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Autore: Fenici_Bianche    01/05/2021    0 recensioni
Esistono dei miti che provengono da oriente rispetto al Paese del Vento: parlano di un vento di terra e foglie marce che porta con sé qualcosa che aspetta e tortura pazientemente, fino a quando la preda non cade in trappola.
Gaara della Sabbia non ne è a conoscenza, o forse non ci ha mai dato peso. Per questo, si trova a dover fare i conti con ciò che si nasconde nell'ombra.
Ma è difficile sopravvivere quando è il tuo stesso animo a tradirti. Il Villaggio della Sabbia, la sua gente, rischia molto ed ha poco tempo, prima che la tempesta di sabbia s'abbatta su di essa.
Che l'arrivo del Sesto Hokage del Villaggio della Foglia e del suo seguito sia una fortuna, solo il tempo saprà dirlo: Ino Yamanaka sarà in grado di liberare il Kazekage dal suo fato, o forse morirà tentando.
D'altronde, il bene comune è sempre stato più importante dei singoli ninja.
[Post Quarta Guerra Mondiale dei Ninja, GaaraIno, qualche accenno a ShikaTema. Accenno a una one sided KankuSaku. Storia a cadenza mensile]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ino Yamanaka, Kakashi Hatake, Kankuro, Sabaku no Gaara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto Shippuuden, Più contesti
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Capitolo VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce

 

“Proprio così, Ino. È l’Assalto al Villaggio della Foglia.”

Temari soggiunse in suo aiuto, continuando a sorvolare il panorama di distruzione che, un tempo, il Suono e la Sabbia avevano inferto sul villaggio natio della giovane. Lei osservò con un nodo alla gola le abitazioni, così familiari, sbriciolate dagli attacchi dei nemici, in una dimostrazione di violenza che non rammentava d’aver intravisto all’epoca.

Cosa… Chi ha fatto tutto questo?

 

Si sarebbe fatta beffe della sua ingenuità, se soltanto ne avesse avuto la possibilità: il suo cuore ferito frenò ogni sarcasmo, per quanto patetico fosse. Sotto quel cielo rosso e nero per via del fumo degli incendi, in quell’aria pesante nei polmoni, Ino riconobbe l’incubo di quei giorni lontani, eppure attuale nella memoria del Kazekage.

“Ti prego Temari… dobbiamo trovarlo” disse la kunoichi della Foglia con tono dimesso, percependo la debolezza del suo spirito. Si sentiva piccola, impotente, scorgendo ricordi di persone indistinte, che appartenevano a tutti i popoli conosciuti dal giovane leader della Sabbia, e da cui era plasmata una folla dove passato e presente si sovrapponevano fra loro.

C’era la gente di Konoha che battagliava contro gli shinobi del Suono. C’erano persino gli abitanti di Iwa che piangevano agli angoli delle strade, pregando il cielo di risparmiarli. Nelle ombre, Ino riconosceva i ninja di Kiri per via del coprifronte, i quali perlustravano le macerie con sguardi pieni di malinconia.

Dov’è… dov’è il tuo popolo, Gaara?

 

L’alleata della Sabbia rispose alla sua preghiera: planò velocemente, seguendo le correnti verso una massa enorme, i cui contorni erano confusi dal fumo e dalla lontananza. Poi, quando ormai l’avevano raggiunta, l’erede del clan Yamanaka capì quale fosse il motivo di un aspetto tanto informe: la creatura, simile a un animale dalla coda lunghissima, era completamente sovrastata dalla sabbia.

La ragazza impallidì, deglutendo a vuoto. Comprese anche la ragione per cui non avesse notato gli abitanti della Sabbia nel precedente panorama di devastazione: erano intrappolati fra la sabbia e la pelliccia dell’essere. I loro visi terrorizzati erano trasformati in statue viventi.

Questa è la Bestia a Una Coda… Shukaku!

La giovane kunoichi non aveva memoria di quella creatura, se non quella legata alla Quarta Guerra Mondiale dei Ninja. Come molti altri suoi coetanei, all’epoca dell’Assalto alla Foglia, era stata vittima di un genjutsu che le aveva indotto un sonno profondo, impedendole di partecipare alla difesa del suo villaggio, al fianco del padre e di Shikamaru.

Impedendomi di proteggere il Terzo Hokage…

Ino percepì lo spettro di lacrime di cui aveva già asciugato il segno da tanti anni. Aveva considerato quel vecchio capo villaggio come un matusa a cui sarebbe mancata la volontà di fronte al pericolo. Invece, l’aveva smentita nel modo più assoluto. Un altro Kage si era guadagnato lo stesso tipo stupore da parte di chi l’aveva conosciuto in tenera età.

Dove sei, Quinto Kazekage del Villaggio della Sabbia?

L’erede del clan Yamanaka setacciò le pieghe della pelle della bestia con lo sguardo, cercando fra i volti insozzati dalla sabbia quello del loro leader. Fu la sorella di quest’ultimo, infine, a indirizzarla per la strada giusta, rammentandole i particolari di un hiden di cui aveva solo sentito parlare.

L’Ospite… riposa sempre sulla testa.”

Allora, Ino lo vide. Riconobbe quel suo corpo inerte, racchiuso per metà dentro un involucro di pelle e sabbia. I suoi occhi erano chiusi e l’espressione appariva stanca persino quando era incosciente.

Gaara…

 

Un pensiero che era poco meno di una supplica, già esasperata da quella situazione paradossale, da quel ragazzo che si rifiutava d’uscire dal suo dolore. Ino strinse i bordi affilati del ventaglio fra le dita. La ferirono, ma furono un aiuto in mezzo a tanta, penosa frustrazione.

“Temari… come lo raggiungiamo?” chiese con la voce tremante. Il tanuki non offriva, infatti, una zona d’atterraggio semplice: aizzava la sabbia di cui era rivestito ovunque, sfaldando le abitazioni del villaggio e la foresta vicina quasi fossero trascinate da una marea di fango. Il suo capo zigzagava a destra e a sinistra, alla ricerca di prede per la sua furia a cui rivolgeva zampate capaci di sconquassare la terra. Quando Ino rialzò gli occhi, Temari le sorrideva.

“Mi hai chiamata per un motivo, amica mia… distrarremo il suo gelosissimo custode.”

La donna le rispose in un unico sospiro. Appena ne produsse un secondo, il suo corpo etereo baluginò nell’oscurità d’un cielo fumoso e di fiamme acri. Un barlume di speranza in mezzo al buio. Al terzo sospiro, la volta celeste si cosparse di punti luminosi. Guizzavano in ogni direzione, simili a stelle cadenti che volessero esaudire un desiderio.

I kamatari!” Ino spalancò gli occhi. Le creature evocate da Temari si riunirono in formazione e, con una spinta compiuta all’unisono, volarono verso il muso di Shukaku, distogliendolo dalla sua rabbia senza un obiettivo preciso. Gli esseri simili a donnole lo perseguitavano schizzando da una parte all’altra del suo campo visivo, ottenendo tutta la sua attenzione. Fu sufficiente perché le due kunoichi potessero avvicinarsi al Monocoda fino a balzare indisturbate sopra la sua testa.

