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Autore: Crudelia 2_0    01/05/2021    0 recensioni
Haymitch pensa di avere già abbastanza da fare tra un ragazzo che lo obbliga a rimanere sobrio, colleghi troppo allegri e un capo che vorrebbe licenziarlo. Quello che non si apsetta, quando viene chiamato nel bel mezzo della notte, è trovarsi le mani piene di un caso da risolvere. Suicidio o omicidio? Come se non bastasse, si sente attratto dall'ultima donna a cui dovrebbe avvicinarsi.
|Dal testo:
Quando Katniss al telefono gli aveva detto che c'era qualcosa di strano si era aspettato qualcosa di violento, crudo e probabilmente opera di un sociopatico, ma era mezzo sbronzo e pensava di non aver compreso il suo tono.
Si era fatto passare la sbornia in fretta e aveva guidato al massimo della velocità che gli permettevano i suoi riflessi rallentati. Una volta arrivato aveva trovato la villa circondata da volanti, giornalisti e curiosi tenuti alla larga dal nastro giallo sotto cui si era infilato. Quella volta nessuno cercò di fermarlo, evidentemente memori del loro ultimo tentativo di escluderlo.
|Storia ispirata al Contest “Revival – A volte ritornano” indetto da BellaLuna95 sul forum di EFP.|
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La verità sul caso Seneca Crane

 
 
 
Capitolo 1
 
 
 
 
Haymitch lo percepì subito, l'odore di morte. Non era sangue, era solo... morte
Quando Katniss al telefono gli aveva detto che c'era qualcosa di strano si era aspettato qualcosa di violento, crudo e probabilmente opera di un sociopatico, ma era mezzo sbronzo e pensava di non aver compreso il suo tono. 
Si era fatto passare la sbornia in fretta e aveva guidato al massimo della velocità che gli permettevano i suoi riflessi rallentati. Una volta arrivato aveva trovato la villa circondata da volanti, giornalisti e curiosi tenuti alla larga dal nastro giallo sotto cui si era infilato. Quella volta nessuno cercò di fermarlo, evidentemente memori del loro ultimo tentativo di escluderlo. 
In ogni caso, non si aspettava il silenzio, la calma piatta. Erano quelle le situazioni che odiava di più, quando la morte si infiltrava e strisciava nel silenzio. 
Venne condotto al piano superiore attraverso un'ampia scalinata di legno e verso una stanza al fondo del corridoio. Quelli della scientifica erano già arrivati, i loro flash illuminavano la stanza ad intermittenza. 
«Sei arrivato, finalmente», la voce di Johanna lo accolse non appena varcò la soglia, ma la sua attenzione fu tutta catturata dall'uomo che penzolava al centro della stanza. Era immobile, la testa abbandonata su una spalla, come se riposasse, la braccia lungo i fianchi.  
Incontrò gli occhi di Katniss dall'altra parte della stanza e annuì in segno di saluto. 
«Ci hai messo tanto», Johanna gli porse un paio di guanti che si infilò gettando uno sguardo distratto alla stanza. 
«Era la mia fottuta serata libera», borbottò. Essere interrotto quando beveva lo lasciava sempre irritabile. «Sappiamo come si chiama?». Si accorse tardi di aver usato il presente.  
«Seneca Crane», rispose Johanna, seguendolo. L'uomo indossava un abito elegante, su misura. I pantaloni cadevano sui mocassini con pieghe perfette anche in quella posizione innaturale, la camicia color vinaccia non aveva difetti di sorta sotto il panciotto nero. Poteva sembrare addormentato se non avesse avuto un cappio al collo.  
«Chi ci ha chiamati?». La corda era appesa ad una trave di legno al soffitto. Tutte le travi erano a vista. 
«Plutarch». 
Haymitch si voltò di scatto e per la prima volta incontrò gli occhi di Johanna. Aveva il turno di notte, per cui non si stupì di trovarla in uniforme, ma aveva cerchi scuri sotto le palpebre. 
«Plutarch?». Odiava quando l'uomo arrivava sulle scene del crimine prima di lui: avrebbe continuato a perseguitarlo per giorni con quel suo sorriso supponente. 
