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Autore: _Nimue_    21/04/2021    2 recensioni
Le lucciole sono le messaggere soprannaturali dell'inconscio, il punto di incontro tra il mondo reale e quello dei sogni, affascinati esseri luminosi che intrigano la mente fino a stordirla.
Sesshomaru sarà capace di resistere al loro bagliore?
Nota: riferimenti alla nuova serie HnY e in particolare all'episodio 15
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jaken, Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            a  Mirea

 

 

Nella fitta boscaglia illuminata dai raggi freddi di una luna piena di fine estate, un piccolo demone cercava di farsi strada borbottando, scocciato, maledizioni sulle insidiose trappole che gli uomini del villaggio vicino avevano nascosto nel sottobosco. Lui non era un dannato animale da catturare, scuoiare e arrostire; a dire il vero, la carne dei Kappa non era propriamente una prelibatezza, e di questo, si disse, andava fiero. Si beccasse un'indigestione lo stolto che avesse provato a divorarlo, il temibile Jaken l'avrebbe tormentato anche da morto. Gonfiando il petto con fiero orgoglio, si accorse troppo tardi della tagliola scattata poco lontano dalla sua zampa. Riuscì a sventare il pericolo solo grazie ad un balzò a piè pari; la stessa sorte non fu riservata alla sua preziosa arma, il bastone Nintojo che, a turno di testa, iniziò a guaire lamenti di disappunto. Il demone cercò invano di controllare il fastidio scaturito per quella situazione: mai si era ritrovato nella condizione di agire di soppiatto e nell'ombra, conscio di doversi muovere con il massimo della discrezione per non destare attenzioni malevoli sui suoi viaggi.
I brontolii crebbero a dismisura; finché ad un tratto, come congelato, si guardò intorno timoroso. Se il suo Signore, disgraziatamente, avesse sentito le sue lamentele, avrebbe rimpianto amaramente le tenaglie umane...

 

Arrivò a destinazione dopo quella che parve un'eternità e non riuscì a trattenere un profondo respiro rassegnato costando che, al contrario di quanto concordato, in quel luogo non vi si trovava nessuno.
Mentre interdetto cominciava a ispezionare i dintorni dell'enorme albero al centro della radura, i suoi occhi giallastri incominciarono a strizzarsi doloranti alla ricerca di qualche indizio nel buio. Niente. L'unico rumore che disturbava la quiete notturna era quello dei suoi passi svelti sull'erba fresca; per il resto, appurò, non c'era anima viva in quel luogo.

Eppure, si disse, ho ricevuto l'ordine di tornare qui... possibile che...
Si volse allora verso la pianta centenaria, scrutandola attentamente.
Poi un altro sospiro aleggiò incontrollato; non gli piaceva entrare lì dentro, trovava alquanto sgradevole la sensazione che procurava il sorpasso dello scudo di Goshinboku, pareva come essere risucchiati al suo interno. Insomma, era una di quelle esperienze che avrebbe volentieri evitato, ma essendo l'unica opzione possibile, dopo essersi fatto coraggio, varcò la barriera.
Poco dopo una bolla onirica lo avvolse, facendolo quasi soffocare.
Sentì, come sempre, la percezione fasulla della sua carne bruciata; il pizzicore era tale che ogni volta doveva domare l'istinto di strapparsi la pelle dal corpo, consapevole che solo il senso di pace che l'avrebbe raggiunto poco dopo l'avrebbe spronato a continuare verso il cuore del tronco.
Al centro di quel limbo, seduto ai piedi dello spirito dell'Albero, trovò Il suo sommo Signore. Alle sue spalle un nucleo di pura luce custodiva il giovane corpo sospeso di una fanciulla nel fiore degli anni. Non un attimo era passato per lei, sul suo volto la freschezza intatta era accostata alle linee morbide di un sonno sereno, cullato da un regno che lei sola poteva percepire.
In netto contrasto si stagliavano come marmo i contorni duri e concentrati del suo Signore: l'apparente sonno di Sesshomaru era, in verità, una sequenza di sogni lucidi che, impetuosi, scorrevano nella sua mente ogni qualvolta decideva di stanziare all'interno di Goshinboku. Jaken si avvicinò con estrema cautela.
Sapeva fin troppo bene che in quei momenti doveva procedere con particolare attenzione, poiché le reazioni del Demone potevano rivelarsi più imprevedibili del solito.
Goshinboku, custode sacro del Tempo, celava al suo interno un limbo perenne, in cui ogni ciclicità si fermava cristallizzata. Nonostante ciò, coloro che sceglievano di soggiornarvi a lungo, abbandonandosi al flusso vitale del tempo, erano destinati a vorticare nella confusione di passato e presente, diventando così particolarmente recettivi a diversi stimoli e in alcuni casi, particolarmente irritabili.
C'era un prezzo da pagare e Sesshomaru lo pagava ogni volta, tanto che Jaken si chiedeva puntualmente perché il Suo Signore, una volta scoperto amaramente il contrappasso di Goshinboku, continuasse a risiedervi stabilmente anche per interi giorni.

