vene e…

“Cosa cazzo dovrei vedere, Bamboluccia? Non vorrai mica dire quel graffio lì”.

“Ehm sì, Taffy è un gatto adorabile ma ogni tanto mi infilza con i suoi artigli e…”

“Oh Salazar! Stai davvero paragonando un graffio di gatto a…” Smise di parlare e si limitò a scuotere la testa, mentre con la mano andava finalmente a cercare la fiaschetta nella giacca. Ne aveva bisogno, era chiaro. Non aveva bisogno invece di terminare la frase: paragonare piccoli e momentanei segni sulla pelle a indelebili e mostruosi marchi di guerra era proprio quello che lei stava facendo, e la cosa peggiore è che da sola non riusciva genuinamente a capire la differenza – non in termini di dolore, di motivazioni, di valore. Mica lo aveva guardato lei il mondo mentre le sbucciava le ginocchia e la faceva sanguinare? La differenza tra loro stava tutta lì, ed era insormontabile.

“Cinquantasei” disse soltanto, dopo un lungo sorso di Whisky. 

“Scusa, cosa?”

“È il numero delle mie cicatrici”.

Lei emise un’esclamazione di sorpresa, poi esitò ed esitò ancora, il tempo necessario per colorare di menzogna qualsiasi sua frase successiva. “Voglio vederle” – ed era una bugia.

“No, che non vuoi, risparmiami queste cazzate”.

Dolores inclinò la testa leggermente, una reazione nuova, di cui non conosceva ancora il significato. “No, è vero… Però vorrei volerle vedere, ha senso?” Era forse… sincerità?

Perché aveva senso in fondo, sì, perlomeno per una come lei e per uno come lui. Aveva senso e poteva perfino bastare. Voler fare qualcosa non è la stessa cosa che farla davvero, ma in mezzo c’è pur sempre l’esserci… e lei c’era. Solo adesso sembrava accorgersi all’improvviso che lei lo stava guardando in faccia fin dall’inizio della loro conversazione, che non aveva trasalito neanche una volta di fronte al suo naso monco, al suo passo zoppicante, all’occhio blu in perenne movimento. Era davvero importante allora che non ancora riusciva ad accettare tutto? Dannazione, era perfino più di quanto si sarebbe mai aspettato da lei.

“Ha senso” ribatté seccamente.

“Bene!” esclamò lei in fretta, nel suo tono più stridulo e col suo solito sorriso automatico. “Tu devi riposarti, suppongo, perché ehm sì, la convalescenza e tutto il resto, io intanto cucino qualcosa, che dici?”

Alastor aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra, ma non ebbe cuore di ricordarle quanto la sua cucina facesse schifo e dubitasse seriamente in un miglioramento nel corso di quegli anni. Si limitò ad annuire invece e trascinarsi lentamente sul divano. Aveva smesso di andare a cercare la morte ogni giorno, come aveva detto lei, per una causa di forza maggiore, e lei allora era tornata. Se la pensava in questi termini, non poteva che sentirsi nel profondo contento – a dispetto delle perdite dell’Ordine, a dispetto dei traumi personali che aveva subito, a dispetto perfino del rischio che lei si sarebbe sempre mantenuta distante da lui adesso. Aveva perso ogni cosa, gli era tornata indietro lei e non ancora si sapeva come e per quanto: poteva forse bastare questo flebile conforto a compensare il resto? Bastava intanto a fargli capire che per tutti quegli anni non aveva mai smesso di essere innamorato di lei – e, forse, mai lei di lui.




 

**




 

 

Svegliarsi la mattina fu diverso: per forza di cose, tra la puzza di bruciato dalla cucina e l’essere di pelo bianco appallottolato sulla sua unica gamba. Si tirò a sedere con uno sbuffo (che però era segretamente un sorriso) e s’infilò la gamba di legno e l’occhio pazzo prima di caracollare verso la cucina.

