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Autore: Violet Sparks    02/05/2021    14 recensioni
"Perché Berthold, tra loro due, potrà sembrare quello più calmo, fermo e stabile come una pietra.
La verità è che, esattamente come una pietra, Berthold a volte affonda e annega."
Prima della famosa battaglia di Shiganshina, rimasti soli sulle mura del Wall Maria, Berthold e Reiner cercano di sopravvivere a tutta l'oscurità che si portano addosso.
[POV!Reiner - Reibert - Contenuti forti]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Berthold Huber, Reiner Braun
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Di ossigeno e sangue
 
 
 
Fermati Piero, fermati adesso
Lascia che il vento ti passi un po' addosso
Dei morti in battaglia ti porti la voce
Chi diede la vita, ebbe in cambio la croce
(La guerra di Piero, Fabrizio De Andrè)
 
 
Reiner lo avverte prima ancora di schiudere le palpebre nella tenue penombra dell’alba, prima ancora che quell’infernale dormiveglia, che ormai ha imparato a chiamare sonno, lo liberi dai suoi ultimi strascichi.
Un respiro pesante come piombo, rapido, incespicante, strozzato.
Un respiro che si porta dentro l’oscurità della paura e la torbida disperazione della morte, simile all’ansimare concitato dell’impiccato che, a penzoloni nel vuoto, sente la propria vita abbandonarlo inesorabile, un alito di ossigeno dopo l’altro.
Reiner si alza a sedere di scatto. L’aria viziata della tenda gli brucia sgraziatamente i polmoni, mentre il suo tessuto polveroso e rigido gli solletica i capelli di grano, diventati fin troppo lunghi.
Non ha bisogno di spiegazioni per sapere cosa sta succedendo. Volta il capo alla sua sinistra, in quello spazio insignificante e claustrofobico che la sua stazza pare rendere ancora più piccolo, e ciò che si ritrova davanti agli occhi non è altro che uno spettacolo già visto, una scena che, nel corso di quei due interminabili mesi, si è fatta tristemente familiare.
“Berthold…” pronuncia piano, le lettere che inciampano una sull’altra, escono fuori a fatica.
Ma Berthold non risponde.
Non risponde perché il suo intero corpo è attraversato da brividi così intensi, così violenti, da sembrare in preda alle convulsioni.
Vibra. Sbatte sulla pietra con tutta l’ingente mole del suo peso in un atroce terremoto di carne, picchiando furiosamente con la nuca, le braccia, i talloni, producendo un rumore cupo e sordo, che si abbatte sul silenzio irreale che li avvolge dall’alto di quelle mura indifferenti. Inarca la schiena, tende il collo, stringe le dita intorno alla stoffa della sua maglietta, all’altezza del petto, quasi imbiancandosi le nocche per lo sforzo e intanto soffoca, geme, annaspa come un pesce strappato via a forza dall’acqua, lo stesso sguardo perso, lo stesso colorito esangue.
Lo stesso identico terrore.
“Berthold…” lo chiama di nuovo Reiner, atterrito “Berthold, sono qui, tranquillo…”
“Rei- Reiner…” è il rantolo roco dell’altro “Reiner, ti prego… aiutami…” la sua bocca è piena di saliva, i suoi occhi spalancati e bui si muovono febbrili da destra a sinistra, da sinistra a destra, ma in realtà non vedono, non percepiscono “Reiner, ti prego! Non ce la faccio! Ti prego, aiutami! È- è troppo! Io- io non ce la faccio! Toglimelo di dosso! Ti prego, toglimelo di dosso!”
“Berthold, calmati! Respira! Sei qui con me! Sei al sicuro, non sta succedendo niente!”
“Toglimelo di dosso! Toglimelo di dosso! Aiuto! Aiuto!”
Piange come un bambino mentre lo dice.
Reiner allora si piega su di lui e gli asciuga le lacrime con il dorso delle dita. Gli scosta i capelli dalla fronte madida di sudore, passando una carezza gentile che dal suo volto pallido, avvilito, scivola giù lungo le spalle, il petto ansante e gonfio, sopra al suo cuore che scalpita, strepita, battendo talmente forte da sembrare sul punto di volergli schizzare fuori.
Non smette mai, nemmeno per un istante, di ripetergli che va tutto bene – va tutto bene, Berthold- anche se sente le proprie membra ghiacciate da un’angoscia che lo logora, anche se non esiste più un solo brandello di lui che non abbia cominciato a tremare.
Vorrebbe urlare.
Dentro di sé, Reiner avverte il male che si arrampica, la paura che lo stana.
