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Autore: meiousetsuna    26/04/2021    3 recensioni
Storia vincitrice del Contest “Revival – A volte ritornano” indetto da BellaLuna95 sul forum di EFP
Premio miglior personaggio maschile a Damon
Una storia che rievoca i fasti della seconda stagione, in particolare gli episodi finali.
Damon fece ruotare nella mano sinistra l’immancabile bicchiere di bourbon, con l’abilità consumata di chi ha ripetuto un gesto troppe volte; ma quella probabilmente sarebbe stata una delle ultime. Niente di meglio per smettere con un vizio che morire, pensò, riuscendo a compiacersi della propria ironia persino in quel momento. E non si parlava della non-vita, no, quella era la normalità da lungo tempo, stavolta si trattava della morte definitiva: fine dei giochi, polvere alla polvere.
Un sorrisetto inopportuno gli si stampò in faccia, – qualcosa tra il riflesso condizionato e la muscolatura del viso che si piegava su linee già scritte, note – perché, anche nell’agonia che il bruciante morso di licantropo gli stava procurando, non sarebbe mai sceso al di sotto del suo standard. Sarcastico, bello da impazzire, sicuro di sé. Ma finché Stefan era in cerca di Klaus e nessuna era lì con lui, poteva anche lasciarsi andare, accettare la realtà a piccoli pezzi.

Vostra, Setsy
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia Vincitrice del Contest “Revival – A volte ritornano” indetto da BellaLuna95 sul forum di EFP
Damon vince il premio per il Miglior personaggio maschile
Paring: Damon/Elena
ambientazione: what if? della 2x21 e 2x22 e con echi della 3x19
romantico, introspettivo, drammatico
enemies to lovers
prompt: Per tanto tempo ti ho incolpato per avermi spinta nel buio, ma mi sbagliavo. Ero io a scatenare il tuo lato oscuro

Who wants to live forever?

Damon fece ruotare nella mano sinistra l’immancabile bicchiere di bourbon, con l’abilità consumata di chi ha ripetuto un gesto troppe volte; ma quella probabilmente sarebbe stata una delle ultime. Niente di meglio per smettere con un vizio che morire, pensò, riuscendo a compiacersi della propria ironia persino in quel momento. E non si parlava della non-vita, no, quella era la normalità da lungo tempo, stavolta si trattava della morte definitiva: fine dei giochi, polvere alla polvere.
Un sorrisetto inopportuno gli si stampò in faccia, – qualcosa tra il riflesso condizionato e la muscolatura del viso che si piegava su linee già scritte, note – perché, anche nell’agonia che il bruciante morso di licantropo gli stava procurando, non sarebbe mai sceso al di sotto del suo standard. Sarcastico, bello da impazzire, sicuro di sé. Ma finché Stefan era in cerca di Klaus – come non dubitava che stesse facendo – e nessuna era lì con lui, poteva anche lasciarsi andare, accettare la realtà a piccoli pezzi.
La verità era il liquore ormai sapeva di sabbia attaccata al palato riarso, e che in poche ore avrebbe provato solo un’inestinguibile sete d’acqua. Neanche il tocco di labbra desiderate e mai concesse avrebbe spento le fiamme che, respiro dopo respiro, si sarebbero arrampicate dal petto alla gola, alla bocca, come se avessero vita propria, per cercare di arderlo dall’interno all’esterno.
La verità era che si reggeva in piedi per forza di volontà, perché i muscoli sembravano lacerarsi, uno a uno, come sfilandosi da una vecchia trama.
La verità era che sopportava l’idea di dipartire, ma non per la ferita inferta da quell’idiota di Tyler Lockwood, inflitta senza volontà, senza offrirgli neppure il sostegno della voglia di vendetta che lo aveva sempre animato nei momenti peggiori.
“Damon!”
No, non poteva essere la sua voce, doveva trattarsi dell’inizio del delirio, eppure ricordava troppo bene la devastante fine di Rose  – quel pezzo di legno conficcato nel cuore per pietà, una vestaglia di seta d’oriente conservata nel fondo del baule nascosto in soffitta – per sbagliare sul tempo ancora a disposizione.
