Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    28/04/2021    0 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prologo

 Attese
(II)



Febbraio 1915
Bar di Madame Christmas,
Central City
23:00



Quando la porta della casa chiusa si apre, sono così stanco e concentrato sul mio solito bicchiere di liquido analcolico che non alzo neanche lo sguardo, troppo preso ad osservare lo sciacquio dei cubetti di ghiaccio che tintinnano contro il vetro.

«Ohilà, Maggiore!» una voce squillante e intrisa di un forte accento del sud mi fa sobbalzare e alzo di scatto gli occhi verso l’ingresso.

Sulla soglia, avvolto in un pastrano da viaggio nero, se ne sta un uomo sulla quarantina con un mezzo sorriso sardonico sul volto. Poggio il bicchiere con ostentata calma, ma le mie mani tremano di sollievo e sento un peso spiacevole abbandonare il mio stomaco, sostituito da un senso di esaltata aspettativa.

«Charlie!» esordisco, alzandomi per andargli incontro.

Gli tendo la mano e Charlie Deshaw me la stringe con vigore, con quell’espressione a metà tra il divertito e il provocatorio che a quanto pare non l’ha abbandonato. Sembra però invecchiato: le rughe attorno agli occhi scaltri sono più profonde, e le striature grigie sulle tempie più marcate e ampie.

«È bello rivederti,» dico un po’ goffamente, cercando di rompere il silenzio imbarazzato, ma sono sincero.

Charlie non risponde e si limita a un cenno del capo, forse realizzando in quel momento la stranezza della situazione. L’ultima volta che ci siamo visti eravamo in un cimitero; l’ultima in cui abbiamo parlato eravamo appena sopravvissuti alla battaglia di Darhia. Più che ricordi, abbiamo condiviso incubi, e adesso sembrano aleggiare tra di noi minacciosi. Sappiamo che sarà inevitabile affrontarli, ma nessuno di noi ha intenzione di anticipare il momento.

Charlie si riscuote, come scrollandosi di dosso quella consapevolezza, e si prende la briga di portare avanti la conversazione col suo solito fare gioviale:

«Si è scelto un bel posticino, eh, Maggiore?» fa un ampio gesto col braccio, a indicare l’elegante foyer.

Alzo appena gli occhi al cielo, ma mi risparmio la fatica di trovare una scusa: temo che la mia fama mi preceda.

«È un’ottima copertura,» dico invece, «e sono in famiglia.»

Ammicco verso mia zia, che si sta avvicinando col suo solito incedere minaccioso che farebbe sentire il Comandante Supremo un bambino sorpreso con le mani nella marmellata. Sì, anche se è un Homunculus: zia Chris fa quest’effetto.

E infatti anche Charlie si ritrova più impettito che mai, come a dimostrare di non essere per nulla intimorito a dispetto della sua figura dinoccolata. Nascondo il mio lieve sogghigno meglio che posso, ma zia fulmina anche me con un’unica occhiata.

«Ti sei preso il tuo tempo, giovanotto,» lo accoglie prevedibilmente, continuando a fumare la sua lunga sigaretta con nonchalance. «A Roy-boy, qua, stava per prendere una crisi di nervi,» rivela poi a tradimento.

Sbianco per poi sentirmi la faccia in fiamme, e stavolta sono io a raggelarla risentito. Charlie dimostra un tatto insolito, per qualcuno che anche in trincea aveva l’abitudine di ridicolizzare a piena voce chiunque capitasse nel suo raggio d’azione, e si limita a trattenere un sorrisetto nell’udire quel soprannome che detesto. Forse anche la stazza di mia zia è un buon deterrente.

«Oh, sì, sono in ritardo. Problemi organizzativi,» spiega vago, e non insisto su quel punto.

Avremo comunque il tempo di rimetterci in pari con ciò che è successo in questi anni nelle rispettive vite. Prima di poter aggiungere altro, mia zia mi porge un mazzo di chiavi.

«Sono quelle di riserva. Io chiudo all’una come al solito; se fate più tardi assicuratevi di non essere visti quando uscite,» si raccomanda, e annuisco appena, sia in un gesto d’assenso che di ringraziamento.

Sta rischiando molto, troppo. Finita questa storia, non sentirò storie e riscatterò la vecchia casa a Bushmills. È il minimo che possa fare per lei.

Ci salutiamo con un ultimo cenno del capo, e mi sembra di cogliere una traccia di sorda preoccupazione e aspettativa nel suo sguardo. Prima di potermene accertare, però, mi ha già voltato le spalle.

