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Autore: Nocturnia    02/05/2021    0 recensioni
A volte si ferma a riflettere su chi siano; cosa, oltre un'eredità scomoda e pesante.
A volte si sveglia affogando e lo trova sempre al suo fianco - una presenza costante e calda, rovinosamente
sua.
A volte il pensiero la colpisce all'improvviso, le attraversa la mente come una scossa elettrica - l'afferra per i piedi, facendole provare una vertigine uguale a quella prima di ogni balzo.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evie Frye, Henry Green, Jacob Frye
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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II


"What you burnt, broke, and tore is still in my hands.
I am the keeper of fragile things and
I have kept of you what is indissoluble."
- Anaïs Nin -


1868

Pensava che lo scontro con Starrick l'avrebbe reso un più umile.
Pensava che l'aver baciato la morte gli avrebbe fatto riconsiderare il suo atteggiamento.

Pensava.

Jacob si lancia dai tetti della città come se tutto fosse suo - come se Londra fosse una sua estensione, la misera colonia di un ragazzino di campagna.
E gli aveva riso in faccia quando gli aveva chiesto se stava bene; aveva arricciato le labbra in quel sorriso derisorio e beffardo, irritante.
Magnificamente, Greenie, aveva chiosato.
Un po' rattoppato, ma nulla di che, la chiusa finale, dandogli le spalle e tornando a concentrare la sua attenzione su Evie.

Evie.

Henry stringe a sé l'erbolario, fissando la schiena di Evie - assicurandosi che sia sola.
Si schiarisce la voce, sorridendole.
"Oh, Henry." lo saluta lei, sulla scrivania documenti di spedizione dei Blighter e alcune annotazioni sparse.
"Evie." ribatte lui, allungandole il libro "Ti ho portato un regalo: per festeggiare la vittoria contro i Templari."
Evie alza un sopracciglio, studiando il pesante albo che stringe tra le dita - la costa dorata, sulla copertina una serie di immagini di fiori e piante.
"Grazie mille." ribatte lei, pacata - quasi disinteressata.
Henry lo appoggia sul tavolo, aprendolo.
"È un erbolario; non è ancora completo, ma potremmo cercare insieme quello che manca, no?"
"Certo." mormora Evie, sfogliando le pagine - rosa canina, calla, tulipani, miltonia.
Henry si umetta le labbra, incerto.
"Oh, il narciso." dichiara all'improvviso Evie.
"Secondo i greci rappresentava l'amore di sé." le spiega Henry, felice di poter intromettersi nel suo flusso di pensieri.
Evie ridacchia, arrossendo leggermente.
"Allora dovrei regalarne un mazzo a Jacob: sarebbero perfetti per lui."
Green inspira con forza, si trattiene dal dire quello che gli punge la lingua - oh, certo; forse è ora che vedi tuo fratello per quello che è: uno stronzo egoista.
Evie scivola con le dita da una pagina all'altra, si ferma sul disegno del crisantemo - rosso, così vivace d'assomigliare a una macchia di sangue.

Io amo.

Henry inclina il mento verso destra, perplesso - morte, lutto - ne ricorda il duplice significato.
"Non è un fiore adatto all'amore." contempla, guardandola.
"Dipende a chi lo chiedi." ribatte lei, assorta.
"Be', qui a Londra non è affatto di buon auspicio e nemmeno in India."
Evie abbozza un sorriso a metà, una smorfia che lo fa sentire a disagio, fuori posto.
"Morte e confessione; non è quello che facciamo ogni giorno noi assassini, Henry?"
Green tace, non sa cosa rispondere - comprende oscuramente come non si sta riferendo a lui, perché la morte lo disgusta e la confessione assomiglia più a una resa che una liberazione, ma non riesce a fare altro che osservarla mentre esce dalla carrozza, saltando sul tetto del treno.
Morte e confessione, gli aveva detto una notte Jacob, tra  i capelli il vento di Londra e il suo gelo.
In questo credo, Greenie; nella morte, perché inevitabile. Nella confessione, perché è l'unica occasione per liberarsi  - di posare le armi e vivere, la conclusione, sul viso un'espressione lontana, uguale a quella di Ethan.  
Davanti a lui un garofano a righe mostra i suoi petali come la peggiore delle rivelazioni.


Hey sister why you all alone?
I'm standing out your window.
Hey little sister, can I come inside, dear?


Signori, siamo Evie e Jacob Frye: da oggi lavorate per noi.