“Coraggio Ino…. Non abbiamo molto tempo prima che spariscano” l’amica annuì seguendola verso la sommità del capo dove Gaara riposava.

 

Quando la ragazza scorse la sua schiena immobile, le sue spalle cadenti, le sue braccia inerti, non le sembrò che dormisse. Le ricordò un ninja nemico sconfitto, che attendesse rassegnato la sua sorte. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra. In fretta, si portò di fronte al Kazekage appoggiando le mani sul suo volto.

“Ti prego… svegliati” l’implorazione cadde vana su quel volto di cera, una maschera da sepoltura ideale per un defunto dal passato illustre. L’idea l’atterrì. Le sue dita strisciavano su una pelle liscissima, priva d’imperfezioni.

Siamo arrivate tardi” un sibilo che aveva sconfinato oltre le sue barriere mentali per concretizzarsi nel mondo costruito dalle scelte del Kazekage, palesando la paura più grande della giovane Yamanaka. Talmente si sentiva responsabile di quello spettacolo macabro che l’aria le abbandonò i polmoni.

Un’ancora di salvezza le agganciò una spalla, salvandola da un mare di disperazione. Temari sorrideva ancora. Era più effimera di un sogno a occhi aperti. “Sono qui per questo, Ino… lascia fare a me.”

Sotto gli occhi attoniti dell’amica, la donna s’accovacciò di fianco al fratello premendo la fronte contro la sua. Aveva allungato una mano avvolta dalla luce per circondargli le spalle, stringendolo in un abbraccio dal vago sentore d’un desiderio che quei due fratelli condividevano in segreto. Temari aveva uno sguardo talmente dolce che Ino avvertì l’impulso d’allontanarsi, provando la vergogna di disturbare un momento di cui non doveva essere spettatrice. Ma la kunoichi della Sabbia la trattenne, afferrandole una mano.

“Va bene così, amica mia… non posso restare a lungo”

Condusse le sue dita verso la fronte di Gaara, irrorandole della stessa luce che, lentamente, consumava la sua figura fiera anche in quei frangenti di tenerezza. “L’ultima cosa che posso fare… è aiutarvi.

 

Un sussurro leggero, come ogni cosa divenne dopo quelle parole. Ino rimirò il bagliore che da Temari si spandeva sommergendoli in un tepore confortevole. Leniva il dolore e la paura. Un abbraccio pari a quello che la donna aveva donato al fratello.

In mezzo a tutto quel chiarore, a Ino parve di rivederlo, ma questa volta messo in atto da due ragazzi più piccoli, appena ritrovatisi dopo uno scontro da cui entrambi avevano rischiato di non ritornare. Ino lo sapeva, anche se non era stata presente nel momento in cui Naruto aveva sconfitto Gaara, salvandoli.

Temari sosteneva il futuro Kazekage del villaggio aiutandolo a camminare e Kankurō faceva altrettanto al fianco opposto. Ma la sua versione dei fatti non era parte di quanto la kunoichi della Foglia osservava.

Era il battito di cuore della sorella di Gaara che percepiva come se fosse il suo. Era il suo respiro, gravato dagli ansimi, che le saliva su per le narici. Erano le sue lacrime che le scendevano lungo le guance, inducendo il suo corpo a sussultare affranto. Poi, udì quelle parole che avevano scosso Temari, pronunciate in un tono trascinato da una stanchezza che riguardava tutto quanto quel fratellino aveva sofferto in una vita così breve.

“Temari, Kankurō… perdonatemi.”

 

Allo stesso modo di come li aveva inglobati in essa, la luce svanì. Lo spirito della kunoichi della Sabbia non c’era più. Ma le ciglia del fratello vibrarono.

“Gaara…” Ino mormorò accostandosi a lui, appoggiando le mani sulle sue spalle ora sostenute da un ritrovato stato di veglia. La ragazza percepì il calore dell’amica che l’abbandonava, pur offrendole un’eredità importante. Un’ultima raccomandazione prima di sparire definitivamente.

Ino… te lo affido.

Alla fine, Gaara aprì gli occhi. La kunoichi lo fissò mentre il suo sguardo azzurro metteva a fuoco il resto di quel mondo personale da cui era circondato e notava il suo volto solcato di lacrime. Avvertì le sue spalle irrigidirsi sotto le dita, il suo respiro che fuoriusciva affrettato dalla bocca.

Ino…” sussurrò alzando le mani sulle sue guance, asciugandole. Aveva una delicatezza tale da farla sentire la più giovane dei due. Eppure era lei la più grande, colei a cui era stato dato il compito di liberare Gaara da quel carcere a cui si era condannato spontaneamente. Perciò parlò con voce ferma, sebbene carica di emozione per quanto aveva assistito. Era consapevole che anche quel leader tanto giovane ne era stato colpito in egual misura.

 

“Tua sorella… ti vuole davvero bene.”

Era una considerazione semplice, eppure le appariva così straordinaria. Persino lei, Shikamaru e Chōji avevano avuto più possibilità di formare un legame solido come quello di una famiglia. Dalle chiacchierate con Temari e Kankurō, sapeva che entrambi provavano dispiacere per questo. Era certa che anche il ragazzo di fronte a lei serbasse lo stesso sentimento nel suo cuore.

Lui si limitò a fissarla. Le sue dita erano un po’ più calde. Il suo sguardo aveva una vena di rimpianto che luccicava a ogni battito di ciglia. “Ormai… non ha più importanza… non c’è nulla che possa essere fatto per me” la kunoichi scosse la testa vigorosamente udendo il fatalismo da cui era permeata la replica del Kazekage. Gli prese i polsi distogliendolo dal tentativo d’arginare le sue lacrime, in modo che l’ascoltasse per davvero.

“Gaara… c’è ancora tanto che può essere fatto… ti sei lasciato un sacco di cose alle spalle” la sua voce riverberava tutt’attorno a loro. L’Assalto al Villaggio della Foglia si stava lentamente dissolvendo, lasciando solo un vago rumore di sottofondo e una luce che derivava dagli ultimi rimasugli dell’energia di Temari. Il bianco del nulla si stava chiudendo su di loro, scarcerandoli da una parte del dolore provato da Gaara.

“Hai… hai chiesto perdono per tutto quello che hai fatto… hai offerto la tua vita al villaggio e hai rischiato di perderla per proteggerlo” quell’affermazione formò un’ombra nello sguardo del giovane, ma Ino non se ne curò. La sua voce era sospinta dalla bramosia di dirgli cosa credeva potesse soccorrerlo da sé stesso.

“E… durante la guerra, chiunque ha avuto modo di capire cosa ti fosse stato fatto.”

