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Autore: NPC_Stories    23/04/2021    5 recensioni
Krystel ha avuto molti figli nel corso della vita, ma una in particolare non era preventivata e nemmeno voluta.
Riuscirà una donna che di solito è madre nell'anima ad amare anche questa bambina?
.
TW: gravidanza, parto, depressione, accenni a violenza sessuale
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1297 DR: Lei è mia


Diciannovesimo giorno di Tarsakh, in una locanda vicino a Secomber

“È troppo presto…” Krystel annaspò, mentre sua figlia Hilda l’aiutava a sdraiarsi sul letto. “Non può nascere ora, è troppo presto! Ah!” Trattenne bruscamente il respiro, mentre il suo corpo veniva attraversato dal dolore di un’altra contrazione.
Hilda la fece sedere sul letto e le sistemò dei cuscini dietro la schiena perché stesse in posizione semi-seduta, poi con un panno pulito le deterse la fronte. I capelli bianchi come la neve erano umidi di sudore e appiccicati al viso, e Hilda li scostò con gentilezza. Vedere la madre in quelle condizioni la stava preoccupando, era davvero troppo presto e non avevano avuto il tempo di ripassare ciò che Hilda avrebbe dovuto fare. Inoltre sua sorella maggiore era lontana da casa, e Hilda avrebbe tanto voluto poter contare sul suo aiuto.
Avrebbe voluto demandare la parte difficile a sua sorella che era più esperta, sistemarsi dietro Krystel e tenere lei stessa sollevato il busto della madre. Ma purtroppo non c’era nessun altro che potesse aiutarla a far nascere il bambino, quindi era più importante che lei stesse ai suoi piedi, per aiutare ad estrarre il neonato. Un compito che non pensava sarebbe spettato a lei.
“Il rituale del Nodo di Lucina. Ritarderà il parto…”
“No, mamma, è troppo tardi. È iniziato. Il Nodo di Lucina lo rallenterebbe di poche ore e ormai si sono rotte le acque. Il bambino non può più crescere, può solo uscire.”
Hilda non lo disse, ma la domanda della madre l’aveva allarmata. Non era normale che Krystel proponesse un rituale ormai inutile, che avrebbe messo in pericolo sia lei che il bambino. Doveva essere poco lucida. Forse era nel panico, e questo era un dramma perché Hilda era giovane e non aveva molta esperienza di partorienti. Aveva assistito, un paio di volte, mentre la madre aiutava altre donne, ma non le era mai stato richiesto di fare qualcosa.
“Forza, mamma” cercò una mano della drow e lasciò che Krystel stringesse la sua. Arrivò un’altra contrazione, e Krystel strinse la sua mano fin quasi a stritolarla. “Senti dolore?”
“Un… un po’. Non quanto pensavo. Il bambino… ah!... deve essere piccolo” lo disse con le lacrime agli occhi, perché temeva davvero che sarebbe nato morto. Una gravidanza elfica poteva durare fino a due anni, e raramente durava meno di un anno completo. Nessun bimbo elfo avrebbe dovuto nascere a sette mesi, era la ricetta per una morte neonatale.
Krystel lasciò di colpo la mano di sua figlia. “Non stare qui. Vai. Vai… nella mia biblioteca. Trova… il tomo dei Rituali del Manto Grigio. Cerca il” chiuse gli occhi e trattenne il respiro, mentre lottava contro un’altra contrazione “il rito del tempo sospeso.”
“Mamma… i rituali del Manto Grigio sono pericolosi. Lo hai sempre detto!”
“È quello che dicono i genitori per… per far tenere le mani in tasca ai figli!” Sbottò Krystel. La necessità di fare respiri profondi le impediva di fare discorsi fluidi, ma si percepiva urgenza nel suo tono. “Quando nascerà… se non è già morto… il rito del tempo sospeso impedirà alla vita di scivolare via. Lo terrà… non ancora morto… finché non guarirò tutto quello che posso” spiegò sbrigativamente.
“Ma non posso lasciarti adesso” obiettò Hilda.
“Vai!” Gridò Krystel. “Vai o, giuro sulla mia vita, non potrò perdonarti!”
Hilda si alzò e fece un passo indietro, sconvolta dalla furia della madre. Non l’aveva mai vista così. Chiaramente Krystel era spaventata e non era lucida. Alla fine obbedì al suo comando e la lasciò sola nella stanza, precipitandosi giù per le scale e poi nel giardino. C’era un pozzo prosciugato nel cortile interno della locanda, che sembrava un’inutile vestigia di tempi migliori per chi non conosceva il suo segreto. Hilda si aggrappò all’asse che un tempo reggeva il secchio, scavalcò il muretto e si lasciò cadere all’interno. Subito un incantesimo di Caduta morbida la avvolse e le permise di scendere lungo lo scavo fluttuando lentamente. Pochi secondi dopo toccò terra senza un graffio e cercò una pietra liscia che avrebbe aperto un passaggio segreto. Laggiù non arrivava molta luce, ma per fortuna i suoi occhi di mezzelfa vedevano bene anche nella penombra.
Trovò la pietra, con la vista e con il tatto, e la premette con decisione. Una sezione di muro scomparve come fosse fatta di nebbia e la donna entrò nel cunicolo sotterraneo che si era appena rivelato. Hilda percorse il corridoio che portava più o meno sotto la casa padronale, e poco dopo si ritrovò nel laboratorio di magia della madre.
Krystel era una strega, svolgeva quasi tutti i suoi rituali all’aria aperta e facendo affidamento solo sulle sue conoscenze, ma ogni strega aveva almeno un grimorio. Lei, nei suoi quasi due secoli di esistenza, ne aveva accumulati parecchi e alcuni trattavano rituali e incantesimi dalla moralità ambigua.
Il tomo dei Rituali del Manto Grigio era uno di essi: non esattamente magia nera, e nemmeno necromanzia, ma un libro che giocava sul confine dove la magia della vita si fondeva con la magia della morte.
Hilda trovò facilmente il tomo e lo sfogliò più in fretta che poté. Il rito del tempo sospeso… eccolo. Ma richiedeva componenti che non era sicura di avere. Con preoccupazione e sempre più fretta, vagliò gli scaffali del laboratorio in cerca di quello che le serviva.