“Non dire una parola, Alastor… hem, ho solo dimenticato i fornelli accesi e…” Dolores – vestaglia verde smeraldo e ombretto rosa già applicato – s’interruppe quando gli lanciò un’occhiata. “...Oh, per Salazar, Alastor, potresti ehm smettere di far vorticare quell’occhio, per favore?”

Lui grugnì, ma non rispose, se non con una parola apparentemente priva di significato. “Cinquantasette”.

“Scusa, cosa?”

“È il numero delle mie cicatrici”.

Lei batté le palpebre confusa, poi fece una breve risatina. “Avevi detto cinquantasei” contestò nel suo tono più lezioso, “te n’è forse spuntata una nuova durante la notte?”

“Proprio così, Bamboluccia, su questo polso qui. Il tuo fottuto gatto graffia per graffiare. Sul serio, va bene se tu vuoi stare qui, io non ho niente in contrario, ma la tua palla di pelo…”

“Fammi vedere”.

Fu il turno di Alastor di apparire sorpreso: quell’imperativo serio come brusca interruzione del suo rimprovero scherzoso lo coglieva del tutto impreparato. Specialmente perché stavolta lei si era avvicinata e gli aveva afferrato la mano incriminata e la stava ora osservando – sfiorando il graffio del gatto e scoprendo nel frattempo cinque delle sue altre cinquantasei cicatrici.

“Fanno davvero male quei graffi, avevi ragione, Bamboluccia”.

Lei sorrise, giusto leggermente però, come faceva solo quando si trattava di sorrisi veri (e in quanto veri sempre colorati da una leggera tristezza). “Hem credo queste altre qui ti abbiano fatto più male, però”.

Non gli chiese di raccontare le storie dietro quelle cicatrici, non gli disse di voler vedere le altre. Ci sarebbe stato un giorno, forse, ma intanto a lui andava bene così: già quelle semplici parole – e la palla di pelo sul letto e l’odore terribile di bruciato e il chiacchiericcio incessante in tono stridulo di prima mattina – erano abbastanza. Con lei bisognava fare così, un passo alla volta con una gamba di legno.

“Adesso siediti, ti ho preparato la colazione. Hai ehm delle stoviglie terribili, posso dirlo? E poi per trovare due piatti non scheggiati ho dovuto…”

Quella voce era davvero stridula, e – Merlino! – quel toast completamente bruciato. Però in quel momento (e solo in quel momento) il mondo aveva smesso all’improvviso di sbucciargli le ginocchia e a farlo sanguinare al massimo ci avrebbero pensato solo quei gattacci.













 

NDA: Questi due sono sempre casa ed è bello tornare a scrivere una oneshot su di loro. Qui, in particolare, ho voluto esplorare l'idea di una reazione di Dolores a ritrovare Alastor dopo tanti anni in modo totalmente cambiato – e no, non ho quella visione romantica che lei potrebbe far finta di nulla. Al contrario, sono certa che proverebbe una repulsione, ma a dispetto di questo vorrebbe comunque esserci per lui, in una maniera goffa e incapace, perché lei non è capace di dare conforto. Però a lui già la sua presenza basta, perché anche lui è una persona particolare (e non credo del resto accetterebbe un aiuto più "classico"). Non so se riesco bene a spiegarmi in merito a quello che penso di loro, spero che la storia ci sia riuscita meglio di queste note! Molto probabilmente ci sarà una oneshot come seguito di questa; di certo sto lavorando su un altro gatto di Dolores;)
Il nome del gatto, Taffy, è preso da una sfumatura della gradazione cromatica del rosa.
La frase di apertura è un prompt della challenge "Apri le challenge, chiudi le challenge" indetta da Gaia Bessie su facebook.
Il dialogo sulle cinquantasei cicatrici (e il numero stesso) è stato ispirato a una scena di "La memoria di Babel" della saga dell'Attraversaspecchi.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: LadyPalma