 

In quel momento, anche l’ultimo scorcio del ricordo svanì. Restarono loro due, la luce candida e il silenzio. Ino deglutì, un fremito la percosse come uno schiaffo. Gaara aveva le mani ferme in alto, tenute per i polsi da lei. Tuttavia, il suo sguardo bruciava come se tutto il fuoco e la rabbia dell’evento passato si fossero riversati nel suo cielo cristallino.

“Davvero? E cosa mi sarebbe stato fatto, esattamente?” la ragazza spalancò gli occhi, trasalendo. Non si era neppure resa conto che era stato il giovane a pronunciare la domanda, talmente le era arrivata affilata quanto il lancio di un kunai.

“Gaara… ti hanno manipolato come se fossi un giocattolo” poco prima che concludesse la sua replica, il Kazekage strattonò i polsi dalla sua presa. Fu un movimento rapido, netto. L’erede del clan Yamanaka percepì le dita frustate con violenza. Si afferrò le mani una alla volta, inspirando a denti stretti: la pelle avvampava per il male.

“Così le mie colpe sarebbero giustificate perché qualche idiota pensava fossi un esperimento divertente?” Ino fu ferita da quella domanda, fredda nel tono come le notti del deserto. Rialzò gli occhi dalle sue mani per incrociare lo sfarfallio delle fiamme in quello sguardo gemello al suo nella sfumatura, sebbene fosse molto più crudele. Rabbrividì. In un istante provò un’enorme vergogna.

“No Gaara… non volevo dire questo.”

Quanto sono patetiche le mie difese…

 

Ino si sbugiardava già nel suo animo, aprendo la strada a quell’espressione gelida che si avvicinava piano al suo viso, impartendogli il silenzioso ordine di restare immobile. Non reagì nemmeno quando la mano di Gaara salì alla sua nuca, agguantandole la pelle con forza. Trasalì, gemendo dal dolore.

Davvero… nella tua mente le cose feriscono come nella vita reale.

Le sue riflessioni amare trovavano verità in quegli occhi che era costretta a fissare. Le occhiaie di Gaara non erano altro che il limitare d’un cerchio di fuoco. “Hai una vaga idea di quanto piacere provassi nell’uccidere? Nell’annullare completamente un avversario fino a quando non restava altro che un mucchio di carne e ossa?”

Le iridi della giovane vibrarono, ma non potevano in alcun modo piangere. Il cuore le batteva all’impazzata, l’istinto le intimava di muoversi mentre la paura la frenava, mentre Gaara si accostava al suo orecchio soffiando una sentenza che dava nome alla più tremenda delle torture.

“Vorresti provare queste emozioni sulla tua pelle?”

 

“No!” La voce di Ino le morì in gola. Ebbe giusto il tempo di afferrargli le spalle, prima d’esalare un gemito di dolore. Strinse l’immagine del leader della Sabbia che spariva. L’ultima sensazione tangibile a cui poté aggrapparsi era la mano del ragazzo ben salda sulla sua nuca, da cui era costretta a precipitare nel vuoto, dentro un universo estremamente pericoloso.

Sono in balia dei pensieri di Gaara...

Come lo pensò, sapendo bene di mostrare le sue riflessioni al ragazzo che aveva preso il controllo della sua percezione delle cose, la voce del giovane la circondò, conducendola in un panorama buio.

“Vorresti vedere i miei primi omicidi dopo la morte di Yashamaru?”

La voce di Gaara era cortese oltre ogni dire, eppure Ino ne avvertiva il veleno addosso. Era una macchia scura che scivolava via da lei per plasmare gli attori di quello spettacolo imposto, le facce terrorizzate dei ninja della Sabbia che imploravano pietà e, in cambio, ricevevano il fracasso delle loro ossa che si spezzavano a causa della sabbia. La giovane Yamanaka sospirò, alzando una barriera difensiva contro quelle sensazioni dei ricordi, eppure ne venne investita comunque, quasi fosse un naufrago alla mercè del mare.

Un violento piacere l’assalì, tramutandosi in un sospiro crudele, persino dolce, da cui i suoi polmoni furono spinti ad allargarsi fino al limite, come se quelle morti improvvise avessero aumentato il suo spazio vitale. Ino singhiozzò, percependo quel suo corpo fluttuante, privo di sostanza, abbandonarsi verso quegli stralci di passato da cui era avviluppata. La sua vista perdeva contatto con la sua volontà e riproduceva qualunque cosa Gaara volesse mostrarle, senza celare nulla.

Così tanta rabbia… così tanta sofferenza.

I pensieri della kunoichi vorticarono pieni di tristezza. Parve che il buio si stringesse, opprimendola.

 

“Forse non è abbastanza, in fin dei conti mi stavo semplicemente difendendo… Vorresti rivivere le morti dei genin durante l’esame di selezione dei chūnin? La mia indifferenza alle loro grida?

Ti prego Gaara… fermati.

La sua richiesta era priva d’energia e lui non l’ascoltò. Il buio diffuse le urla strazianti dei ragazzini contro cui si erano sfidati nella Foresta della Morte. Genin che non aveva mai incontrato per pura fatalità e che, ora, ritornavano in vita soltanto per morirle di fronte con i loro pianti, con la sabbia che li annientava dentro i suoi sarcofagi. Un’altra ondata di appagamento, questa volta più fredda, la travolse al punto da svuotarla delle sue emozioni.

Era ciò che sentivi, Gaara?

Lui non le rispose. Non l’apostrofò con quelle sue domande garbate e altere. Le spalancò la porta a una nuova scena del passato, non soddisfatto delle sue reazioni, del fatto che si fosse lasciata incatenare in quella prigione di incubi senza opporre molta resistenza. Così la colpì usando l’unica arma davvero efficace: i suoi legami.

L’oscurità disvelò l’ultimo atto di una sceneggiata senza capo, né coda: modellò il volto impaurito di Temari mentre veniva attaccata da un arto di sabbia, deformato in una sembianza animalesca. I ricordi di Gaara le diedero tutte le informazioni sul contesto, relativo a quell’infruttuoso Assalto al Villaggio della Foglia. Ma quanto vedeva non faceva parte dei piani del Suono e della Sabbia. Era uno sfogo inaspettato. Il capriccio di un bambino.

Non andare oltre…

 

Ino rabbrividiva e scompariva in quella visione, nel gusto vendicativo a cui quel Gaara si era abbandonato colpendo la sorella. La ragazza era talmente provata da non percepire altro di sé stessa, se non quella richiesta lieve che tentava di articolare con la mente.

Non ferirci entrambi in questo modo…

In un baleno, quella visione cambiò obiettivo per prendersi gioco della sua ritrosia, per ottenere quella reazione disperatamente ricercata dal suo carceriere. I sensi della giovane, completamente in simbiosi con quelli del Kazekage, balzarono su Sakura.

S’interessarono di quella sua posa difensiva inutile, ancor prima di combattere. Vide il kunai alzato dell’amica. Fremeva insieme alle sue spalle, insieme all’animo di Ino. La sabbia deforme la raggiungeva. Il cuore di quel ragazzo antico batteva all’impazzata.

Basta!