Il vampiro si voltò lentamente, cercando di mantenere un fare distaccato, ma Elena era alle sue spalle e lo fissava con quegli occhi da bambina cresciuta troppo in fretta, colmi di consapevolezza. Damon non riusciva a contenersi, perché la compassione era l’ultima cosa che desiderava da lei, ma pur detestandosi sapeva che una tragica felicità si stava mostrando sul suo viso e voleva arginarla a tutti i costi. Doveva mantenere una maschera, ed era un maestro in questo, anche se nulla riusciva a farlo sentire più abbandonato della presenza di quella ragazza che lo detestava lì, nel salotto di Villa Veritas. I centimetri che li dividevano pesavano più del ricordo della carezza che sua madre gli faceva sulla testa quando era bambino, e fingeva di dormire per accontentarla. Più della mancanza del ticchettio dei passi di Katherine quando indugiava dietro la sua porta, sapendo di torturarlo mentre decideva se passare la notte con lui o Stefan. Allungare una mano per toccarla – afferrarla come l’ultimo appiglio in un mare in tempesta – era troppo rischioso, l’avrebbe fatto crollare definitivamente. Non contava prendere un paio di schiaffi, che sarebbe stata l’ovvia reazione; il rifiuto, quello sì, gli avrebbe trapassato lo sterno, giungendo al suo incartapecorito cuore di vampiro, si sarebbe avvitato per non poter essere estratto senza strappare via brandelli di quella carne immobile nel tempo.
Uccidere Jeremy era stata la cosa più stupida, più inutilmente crudele e soprattutto autolesionista che gli fosse balenata nella mente in un secolo e mezzo. Tipico di lui, attirare il male su di sé; Elena non l’aveva accettato e lui aveva rincarato la dose, così non l’avrebbe soltanto allontanato, ma odiato con tutte le sue forze. Avrebbe sempre dovuto pensare a lui, a quel mostro che l’aveva privata dell’ultimo resto della sua famiglia, di quel ragazzino fragile e simpatico. Appena smaltita la rabbia, la passione repressa e negata, la delusione e l’istinto del predatore, si era sentito male come non mai. L’anello dei Fondatori l’aveva notato, ma non prima di spezzargli il collo, non prima che il grido straziante di Elena gli stringesse il cuore, accartocciandolo senza poterlo spezzare, solo per torturarlo. Aveva lottato per riconquistare mezzo sguardo, una parola – anche cattiva – un’ombra di fiducia, di amicizia, poi di complicità. Ma l’amore di cui aveva un disperato bisogno era fuori dalla sua portata per sempre e doveva darsene la colpa.
“Sei passata a salutarmi? Mi pare che a Mystic Falls ai funerali si porti una casseruola di chili, ‘ricetta di famiglia’, che poi sono tutte uguali, solo noi italiani sappiamo cucinare”.
Elena sorrise debolmente alla battuta, evitando con tutta la propria volontà di torcersi le mani, o tirarsi le punte dei capelli lisci per il nervoso. Damon non meritava di essere scusato, anzi, tutti i disastri che aveva causato lo condannavano, ma non poteva essere lei la giuria, il giudice e il boia, perché a quello aveva provveduto da solo.
“Damon… Stefan mi ha spiegato tutto, io… posso vedere?”
Le labbra capricciose del bruno si sollevarono in un sorriso malizioso.
“Se volevi vedermi nudo bastava chiedere”.
In un altro momento quella frase avrebbe portato la ragazza a girare gli occhi al cielo e forse uscire sbattendo la porta; no, accostandola, il che costituiva un maggior rimprovero. Ma non era un giorno come gli altri; con l’aria di chi esibisce un nuovo tatuaggio Damon slacciò la camicia nera, abbastandola sulla spalla destra, mostrando l’orribile ferita infetta e dai bordi slabbrati.
“Sta avanzando abbastanza piano, altrimenti non ti farei restare qui, ma per domattina dovrai essertene andata”.
“Vedrai che Stefan tornerà in tempo, non arrenderti” Elena era combattuta, si capiva dal suo tipico tono di voce insicuro “farebbe di tutto per te, è tuo fratello”.
“Stefan l’eroe, che è corso da Klaus sperando di ricevere aiuto in nome dei vecchi tempi! Devo dire che sono impressionato, ma non credo funzionerà. Quel bastardo lo lascerà pregare, si divertirà un mondo, poi lo caccerà a calci”.
Era sicuro che sarebbe andata così, anche se una voce insidiosa sussurrava un’altra storia al suo orecchio. Forse Klaus avrebbe trovato più spassoso spedirgli la testa del suo fratellino in un pacco regalo, o trattenerlo amabilmente con Katherine per l’eternità. Ma l’ipotesi numero uno restava quella in cui l’avrebbe rispedito a casa ad assistere alla sua fine straziante; il concetto di legame di sangue dell’Originale era un po’ estremo, per i suoi gusti.
“Ha fatto bene ad andare, avrei fatto lo stesso per Jeremy”.