Johanna glielo indicò con un cenno del mento. Haymitch lo vide in un angolo, stava parlando con una donna che non conosceva. 
«L'ha trovato lui?», il cadavere. Ma non lo disse, non lo diceva mai. 
«Non proprio». 
«Che vuol dire? Non gliel'hai chiesto?», abbaiò. 
Johanna alzò gli occhi al cielo, ma camminò verso l'uomo. 
Haymitch si avvicinò all'uomo appeso. Qualcosa non quadrava, qualcosa nella sua posizione... 
«Cinna ti ucciderà se lo tocchi prima di lui». Non si era neanche accorto di aver allungato la mano verso la gamba, ma Katniss aveva ragione. 
Borbottò qualcosa che non comprese neanche lui, ma lasciò ricadere la mano. Odiava i suicidi, ma questo non poteva certo dirlo. 
«Hai bevuto?», Katniss lo studiava corrucciata, la treccia ordinata su una spalla e le braccia incrociate con determinazione. 
«Era la mia serata libera prima che tu decidessi di chiamarmi dopo Plutarch», rispose, il rimprovero evidente nella sua voce. 
«È stato lui a chiamare noi. E comunque non avresti dovuto farlo, se lo scopre ti farà un richiamo a Coin». Il tono combattivo e contrariato di Katniss era troppo per lui, la testa iniziò a dolergli in un cerchio sempre più stretto. 
«Coin può prendere i suoi richiami e infilarseli su per il—». 
«Ehm ehm». 
Haymitch si voltò così in fretta da farsi male al collo. Non era abituato ad essere interrotto, e la sorpresa per un attimo coprì l'irritazione. Come se non bastasse, la donna parlò prima che lui riuscisse a chiederle chi diavolo fosse e cosa facesse in un luogo chiaramente escluso ai civili. 
«Spero che non sia lui il tuo uomo migliore, Plutarch», disse. Aveva pianto, gli occhi azzurri erano rossi e gonfi e li puntava nei suoi come un'accusa. Haymitch la odiò all'istante. Non solo il tono gli aveva fatto capire che era il tipo di donna che non sopportava di non essere al centro dell'attenzione, ma quell'occhiata, quella dimostrazione delle sue emozioni senza vergogna, gli dava l'impressione di doversi mettere sulla difensiva. 
«Haymitch, eccoti finalmente». Plutarch comparve al fianco della donna e gli tese la mano. Haymitch dovette togliersi il guanto prima di stringergliela. Notò che non indossava la cravatta, un segno evidente che anche lui era stato trascinato fuori dal letto.  
«Lei sarebbe?», chiese tornando a guardare la donna, torvo. 
«Effie Trinket», rispose. Esitò un secondo prima di tendergli una mano. 
Haymitch osservò le sue unghie perfettamente laccate di rosso prima di prendere una decisione, ma accettò la sua mano, soprattutto perché non era uno stupido e sapeva riconoscere uno sguardo potenzialmente pericoloso quando ne vedeva uno. La lasciò andare in fretta, però, prima che gli venisse la sconsiderata idea di stringere quelle dita tra le sue nel tentativo di scaldarle. Le giornate iniziavano a scaldarsi, ma le notti erano ancora fredde e quella donna aveva le mani gelide. 
Lo shock, pensò. Quella donna aveva le mani gelate a causa dello shock e lui aveva avuto quel pensiero perché era ubriaco. 
Si schiarì la gola. «Devo chiederle di uscire, non può stare qui». 
Lei incrociò le braccia e alzò il mento, orgogliosa. «Lei non sa chi sono, vero?». 
«E forse neanche voglio saperlo, dolcezza. Avanti». Fece un cenno con il mento a Katniss, rimasta al suo fianco per tutto lo scambio, ma la ragazza non si mosse. 
«È stata lei a trovare il cadavere», intervenne Plutarch. 
La donna sobbalzò, Haymitch ringhiò frustrato. Erano quei piccoli dettagli a ricordargli che Plutarch non gli piaceva.  
«Eppure ci hai chiamati tu». Era stanco, aveva troppo whisky in corpo e la rabbia iniziava a ribollirgli nello stomaco minacciando di lasciarlo dolorante per il testo della notte. 