Così si era annunciato suo fratello ai Rook - tra le dita un tirapugni grondante sangue e sul viso un sorriso predatorio, famelico.
Evie l'aveva seguito, abituandosi a imporre la propria presenza spezzando ossa e rompendo nasi - fratturando ginocchia e ridendo alle sciocche pretese di uomini ben più grossi di lei di batterla.
Mia sorella, l'aveva acclamata Jacob, facendosi da parte e osservandola far sputare sangue ai Rook di strada.
La mia adorata sorellina, mormorava quando erano da soli, e lei precisava sempre d'essere la maggiore - sono nata quattro minuti dopo di te, idiota.
Evie scrocchia il collo prima a destra, poi a sinistra, sedendosi.
"Nottata difficile?" l'apostrofa Jacob, sollevando appena la tesa del cappello.
"Se i tuoi uomini imparassero a rispettarmi no: sarebbe stata anche una serata gradevole."
Jacob libera un suono di gola, appoggiando i piedi a terra e stiracchiandosi.
"La loro apertura mentale verso certe questioni è limitata."
Evie schiocca la lingua contro il palato, alzando un sopracciglio.
"Un eufemismo."
"Non tutti sono come me."
"Certo: perché tu sei un capolavoro, Jacob Frye."
"L'unico e il solo, Evie Frye."
Evie stringe gli occhi in due fessure minacciose, fissandolo.
"Porco."
"Non ho fatto ancora niente."
"L'hai pensato."
"Ah, questa maledizione della telepatia tra gemelli."
Jacob sorride, aprendo le dita davanti a sé.
"Domani troverai qualche gamba rotta."
"Che peccato."
"E diverse virilità danneggiate."
Jacob si alza, chinandosi poi verso il suo viso.
"Ah, questo deve aver fatto male."
"Molto." mormora Evie, percorrendogli le cosce con le mani.
Jacob le sfiora le guance, la bocca - emette un piccolo hum divertito quando percepisce la punta della sua lama celata vicino a inguine.
"Oh, Evie: questo andrebbe a svantaggio d'entrambi."
"Tu dici?"
Jacob amplia il sorriso ed è allora che Evie percepisce la sua lama gemella contro il fianco - poco sotto il seno sinistro.
"Jacob."
"Evie."
Le loro risate non hanno più nulla d'innocente.


1868/1869

Sei mesi; da tanto l'egida dei Templari è caduta, riducendoli negli angoli di una città che gli appartiene più - non del tutto.
Sei mesi ed Evie si è scoperta così oscenamente libera da non poter più smettere di correre e saltare e volare.
Jacob si è quasi addormentato contro la sua spalla, nel cielo i primi fuochi d'artificio scoppiano piano, discreti.
Evie inclina il mento verso di lui, osservandolo in silenzio - i capelli spettinati, la stessa espressione di quando erano piccoli e le rubava tutto lo spazio nel letto, allargandosi senza ritegno.

"Ho visto Greenie."
"Uhm."
"Cosa voleva?"
"Niente."

Ed è insistente Henry; la omaggia sempre con libri nuovi e fiori di cui conosce il significato, ma sceglie volutamente d'ignorarlo.

"Oh, signorina Frye; venga più vicino, voglio farle vedere questo dipinto. Oh, signorina Frye, che ne pensa dell'ultima notizia sul giornale? Oh, signorina Frye..."
"Smettila."

Davanti a lei esplodono corone d'oro e rosso, celebrando il nuovo anno - nell'aria l'odore pungente della neve, quello greve di Londra.

"Non mi piace."
"Lo so."
"Dovrebbe ormai aver capito che sei impegnata."
"Con chi? L'unico uomo che vede sempre qui intorno sei tu, Jacob."

Jacob si raggomitola più vicino al suo fianco, nascondendo il viso nella piega del suo braccio.

"Perché non torna in India? Da solo, possibilmente."
"La situazione nel suo paese è difficile. Sai che era stato esiliato per aver fallito; non può semplicemente rientrare e salutare tutti con un oh, salve; i Frye hanno riconquistato Londra, pace fatta?"

Evie gli accarezza la nuca, sorridendo all'espressione serena di suo fratello - ricordando.

"Lo giustizierebbero."
"Che facciano." era stata la replica di Jacob, asciutta "Non ho alcun interesse in Henry Green, il Fantasma."

La città brucia, la notte si illumina - divampa, e rende tutto brutalmente nitido, vivo.

"Mi ha chiesto di andare con lui. Per aiutarlo con la Confraternita."
Nessuna risposta.
"L'ingerenza dei Templari è forte e sono a corto sia di mezzi che di uomini."
"E per provare a farti innamorare del oh così gentile Jayadeep Mir."

Evie chiude gli occhi, appoggiando il viso contro quello di Jacob - baciandogli la fronte, le palpebre.

"Non succederà."
"E se volessi venire anche io con voi?"
"Potresti, ma chi terrà Londra e i Rook nel frattempo?"

"Sono sveglio." mormora lui, strappandole un sorriso divertito.
"Certo: e io sono la regina di Inghilterra." ribatte Evie, ridacchiando.

"Che bruci Londra, Evie: i Templari sono morti o in fuga. Non andrai da sola in India e per quanto? Mesi? Anni?"

"No, non puoi esserlo." replica Jacob, aprendo un occhio "Lei è più brutta e vecchia."

"Tornerò."
"No."
"Jacob, se non ci estendiamo anche nelle colonie avremo fatto tutto questo per niente."
"Io non l'ho fatto per la Confraternita o nostro padre!"

Evie gli pizzica il braccio, guadagnandosi un guaito oltraggiato.

"L'ho fatto per te."

"Che adulatore."
"Il migliore in circolazione, signora."
Evie lo bacia, ascoltando le sue mani lungo la schiena, fino alla nuca, dove stringono, e l'avvicinano di più al suo corpo - alla sua bocca.