 

Ino tuonò con la paura di morire per l’intensità della sua emozione. Aveva squarciato il velo d’ombra credendo di gettarsi a proteggere l’amica. Invece, era di nuovo in quello spazio luminoso, di fronte a Gaara. Le mani della kunoichi tremavano aggrappate alle sue spalle. La sua vista era proiettata verso il basso, ma non c’era la patina lucida delle lacrime a offuscarla. Aveva due occhi vuoti. Un animo vuoto.

Il Kazekage colse il brivido di quel suo corpo apparente. Appoggiò le mani sulle sue spalle chine, contenendo in parte il tramortimento che impediva alla kunoichi di concentrarsi, di riprendere contatto con la situazione in cui lei si trovava. Eppure, la voce del ragazzo non fu magnanima come il suo gesto.

“Questo è solo un assaggio… Yamanaka Ino.

Aveva la voce ferrea di quando l’aveva trascinata in quel viaggio degli orrori. Il respiro di Ino continuava a essere lento e carico di ansimi.

“Non ti trovi di fronte a un giocattolo… ma a un mostro.”

Ino sbuffò. Il suo corpo s’allargava e si comprimeva. La ragazza si percepiva un po’ meglio, anche se era instabile, sul punto di distaccarsi dalla mente del Kazekage per colpa di un peso da cui era schiacciata.

“Vattene da qui, prima che diventi il tuo peggior incubo.

A quel punto, un moto improvviso la scrollò, ma era completamente diverso da quanto aveva sperimentato. I suoi muscoli si contrassero attorno allo stomaco, spingendola a sospirare una risata flebile come riflesso del gesto. Con lentezza, Ino rialzò gli occhi su Gaara osservando la sua espressione interdetta, sebbene fosse dotata di uno sguardo sempre battagliero. Glielo puntava addosso minacciandola, però era un tentativo vano. Lei aveva capito.

 

Stirò la bocca in un sorriso con cui sforzò i suoi muscoli facciali al limite. Ogni movimento, per quanto minuscolo, era una sfida contro la sua paura, la sua fragilità, il suo desiderio di andarsene. Con delicatezza sollevò una mano sul viso di Gaara, sfiorandogli la guancia. Toccò quella pelle sempre priva d’imperfezioni.

Il silenzio regnava sulle mille domande che il ragazzo avrebbe voluto soddisfare. Fissava lo sguardo di Ino, ancora parzialmente vinto da quanto aveva vissuto. In esso, s’agitava una fiammella arrivata alla fine della sua miccia, ma che non rinunciava a lottare. Ino ignorava il suo stato prossimo all’evanescenza soltanto per palesare una serenità di cui non c’era traccia in entrambi e che, tuttavia, presentava lo stesso come se fosse l’unica emozione che risiedesse nel suo animo.

Per chi lo fai, Yamanaka Ino?

Il pensiero di Gaara aleggiò in entrambe le loro menti quale un’illusione sottile. La voce di Ino era più concreta.

“Kazekage… Gaara” il suo tono divenne più dolce scegliendo di chiamarlo per nome. Il ragazzo era intimorito e il suo cuore sbraitava al posto di quella sua figura immobile. Le dita della giovane scesero dal volto fino alla base del collo, lisciando la nuca.

“Per quanto tu possa sforzarti… per quanto tu possa ferirmi o spaventarmi… non potrai mai essere il mio peggiore incubo.”

Un soffio che alimentò un altro tipo di fuoco nello spirito di quel leader giovane. Le sue guance arsero al posto degli occhi, dove l’incendio di poco prime s’era estinto. La kunoichi raggiunse con la mano i suoi capelli, procurandogli un brivido da cui era impaurito e catturato al tempo stesso.

 

“Vorresti scoprirne il motivo?”

In quell’istante, fu il turno del Kazekage di vagare nel cuore di Ino. Tuttavia, la presa della kunoichi era gentile. La pressione della sua mano sul collo se ne sarebbe andata alla minima ritrosia di chi era guidato fra quelle visioni. Pareva sussurrare: “Se non vuoi restare, non ti tratterrò.”

Tuttavia, lui si abbandonò a quel buio dove l’erede degli Yamanaka lo guidava con la poca energia di cui disponeva. Per questa ragione, ciò che il giovane rimirò nel palcoscenico creato dall’ombra era filtrato da un velo, eppure egli non poté fare a meno di restarne avvinto.

Era Ino mentre ascoltava il pianto di sua madre dall’altra parte di una porta chiusa, subito il dopo il funerale del padre. Era lei, oppressa dall’impotenza, quando appoggiava mazzi di fiori, pesanti come macigni, sulle tombe di Inoichi e del padre di Shikamaru. Aveva il sapore salato delle sue lacrime sulla lingua dopo una notte d’incubo, dove gli amici della giovane erano morti per mano di ninja nemici senza una forma precisa. Gaara si accorse che stavano volgendo il tempo all’indietro, perché visse una rabbia crudele, vendicativa, udendo la notizia che colui che aveva ucciso Asuma era sepolto, in pezzi, nella proprietà dei Nara.

Quella furia, un fuoco di paglia, si dileguò nel ricordo di una visita fatta assieme ai compagni di team all’ennesima tomba, quella del maestro. Le sue emozioni si venarono di biasimo mediante il suono di una conversazione fra lei e Shikamaru.

“Se fossi stata più forte… il nostro maestro sarebbe ancora qui” una scrollata di spalle del compagno di team accompagnò una replica laconica, la quale celava in malo modo un’identica vergogna.

“Non possiamo essere tutti Naruto, o Sakura.”

 

L’immagine dell’amica di Ino si materializzò di fronte a lui e sentiva che lei la scrutava con amore e un profondo senso di colpa. Sakura era ben vestita, bella negli abiti mondani con cui aspettava un assente seduta a una panchina. Gaara comprese di essere tornato in un tempo recente, in cui la voce di Sakura fuoriusciva adulta dalla bocca piegata in basso: “Me lo dovevo aspettare… Lui non viene mai quando c’è il sole.”

 Il cuore di Ino si stringeva attorno a quell’immagine del passato, eppure attuale a ogni nuovo incontro con l’amica di sempre. Rivisse con lui tutte le giornate passate a vedere Sakura che aspettava un ragazzo di cui non c’era traccia. Condivise con lui la frustrazione per quel ninja che anche lei aveva amato e di cui intravedeva il profilo nelle ombre. I suoi lineamenti mutarono nel viso altrettanto pallido di un altro ninja della Foglia, di cui Gaara apprese il nome grazie al sussurro che percepì nel cuore di Ino e che strinse il suo in una morsa.

“Sakura… Sai… perché non potete essere felici?”

In quell’ultimo turbinio di sensazioni, sempre più deboli, il Kazekage riemerse dall’oscurità per tornare alla luce. Ino lo fissava di nuovo sorridendo. La sua presenza era più distante e inafferrabile. Lui la scorgeva a malapena dietro un velo che si scioglieva sulle sue guance. Quelle emozioni, quei sentimenti e ricordi l’avevano investito in pieno, pur col loro flebile tocco.