Quando Hilda tornò in superficie, dopo un tempo che le era sembrato infinito, il cortile le parve silenzioso. Il pozzo aveva attivato un incantesimo di levitazione per farla tornare al livello del terreno, e il fischio sommesso dell’incantesimo le echeggiava ancora nelle orecchie. La mezzumana scosse la testa, facendo ondeggiare in modo fastidioso il suo chignon che ormai si era allentato. Il fischio si dissipò, e poté di nuovo sentire qualcosa. Il pianto di un neonato.
Inforcò la porta e si precipitò su per le scale, solo per trovare Krystel nel suo letto con un neonato fra le braccia.
“È sana” furono le parole con cui Krystel l’accolse nella stanza. “Non serve nessun rituale. È un miracolo. È sana.” Nonostante la buona notizia, il tono di Krystel era monocorde, quasi apatico.
La bambina piangeva ancora, ma un po’ più sommessamente. Hilda si avvicinò per sbirciarla: era davvero piccola, ma completamente formata.
“Respira bene? Il battito del cuore, è regolare?” Domandò, cercando di rendersi utile.
“Ho visto abbastanza neonati, Hilda, per saperne riconoscere uno sano.” Avrebbe potuto suonare come una critica, se il tono fosse stato di biasimo. Invece non c’era nessuna inflessione nella voce dell’elfa scura.
“E allora… cosa c’è che non va, mamma?”
Krystel sfilò i lacci dalla scollatura della sua maglia per poter allattare la bambina, e finalmente quella smise di piangere.
“Non c’è niente che non va.”
Hilda le rivolse una lunga occhiata incerta.
“Sono stanca, tutto qui.”
“Sei in collera con me perché non sono arrivata in tempo?”
“No” soffiò Krystel. “Il parto è stato rapidissimo. Nemmeno io me lo aspettavo. Dev’essere perché è così piccola.”
Hilda notò che la madre continuava a fissare un punto davanti a sé, senza mai abbassare gli occhi sulla bambina. Questo era strano. Krystel aveva sempre adorato i bambini, soprattutto i suoi. E adesso che aveva avuto una bimba molto prematura, non avrebbe dovuto tenerle gli occhi incollati addosso?
“Porta qui la culla” ordinò Krystel, tornando a guardare Hilda.
“Non vuoi farla dormire nel lettone con te, mamma?”


Krystel sussultò nel sentire Hilda chiamarla mamma. Avrebbe voluto che non lo facesse. In quel momento non si sentiva una mamma.
“È troppo piccola, potrei schiacciarla. Terrò la culla accanto al letto” promise, sentendosi un po’ colpevole per quell’inganno. Non era quello il motivo per cui non voleva tenere la bambina a contatto con sé. Il motivo aveva molto meno a che fare con la paura di schiacciarla, e molto di più con gli occhi azzurri della neonata, identici a quelli di suo padre.