"Lasceresti davvero Londra morire?"
"Sì."
"E giustiziare Henry?"
"Senza alcun ripensamento."
"Sei spietato."
"Anche tu, Evie; solo che non hai il coraggio d'ammetterlo."

La crudeltà è qualcosa che scoprirà presto essere naturale come una seconda pelle.


I wanna show you all my love,
I wanna be the only one,
I know you like nobody ever, baby.

Jacob sa che Evie non è ancora del tutto venuta a patti con quello che sono - che ripetono ogni notte, senza vergogna.
Lo vede dal modo in cui a volte guarda le altre coppie per strada, quando uno dei Rook discute la sua autorità - persino nelle battute maliziose che le rivolge Clara.
Sei una donna, le aveva detto una notte Alton, nel respiro troppa birra e whisky, Il capo qui è il signor. Frye, tu la sua delicata sorellina.
E gli aveva rotto tutte e due le braccia, Evie, riducendolo a un ammasso piagnucolante di muco e sangue.
Ripetilo, aveva sibilato a pochi centimetri dal suo viso tumefatto; ripetilo e ti faccio saltare le palle con questa stessa lama, spedendole alla tua puttana della settimana.
Non aveva bisogno della sua plateale approvazione, Evie, perché le azioni parlavano da sole - e diversi Rook si erano ritrovati in strada a piangere come bambini.
Jacob aveva alzato il bicchiere nella sua direzione, nulla più di una tacita approvazione - tra le cosce un'erezione scomoda, inopportuna al momento.
E cazzo se lo eccitava vedere Evie combattere nella rena o meglio ancora, schiacciare chiunque sfidasse la sua autorità.
Non è questo che sono le donne in questa epoca, aveva ringhiato poche sere prima.
Oggetti da vetrina, figure angeliche e del focolare, aveva sputato, pulendosi la bocca dal sangue e dalla bile.
Jacob si era limitato ad ascoltare, tamburellando di tanto in tanto con il bastone sul pavimento.
Gli spacco quella faccia di merda se ci riprova ancora, aveva promesso, togliendosi la camicia madida di sudore - e dio se era bella nuda e vestita solo di pelle e rabbia.
Ed era questo Evie; un lupo in caccia, un animale che apparteneva alle fredde e terrose foreste inglesi, non certo alle umide giungle indiane.
Evie si volta, un panno intriso d'alcol sul fianco e solo la luce della candela a illuminarle le mani, parte del viso.
Jacob le restituisce lo stesso sguardo, fermando i suoi movimenti
Si era alzato, inginocchiandosi poi al suo fianco.
"Forse ti serviranno dei punti."
Evie era rimasta in silenzio, studiando le sue mani esaminare la ferita, accostarne i bordi slabbrati.
"È superficiale, ma non vorrei facesse infezione." prosegue Jacob, tracciandone i contorni.
Evie lo osserva con occhi grandi, smangiati agli angoli; socchiude la bocca quando lo vede portarsi le dita alle labbra, saggiandole in punta di lingua.
"Dovrei chiamare Agnes." mormora Jacob.
"Sì."
"Chissà se è ancora sveglia."
Collidono, Evie e Jacob - si cercano nello stesso istante.
Collidono, ed è denti e sangue - vestiti gettati per la carrozza e un amplesso rapido, vorace.
Si incontrano nel mezzo, e non c'è spazio per loro in questo tempo - per una donna come Evie, che brucia di una forza assoluta, selvatica.
Non c'è spazio per Jacob, un uomo che ama con la stessa urgenza dissennata dei disperati - degli eroi ante litteram.
C'è una sincronia familiare nei loro movimenti - nel modo in cui Evie si schiude a lui, accogliendo le sue spinte.
C'è l'essere di nuovo uniti, forse una memoria genetica, forse il bisogno fisico di essere di nuovo insieme, aggrappati l'uno a all'altro come prima della nascita.
Jacob percepisce la ferita di Evie sanguinare, lungo l'addome fili rossastri e appiccicosi.
Dovrebbe fermarsi - non farlo, mormora lei.
Dovrebbe aspettare - più a fondo, Jacob; continua, lo incita.  
Ma non è fragile, Evie: non è uno di quei cosini che puoi trovare nelle case di Londra tutto sorrisi e modi leziosi - la cui forza è solo quella di sopportare e sopportare e ingoiare quanta più merda possibile.
E affonda, Jacob; viene inseguendo l'orgasmo di Evie - bagnato, che gli cola tra le cosce, costringendolo alla resa.
E grida, Evie, soffocando quel gemito contro la sua spalla - morde, lasciando impronte violacee che domani attireranno la curiosità di più di una persona.
Jacob si lascia andare sul corpo di Evie, tra di loro sangue e sudore e altro - dio, papà si rivolterebbe nella tomba, le aveva detto una volta e lei aveva riso, sorprendendolo.
Il treno continua la sua corsa, pigro - indolente su binari che conosce, dei quali ricorda ogni curva, ogni difetto.
Evie gli accarezza i capelli sulla nuca, baciandogli una tempia.
"Ho picchiato anche Audley."
"Hai fatto bene."
"Non vuoi neanche sapere il perché?"
Jacob libera una risata bassa, di gola - che riverbera nel suo petto, facendola inarcare contro di lui.
"No." sussurra, blandendola di nuovo tra le cosce - ancora sensibile, troppo.
Evie socchiude gli occhi, languida - acciaio e metallo sotto una pelle morbida, calda.
"Avrai avuto i tuoi motivi."
"E se l'avessi fatto solo per divertirmi?"
"Ancora meglio." ribatte Jacob, infrangendole il respiro in un bacio affamato, avido.
Evie intreccia le gambe attorno la sua vita, ride, ed è un suono sincero - libero.
Lupi e aquile non sono fatte per strisciare, ma per conquistare; l'agone della battaglia - la voglia - divora e non lascia spazio ad altro che non siano loro.