«Lei ha chiamato me e io ho chiamato voi», disse pratico Plutarch. 
Haymitch si passò una mano sul volto, dalla fronte al mento. «Va bene», sospirò. «Come l'ha trovato?». 
Gli occhi della donna saettarono verso l'uomo appeso e si morse il labbro inferiore in un modo che Haymitch si ritrovò a fissare con fare sconveniente. Ubriaco, gridò la sua mente. 
«Ho le chiavi di casa», mormorò dopo un'esitazione. 
Haymitch trattenne un gemito frustrato perché quella non era una risposta e portava solo ad un'altra serie di domande, tanto per cominciare perché era entrata a casa di quell'uomo a quell'ora di notte. 
Poi qualcosa scattò nella sua mente: i suoi occhi rossi, l'aver chiamato Plutarch — evidentemente un conoscente — al posto della polizia, il possesso delle sue chiavi di casa... Tutto portava ad una parola che era fidanzato. 
«Ha un'idea sul perché il suo fidanzato volesse uccidersi?». 
Katniss gli colpì debolmente il braccio, il che la diceva lunga sulla sua mancanza di tatto. Vide Plutarch irrigidirsi e la donna sgranare gli occhi, ma subito la sua espressione si indurì con rabbia. 
«Non si è ucciso, è stato ucciso», disse con voce stridula. 
Haymitch sospirò di nuovo, le tempie gli pulsavano ed odiava avere a che fare con le vittime sconvolte. Era Finnick che se ne occupava. 
«Mi sembra abbastanza evidente, dolcezza. Si è —» 
«A me sembra evidente che lei non capisce niente!», lo interruppe strillando. «Come sarebbe arrivato a quell'altezza? La scrivania è troppo lontana e non c'è neanche una scala. È stato appeso lì da qualcun altro, questo è evidente!». 
Haymitch la guardò sorpreso. Aveva le guance rosse di rabbia, il petto si alzava in fretta per aver detto tutte quelle frasi senza riprendere fiato ma, soprattutto, la sua era un'analisi straordinariamente attenta. Lui non ci aveva fatto caso, ma guardando adesso dovette darle ragione: era impossibile che fosse arrivato lì da solo. 
«E non c'è neanche un biglietto d'addio. Seneca non se ne sarebbe andato senza salutarmi, anche se...», distolse lo sguardo e si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo, la spalle sobbalzarono. «Chiedo scusa, è stato estremamente maleducato da parte mia», sussurrò con voce fioca. 
«Non preoccuparti, cara. È comprensibile...». 
Haymitch lasciò Plutarch alle sue rassicurazioni, non senza notare il braccio di lui attorno alle sue spalle. 
Si avvicinò alla scrivania, lasciandosi alle spalle l'uomo appeso. Non gli piaceva mai lasciarsi i morti alle spalle, era una metafora che gli portava alla mente ricordi troppo dolorosi. 
Si rimise il guanto, prestando attenzione alla superficie di lucido legno massiccio. Era sgombra se non un'inutile statua di arte moderna astratta, una penna stilografica sul suo apposito sostegno e una di quelle cose che aveva sempre e solo visto nei film che si alzavano e contenevano carta da lettere intestata. 
«Era un avvocato?», chiese, a nessuno in particolare. 
«Ancora non lo sappiamo», gli giunse la voce di Johanna da qualche parte vicino alla finestra. 
Non si preoccupò di rispondere. Non c'era nessun biglietto d'addio. La donna aveva ragione, di nuovo.  
Sentì trambusto in direzione della porta e si voltò. Cinna era arrivato, vide Katniss salutarlo con uno dei suoi rari sorrisi e poi, con sua sorpresa e fastidio, lo vide camminare verso la donna e non verso di lui. 
Cinna la abbracciò e disse qualcosa, lei rispose con un sorriso mesto che non avrebbe convinto nessuno. Cinna le accarezzò i capelli e lei chiuse gli occhi, appoggiandosi al tocco. 
«Chi diavolo è quella donna?», ringhiò. 
Johanna comparve al suo fianco. «Effie Trinket», disse. «Sembra piuttosto popolare», c'era disprezzo nella sua voce, ma gli occhi erano attenti ed Haymitch capì che aveva seguito la scena tanto quanto lui.  