Le voci fantasma iniziano a bisbigliare, perfide, in un angolo remotissimo della sua testa e lo confondono, lo annebbiano, rubandogli grammi di raziocinio e lucidità.
Sarebbe così facile lasciarsi andare adesso. Basterebbe chiudere gli occhi, abbandonarsi come un peso nella marea e aspettare semplicemente che l’abisso lo sommerga, trascinandolo giù, sempre più giù, in quell’offuscamento dolce come miele, che sa cancellare il peccato e alleggerire la coscienza, illudendolo di essere ancora una volta quel soldato integerrimo – innocente- che in realtà non è.
Ma no, Reiner non può crollare.
Non gli è concesso, non in questo momento.
E allora ingoia malinconia e sconforto, morde forte le labbra per trattenere il dolore, prende il capo dell’amico tra le mani, se lo preme addosso e “Berthold… Berthold… Berthold…” ripete in una lenta litania, cercando di farsi ascoltare, di farsi riconoscere, modulando la propria voce affinché non esca flebile come la sente, ma salda, sicura, in grado di ergersi al di sopra della sofferenza di tutti e due.
All’improvviso però, Berthold grida.
Un latrato straziante simile a quello di una bestia ferita.
Un lamento lancinante, così potente e autentico da risultare feroce e che rimbalza da lui a Rainer, trapassandogli la pancia, maciullando i suoi organi interni, rimbombando ovunque in mezzo alle ossa.
L’istante dopo, Berthold si porta le unghie sulle braccia e comincia a strapparsi via la sua stessa pelle, disegnando solchi profondi che scintillano pericolosamente e colano sangue scarlatto e denso, poi fumando guariscano, poi di nuovo ricompaiono sotto quella terribile furia.
“Berthold, fermo! Ti fai male! Smettila! Smettila!” urla Reiner, provando a fermargli le mani.
“C’è sangue! C’è troppo sangue, Reiner! Non ce la faccio! Toglimelo di dosso! Toglilo! Toglilo!”
“Non c’è sangue, Bert! C’è soltanto il tuo, perché ti stai facendo male! Per favore, basta!”
“C’è troppo sangue! C’è troppo sangue! Non riesco a respirare! Non riesco a-”
Il resto sono ululati indistinti, graffi di voce che più che dalla sua gola sembrano provenirgli direttamente dalle viscere, dalle profondità recondite del suo scheletro o ovunque si trovi il fulcro di quella tremenda agonia.
Reiner impiega tutta la propria prestanza fisica per cercare di tenerlo fermo, ma quando Berthold, con gli arti bloccati, comincia ad agitarsi al punto da aprirsi una ferita anche dietro la testa, fa l’unica cosa che gli viene in mente: si posiziona seduto dietro di lui e se lo trascina tra le gambe, tenendolo stretto a sé.
“Bert, tranquillo. Sono qui con te. Sono qui con te.” gli sussurra, le labbra premute contro il suo orecchio.
Lo ripete all’infinito, senza sosta, anche mentre Berthold lotta nella sua presa, si dimena.
Le unghie, non potendo raggiungere la propria pelle, si piantano nelle cosce di Reiner e lì si imprimono, formando dolorose strisce di sangue e fumo, sotto la stoffa dei suoi pantaloni.
Ma non fa niente, non gli importa.
Può sopportarlo se questo significa tenere l’altro al sicuro, finanche da se stesso.
Perché Berthold, tra loro due, potrà sembrare quello più calmo, fermo e stabile come una pietra.
La verità è che, esattamente come una pietra, Berthold a volte affonda e annega.
Annega nel sangue di coloro che ha ucciso, che ha tradito.
Quei nemici che ad un certo punto hanno perso i contorni, diventando talmente simili a dei fratelli da incasinare tutto, da rendere indistinguibile il bianco dal nero, la verità dalla menzogna, il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, la pace dalla guerra. Quei demoni che li hanno fatti sentire a casa, voluti, amati come mai nella loro esistenza e che loro hanno ringraziato trucidando, ingannando, marciando nelle loro vite e strappando loro case e affetti, non potendo fare altro che chiedere scusa.
Succede all’improvviso, senza che lui possa prevederlo, senza che lui abbia il tempo di difendersi o di sollevare alcuna barriera: si sveglia di soprassalto nella notte nera oppure, semplicemente, chiude e riapre le palpebre mentre sta facendo qualcosa di banale come passeggiare o preparare la cena, ed ecco che invece, nel giro di un istante, tutto intorno a lui diventa delirio, un inferno in terra da cui non può sottrarsi.