1869

Villa Kenway è un luogo pieno di fantasmi e memorie.
Ciondolano tende strappate, sfiorando pavimenti in cui il sangue dei padri è diventato quello dei figli - una storia che Evie conosce bene.
Si erge nel centro di Londra, fissandola con occhi morti e vuoti - sorvegliando una città che cresce batte uccide.  
Jacob l'affianca, sul viso un'espressione seria, attenta.
"Siete solo tagliagole senza il senso del futuro." mormora Evie, posando lo sguardo sul ritratto di Edward Kenway e dei suoi figli.
Jacob la fissa in tralice, camminando su tappeti logori e consumati dal tempo - nell'aria polvere e silenzio.
"Non c'è ordine senza controllo, né pace." prosegue, toccando con la punta delle dita il viso di un bambino di appena dieci anni.
"Pearl Attaway?"
Evie abbozza un sorriso a metà, contrito.
"No: Lucy Thorne."
Jacob tace, seguendo il suo sguardo.
Evie libera un sospiro stanco, incurvando le spalle in avanti.
"Non è forse la stessa cosa che facciamo con i Rook?" sussurra, gli occhi di Haytham Kenway un presagio spietato.
"Sì." risponde senza incertezze Jacob, cogliendola quasi di sorpresa.
Evie si volta, umettandosi le labbra.
"E non ne vedi l'ipocrisia, fratello?"
"Ogni giorno."
Un cardellino si posa sul bordo sbeccato di una finestra, cinguettando.
"La guerra non è finita." le dice poi, togliendosi il cappello e fissandone la fodera "I Kenway ne sono un esempio."
Evie aggrotta le sopracciglia, attorno a lei solo miseria e rovina - croci infrante, lame spezzate.
"L'America è nostra solo grazie a Connor Kenway."
Jacob sbuffa, un suono a metà tra il divertito e lo scettico.
"Le colonie sono un terreno fertile per i templari."
"Ho letto i documenti di Greenie." sibila lui, combattuto tra l'ovvio e i suoi desideri.
Evie gli stringe le dita attorno il braccio, attirandone l'attenzione.
"Se ti dicessi che non vorrei, staresti meglio?"
"No. Un po', forse."
"Non esiste un altro Connor Kenway, Jacob."
"Oh, magari ci fosse. Magari Greenie ha un figlio illegittimo da qualche parte."
Evie alza un sopracciglio, scettica.
"Giusto, cosa vado a pensare; come minimo non sa nemmeno come si usa il cazzo, figurati se ha messo incinta qualcuna laggiù."
Evie non dovrebbe, ma si ritrova suo malgrado ridere, battendogli la mano aperta sul petto.
"Non sarà per sempre."
Jacob la guarda, negli occhi la stessa espressione ferita di quando erano piccoli - sperduti Hansel e Gretel in un bosco di ferro e cuoio.
"Potresti venire con le nuove reclute e io tornerò spesso a Londra; da solo non sai nemmeno allacciarti la camicia."
"Immagino dovrò imparare." mormora Jacob, cupo.
Evie stringe i denti, nel petto un morso gelido, che le impedisce quasi di respirare.
"Non c'è un'altra strada per noi, fratello: siamo Assassini."
"Verrà il giorno in cui non lo saremo più." ribatte lui.
Evie annuisce, posandogli il viso nell'incavo del collo e chiudendo gli occhi.
All'anulare sinistro l'anello degli Assassini scava senza pietà.


Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow
Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow.

Quando George li rivede viene attraversato da una strana sensazione - strisciante, che gli fa annodare le viscere e ritirare i testicoli.
Evie ride, Jacob le prende la mano, facendole fare una piroetta sul ciglio della strada - e sono loro, eppure qualcosa è cambiato.
Londra rumoreggia attorno a loro, ribolle di una vita che a Crawley scorre ancora lenta, fuori dal tempo.
"Oh, George." lo saluta Jacob, togliendosi il cilindro e facendo un inchino esagerato.
"Mi prendi per il culo, Jacob?" ribatte lui, non riuscendo a trattenere un sorriso.
Jacob si porta una mano al cuore, spalancando gli occhi.
"Chi, io? Ma come puoi anche solo pensare una cosa simile di me, George Westhouse."
"Perché ti conosco." replica, ma una luce diversa sul fondo dei suoi occhi gli dice che no, tu non mi conosci più. Forse non l'hai mai fatto.
"Non dargli retta." si intromette Evie, i capelli spettinati e un vago rossore sulle guance "L'assenzio londinese gli ha sciolto la lingua."
"E non solo." mormora Jacob, scoccandole un'occhiata in tralice.
George si schiarisce la voce, studiandoli con attenzione - percepisce la finta offesa sul viso di Evie, nella voce di Jacob una flessione vorace, mascherata in fretta da un sorriso a trentadue denti.