 

La kunoichi spostò le dita dalla sua nuca. Ne avvertì l’assenza tramite un brivido di freddo.

“Pensavi che avrei avuto paura nel mostrarti tutto questo? Che avrei provato imbarazzo per tutte le mie stupide preoccupazioni?”

No Ino…

Quel pensiero incerto pareva una scusa sussurrata vergognosamente. Gaara le teneva ancora una spalla. L’altra mano era andata ad asciugare il pianto sul suo viso. Con un gesto delle dita, Ino sollevò con dolcezza il mento di Gaara perché la guardasse. Era eterea, sfuggente come un miraggio. “In un certo senso… sono contenta” la sua voce e il suo sorriso perdevano consistenza. La spalla della kunoichi scivolava dalla presa del ragazzo.

“Persino una kunoichi inutile come me… ha tanti scheletri nell’armadio.”

Un’ultima, faticosa, ammissione. Ino sentì la propria mente cedere definitivamente. Cadde all’indietro, perdendo contatto con il mondo di Gaara. Probabilmente, sarebbe piombata in uno stato d’incoscienza da cui, poi, si sarebbe risvegliata soltanto una volta raggiunto il suo corpo reale, impedendole di portare a termine la sua missione. La tristezza che avvertiva nel suo cuore era tutta per quel fallimento grandissimo: non sarebbe stata in grado di salvare Gaara.

Perdonami per la mia debolezza…

Il suo pensiero spirò da lei raggiungendo colui che la stava afferrando prima che crollasse nel vuoto. La trasse di nuovo a sedere, fra braccia piene di calore da cui traspariva ancora il vago odore della brezza marina, di fiori appena sbocciati alla luce del sole. La ragazza si appoggiò al petto di quel compagno di vicissitudini, riacquistando il respiro al ritmo del cuore che batteva piano sul suo orecchio. Esalò un sospiro languido. Le mani del suo salvatore le sorreggevano la schiena, evitando che ricascasse.

 

“Ino… sono io a doverti chiedere perdono.”

Gaara le mormorò all’orecchio suscitandole uno sfarfallio in tutta la sua presenza. Era piacevole come una giacca appoggiata sulle sue spalle per proteggerla dal sole. Lei sorrise. La fatica e quella miscela di sensazioni non le concedevano di riaprire gli occhi.

“Non c’è nulla che debba perdonarti, Kazekage” rispose in un unico fiato. L’evanescenza della sua voce spinse il ragazzo a portare una mano sul suo capo, offrendole una sensazione di tepore ristoratore. La kunoichi si rese conto che soltanto il tocco del leader della Sabbia la serbava da un freddo glaciale, da cui sarebbe stata costretta ad andarsene perché intorpidiva la sua volontà.

“Sono io l’intrusa in questo mondo… mio padre mi ha insegnato che, nella mente, sentimenti ed emozioni sono vissute con un’intensità maggiore di quanto appaia esternamente… se avessi voluto farmi davvero del male, invece che spaventarmi, l’avresti fatto.”

Alla fine di quella spiegazione, lei riuscì a sollevare il viso, aprendo piano gli occhi sulla faccia arrossita del Kazekage. La sua espressione era tesa, persino preoccupata, eppure lei non ne era toccata. Si sentiva… felice, in balia di una marea da cui era trasportata a riva.

Anche se non volevi, Kazekage… alla fine ti ho capito.

Risistemò il volto sull’incavo del collo del ragazzo, già allo stremo delle proprie forze.

“Ino… come stai? Riesci a muoverti?” lei sbuffò esalando una risata effimera quanto le sue energie. “Sento che potrei precipitare da un momento all’altro… anche se non vorrei” il Kazekage s’irrigidì mentre la stringeva di più, riversando sul suo spirito un calore gentile tramite cui mitigava i suoi brividi.

“Allora… lascia che mi prenda cura di te.”

 

In un baleno, un nuovo vigore l’avvolse. Aveva lo stesso calore di cui Gaara le aveva donato un accenno con il suo abbraccio. Mutava rapidamente per diventare una parte di lei: la sensazione si adeguò al suo fiato, alleggerendone il peso a ciascun movimento delle spalle. Il battito del cuore echeggiò placido, sanato dalla fragilità causatagli dal freddo.

La kunoichi si sentiva meglio alimentandosi di quell’energia curativa, ma poi accadde qualcosa. La sua mente tornò lucida, partecipe di quanto viveva in quello spazio a immagine del Kazekage. A quel punto, lottando contro il tepore e il suo stesso spirito di sopravvivenza, la giovane Yamanaka alzò il viso dall’abbraccio di Gaara. Cercò a tentoni la sua mano, siccome la vista tardava a riappropriarsi del suo compito.

Con una fatica immane, spostò le dita del leader della Sabbia dai suoi capelli mentre le sue palpebre sbattevano sopra i suoi occhi, su cui si rifletteva il viso sfuocato e sorridente di Gaara.

“Cosa sta succedendo?” chiese. Lui non rispose a parole. Come trattenuto da una grande stanchezza, il suo pensiero le giunse alla mente. Sto solo cercando di rimandarti indietro… erede degli Yamanaka.

La sua risposta difficoltosa le indusse l’urgenza di riottenere il controllo della situazione. La giovane Yamanaka inspirò profondamente, scuotendo via gli ultimi rimasugli dei brividi da cui la sua percezione era stata turbata. Si concentrò su quel flusso d’energia che proveniva dal Kazekage e lo arrestò.

Lei era concreta come se si trovasse nella vita di tutti i giorni, ma Gaara restava effimero, la sua presenza sempre più labile quasi fosse un pensiero che la kunoichi volesse visualizzare a tutti i costi. In preda alla preoccupazione, la ragazza combatté contro sé stessa e contro l’altro per redistribuire quella forza vitale da cui lui si stava separando, ma dovette faticare parecchio per vincere la sua volontà d’acciaio.

Così tanta fatica per costringerti a sopravvivere… e dovresti essere tu il mostro?

 

Quella riflessione, da cui si distese un ghigno a denti stretti sulla bocca di Ino, fu in grado di soverchiare la ribellione del Kazekage. L’aveva udita, siccome entrambi non riuscivano a ripristinare del tutto il controllo sulle loro coscienze, talmente erano spossati da tutto.

La sua resistenza svanì, conquistata dalla determinazione di Ino, la quale si espanse in quell’immenso bianco plasmando un ambiente familiare su cui lei potesse sviluppare le proprie abilità innate: sull’orizzonte si delinearono le forme delicate dei fiori, contornate dall’architettura geometrica della serra posta dietro il negozio di famiglia. Il profumo delle piante promanava intenso, con il medesimo effetto di un toccasana. Il sole sfiorava le loro schiene, sebbene fosse filtrato dalla stoffa bianca della struttura. Ma il sudore che entrambi avvertivano sulle loro schiene non era dovuto alla calura del sole. Gaara lo sapeva bene.