Guarda le sue mani e sono lorde, così come il resto del suo corpo, i suoi capelli, i suoi vestiti.
Sangue.
Sangue ovunque.
Sangue nelle sue narici, nella sua bocca, giù per la gola.
Sangue bollente, pastoso, maleodorante, putrido.
Sangue che brucia, sangue che strangola.
Sangue che scova la colpa e viene a chiedere il conto.
Sangue che uccide chi ha ucciso, in un cerchio maledetto che sembra non avere mai fine.
Berthold prova a pulirsi, ma non serve a niente.
Prova a vomitare, ma è impossibile.
Prova a respirare, ma soffoca, annaspa.
Non c’è aria, solo sangue.
Affoga.
Reiner vorrebbe potersi strappare i polmoni dal petto per poterli regalare a lui.
“Sai qual è la cosa peggiore di quei momenti, Rei?” gli aveva confessato una volta, una sera che se ne stavano seduti in bilico sull’orlo esterno del Wall Maria, il tramonto a colorare d’arancio i loro tratti giovani e il medesimo senso di angoscia a schiacciar loro lo sterno “Che mi sento morire. Mi sento morire, ma non muoio mai.
Reiner non glielo aveva detto, ma aveva passata quella notte a piangere.
E lo stesso fa anche adesso, mentre infila le dita in mezzo a quelle di Berthold, incrocia le loro braccia massicce intorno al suo petto ampio e in quell’abbraccio drammatico, forse quasi ridicolo per due mostri come loro, lo stringe con tutta la forza che ha in corpo, con tutto l’amore e la dedizione che riesce a trasmettergli.
Assassini.
Demoni.
Traditori.
Hanno solo diciotto anni.
“Tranquillo… tranquillo…” ripete ancora, Reiner, imperterrito. Ma ormai non sa più a chi lo sta dicendo, se al ragazzo che tiene addosso o a se stesso, allacciato a lui come un naufrago in mezzo alla burrasca.
Ha la bocca spaccata da una testata particolarmente violenta, una costola inclinata e due dita spezzate, il braccio scorticato fino all’osso, ma non importa.
Non importa.
Loro, almeno, guariranno.
Ci vogliono altri dolorosi, infiniti minuti di spasmi e rantoli, prima che Berthold riesca a calmarsi.
Al di là della tenda, il sole è alto, splende caldo come un insulto, mentre una brezza leggera scuote la struttura sopra le loro teste in un dondolio appena percettibile, che somiglia tanto a quello di una culla.
Reiner sente il respiro del ragazzo tra le sue braccia decelerare a mano a mano, i suoi muscoli farsi pesanti, la sua testa alleggerirsi degli incubi e dei brutti pensieri per poi abbandonarsi, mollemente, nello spazio tra il suo capo e la spalla.
C’è il fiato bollente di Berthold sul suo collo, quando finalmente anche il battito di Reiner torna regolare.
“Berthold?” lo chiama piano, accarezzandogli i capelli, pettinandoli all’indietro, lontano dalla sua fronte imperlata di sudore.
“Ti ho fatto male… mi dispiace tanto…” mormora quello, la voce rotta da un pianto sommesso.
“Non fa niente.”
“Reiner, io…”
“Mi devi promettere una cosa.”
“Cosa?”
Che non muori.
“Reiner…”
“Mi devi promettere che non muori, Berthold. Anche se vorresti. Io ti porto a casa, hai capito? Te lo giuro. Ti riporto a casa e… e rimetto insieme i pezzi, i miei e i tuoi. Ma non posso se tu muori. Perciò, non farlo. Rimani con me. Io ti porto a casa, ma tu non mi lasciare solo.”
Berthold non dice niente ma si solleva, sgusciando via dall’abbraccio di Reiner. Con un po' di difficoltà, si volta lentamente verso di lui, si mette in ginocchio tra le sue gambe, quindi gli prende il viso tra le mani e infila gli occhi verdi nei suoi, guardandolo senza alcun pudore.
Il suo sguardo è stravolto, spaccato, devastato.
Deve essere lo specchio perfetto del suo.
“Te lo prometto.” dice, prima che le sue labbra sottili si posino su quelle di Reiner in un bacio salato, che ha il sapore di lacrime e disperazione. “Te lo prometto, Reiner, noi due torniamo a casa.”
Reiner sorride di un sorriso stanchissimo, immerge le dita tra le ciocche castane dell’altro e lo bacia ancora, quasi aggrappandosi a quella bocca, a quella lingua, a quel bollore accogliente che gli scioglie le membra e pare poter suggellare nel fuoco quella bella promessa.
Chiude gli occhi e sospira, lasciandosi cadere all’indietro e portando Berthold sopra di lui.
I loro odori, mescolati insieme, somigliano così tanto a quello di casa che è facile illudersi.
È facile sperare.
È facile perfino dimenticarsi il sangue.
 