Inganno e dissimulazione.

E c'erano stati diversi momenti in cui si era chiesto e se?
E se non mi fossi sbagliato?
E se quello che avessi intravisto fosse reale?
E se le abitudini di cui gli raccontava Ethan fossero stato altro?

"Insieme."
Ethan si era scrollato nelle spalle, spalmando una fetta di pane con il burro.
"È un'abitudine che hanno avuto fin da piccoli."
George aveva alzato un sopracciglio, osservando i gemelli con la coda dell'occhio, entrambi impegnati ad allenarsi in cortile.
"Hanno quattordici anni, Ethan: forse sarebbe il caso di modificare questo loro atteggiamento."
Ethan aveva sospirato, fissandolo.
"Non sei sempre tu a dirmi che non posso dividerli?"
"Sì, ma io intendevo sul campo; nell'addestramento. Umanamente."
Ethan posa il coltello, strofinando il bordo del tovagliolo tra il pollice e l'indice.
"La prima notta che li portai qui si aggrapparono l'uno all'altro come un unico ammasso di braccia e gambe. Sembrava di avere a che fare uno di quei giochi a incastro; cerchi di togliere un pezzo e te ne crolla un altro sul tavolo."
George ridacchia, immaginando la scena.
"Dormirono in un unico letto, avvolti così stretti e piangendo che pensavo gli sarebbe venuto un colpo."
Ethan smette di tormentare il tovagliolo, aggrotta le sopracciglia, come se gli fosse sopraggiunto un pensiero particolarmente scomodo.
"Nella Confraternita il sesso non ha importanza. Uomini, donne; sono retaggi perduti nel tempo. Siamo un unico corpo, un'unica lama."
George beve un sorso di tè, ascoltando.
"Gliel'ho chiesto, George: se volevano due camere separate." mormora Ethan, posando lo sguardo su Evie e Jacob, adesso impegnati a picchiarsi più che seguire i loro esercizi.
Ethan preme le labbra in una linea sottile, contrariata.
"Non è un problema, papà; hanno risposto. Non ci disturba affatto. Siamo abituati."
George appoggia la tazzina sul piattino con un click pungente, che taglia l'atmosfera ovattata della cucina.
"Abituati."
"Già."
"Ma ho visto che ci sono due letti nella stanza."
Ethan lo guarda, non dice altro - non ne ha bisogno.

E George ricorda quella conversazione che se fosse avvenuta adesso - l'intimità che avevano sempre mostrato i due gemelli, compagni d'arme e sangue.

E...?

Evie lo prende sotto braccio, sollevando l'altro verso il cielo.
"Dunque? Da cosa vuoi iniziare? Da Whitechapel dove il mio carissimo fratello ha arruolato i primi Rook, oppure da Bertha, il nostro fedele treno?"
Jacob li affianca, toccandosi la tesa del cilindro - le labbra distese in un sorriso furbo, ammiccante.
"Consiglio Whitechapel: chissà che non ti faccia bene un po' di movimento, George."
I dubbi infettano persino la gioia di vederli vittoriosi e vivi.


1869

C'è una quotidianità che ha cominciato ad alimentare le loro giornate; una serie di piccoli passi dietro l'altro.
Il potere non mantiene se stesso, le aveva detto Jacob, le nocche sanguinanti e negli occhi un'intelligenza guerriera, ferale.
Se vogliamo che Londra sia libera dobbiamo stabilizzarla; nutrirla, aveva proseguito, liberando un gemito quando si era tolto la camicia.
Evie lo osserva annusarne la stoffa, arricciando il naso.
"È un bel taglio."
"Già." ribatte lui, appallottolando la camicia e buttandola fuori dal treno.
"In quanti erano?"
"Dieci."
"Oh, così pochi?"
Jacob si inclina verso di lei, puntandole l'indice contro.
"Erano enormi, Evie."
"Immagino." ridacchia lei, alzandosi e dirigendosi verso l'armadietto sulla sinistra - un acquisto recente, necessario se volevano continuare a ricucirsi da soli.
"E armati."
Evie sorride al suo tono petulante, raccoglie ago e filo, alcol e bende.
"Avrei potuto morire."
"Oddio, no: poi chi mi salverà dal tuo fantasma?"
"Verrei a tormentarti tutte le notti; a tirarti i piedi e annodarti i capelli."
"Quello lo fai già."
Jacob libera un suono disperato, melodrammatico.
"Non hai pietà. Sorella degenere."
Evie si volta, sedendosi al suo fianco sul letto.
"Stai sporcando tutto di sangue."
Jacob tace, rivolgendole un sorriso sghembo.
"E no, non chiederemo ad Agnes di cambiarle e sai il perché."
Jacob si allunga verso il suo viso, guaisce quando Evie gli spinge la benda intrisa d'alcol nell'addome.
"Sei crudele."
"E tu un incosciente. Londra ha bisogno di tempo per guarire; se ci succede qualcosa..."
Jacob intreccia le proprie dita alle sue, sotto i polpastrelli sangue e carne viva.
"Londra è malata, Evie: per quanto tu creda importante la ricerca dei frammenti dell'Eden e la loro protezione ci sono cose peggiori là fuori."
Evie lo guarda, silenziosa.
"C'è la miseria, la fame: una violenza che affonda le proprie radici nella povertà più nera. I Rook sono..."
"Un branco di animali."
Jacob inspira con forza, annuendo bruscamente.
"C'è una cosa che ho imparato nell'ultimo anno." le confessa, socchiudendo gli occhi "I Templari aveva torto su molte cose, ma non su una."
Evie apre le dita attorno al suo ombelico, dove la benda va rapidamente tingendosi di rosso.
"Il controllo è tutto, Evie. Per quanto ci piaccia pensare che le persone sanno compiere le loro scelte da sole, non è così. Non ancora, almeno."
"Lo so." sussurra lei, chinando il capo.
Jacob le sfiora la nuca con la mano libera, posandole il mento nell'incavo del collo.