Per questo, il suo volto ora nitido, così come il resto della sua immagine corporea, palesava disappunto e tristezza. Non vi era traccia di rabbia in lui, ma quell’emozione si era impressa nel suo animo esasperandone la voce.

“Ino… se non lascerai che io ti doni la mia energia… morirai” la kunoichi trasalì spontaneamente a quella sentenza di morte. Una reazione comprensibile a una prospettiva così misera. Ma non se ne curò, identificando la preoccupazione dell’altro come uno stratagemma per raggirarla.

“Risparmiami il teatrino, Kazekage… ti sono grata per avermi curata, ma non c’è bisogno che nessuno di noi due muoia: posso tornare indietro quando voglio per recuperare le forze… non c’è alcun bisogno che tu compia un sacrificio eroico” il leader della Sabbia fu colto di sorpresa. La fissò intensamente, poggiandole una mano sulla guancia per girarle il viso verso il suo. Ino sostenne quello strano esame non abbassando mai gli occhi, nonostante sentisse le guance calde.

“Quindi non lo sai… credevo avessi percepito il cambiamento, ma forse non ne hai avuto modo per via di tutto quello che è successo…” il ragazzo ponderava ad alta voce, manifestando un’abitudine che la giovane Yamanaka trovava simile a quella dell’Hokage di ragionare fra sé e sé anche in presenza degli altri. In entrambi i casi, lei soffriva un identico tipo di nervosismo.

 

“Insomma, Kazekage! Hai intenzione di dirmi cos’è che sai, una volta per tutte!?” sbottò liberandosi dalla sua presa gentile. Al seguito del suo animo frustrato, i fiori della visione sfarfallarono senza che il vento li avesse sfiorati, frusciando in un mormorio di foglie e petali. La terra sotto le loro ginocchia divenne più fredda e persino Gaara le apparve più altero, mantenendo la mano a mezz’aria per un lungo istante, quasi avesse perso qualcosa che non credeva gli sarebbe sfuggito.

Solo quando rimise la mano sopra il ginocchio, tastandosi il polso per controllare la stabilità della sua presenza in quella visione, decise di parlare usando un tono meno esasperato. Sembrava un’inutile difesa contro una tempesta.

“D’accordo, Yamanaka… ti dirò tutto” si schiarì la voce e, per una frazione di secondo, la ragazza si dispiacque di aver fatto trapelare la sua stanchezza, mettendo a rischio quel fragile equilibrio in cui condividevano un flusso vitale di cui avrebbero fatto volentieri dono l’uno all’altro. Ma lei aveva creato quello spazio affine alla sua memoria proprio per evitare che il ragazzo potesse dissipare la propria presenza a piacimento. Si mostrò tranquilla, pur col cuore che rintoccava pesante, attendendo quelle parole che, una volta udite, avrebbero spezzato il suo spirito.

 

Il sole pareva offuscato da una nube passeggera. Ino comprese da quale giornata avesse raccolto la serra in cui passava molto del suo tempo libero. Udì all’esterno un certo vociare indistinto, affrettato dalla cadenza di passi rapidi e dal clangore degli attrezzi di giardinaggio spostati in modo sbrigativo.

Un tuono distante rimbombò nelle loro casse toraciche. L’ultimo cinguettio d’un uccellino coraggioso sfidò il maltempo, mentre il primo picchiettio della pioggia si tuffava sul materiale idrofobo sopra le loro teste. Gaara riprese a parlare una manciata di secondi dopo, allineandosi ai lampi del temporale.

“Non riesco più a svegliarmi.”

 

All’inizio, la kunoichi non capì esattamente cosa Gaara le stesse rivelando. Lo fissò pensando che aveva un aspetto nostalgico in quell’angolo delle sue memorie. Le appariva una sorta di giardiniere a cui la pioggia evocasse le preoccupazioni dell’autunno e dell’inverno. Ino ci rimuginò sopra talmente tanto, senza che il ragazzo la interrompesse, da accorgersi solo in quegli istanti della mancanza di qualcosa in quella figura baciata da un sole che s’insinuava fra le nubi leggere.

L’assenza dell’ideogramma amore la colpì meglio di quanto le parole del Kazekage non avessero ottenuto. La ragazza ritornò indietro, al momento in cui aveva scorto il giovane da solo, nel deserto, rinchiuso nel suo elemento prediletto. Anche allora, rammentò, non aveva visto quella parola sulla sua fronte a cui il leader della Sabbia s’affidava, facendo sì che lo rappresentasse prima della sua voce, simile nell’impatto ai suoi capelli rossi. Non sapeva perché non ci fosse, né riusciva a chiederlo al suo portatore.

Semplicemente, sfiorò con la mano il suo viso, sempre così privo d’imperfezioni e, ora, di calore. “Gaara…” ripeté il suo nome come se potesse cancellare la loro angoscia. Strisciava le dita sulla guancia del ragazzo accarezzandone lo zigomo, anche se non c’erano lacrime a bagnarli il viso. Gli ultimi segni di quel gesto inusuale per lui erano sepolti nel suo animo.

“L’ho cancellata stanotte… poco prima che andassi sul terrazzo della Residenza” Gaara spiegò, in preda a un desiderio di non lasciare nulla di non detto. Lui, che parlava raramente, lo faceva per sormontare il senso di colpa che Ino provava.

“Non mi ricordo perché l’ho fatto… non so neanche se avesse senso quello che avevo pensato… non riesco a togliermi dalla testa che doveva essere un esame che ho fallito” lentamente, per non interrompere quel corso di pensieri, Ino raggiunse la fronte tratteggiando con l’indice le linee del kanji sparito dalla realtà e dalla mente.

Gaara s’abbandonò contro il palmo della sua mano causandole un fremito lungo la schiena, una stretta allo stomaco a cui non poteva dare un nome soltanto per paura. La ragazza la negò, sigillando le sue emozioni dentro una barriera impenetrabile anche per il ninja di fronte a lei.

Non è la mia storia ad avere importanza.

Si scambiarono uno sguardo. Il Kazekage le sorrise, dimenticando per un istante il peso del suo discorso.

 

Quella creatura che tu conosci con il nome di Nocnitsa… me lo ha rinfacciato una volta che mi ha imprigionato qui. Continuavo a sentire la mia voce da bambino che mi puniva per le mie scelte… sentivo un odore nauseabondo… vedevo occhi rossi dappertutto” il giovane leader deglutì prendendo fiato. Un movimento impercettibile gli scuoteva le spalle, qualcosa che si stava impegnando a mantenere sotto controllo.

“Ho cominciato a vedere il passato… tutto il male che ho causato… fino a quando non sono più riuscito a separarmene” la pioggia era insistente. Si accompagnava ai rombi di tuono e al luccichio dei lampi. Un’aria fresca penetrava dall’ingresso della serra. Cominciò a spazzare via i colori di quella scena, riportandoli al bianco. Ino era stanca, per quanto cercasse di respingere la sua spossatezza, le restavano poche energie.