 
 

Ammetto che incontrarsi nel privé di una casa chiusa con uno dei miei ex-commilitoni ha un che di surreale.

L’impressione è fomentata dalla luce proiettata dall’abat-jour nell’angolo, che ammanta il salottino di una soffusa tinta rossastra. Mentre Charlie si accomoda e arrotola una sigaretta, rimuovo il paralume colorato, smorzando l’atmosfera pseudo-erotica e poco adatta a quello che dovrebbe essere il preambolo di un consiglio di guerra.

Sprofondo in una delle tre poltroncine, muovendomi cautamente nel sentire la pelle appena rimarginata della ferita che tira, fastidiosa. Charlie lo nota, con una punta d’incredulità.

«La ferita le dà ancora noia?»

Faccio un sorriso a metà, spavaldo ma non troppo.

«Sì, più o meno. Non è quella che ricordi tu.»

Charlie alza le sopracciglia aguzze e storce la bocca sottile in un commento muto, piazzandovi poi l’involto di tabacco. Fa scattare due volte l’accendino consunto, senza risultato, ed è in un istinto quasi inconscio che sfrego appena due dita guantate, facendo sfrigolare un minuscolo filo infuocato che accende la sigaretta a colpo sicuro. Charlie si ferma col pollice sulla rotella di selce, mi scocca un’occhiata laterale e inspira poi una boccata soddisfatta di fumo, che rimane ad aleggiare sopra di noi. Arriccio il naso, ma quell’odore spiacevole mi sembra in qualche modo adatto a questo momento. È un vecchio compagno anche lui.

«Non ha perso la mano,» commenta Charlie, neutrale.

«Ho affinato la tecnica,» rispondo altrettanto distaccato, con un sorrisetto automatico.

«E quello com’è successo, allora?» indica il mio fianco malandato.

«È una lunga storia e dovrai sorbirtela tutta, quindi non vedo perché dovrei darti anticipazioni. Sempre che tu sia disposto ad ascoltarla,» rispondo, ondeggiando tra ironia e un tentativo di sondare i suoi pensieri.

«Ohi, Maggiore, stia un po’ a sentire…» scuote la testa lui, ricadendo nel suo accento cantilenante, ma lo interrompo con un sorriso divertito:

«Colonnello.»

«Come le pare,» sbuffa lui, assieme al fumo. «Dicevo, non penserà che ho alzato le chiappe da Dublith per venire fin qui per nulla,» continua poi, quasi offeso, e quelle parole mi causano un sussulto speranzoso nel petto.

«Non so cosa dovrei pensare,» replico senza sbilanciarmi. «Perché sei qui, Charlie?»

Lui stringe le labbra sul filtro della sigaretta, sbiancandole in un moto perplesso.

«Ma che diamine, perché mi ha chiamato!» sbotta poi, allargando i palmi rovinati dai calli. «Erano questi i patti, no? Erano questi,» ribadisce convinto, dandosi una pacca sulle ginocchia.

Provo l’improvviso istinto di scoppiare a ridere per il sollievo, e mi sento revitalizzare dalla luce che gli illumina gli occhi chiari.

«Sì, Charlie, erano questi,» rispondo semplicemente, trattenendo la piega malinconica che sta assumendo il mio sorriso. «Forse, semplicemente, non mi aspettavo che venissero rispettati,» ammetto, esponendomi forse troppo.

«Gliel’ho detto, ci sono stati dei contrattempi… Gente difficile da reperire, gente morta, gente che andava convinta… ci è voluto un po’,» spiega flemmatico, alternando le parole alle boccate di fumo.

Schiudo le labbra in un moto di sorpresa che non riesco a reprimere.

«Non sei solo?»

A quel punto Charlie strabuzza gli occhi.

«Ma per l’inferno, Maggiore, che le prende? Per chi ci prende?» si corregge, e quasi temo che si alzi di scatto per agguantarmi il bavero per esternare la sua frustrazione. «Ci siamo tutti, e chi non c’è sta sotto due metri di terra, ma può scommetterci che sarebbero venuti pure loro,» dichiara poi, più mestamente.

Mi prendo un momento di silenzio, cercando di assorbire quell’informazione che mi apre il cuore, gettandovi una luce finora soffocata dal pessimismo e dal cielo bigio di Central City. Nel vedermi silenzioso, Charlie si china in avanti, quasi a dar più peso a ciò che sta per dire:

«La guerra non è finita,» scandisce, adesso del tutto serio, e contraggo le dita nel sentire le mie stesse parole.

«No,» gli confermo, riprendendo il controllo e inclinando appena il capo, «e adesso ne sta per cominciare un’altra.»