"Siete solo due ragazzini che pensano di risolvere tutto con un colpo di lama."

Sulle spalle - nel cuore - il mantello del Credo non è mai stato più pesante.


You whisper secrets in my ear
Slowly dancing cheek to cheek
It's such a sweet thing when you open up, baby.

Compiono oggi ventidue anni i gemelli Frye.
Agnes si è ricordata del loro compleanno ed è arrivata presto al treno, ancora fermo in una stazione sperduta poco fuori Londra.
Fischietta mentre accende il fuoco nella stufa, controllando di aver preso tutto al mercato - anche quel tè aromatizzato alla vaniglia che piace tanto alla signorina Frye.
Entra nelle prima carrozza, rassettandosi la gonna e sbattendo i piedi un paio di volte sui gradini, scrollandosi dalla suola il fango di Londra.
E se ne accorge solo quando smette di canticchiare il motivetto che le ha insegnato Nigel - quando una corrente d'aria fredda la sorprende lungo la nuca.

Il divano del signor. Frye è vuoto.

Intoccato, sarebbe meglio dire.
Aggrotta le sopracciglia, certa che almeno in quel giorno avrebbe evitato di ubriacarsi con i Rooks o di intrattenersi nelle bische clandestine.
"Aye, che disgraziato." borbotta, togliendo dalla busta il pane, le uova e i funghi appena comprati.

Tump.

Agnes si volta di scatto, le orecchie ben tese, i peli sulle braccia dritti.
Il silenzio non è una cosa insolita a quell'ora del mattino; la signorina Frye e suo fratello sono animali notturni e spesso dormono fino a tardi - o fino a quando riescono.
Eppure c'è qualcosa di stonato in quell'assenza; di regola l'accoglie il leggero russare del signor. Frye oppure il ronzio del treno sulle rotaie.

Una risata.

Agnes riconosce il timbro del signor. Frye - basso, morbido.
L'acqua nel pentolino comincia a bollire, distraendola appena.

Una seconda risata, seguita da un tonfo.

Agnes si avvicina alla carrozza della signorina Frye, sporgendosi verso il finestrino - ben coperto dalla tenda.
Vi appoggia sopra il viso, ascoltando - sentendosi un po' come una ladra.
"Sei un grandissimo idiota."
"Oh, vieni a dirmelo in faccia, sorella cara."
"Te la prendo a schiaffi quella faccia, e poi ti soffoco nel sonno."
"Ieri notte ci sei quasi riuscita. A soffocarmi, intendo."
Nessuna risposta.
Agnes inspira con forza, chiudendo le dita a pugno a preparandosi a bussare - perché non è cortese spiare le persone, soprattutto chi è stato così gentile da prenderti con sé e liberarti dall'egida di Starrick.
"Non... ti ho fatto male?"
Agnes socchiude la bocca, le nocche a pochi millimetri dalla porta.
Il signor. Frye ride, e Agnes crede si sia alzato in piedi perché percepisce un rumore distinto di passi, seguito da un fruscio leggero, quasi di stoffa.
"Evie, Evie, Evie." intona la voce del signor. Frye "Morire per mano tua sarebbe un onore."
Agnes sbatte le nocche contro la porta due volte in rapida successione, trattenendo il fiato.

Silenzio.

"Signorina Frye?"
"Oh, Agnes." la raggiunge la sua voce, quieta - forse un pelino acuta.
"Sei arrivata presto stamattina." aggiunge poi, nella carrozza rumori attutiti e di vestiti che vengono spostati, forse raccolti.
"È il vostro compleanno: volevo preparavi la colazione."
"Grazie mille." chiosa Evie, spostando appena la tenda e fissandola da dietro il finestrino "Mi sa che ieri notte ho fatto le ore piccole."
Agnes abbozza un sorriso teso, annuendo.
"Sa per caso dove si trovi suo fratello? Non è nella carrozza."
Evie apre la bocca, richiudendola subito dopo; sembra riflettere sulla sua domanda, valutando le opzioni.
"È stato fuori tutta la sera con i Rook; le solite cose. Un carico da intercettare al porto, qualche rissa, molto alcol."
Agnes sta ribattere che le sembra di aver sentito la sua voce quando Evie la precede, fermandola.
"Ha poi deciso di svegliarmi rientrando ubriaco nella mia carrozza e adesso dorme sul pavimento: a quanto pare il mazzo di fiori stropicciato che ha rubato da chissà dove non poteva aspettare."
Agnes aggrotta appena le sopracciglia, annuendo.
"Ci vediamo tra poco, Agnes; e grazie mille."
Evie richiude la tenda, lasciandola lì, incerta.