La voce della Gilbert era titubante, non aveva nominato il fratello per rinfacciare il motivo della loro lite, non era il caso, soprattutto perché non poteva più nascondersi. Non era una persona falsa, Elena, ma la verità era che aveva giocato su due fronti, pur inconsapevolmente. Stefan era il suo cavaliere dall’armatura scintillante, giovane per sempre, immortale, che la voleva proprio perché diversa da Katherine, malgrado l’aspetto. Questo significava sicurezza, protezione, ma per quanto? Quanti altri avrebbero pagato al suo posto? E se fosse accaduto quello che temeva di più, lui l’avrebbe accettata? Neanche Caroline aveva pianificato di trasformarsi in vampiro, ma si era trattato di una scelta estrema; le loro vite non erano più normali in alcun modo, e il destino le stava mandando segnali sempre più minacciosi. Damon le faceva paura, perché nei suoi occhi di ghiaccio poteva specchiarsi senza filtri, e quello che vedeva era il desiderio di un amore che la consumasse, pericolo e avventura. Doveva tenerlo lontano per non riconoscere quell’attorcigliarsi di viscere che provava se lui appena la sfiorav quando le girava intorno come un gatto che chieda una carezza, se le parlava nei rari momenti in cui abbassava la guardia.
Non sono diversa da Katherine, anche io li voglio entrambi’. Non l’avrebbe mai ammesso, ma era così.
“È anche colpa mia, quello che è successo. Non hai ucciso Tyler per me, vero? Per non vedermi inginocchiata di fronte a un’altra lapide… hai smesso di lottare con Stefan, e io per ricompensa ti ho solo saputo dire che sei imperdonabile, che ti avrei detestato per sempre, che non ti avrei lasciato avere alcuna influenza su di me”.
Damon si girò, lasciandosi alle spalle il tramonto che lo incorniciava col suo alone aranciato; la luce calda non nascondeva il colorito cereo e le prime sottilissime venuzze nere che stavano emergendo agli angoli degli occhi. La mano non più ferma posò il bicchiere, muovendosi per istinto verso il viso di Elena, accarezzandolo seguendo l’attaccatura dei capelli.
“Ormai è tardi per recriminare, ma avrei voluto conoscerti nel milleottocentosessantaquattro, ti sarei piaciuto. Non ero così. Non ti avrei minacciata di trasformarti per non lasciarti morire, contro la tua volontà. Forse mi stava bene pensare di trascinarti nel mio mondo, accusando Stefan di essere un vigliacco nel voler rispettare la tua libertà; se fossi stata un vampiro avresti scelto me, lo so. Ti ho preferita persa che sua, e ho agito di conseguenza”.
Erano anni o decenni che non era così sincero? È proprio vero che negli ultimi istanti si prendono certe libertà, approfittando dell’indulgenza; o forse Damon non riusciva semplicemente ad andare via così, lasciando di sé solo il peggiore dei ricordi.
“Damon… tu non volevi essere malvagio, l’ho capito; tutte le cose terribili che hai fatto erano per amore, non è vero?”
Il vampiro non rispose, troppo occupato a mantenersi ancorato alla realtà in molti modi: tenere il dolore sotto controllo e proibirsi di sognare erano già attività che esaurivano le sue poche forze.
“Credevo di essere giusta, di dover essere la brava ragazza che avrebbe compiaciuto i suoi genitori, ma la verità è che per tanto tempo ti ho incolpato per avermi spinta nel buio, ma mi sbagliavo. Ero io a scatenare il tuo lato oscuro ogni volta che non mi sono fidata di te, o di me stessa. Ti ho respinto, ho avuto paura della tua paura, che fosse troppo tardi perché riuscissi di nuovo a provare amore. Ti guardavo torturarti di delusione e desiderio, sentivo le tue mani tremare di indecisione e senso di colpa. Vivevo coprendo il mio dolore e convivevo con un malessere di cui non conoscevo la provenienza. Poi sei arrivato tu e mi hai insegnato che la vita non è come affronti quello che ti capita ma cosa riesci a fare di ciò che è rimasto di te stesso.  Mi hai regalato un coraggio che non credevo di avere, io…”
Elena non riuscì a terminare la frase, perché le labbra morbide e riarse del vampiro avevano sigillato le sue. Non riusciva a respirare per l’emozione, per lo spavento o perché temeva di riconoscere che quel gesto l’aveva sognato cento volte, nascondendosi in un angolo scuro dei propri pensieri per negarlo meglio? L’unica cosa da fare era abbandonarsi, lasciare che quelle mani brucianti scivolassero dappertutto, spegnendo per quanto possibile il senso di colpa. Ma come ogni volta, Elena aveva sottovalutato Damon.
“Non dovrei” staccarsi da lei di un passo era molto peggio del dolore del morso, ma non poteva non farlo “non è così che dovrebbe andare, Stefan non è qui a lottare per te, e quando tornerà dovrò rendergli conto di quello che sta succedendo”.