Un brillio feroce scaturisce nelle pupille del mio compagno. Poggia un gomito sul bracciolo, sostenendo il capo sulle nocche.

«Buono a sapersi, Maggiore.» Charlie ghigna nell’usare deliberatamente il grado sbagliato, sbuffando una boccata di fumo. «Qual è il piano?»

 
 

Riza, forse grazie al suo innato intuito, forse grazie al fatto di conoscermi da mezza vita meglio di me stesso, ha capito che c’è qualcosa che mi turba all’incirca tre secondi dopo avermi visto.

Anche se, pensandoci bene, averle dato un appuntamento nella periferia di Central City spedendole un mazzo di fiori in codice potrebbe essere stata una mossa rivelatoria in mio sfavore.

E pericolosa. Così pericolosa che mi sento come se qualcuno mi stesse tenendo un coltello sulla gola, col filo che mi intacca la pelle e un rivolo di sangue che mi scorre lungo il collo, costringendomi a deglutire il più piano possibile per non recidermi la giugulare.

Siamo in silenzio da forse un’ora, da quando l’ho recuperata con la macchina al punto d’incontro, per poi seguire strade e percorsi tortuosi attraverso la città per assicurarci che nessuno ci stesse pedinando. Mi sono fermato al luogo da me prescelto da una decina di minuti: un vicoletto buio stritolato tra due fabbriche nella zona industriale.

Le ciminiere sono spente, eppure il sentore di carbone bruciato penetra fin dentro l’abitacolo, acre e sgradevole. Non apriamo i finestrini, quasi non respiriamo nemmeno; siamo tutt’uno col buio denso, illuminato solo da qualche lampada a gas troppo lontana per arrivare fino a noi.

So che Riza sta aspettando una spiegazione per questo incontro improvviso, folle, sotto ai mirini, e il punto è che non ce n’è una, se non quella di volerla vedere – nonostante adesso sia a tutti gli effetti un ostaggio. È un desiderio che ho assecondato forse due volte in sei anni, perché è sempre troppo rischioso farsi vedere da soli fuori dal Quartier Generale.

L’ultima volta che è successo, Hughes era appena morto. Riesco a percepire la sua preoccupazione che mi fa vibrare l’aria contro i timpani, a stento trattenuta.

«Scusa per la convocazione improvvisa, Tenente,» esordisco, con voce roca per il lungo silenzio.

Riza alza appena lo sguardo, rivolgendomi quegli ampi occhi castani che sembrano sondarmi l’anima ogni volta. Ogni volta, cerco di non chiedermi cosa potrebbero mai vedere, se non sangue e fiamme.

«C’è qualche problema, Colonnello?»

È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni. Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.

«Ho rivisto Charlie Deshaw,» esalo, e anche se dovrebbe essere una buona notizia, non suona tale.

Colgo il suo fremito di sorpresa, seguito da un respiro rapido, di quelli trattenuti che prende prima di sparare un colpo.

«Cosa è successo?» chiede, girando infine il busto verso di me, con gli occhi fermi di chi allinea lo sguardo con la canna di un fucile.

Scrollo il capo, e lascio che i capelli mi schermino in parte il volto. Incontrarsi è stata una decisione sciocca, per usare un eufemismo. È stata una decisione che potrebbe costarci la vita, e sono stato io a prenderla per entrambi.

«Nulla,» sospiro. «Abbiamo il suo appoggio e quello della vecchia truppa. Tutto secondo i piani, anche se in ritardo rispetto al Giorno della Promessa… dovremo accelerare i preparativi, ma…»

«Roy.»

Mi irrigidisco, con la pallottola che si conficca sotto il cuore spegnendomi il resto della frase in gola.

«Non pensare di poter nascondere qualcosa a me,» mi rimprovera poi.

Sento i suoi occhi da cecchino che mi trapassano, e lo scricchiolio una crepa che incrina la solida struttura di distacco interposta tra noi. Non sono il solo ad essere turbato, questo mi è ormai chiaro. Ha tutte le ragioni per esserlo, visto che è intrappolata nella tana del lupo – per colpa mia, sempre per colpa mia.

«Cosa è successo?» chiede di nuovo, livellando la voce.

Non la guardo, come non l’ho guardata per tutto questo tempo. Pondero per un istante l’idea di rimettere in moto e allontanarmi da lì, ma so che non me lo perdonerebbe mai. E sarebbe da veri vigliacchi.

«Abbiamo parlato,» comincio, quasi svogliatamente.