Osservando notò con malcelata preoccupazione una ruga solcare il volto perfetto del nobile demone, distorcendolo.
La smorfia di inquietudine era macchiata da quello che, il piccolo demone capiva, gli umani chiamavano tormento.
Mai, in tutta la sua attività di grande servitore, aveva colto quell'espressione sul volto diafano del Demone e per questo rimaneva, in quei momenti, pietrificato, indeciso se disturbarlo o meno dai pensieri che gli affollavano la mente. L'urgenza della comunicazione tuttavia non lasciava spazio all'indecisione.
Si avvicinò così al Grande Demone e incominciò a sussurrargli, gentile, poche semplici parole:
-Ho consegnato il messaggio mio Signore. Ha lasciato il villaggio di mezzi demoni proprio questo pomeriggio, l'ho vista con i miei occhi.- Non ricevendo risposta, come d'altronde si aspettava, Jaken ritornò sui suoi passi con la testa china, non prima però di aver rivolto un cenno del capo alla ragazza dormiente.

 

Sesshomaru sentì i piccoli passi del demone allontanarsi, non gli erano sfuggite le parole di Jaken che, conciso, gli comunicava di aver svolto il compito da lui assegnato. Non gli rispose, perché le parole di circostanza erano uno spreco di energie che lui non aveva la benché minima intenzione di fare. Nonostante la sua immensa forza demoniaca permettesse di evitare continue incursione moleste e sconsiderate dello spirito del tempo nella sua mente, l'oblio che alcune volte lo coglieva lo deconcentrava a tal punto da confondere il reale dall'immaginario; in alcuni momenti infatti, neanche volendo, avrebbe potuto distogliere lo sguardo dalle piccole lucciole che si presentavano davanti ai occhi chiusi, come insetti pronti ad essere catturati. Combatteva contro l'inesorabile flusso che permeava quel luogo, consapevole che la voglia di inseguire e catturare quei piccoli lumi altro non era che una trappola.
Esse erano le messaggere soprannaturali dell'inconscio, il punto di incontro tra il mondo reale e quello dei sogni, affascinanti esseri luminosi che intrigavano la mente fino a stordirla.
Beffardo Goshinboku lo solleticava ad abbandonarsi a quegli sprazzi di luce, e Lui, consapevolmente, si inabissava solo nel momento in cui, cullato dai battiti e dal respiro cadenzato di Lei, abbassava le difese. Come poco prima dell'arrivo di Jaken, quando la sua mente era divorata dall'immagine di un cielo in tempesta e dall'enorme figura che si stagliava su una scogliera, sanguinante e pericolosa. Le ultime parole che si era scambiate con suo padre rimbombavano ancora nella sua mente, nella bocca sentiva ancora l'asprezza di quel momento lontano, concluso, definitivo.