«Sembra che tutti la conoscano», aggiunse, e si odiò un po' per il fastidio che intrise la sua frase. Johanna se ne accorse e gli gettò un'occhiata maliziosa che lui fu veloce ad evitare andando ad aspettare Cinna vicino all'uomo impiccato.  
Cinna arrivò dopo aver scambiato un altro paio di frasi con la donna. «Haymitch», lo salutò. 
Haymitch annuì, in silenzio. La donna stringeva un fazzoletto bianco tra le mani e la vide tamponarsi gli occhi. Quel segno di debolezza lo lasciò con un sapore amaro in bocca, perché significava che la forza che aveva mostrato davanti a lui era solo di facciata. E, solitamente, le donne che si mostravano forti per piangere da sole portavano guai. 
«Sostiene che non sia un suicidio», disse. Cinna annuì. Non era truccato, un altro segno che anche lui stesse dormendo fino a mezz'ora prima.  
«Cosa ne pensi?». Si stava ricomponendo, adesso. Stava infilando il fazzoletto in una borsetta rossa come i tacchi altissimi che aveva ai piedi. Haymitch non si era accorto di quanto bene fosse vestita. 
«Difficile dirlo. Dovrò esaminare il corpo prima di poterti dare una risposta». 
Haymitch annuì, allontanandosi per lasciarlo lavorare. La stanza era più tranquilla ora: le macchine fotografiche erano state riposte e l'ultimo uomo vestito con quelle ridicole tute bianche lasciò la stanza. Johanna uscì con lui, Haymitch immaginò che avrebbe trovato un rapporto sulla sua scrivania il giorno dopo. 
«Haymitch», Plutarch si avvicinò, aveva il cappotto addosso. «Accompagno Effie a casa, è sconvolta». 
Haymitch annuì azzardando un'occhiata alle sue spalle. Non sembrava sconvolta. Si era aspettato grida e pianti isterici, ma forse i ricchi non si sbottonavano abbastanza per quelle dimostrazioni. 
«Ti terrò aggiornato», disse, ma sapevano entrambi che non l'avrebbe fatto. Non di sua spontanea volontà, almeno.  
 
Aveva sperato di tornare a casa, finire la bottiglia che aveva lasciato abbandonata affianco al divano e dormire un paio d'ore — senza incubi, se fosse stato fortunato abbastanza. Senza sapere bene come, invece, si era ritrovato in caserma, le ore notturne erano scivolate via e la luce dell'alba filtrava attraverso le tende veneziane. 
Sentì il telefono squillare da qualche parte e alzò gli occhi stanchi dai documenti, attraverso le vetrate del suo ufficio vide Katniss rispondere. La vide annuire e sorridere leggermente, dedusse fosse Cinna. 
Poco dopo suonò il telefono sulla sua scrivania, ma se l'era immaginato. Dopo il terzo che aveva rotto i ragazzi avevano imparato ad intercettare le chiamate prima che arrivassero a lui, quando suonava voleva che fosse per cose veramente importanti. 
«Che c'è?», rispose interrompendo il secondo squillo. 
«Era Cinna», incontrò gli occhi di Katniss attraverso i vetri e lo spazio. «Dice che ha finito». 
«È stato breve», borbottò. Non fu sicuro che lei l'avesse sentito, aveva già riattaccato. 
Si alzò, assicurandosi di avere la pistola alla cintura e la fiaschetta in tasca. Recuperò il cappotto grigio che aveva buttato sulla scrivania senza curarsi dei fogli che volarono tutt'attorno e uscì, facendo un cenno di saluto a Katniss.  
Non si preoccupò di lasciarla sola in una caserma vuota, sapeva cavarsela. Ciò che davvero lo preoccupava era la rapidità di Cinna. Per avere un referto pronto in così poche ore significava che ci aveva lavorato tutta la notte, ma in ogni caso una chiamata così tempestiva poteva portare solo notizie molto belle o molto brutte. 
Raggiunse l'ospedale in breve tempo, riuscendo ad evitare per poco il traffico mattutino dei pendolari. Scese le scale cercando di ignorare il freddo crescente e la luce grigia caratteristica del luogo. Sembrava di stare in un altro mondo, non sapeva come Cinna facesse a sopportarlo. 