Esito, mi mordo piano le labbra con gli occhi inglobati dal buio, fissi sui lumicini lontani. So dal modo in cui si irrigidisce sul sedile che ha capito, e probabilmente l’ha capito dall’istante in cui ha trovato il mazzo di otto dalie viola e un ibisco sulla porta. L’ha capito, perché i fantasmi e le ombre sono gli unici motivi che potrebbero spingermi a un atto così sconsiderato; l’ha capito perché per lei è lo stesso, solo che i suoi fantasmi e le sue ombre glieli ho impressi io sulla pelle.

«Abbiamo parlato del piano, delle nostre vite, dei nostri commilitoni…» elenco stancamente, e mi copro gli occhi con una mano, sentendo la ferita sul dorso tirare fastidiosa. «Non di Ishval,» esalo infine.

L’ultima parola cade tra di noi come un macigno che ci manca per un soffio.

Alzo finalmente la testa per guardarla. Ci limitiamo a fissarci, con le pupille rese enormi dall’assenza di luce. Forse, in un altro momento, basterebbe questo per cancellare l’angoscia che mi opprime da giorni, ma non oggi.

«Si aspettava di parlarne, Colonnello?» chiede lei, e riconosco quel tono più morbido che raramente le smussa la voce schietta, nonostante il tentativo di recuperare distanza.

«Credevo fosse inevitabile, Tenente,» replico, con una punta di rimpianto.

Gettiamo i nostri gradi nello spazio che ci divide in una debole, forzata difesa. Stringo le braccia al busto, avvertendo il morso della ferita farsi più acuto.

Charlie e io ci siamo mossi attorno ad Ishval come se fossimo ancora in trincea, intenti ad aggirare un ordigno inesploso a distanza di sicurezza. È stata una reticenza comune mai infranta, portata avanti in sincrono quasi fosse un balletto collaudato; un mutuo evitare determinate parole, uno schivare potenziali allusioni, un rimanere sempre al livello del presente e del passato prossimo, coi piedi ben piantati a terra per non sprofondare nel fango.

«Magari non era con lui che volevo parlarne,» constato infine, e lei scosta gli occhi dai miei, ritraendosi.

Come se si fosse scottata. Il pensiero mi incide il cuore di tacche dolorose. Prima di poter tornare sui miei passi ed esonerarla da una conversazione che sarebbe l’equivalente di piantarci un pugnale nel ventre a vicenda, lei si riscuote, scrutandomi da sotto le ciglia folte.

«Dopo sei anni?» chiede soltanto, e la sua voce è ferma.

Esito, con le parole che mi battono in gola.

«Dopo sei anni,» confermo laconico.

Il Giorno della Promessa è ancora lontano, fumoso: potrebbero esserci altre occasioni, altri giorni, altre opportunità. Ma siamo qui adesso, celati dalla notte, con le parole intrappolate in un abitacolo appannato. Se c’è una cosa che ti insegna la guerra, è godere di ogni momento e non rimandarne nessuno. E adesso, siamo in guerra.

Riza tace, ma annuisce appena. Un cenno minuto del capo che sembra spezzare le catene dei miei pensieri con la volontà di ascoltarmi e farsi ascoltare. Forse ha aspettato anche lei per sei anni, o forse voglio solo crederci e credere che la nostra affinità arrivi a includere anche il ritmo con cui si risanano le nostre ferite. Sei anni vicini, e allo stesso tempo distanti, non sono bastati a nessuno dei due. Mi rilasso un poco, assaporando il refolo di pace che accarezza la mia mente sconvolta.

Riza guarda fuori dal parabrezza, in alto verso il cielo nero. Si vede qualche timida stella qua e là, soffocata dalle luci lontane di Central City.

«Si ricorda il cielo a Ishval?» mi chiede, assorta.

Trova la mia mano, e il contatto con la sua pelle liscia mi prende di sorpresa, quasi dimenticato. Chiudo gli occhi e di nuovo mille immagini si sovrappongono dietro le mie palpebre, in un distorto gioco d’ombre. Prima o poi bisogna dare voce ai fantasmi. Sento il mio cuore aumentare i battiti e intreccio le dita alle sue.

«Sì, certo,» rispondo piano.

Stavolta, lascio che un sorriso leggero e dolceamaro mi attraversi brevemente il volto.

«Era bellissimo.»


 


 
Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
ho finalmente deciso di dividere in due il prologo, che era di una lunghezza improponibile :')
Non è cambiato nulla, se non alcune correzioni dal punto di vista formale ♥

-Light-


P.S. per capire l'affermazione finale di Roy dovrete arrivare alla fine della storia... non siete contenti?
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_