“Noi due torniamo a casa.”
 
 
 




NOTE AUTORE
Ancora non ci credo che sto scrivendo davvero le note finali di questa storia, ragazzi. Mi sto dando continuamente dei pizzicotti sulla faccia, perché mi sembra un sogno, un miraggio!
Invece no, finalmente questa storia – o meglio questo parto plurigemellare- sta vedendo la luce!
L’ho scritta e riscritta non una, ma trentadue volte, non sto scherzando! Ho circa venti file word che iniziano tutti allo stesso modo, l’ho imparata a memoria, l’ho abbandonata e poi ripresa mille volte.
L’ho odiata con tutta me stessa e -non ve lo nascondo- una parte di me la odia ancora.
Il fatto è che non sono abbastanza sicura di aver espresso tutto in maniera nitida, di aver dato alle cose la giusta intensità emotiva. Volevo mostrare Berthold – del cui dolore abbiamo spesso solo un breve assaggio rispetto a Reiner e le sue dissociazioni psicotiche- e quanto fosse difficile per questi due - due ragazzi, ricordiamolo, poco più che adolescenti!- doversi fare carico di un tale peso, avere le mani così sporche di sangue e non poter contare su nessuno, se non sul proprio compagno con l’animo devastato quanto o forse anche più di se stessi.
Per cui sì, mai come questa volta, mi farebbe tanto piacere conoscere le vostre opinioni, che siano insulti o pomodori da lanciare! :D
 
Nel frattempo, io vi auguro un buon weekend e spero di tornare prestissimo su questi lidi!
A presto

Violet Sparks

 
   
 
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