***


Erano passate due settimane dalla nascita della bimba, ma Krystel non sembrava migliorare. Quello che inizialmente Hilda aveva scambiato per stanchezza dopo il parto, perché non aveva una definizione migliore, era decisamente qualcos’altro. Qualcosa a cui non sapeva dare un nome.
Duvainion e Kore, i suoi fratelli maggiori, erano tornati alla locanda. Erano mortificati di essersi persi il gran momento, ma nemmeno loro si aspettavano che avvenisse così presto. Lo zio Daren era andato e tornato con loro, perché ultimamente Krystel era diventata quasi paranoica e non permetteva ai suoi figli di lasciare la locanda senza la supervisione di un adulto. Chissà perché. In effetti la strega aveva iniziato a comportarsi in modo strano anche prima del parto, e l’intera gravidanza non era stata vissuta come il periodo sereno e felice che avrebbe dovuto essere.
Era tutto un grande mistero che Hilda non riusciva a spiegarsi. Così come non riusciva a spiegarsi che la bambina non avesse ancora un nome.
E per aggiungere altre stranezze a quella situazione incomprensibile, era come se Krystel stesse cercando di evitarla. Anzi, sembrava che stesse cercando di evitare anche Duv e Kore. In quegli ultimi giorni parlava solo con zio Daren, come se condividessero un segreto da adulti che non poteva essere rivelato ai giovani.