Gaara le afferrò il polso che sosteneva la sua mano intenta a sfiorargli la fronte. Il cuore della kunoichi palpitava contro i polpastrelli del giovane, ricordandole quanto poco tempo restasse a entrambi.

Dov’è il tuo cuore, Kazekage?

Lui non ribatté a quel pensiero che frullò fino alla sua coscienza. L’attirò a sé mentre il ricordo di Ino perdeva consistenza, lasciando soltanto l’odore umido d’una tempesta lontana.

Gaara le riprese il viso con la mano. Erano di nuovo nella situazione di prima, come se lui non avesse detto nulla. Lei gli strinse le spalle istintivamente, sincerandosi che nessuno dei due sparisse nel vuoto.

“Ho cercato di dimenticare quanto potevo, sperando di salvarmi da me stesso… ma poi sei arrivata tu a ricordarmi che cosa mi stesse succedendo… Sei così ostinata, Yamanaka Ino…”

Come un cactus in mezzo al deserto…

Il pensiero del Kazekage evase il suo controllo giungendo alla mente della kunoichi. Lei arrossì, cercando di evitare che lui se ne accorgesse, ma non poteva più distogliere il viso dal suo. Era intrappolata, eppure… qualcosa la induceva a ritrarsi. La vergogna la stava spingendo lontano da quel volto dagli occhi socchiusi, la cui bocca rappresentava un desiderio inespresso.

“Avrei voluto risparmiarti qualunque delusione.

 

Quella frase la fece reagire: in essa si celava il motivo della fretta del ragazzo, del modo in cui l’aveva avvicinata al suo volto sperando di annullare le sue ultime resistenze. Ma Ino si ribellò spingendolo piano, evitando che tutto potesse chiudersi in quel modo.

“Ti prego Gaara… aspetta” la voce della kunoichi era fragile, anche se cercava di conservare un tono dignitoso, da ninja del clan Yamanaka quale lei era e quale lo stesso leader della Sabbia l’aveva chiamata. Lui sospirò, consapevole di quanto sarebbe capitato.

Perché Ino? Perché vuoi che ti faccia ancora del male?

La giovane non l’ascoltò. Proseguì: “Continui a insistere che l’unica soluzione sia sacrificarti… ma ti ho già spiegato che non è l’unica strada percorribile.”

Non hai finito di dirmi tutto, Kazekage…

La voce e i ragionamenti di Ino si miscelarono, mostrando di nuovo le altre soluzioni possibili. Gaara sapeva tutto del piano, del fatto che sua sorella e Shikamaru stessero setacciando il Villaggio della Sabbia alla ricerca di chi lo aveva imprigionato in quello stato. Era certa che ci fosse un modo per cancellare gli effetti della tecnica che lo stava bloccando dentro la sua mente, così come era sicura che lui sapesse della presenza dei ninja medico, di suo fratello e dell’Hokage al di fuori, pronti a sostenerli nel caso in cui le loro energie vitali fossero venute meno. Eppure, lui si rifiutava di prendere in considerazione tutti quei dettagli di fondamentale importanza… per quale motivo?

Infine, Gaara esaudì la sua richiesta. Non la guardava più, ma per Ino fu quasi meglio: l’umiliazione aveva iniziato a stringerle il petto e a colorarle le guance.

“Ino… la strega ha preso il controllo del tuo corpo… lei e il me stesso del passato stanno attaccando mio fratello e gli altri… Ho intravisto il piano di quella creatura prima che la scacciassi da te.”

 

A quella rivelazione finale, la kunoichi fu svuotata da ogni sentimento. “Capisco… quindi è per questo che volevi spaventarmi, perché vuoi sacrificarti… non volevi che soffrissi per la mia incapacità” la sua voce usciva fredda. Ripensò al ricordo del padre che l’aveva incoraggiata quando s’era liberata dalla sabbia del Kazekage che avrebbe dovuto rispedirla nel suo corpo. Le parve così effimera, così stupida, da percepire qualcosa che si frantumava nel suo animo, condannandola a una tortura pari alla carne dilaniata dalle spine dei cactus. Era stata un’ingenua… era…

Davvero sono inutile…

Gaara intervenne prima che la sofferenza la chiudesse completamente dentro sé stessa. “Ino… ho bisogno che tu rimanga forte… posso chiederti questo favore, da parigrado dell’Hokage?” la domanda aveva la nota fresca della fronte del ragazzo premuta contro la sua, delle sue dita che le sfioravano i capelli. La ragazza riprese un attimo il controllo per scorgere quello sguardo di un cielo sempre uguale a sé stesso. Lei deglutì. Il pianto minacciava di rompere le sue fragili barriere, ma lei non aveva più alcun diritto di manifestarlo.

Come vuoi, Kazekage… Pensò consapevole d’essere una kunoichi ridicola persino nell’eseguire una richiesta semplice come quella. Prese un respiro profondo, incamerando nello spirito quel poco di energia che conservava nel fondo delle sue riserve. A Gaara bastò, nonostante sapesse che non sarebbe servito a placare la sua sofferenza.

Ino… ormai sono abituato all’idea del sacrificio: sarei dovuto andarmene da questo mondo già alla nascita.”

Kazekage… perché devi essere così antipatico in un momento come questo?

 

Un singhiozzo le sfuggì, ma trattenne il resto del pianto in sé stessa. Ardeva ancora l’imbarazzo per essersi fatta beffare da una creatura tanto ignobile. “Moltissime persone hanno dato la loro vita per me… perché non dovrei ricambiare il favore?”

Non lo merito…

“Kazekage… dovrei essere io a compiere questo gesto… sono io la responsabile della fuga di Nocnitsa e del fatto che abbia preso il controllo del mio corpo… manipolare la mente è la mia specialità… è l’unico motivo per cui mi è stato chiesto di fare questa missione” la kunoichi provò a dissuaderlo con quella sua voce rotta per colpa della sua stessa incompetenza. Ma nella risolutezza dello sguardo del ragazzo non c’era posto per quelle recriminazioni.

“Senza di te, erede degli Yamanaka… non ci sarebbe nessuno che possa salvare mio fratello o gli altri… anche se mi donassi la tua vita, non sarei comunque in grado di svegliarmi” fu inutile arginare quel fiume che ormai straripava sulle sue guance. La consapevolezza che non vi fosse alternativa, distrusse le ultime difese di Ino. Pianse in silenzio, lasciando che le sue lacrime parlassero più di tutte le sue giustificazioni, dei suoi sensi di colpa.

Gaara era stanco. La sua forma era inconsistente, quasi un miraggio in uno di quegli anfratti di deserto dove il sole s’abbatteva inclemente. Ogni aspetto di quella situazione paradossale, d’altronde, non li aveva risparmiati da nessun tipo di dolore.

“Capisci perché non avrei voluto dire nulla?” Gaara sorrideva asciugando le sue lacrime con la manica della tunica. Con l’altra mano le sostenne la schiena, conscio che sarebbe bastato una minima incertezza per farli cadere entrambi nel vuoto.