«Hai un aspetto orribile», lo salutò Cinna quando entrò nell'obitorio. 
Haymitch grugnì qualcosa, desideroso di ricambiare il complimento ma impossibilitato a farlo: Cinna aveva trovato il tempo di sistemarsi e truccarsi. Questione di priorità, immaginava. 
«Hai fatto in fretta», disse, cambiando discorso. Non si prese neanche il disturbo di infilarsi un paio di guanti, voleva andarsene da lì il più in fretta possibile. 
«Ho dovuto. La famiglia lo rivuole indietro, hanno minacciato di ricorrere a vie legali», spiegò. 
Haymitch alzò gli occhi al cielo. «Muoviamoci allora». 
Cinna annuì e si avvicinò al tavolo al centro della stanza. La luce fissa dei neon non lasciava ombre, tutte era immobile e intriso dell'odore chimico dei disinfettanti. Abbassò il lenzuolo fino al petto glabro dell'uomo, scoprendo la pelle pallida e senza imperfezioni. C'era un piercing al capezzolo sinistro e la vista nauseò Haymitch, distolse lo sguardo. 
«Non ha nessun segno di lotta, gli unici lividi sono quelli attorno al collo», li indicò con un miglolo, sottili linee nero bluastre strette come un laccio. 
«La donna sostiene che sia stato ucciso», gli scappò di bocca. 
«E ha ragione: è stato avvelenato». Gli occhi di Cinna tradivano stanchezza e preoccupazione nonostante la linea di eye liner dorato.  
Ad Haymitch si seccò la gola. «Come?», sussurrò. 
«Belladonna». Il bisbigliò veleggiò tra loro occupando lo spazio e l'aria. Haymitch chinò lo sguardo sull'uomo: la pelle bianca, la barba perfetta. Per la seconda volta pensò che stesse dormendo, che se l'avesse scosso l'uomo avrebbe aperto i suoi occhi e Haymitch avrebbe scoperto il loro colore. 
Era stupido fare pensieri del genere. Stupido e pericoloso. 
«Come faceva a saperlo?», chiese, quasi a se stesso. Lui non se n'era accorto e Cinna aveva dovuto esaminarlo prima di esserne certo, che quella donna ne fosse così sicura da subito era sospetto. 
Cinna si strinse nelle spalle. «Immagino che Effie lo conoscesse bene». 
«E tu? Lo conoscevi?», incrociò le braccia al petto, assumendo il tono da interrogatorio senza farci caso. 
«Ho sentito il suo nome un paio di volte, non di più. Effie parla raramente di se stessa», rispose, tirando il lenzuolo e coprendo l'uomo alla vista. 
Strano, riflettè Haymitch. Dal poco che aveva visto aveva pensato che fosse una di quelle donne che non aprivano la bocca se non per parlare di loro stesse. Avrebbe potuto sbagliarsi, o forse Cinna era troppo gentile. 
Più probabile la seconda. 
«Come l'hai conosciuta?». 
«Al liceo, frequentavamo entrambi un corso per stilisti». 
«Disegnavi abiti?», la sorpresa palese nella sua voce. 
Cinna fece un sorrisetto, buttando i guanti di silicone in un cestino vuoto. «Ero anche piuttosto bravo. Ho poi cambiato strada». 
«Lo vedo», rispose Haymitch. All'improvviso ricordò che stavano parlando di disegnare abiti affianco un uomo morto. Quasi rise. 
«Bene. Riposati un po'», si congedò, dando una passa sulla spalla a Cinna. 
«Anche tu», sentì la risposta alle spalle. Annuì, ma sapeva che non l'avrebbe fatto. Non finché avrebbe avuto l'odore di morte addosso.
 






Note: ed ecco qui una nuova storia. Ho altre mille cose da fare, ma grazie al  contest “Revival – A volte ritornano” di BellaLuna95 finalmente ho trovato l'ispirazione. Questo primo capitolo doveva essere un prologo, ma c'è già abbastanza carne al fuoco e quasi tutti i personaggi sono stati introdotti.
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.

Un abbraccio,
Crudelia
   
 
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