“Dovremo. Smetti di dire che ogni cosa è colpa tua! È tutto così complicato, ma è la nostra ultima… forse è la nostra ultima occasione”.
Il vampiro la fissò con uno sguardo stravolto, perché per lui la verità era sempre l’opzione peggiore. Il suo io era megalomane e grandioso soprattutto in senso negativo, dopo decenni su decenni passati restando incanalato in una morsa di dolore.
“Cos’è, hai pietà di me? Per questo hai fretta?”
Non voleva fare una delle sue scene, Elena, non avrebbe giovato a nessuno, ma le lacrime cominciarono a scendere senza poterle arginare. Era anche arrabbiata, perché si aspettava una reazione diversa, illudendosi che Damon fosse felice senza sé e senza ma, troppo inebriato all’idea di poterla avere. Non era brava a riconoscere i propri limiti, e quel giorno avrebbe cambiato la sua vita in ogni senso.
“Io credo di amarti, Damon, anche se non ho smesso di amare Stefan, e questo non mi rende migliore di Katherine. Non volevo che fosse vero, ma la voce del mio cuore non ha mai smesso di gridarlo così forte che non riuscivo a distinguere le parole. Stanotte, domani, succederà quello che succederà. Potremmo separarci o restare insieme, parlare con Stefan… che potrebbe perdonarci oppure no; c’è solo una cosa inaccettabile, che tu muoia senza avere la possibilità di scoprirlo”.
La ragazza allungò una mano, incerta, incontrando a mezz’aria le dita di Damon che si intrecciarono con le sue. Era giusto, adesso. Era il loro momento di magia, anche se nato dalla minaccia, anzi condanna, che aleggiava sulla testa del vampiro. Quella camera da letto enorme Elena l’aveva visitata una sola volta, e ricordare la circostanza la fece rabbrividire. Era lì, tra lenzuola di un bianco innocente che Damon dormiva, che Rose era morta per salvarlo, che lui probabilmente la sognava tutte le notti. All’inizio era rimasta sconcertata, perché si aspettava biancheria di seta nera, forse decorazioni barocche, qualcosa di cupo e sinistro. Invece c’era un comodino formato da una pila di libri, sui quali svettava una copia consunta di ‘Via col vento’, un romanzo che aveva dei richiami alla sua esistenza da umano che non erano difficili da interpretare. La pigra vita del Sud, i balli, la Guerra di Secessione, e soprattutto la bella della contea divisa tra due uomini. Quanto era stata triste e vuota l’esistenza del vampiro senza la ragazza che l’aveva fatto impazzire tanto da perdere ogni cosa, senza suo fratello, gli amici d’infanzia, la madre e il padre?
“Non avrei mai pensato di dire una cosa simile, ma potrei non essere al massimo della forma, e credimi, preferirei crepare adesso che fare una brutta figura con te”.
“Damon non deve succedere, voglio dire… abbiamo tempo. Ti salverai, deve essere così. E comunque non stai per morire se dici certe assurdità!”
Elena cercò di sorridere, ma riusciva a farlo solo con le labbra, gli occhi erano troppo pieni di lacrime. Un sudore freddo e malsano stava iniziando a velare il viso del vampiro, e il gesto di resa col quale si era lasciato andare, praticamente gettandosi sul materasso, diceva più di mille parole. La ragazza si stese accanto a lui, abbracciandolo e accarezzando i setosi capelli neri con delicatezza.
“Se vuoi andare via adesso lo capisco, non devi darmi spiegazioni, posso affrontarlo da solo, sei libera. Anzi, preferisco che mi ricordi come sono ora, non ho rimpianti. In fondo, chi vuole vivere per sempre?”
Prima che lei potesse rispondere Damon la stava baciando ancora, in un modo disperato che contraddiceva le parole appena pronunciate, stringendola come se potesse svanire tra le sue mani.
“Damon… io sono già libera. Quello che voglio è che tu ti senta libero di amarmi. Sono qui, dobbiamo solo aspettare, va tutto bene”.
Nella penombra che anticipa la notte, le tende vaporose svolazzarono ai lati della finestra socchiusa, lasciando intravedere una sagoma sottile, contornata da lunghi boccoli sinuosi. La voce di Katherine era graffiante e sensuale, sporcata da un rigurgito di gelosia.
“Ho portato la cura… ma vedo che non te la passi male”.
La vampira di rivolse a Elena, cercando di colpire a fondo.
“Finalmente ti sei svegliata, te l’ho detto che va bene volerli entrambi”.

Fine
Note: Non credo serva dirlo, ma il titolo è dei Queen *-*



  
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