Giorni, settimane, mesi potevano passare e Sesshomaru rimaneva immobile ai suoi piedi, vegliando e rivivendo alcuni attimi che custodiva gelosamente nel suo animo. Riviveva intimamente sentimenti del tutto nuovi per lui, difficili da districare e complessi da domare. Piegarli al suo cospetto si rivela tortuoso, perché subdoli lo contorcevano fino a esasperarlo, fino a farlo diventare aggressivo. Lui, che sempre aveva avuto il controllo su di sé, si ritrovava in balia di una sequenza sempre nuova di sensazioni che, come colori, diventavano sfaccettature infinite di un prisma ipnotico. Eppure non si allontanava, rimane sempre lì; sempre pagava il prezzo di quella veglia.
Soffriva, ma non si allontanava. Anzi viveva un'eternità in quel mare amaro, cercando di afferrare, di comprendere l'inafferrabile. Soggiogato da ciò che percepiva alle sue spalle e perennemente in stato di allerta, si divideva nell'instabilità di quella paralisi che avvolgeva, proteggendo e minacciando, colei che sorvegliava.

D'un tratto due piccole lucciole, più ardite delle altre, incominciarono a danzare davanti ai suoi occhi irretendolo, solleticando di nuovo la sua memoria, brillando di una luce così pura che divenne naturale per lui seguirle nel tentativo di afferrarle con le dita artigliate. Non fu poi così difficile rinchiuderle nel palmo.
Calde incominciarono a dibattersi nella mano del Demone, sfarfallando in cerca di uscita; Sesshomaru fu infastidito da quella sensazione, non era sua intenzione fargli del male, voleva solo osservarle.
Si rifiutava di lasciarle andare e allo stesso tempo si ostinava a rimanere il più cosciente possibile, ancorandosi sfrontato a quel limbo in cui giaceva. Lui voleva tutto.

Tum, tum, tum, tum...
come un abbraccio il cuore palpitante di Rin lo avvolse, e lui non poté altro che chinare lievemente la testa arrendendosi, ancora una volta, ad entrare in un mondo che non avrebbe controllato in nessun modo.
E così cadde, trascinato nell'oscurità con il pugno ancora chiuso intorno alle piccole lucciole, le quali, oscurate dalla sua carne, proiettarono una luce fluorescente, creando nell'ombra forme sfumate di un tempo passato.

 