"Ieri notte ci sei quasi riuscita, Evie."

Ed è vero che signor. Frye non conosce le vergogna - triviale, inappropriato, audace (troppo).
Ed è vero che è pur sempre suo fratello e che la signorina Frye sembra trovare divertenti questi atteggiamenti, forse persino incentivarli alcune volte, ma...

Ma.

Agnes getta un'ultima occhiata alla porta chiusa della carrozza, perplessa - inquieta.
Dentro, il loro segreto si consuma ansito dopo ansito.


1869

"Buon Natale, Evie." le dice, baciandola tra i capelli - sulla pelle neve e cuoio.
Evie si stiracchia all'indietro, allungando un braccio verso di lui.
"Già sveglio?"
Jacob si toglie gli stivali, scivolando poi al suo fianco - strappandole un brivido.
"Sei gelido."
"Londra a dicembre non è proprio il massimo."
Evie si volta, raggomitolandosi contro il suo petto.
E sono sempre più frequenti questi momenti - quieti, intimi.
Si ritrova baciarlo di sorpresa nell'oscurità di Whitechapel, oppure sul ciglio di un tetto prima di un salto.
Lo cerca senza vergogna, sorpresa da quanto Jacob conosca il suo corpo - sappia ricostruirne ogni cicatrice, ogni spigolo.
Vorrebbe dire che ci sono volte in cui non ricorda che è suo fratello - che è solo un costrutto della sua mente - ma sarebbe una penosa bugia.
Evie sa benissimo chi è Jacob, e questo non la spaventa più.
Ci ha riflettuto diverse notti, fissando il suo profilo addormentato - la bocca socchiusa, i capelli spettinati sul cuscino.
Si era chiesta se fosse un sentimento reale - se non stesse solo colmando la sua solitudine e l'incapacità di fidarsi degli altri.

Di nulla che non fossero loro, e basta.

Aveva ragionato sulle conseguenze della loro relazione se fosse venuta allo scoperto e, per un attimo, non le era importato.

"Non sei poi così diversa da me, Evie: sei pur sempre saltata sul quel treno per Londra ignorando George, no?"

Si era immaginata senza di lui e non per qualche ora o qualche mese, ma per sempre, e il vuoto l'aveva inghiottita in una vertigine nerissima e appiccicosa.
Aveva proiettato se stessa in un mondo senza Jacob - in uno in cui la sua libertà era soffocata da un matrimonio o da un legame che non fosse con lui - e la gola le si era contratta in uno spasmo doloroso, bruciante.
Evie si umetta le labbra, quelle paure addensarsi attorno a lei - stringerla, e...

Tump.

Evie apre un occhio, fissando l'origine di quel rumore.
"È per te." le dice Jacob, percorrendole la schiena in punta di dita.
Evie si allunga verso il pacco rosso e argento, studiandolo con attenzione.
"Cos'è?"
"Il tuo regalo di Natale."
Evie assume un'espressione sempre più scettica, quasi aspettandosi che possa esplodere da un momento all'altro.
"Non morde."
"Allora punge."
"Evie Frye!" ride lui, arretrando leggermente - negli occhi una scintilla divertita, curiosa.
Evie borbotta qualcosa tra i denti, scuotendo il pacco su e giù.
"L'ultima volta mi hai regalato una rana. Morta."
"A mia discolpa era viva quando l'ho messa nella scatola."
"Peggio. Sai che odio le rane."
"Avevamo nove anni, Evie."
"E tu non sei cresciuto di un anno, Jacob Frye."
Jacob imbrocia le labbra, confermando la sua affermazione.
"Aprilo."
Evie incide con l'unghia del pollice il bordo della carta, spiando al suo interno.

Un libro.

"Dimmi che non è il Kamasutra."
"No." ribatte lui, piegando la bocca in una smorfia al pensiero di Henry "Forse l'unica cosa decente di cui ha parlato Greenie negli ultimi mesi."
"L'unica di cui ti sei interessato, è diverso."
Jacob emette un suono irritato, schioccando la lingua contro il palato.
"Non certo perché la usasse come scusa per scoparti."
Evie abbozza un sorriso furbo, fissandolo dal basso.
"Come se fosse così facile scoparmi, uhm, Jacob Frye?"
Jacob aggrotta le sopracciglia, perplesso.
"Non capisco se devo ridere o meno."
Evie scuote la testa, mettendosi seduta e avvolgendosi nelle coperte - il fuoco della stufa ormai del tutto spento.
Strappa la carta rimasta, contemplando un manoscritto che non aveva mai visto - Matilda, Mary Shelley.
Jacob le cerca gli occhi, inclinandosi verso il suo viso.
"Ti piace?"
Evie sorride, aprendolo con cautela - le pagine fresche di stampa, la costa blu scuro con dettagli dorati.
"Moltissimo."
"Non è mai stato pubblicato: lo scrisse nel 1819 e giaceva tra le carte dimenticate di suo padre."
Evie sgrana gli occhi, guardandolo.
Jacob le rivolge un'espressione soddisfatta, orgogliosa.
"So che ti piace Mary Shelley e ho cercato qualcosa di particolare."
Evie lo contempla ancora qualche secondo, appoggiandolo poi alla sua destra e sporgendosi verso Jacob - scivolando tra le sue cosce, contro il suo corpo.
Jacob mormora sulla sua bocca - dio, Evie - libera un gemito scomposto, eccitato.
Londra tace mentre loro gridano.