“Krystel” Daren si accovacciò davanti alla sorella, seduta vicino al camino della sua casa padronale. Con cautela, l’elfo scuro le appoggiò le mani sulle ginocchia per farle sentire la sua vicinanza. Krystel lo lasciò fare. Ormai non sussultava più al suo tocco. “Come ti senti?”
La drow scrollò le spalle, mossa che si ripercosse anche sul fagottino che teneva fra le braccia. La bambina emise un versetto di sorpresa, ma Krystel la ignorò.
“Non so che dirti” mormorò dopo un lungo momento. “Non mi sento… come dovrei. Non mi sento come speravo che mi sarei sentita.”
“Come speravi che ti saresti sentita? Vuoi parlarne?”
“Come?” Krystel lo fulminò con lo sguardo. “Come una madre! Ecco come dovrei sentirmi!” Finalmente qualcosa sembrava essere riuscito a spezzare la diga del suo silenzio, e i suoi sentimenti fluirono fuori come un fiume trattenuto per troppo tempo. “Per tutta questa gravidanza io ho odiato questa bambina. Dèi, è orribile. Io sono orribile. Mi sentivo come se stessi crescendo un parassita nel mio ventre, una creatura aliena, un mostro. Una parte di lui. Ma non potevo uccidere la creatura, è una cosa che… ci ho pensato, è contrario ai miei princìpi ma ci ho pensato davvero. Alla fine non ho potuto. So cosa vuol dire non essere amati. So cosa vuol dire essere cresciuti da gente che non è disposta nemmeno a darti una possibilità. Io ho deciso che…” cominciò a singhiozzare, abbassando lo sguardo. Poi ricordò che aveva in braccio la bambina, e chiuse gli occhi per non vederla. “Ogni bambino merita almeno una possibilità. Nessuno può essere condannato per il fatto di esistere. L’ho promesso… l’ho promesso a me stessa, l’ho giurato. Nessun bambino sarebbe stato rifiutato come lo ero stata io. Ed è stata una decisione sofferta, ma se avessi ucciso la bambina avrei schiacciato anche quella parte di me, quella che è già stata schiacciata una volta.” Krystel prese un profondo respiro e cercò di calmarsi, almeno quel tanto che bastava per riuscire a parlare nonostante i singhiozzi. “Pensavo davvero che tutto si sarebbe risolto quando fosse nata. Non vedevo l'ora che nascesse, tanto che penso che sia colpa mia se è nata così prematura. Pensavo che quando fosse nata avrebbe smesso di essere il seme di Haerelon che parassitava il mio corpo, e sarebbe diventata… una persona a sé. Non dico mia figlia, ma almeno una persona a sé. Non più un’emanazione di lui. E a quel punto avrei potuto amarla; se non perché è mia figlia, quantomeno perché è una neonata. Ho sempre amato qualsiasi bambino. Qualsiasi, davvero. E lei, che è mia… non riesco ad amarla” soffiò alla fine, come se avesse paura delle sue stesse parole. “Cioè, un po’ sì ma… non quanto vorrei. Non quanto dovrei. La amo… un po’. Forse la amo perché penso che dovrei amarla. Forse è testardaggine. Ma nel frattempo, continua a ricordarmi Haerelon.” Krystel tacque per un lungo momento, cullando la piccola con i gesti automatici di chi ha già avuto tre figli. “Ultimamente non volevo fare la reverie per riposare. Avevo paura di rivivere con la memoria quei momenti, quindi spesso ho scelto di dormire. Ma anche nel sonno lui non mi lascia stare, spesso sogno il momento in cui mi hanno catturata e lui mi ha indicata e ha detto agli altri: Lei è mia. Solo che, nei miei incubi, lo dice a me, indicando il mio ventre. Lo dice parlando della bambina. Lo dice per rimarcare il fatto che mi ha dato una cosa che mi legherà per sempre a lui. E poi mi sveglio da questo incubo e la bambina è ancora con me… ma guardala. Guardala! Ha i suoi occhi azzurri e i suoi capelli corvini. È vero che lei è sua, e non posso farci niente.”
“Ha la tua pelle nera” le fece notare Daren. “Il padre di Duvainion era un elfo selvaggio, eppure tuo figlio non è scuro tanto quanto questa bambina. Invece il bastardo che l’ha generata era un elfo della luna pallido come il latte, e guarda, sua figlia è nera quasi quanto te.” Daren accarezzò con un dito la piccola guancia della neonata, che volse il capino verso di lui in un guizzo di curiosità. “Pensi che Haerelon, se fosse vivo, ne sarebbe contento?”
Questa domanda assurda riuscì a strappare a Krystel un abbozzo di risata. Fu un verso sgraziato, improvviso e troncato a metà, ma era la prima manifestazione di ilarità che riusciva a tirar fuori da quasi otto mesi.
“No! Quell’essere odiava i drow. Odiava me. Se sapesse di avermi dato una figlia si rivolterebbe nella tomba.”
“È una bambina bellissima.” Le confidò Daren, con una tenerezza che era molto insolita per lui. “Lo sai, gli occhi azzurri sono un tratto comune fra i drow. Potrebbe non averli presi da lui. Sicuramente uno dei nostri antenati aveva gli occhi azzurri.”
Krystel rivolse un debole sorriso al fratello.
“Non riuscirai a farmela accettare così facilmente, ma ti ringrazio davvero per quello che stai facendo. Anche solo perché… mi stai ascoltando. Non ho nessun altro con cui parlare. Nessun altro sa quello che è successo.”
Daren si irrigidì, perché ripensare a quello che era successo era doloroso anche per lui. Si sentiva terribilmente in colpa per non essere riuscito a proteggere Krystel.
“Non era mia intenzione forzarti ad accettarla” assicurò. “E voglio che tu sappia che, se deciderai che non puoi sopportare la sua vista, io conosco molte persone che potrebbero prenderla con loro. Il culto di Eilistraee accoglie spesso dei bambini. La maggior parte delle volte sono schiavi oppure orfani, ma si prenderebbero cura anche di lei. E inoltre, io potrei tenerla d’occhio a distanza.”
Krystel rifletté in silenzio su quella proposta, ma inconsciamente strinse la figlioletta un po’ di più.
“No… non lo so. Devi darmi tempo. Non la voglio abbandonare. Non voglio che si senta rifiutata come è successo a me.”
“Ma non lo saprebbe mai. Una sacerdotessa potrebbe adottarla e lasciarle credere per sempre di essere la sua madre naturale. Una piccola bugia è poca cosa, in confronto alla salute spirituale di una bimba.”
La proposta avrebbe dovuto confortare Krystel, invece la mise solo più in allarme.
“No! Non puoi portarla via. Riuscirò ad amarla, devi solo darmi tempo. Non farmi sentire ancora più in colpa…”
“Non voglio farlo” promise Daren.
“Un giorno riuscirò ad accettarla del tutto. Lo so. Mi serve solo del tempo. Le darò anche un nome… prima o poi. Prima che cresca e diventi consapevole. Ma non portarla via.” Krystel si umettò le labbra, e decise che era tempo di riappropriarsi di tre semplici parole, una frase normalissima che Haerelon aveva contaminato ma che non poteva rimanere un tabù per sempre. Con grande convinzione, sollevò la neonata in modo da poterla guardare in viso, senza più rifuggire quel contatto.
“Lei è mia.”



**********
Nota: chi ha già un po' di familiarità con le mie storie e con i miei personaggi avrà notato alcuni indizi rivelatori sull'identità di questa bambina, come il fatto che sia la quarta figlia di Krystel e che Hilda fosse giovane al momento della sua nascita. È Tinefein, e la scena di Krystel davanti al camino viene sfiorata come flashback nella storia Punishment.
In questa storia Krystel non si sente davvero una madre perché tutte le decisioni che prende per la bambina, anche quelle che nella sua ottica sono per il bene della bambina, non le prende pensando a lei ma pensando a se stessa, a che cosa la fa stare meglio, a che cosa la fa essere più allineata con l'idea che ha di se stessa. Ovviamente in questo momento non è al suo meglio ed è indispensabile per lei dare la priorità alla propria salute mentale.
   
 
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