Era notte, una notte oscurata da un eclissi lunare. Era quella notte.
Quando per la prima volta sentì i primi vagiti di un cucciolo d'uomo.
Due erano i pianti che risuonavano per la valle del villaggio ai suoi piedi, simili ma essenzialmente diversi. Due erano le anime affacciate al mondo quella notte. Gemelle. Uno spasmo gli contrasse il volto per l'indesiderata, illusoria, presenza demoniaca alle sue spalle, tanto che, seppur in quello stato di trance, l'istinto bestiale lo portò ad afferrare Bakusaiga, anch'essa infastidita da quella reminiscenza sfumata. L'avversione per quella scena bruciava insistente ancora dopo anni e si ritrovò a stringere le zanne scocciato, tentando di riplasmare quel sogno lucido a suo piacimento; tuttavia le lucciole nelle sua mano, irrequiete, glielo impedirono, facendolo vorticare ancora una volta a quella notte.
Eccolo dunque davanti ad una capanna umana, pronto a varcarne la soglia, deciso nel suo intercedere marziale e bloccato soltanto alla vista dell'espressione di gioia che le colorava il volto. L'odore di sangue e sudore gli pizzicò fastidioso le narici e cercò di rimanere impassibile mentre attento acuiva l'udito, ricercando il battito di lei: dalle sue labbra sgorgò un richiamo felice, lo chiamava, il cuore vibrante e forte nel petto.
La guardò per tutto il tempo, perché solo lei avrebbe avuto la capacità di leggere dietro le sue azioni.
Si inginocchiò al suo fianco, si abbassò, prendendo con sé i due cuccioli addormentati. Da dove veniva quella delicatezza? Se ne andò così com'era arrivato, accompagnato dall'odore salato delle sue lacrime.
Con un balzo spiccò il volo e solo dopo un po', perso nelle sue elucubrazioni, si accorse che due paia d'occhi, ora desti, lo osservano; sembravano chiedergli spiegazioni, sembravano pretendere la sua resa.
Scocciato distolse lo sguardo.
Sesshomaru non doveva spiegazioni, agiva secondo ciò che riteneva più opportuno; così continuò a tenere ostinatamente gli occhi puntati nella notte scura, accelerando l'andatura.
All'improvviso impercettibili tremolii si propagarono sulle sue braccia, irrigidendolo. Sentiva la coda fremere e il folto pelo rizzarsi come infreddolito; non aveva mai sofferto i cambi di temperatura...Altri sussulti gli scossero le braccia, e solo allora si accorse che non era lui il protagonista di quei brividi. Istintivamente piegò il braccio e le portò più vicine, stringendole a sé. Nel compiere quell'azione l'odore dolce del latte lo colpì in pieno facendogli mancare un respiro e, calamitato, le guardò una seconda volta: avevano chiuso gli occhi e serene aveva ripreso il sonno interrotto dall'aria gelida della notte. Una curiosità mai provata lo spinse a studiare i gorgoglii prodotti da quelle piccole bocche sdentate, i respiri calmi e i battiti di cuore che, unendosi al suo, producevano un concerto naturale e sorprendente.
Le strinse più forte e per un attimo temette di spezzarle.
Una ignobile presenza, sfacciata, lo distolse dalla sua contemplazione e affiancandosi a lui, Sesshomaru, incominciò a pronunciare febbricitante minacce: cercava del sangue, sangue che non gli apparteneva.
Dentro di sé scalpitò un desiderio primordiale, la voglia di squarciare le carni di chiunque avesse osato mettersi sulla sua strada, di chiunque avesse osato togliere quegli esseri dal suo petto. Spietato gli tagliò di netto le braccia e afferrò con sicurezza le due gemme nate dagli arti staccati; le soppesò con lo sguardo e fu molto interessato nel comprendere cosa fossero... sarebbero tornate utili.
La sua attenzione poté finalmente tornare al posto che gli aspettava e fu catturato da un particolare che prima non aveva notato,come aveva potuto? Sotto un miscuglio di odori si celava una fragranza inconfondibile.
Il profumo di lei era mischiato al suo, creando una essenza così delicata che ne rimase affascinato, non aveva mai sentito niente di simile. Non si era mai volutamente fermato su quel pensiero, era anzi convinto che avrebbero emanato una nota sgradevole come quell'inetto di suo fratello, perennemente avvolto dal suo puzzo insopportabile; fu piacevolmente sorpreso che non fosse così. Sciocchezze.
Sesshomaru, tu hai qualcosa da proteggere? Spalancò gli occhi contrariato, perché la voce di suo padre era stata evocata, proprio in quel momento, dalla sua mente?
Sciocchezze, ripeté.
Il rito del coraggio e della codardia aspettava coloro che dovevano provare la propria forza; eppure sembrava che tenerle strette al suo petto fosse l'unico posto degno per loro, si ritrovò persino a pensare che nei loro volti addormentati ci fosse fierezza. 
Sciocchezze.
Era necessario che fossero in grado di badare a loro stesse, solo così avrebbero potuto sopravvivere.
Inginocchiandosi le adagiò sull'erba fresca, i volti ancora sereni e innocenti.
Lui innocente non lo era mai stato, non gli era mai interessato esserlo.
La consapevolezza lo travolse, quello che stava facendo era inevitabile quanto brutale; aveva deciso per loro, aveva deciso per Lei.
Mai, mai si era sovrapposto alla volontà di Rin, mai l'aveva privata di una scelta.
Le guardò un'ultima volta e voltandosi piantò gli occhi nella volta celeste, i lineamenti serrati e risoluti.
Sarebbero sopravvissute, dopotutto erano le sue figlie.

 

L'illusione evanescente scomparve, così come il calore tra le dita.
Le aprì lentamente e vide il bagliore emanato dalla lucciole diventare freddo, affievolirsi poco a poco, fino a dissolversi.
Bastò un attimo, un battito di ciglia, e tra le sue grandi mani non vi era più niente. Riemerse così come era caduto, la bocca digrignata in un ringhio sommesso e il vuoto nel petto. 
Fuori, all'aria aperta, Jaken sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Sì, decisamente aveva fatto bene ad allontanarsi.

   
 
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