“Non volevo farti del male… non dopo tutto quello che ti ho fatto passare qui.

L’unica mia fonte di sofferenza sono io Kazekage… tu non c’entri nulla.

La ragazza risparmiò loro il suono della sua voce incrinata. Aveva le braccia conserte, strette a mantenere quel poco di dignità di cui poteva momentaneamente rivestirsi. Era un bersaglio facile per l’ultimo desiderio del Kazekage. Le sollevò il mento per incrociare di nuovo i loro sguardi, dopo che lei aveva fissato ostinatamente le sue ginocchia.

Il giovane non era toccato dalla durezza dei suoi pensieri. Voleva portare a termine il suo gesto disperato il prima possibile, perciò le sue riflessioni scappavano dai confini della sua mente affaticata dalla perdita delle sue ultime energie.

 

Senza rendersene conto, fu la causa del fallimento dei suoi stessi piani. Da quei pensieri liberi d’ogni remora, la kunoichi trasse la forza di coltivare una ritrovata speranza.

All’inizio, aveva inteso i pensieri di Gaara senza ponderarli troppo. Si schiantavano contro il suo animo congelato dall’umiliazione. Si era lasciata sospingere verso di lui, incapace di resistergli, percependo un fiotto di calore da cui era irrorata mediante l’abbraccio del Kazekage.

Poi, un minuscolo pensiero, nascosto in mezzo agli altri frenetici da cui la sua mente era assediata, le apparve estraneo in mezzo a una strategia infallibile. Là dove Gaara demoliva il suo rifiuto ad accettare quel sacrificio di cui si riteneva immeritevole, quell’emanazione delle riflessioni del Kazekage s’introdusse lieve come una carezza.

Fra tutti coloro che avrei potuto conoscere… sono felice che l’ultima sia proprio tu, Ino…

 

Quell’energia tiepida, che si diffondeva dal Kazekage, si tramutò d’improvviso in un fuoco immenso. Dove il ragazzo aveva tentato di blandirla con la gentilezza, Ino s’impose premendo le dita sulle sue spalle. Il gesto faceva più male a lei, la quale rinvigoriva la presa sempre di più, eppure era il giovane leader della Sabbia colui ad esserne colpito maggiormente.

“Cosa…” aveva cominciato a domandarle, ma la voce della kunoichi era più chiara della sua confusione. Nel nulla candido da cui erano avviluppati tornò la pioggia, il temporale, ma s’insinuò anche il profumo dei fiori e la dolce apparizione del sole fra le nubi.

“Kazekage, ti chiedo un favore… guardami” lui aveva smesso di farlo quando la strana reazione della giovane l’aveva sorpreso. Ino si chiese cosa stesse scorgendo ora che rialzava lo sguardo dalle sue spalle afferrate con forza sul suo viso lavato dal pianto. Forse era pulito come uno specchio e lui poteva riflettersi in quelle iridi azzurre, di un cielo che celasse moltissime sfumature oltre l’orizzonte. La kunoichi era consapevole che anche lo sguardo del giovane nascondeva troppe sfaccettature importanti per essere perse. Perciò sorrise, guadagnandosi una piccola manifestazione di quella aurora nascosta, apparsa con il rossore sulle sue guance.

Ino s’avvicinò al suo viso, avvertendo calore e freschezza nell’atmosfera di quel temporale estivo. Permeava le loro fragili presenze create dalle loro menti e così segnava i loro animi avvinghiati da tante emozioni, simili alla rabbia del tuono e alla speranza del sole che faceva capolino fra le nuvole.

 

Gaara… non tutto è perduto.

Nel battito di ciglia che susseguì a quel pensiero deliberatamente scappato dalla mente della ragazza, nel sospiro stupito del leader della Sabbia, Ino chiuse la distanza lambita da entrambi premendo le labbra su quelle di Gaara. Salì con le braccia al suo collo, spingendolo ad abbandonarsi contro di lei.

Il ragazzo sobbalzò e persino un gemito sorpreso sfuggì dalla sua gola. Tuttavia, non si ritrasse. Con lentezza, seguì la curva delle braccia di Ino per cingerle le spalle. Risalì al suo viso per sfiorarle le guance.

In quei momenti brevi trascorse tutta una vita. Erano frammenti di ciò che era stato: era il ricordo d’un cespuglio di trifogli che nasceva con la kunoichi e buttava un nuovo germoglio con il crescere della sua controparte umana. Le sue fioriture e le sue momentanee perdite di freschezza erano in simbiosi con le conquiste e i fallimenti di Ino.

Era cresciuto rigoglioso quando la kunoichi s’era affacciata per la prima volta nella vita di Sakura e aveva perso qualche foglia alla rottura del loro legame quasi fraterno. S’era rinvigorito quando avevano ritrovato la pace. L’aveva consolata quando l’aria si era impregnata di fumo acre, quando le speranze s’erano assottigliate all’inizio della guerra. Era il vero contrappunto di quella kunoichi i cui pensieri ora si tingevano di speranza.

 

Gaara… La tua vita non è vana.

Solo allora sentì l’animo del giovane davvero scosso. In lui albergava un desiderio che non osava disvelare e che pure lo spingeva ad aggrapparsi a lei fino quasi a unirsi alla sua mente. Aveva ancora un sacco di proteste e preoccupazioni con cui scacciava il piano che Ino gli stava mostrando, eppure le rassicurazioni della kunoichi erano più forti.

Il Kazekage spariva per consolidarsi al fianco della giovane che così insistentemente gli prometteva l’alba dopo la notte.

Mi fido di te, Ino.

Un’ultima stretta da parte di quel corpo che più non esisteva. Era l’accettazione di quella soluzione disperata che entrambi potevano sostenere soltanto con tutte le loro forze.

Non posso ordinarti nulla, ninja di Konoha… posso chiederti soltanto un altro favore: sopravvivi… te ne prego.

Lei sorrise, ma anche la sua bocca spariva come il resto dei loro corpi. Non le sarebbe più appartenuta fino a quando non avesse portato a termine quel tentativo di mettere in salvo tutti coloro che amavano.

Vedrai… ne usciremo insieme.

 

Così rassicurandolo, salirono oltre il bianco della mente immacolata del ragazzo, perché avevano perso molte delle loro forze per ottenere quel risultato. Le loro volontà viaggiavano sempre più in alto, per toccare la superficie di quel mondo racchiuso dietro i confini d’una maschera di cera.

Fu un risveglio più brutale di quanto Ino immaginasse. I suoi nuovi occhi si spalancarono sulla notte del deserto. Il suo respiro estraneo riempì i polmoni di un corpo che non le era familiare. Quando s’issò a sedere, fissando a fatica uno strano panorama dove la sabbia ondeggiava ovunque intrappolando i ninja della spedizione, un solo collega della Foglia s’accorse del suo ritorno. La chiamò con il nome che apparteneva a quella forma in cui ora albergava.

“Kazekage! Sei tornato!”

 

Continua nel Capitolo VIII: T’amai perché mi ricordasti la primavera

  
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