They say I'll only do you wrong
We come together 'cause I understand
Just who you really are, yeah baby.

Li guarda e vede solo orrore.
Li guarda e immagina gli organi di Evie impilati vicino al suo addome squarciato; sorride al pensiero del fegato sopra gli intestini, l'utero in una bella scatola indirizzata al signor. Jacob Frye, Whitechapel.
Sono sporchi; sono due maledetti infetti, ne è sicuro.
Sua mamma lo diceva sempre;

tua madre è morta, piccolo Jack.

le puttane le riconosci subito, Jack. Fidati del tuo istinto. Fidati del tuo spirito.

Le puttane come te, madre?

Jack si porta le ginocchia al petto, fissandoli.
E può annusare il lezzo dell'indecenza, percepirla sotto la lingua come il sapore del suo stesso sangue.

Ti ammazzerò. Un giorno ti strapperò quell'organo schifoso con il quale avveleni questo mondo.

Evie si volta, guardandolo dritto negli occhi - e Jack è sicuro che lo veda per quello che è,

un bambino mutilato in mostro e vittima.

Senza distogliere lo sguardo dal suo profilo si allunga verso Jacob, toccandogli il braccio.

Immagino cos'altro fai con quelle mani luride.

Jacob solleva il mento verso sua sorella, ancora seduto sui talloni - chinato sul pavimento a esaminare le tracce di alcuni Blighter rimasti.

Vi vedo, e mi date la nausea.

Evie si avvicina all'orecchio di Jacob, sussurrandogli qualcosa - uno scellino per succhiartelo, due per prenderlo - rivolgendogli uno sguardo sospettoso, incerto.

Ti vedo anche io, Jack.

Jacob lo guarda, Jack gli restituisce uno sguardo vuoto - apatico.
Anni dopo, nell'autunno più nero di Londra, la sua rabbia potrà finalmente avere sfogo.


1870

A volte ci pensano entrambi.
Ci sono notti in cui indugiano nel pensiero del e se tornassi a prenderla?
Se la indossassi solo ogni tanto - quando necessario?
Se la smettessi di incassare e tornare a casa sputando sangue e pezzi di me?

Nulla è reale, tutto è lecito.

Evie fissa il soffitto, il respiro una serie di piccoli ansiti affannati.
Jacob inclina il viso verso di lei, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
"Lo so." mormora, fissandola.
Evie aggrotta le sopracciglia, deglutendo.
"Sicuramente le cose sarebbero più facili."
"Per chi?" ribatte lei, il corpo nudo, lucido di sudore e altro.
Jacob si stringe nelle spalle, intrecciando le dita sul petto.
"Noi?"
Evie libera una risata asciutta, secca.
"Starrick sembrava cavarsela una meraviglia." prosegue Jacob, neutro.
"Non puoi pensarci davvero."
Jacob le rivolge uno sguardo pieno, deciso.
"Ci penso, Evie; e mi rispondo ogni volta che no, non posso prenderla. Per quanto mi piacerebbe, non posso."
"Come non potresti neppure scopare tua sorella?"
"Le due cose non si avvicinano neanche lontanamente."
Evie solleva il viso verso il suo, quieta.
"Pensavo fossimo ormai oltre questo, Evie."
"Lo siamo." ribatte lei, appoggiandosi su un gomito.
Jacob alza un sopracciglio in una silente domanda, fissandola.
"Hanno perduto il Koh-i-Noor."
Jacob le accarezza una guancia con il dorso della mano, aspetta.
"A quanto pare quello della regina Vittoria ne è solo una replica."
Evie inspira con forza, una parte di lei concentrata sulle ultime notizie dalla Confraternita, un'altra crudelmente sensibile alle dita di Jacob attorno la gola, sul seno.
"Nostro padre l'ha nascosto in India."
Jacob socchiude gli occhi, lo sguardo farsi torbido - preoccupato.
"La situazione..."
"Lo so." la interrompe lui, sollevandole il mento con il pollice "È da tempo che lo so, Evie."
"Non vorrei."
Jacob le riserva un sorriso triste, che si distende appena agli angoli.
"Neanche io."
"Tornerò."
Jacob si china verso la sua bocca, osservandola mentre si tende verso di lui, un magnifico arco di pelle e muscoli di cui conoscere la consistenza, il sapore.

Che trema, e viene per lui - solo per lui.

"Immagino che dovrò imparare a cavalcare gli elefanti; Greenie ne parla sempre come se fosse una cosa spettacolare."
Evie sorride, e Jacob è sollevato di vedere che nel suo sguardo non c'è nulla se non loro - una leggera malinconia che muta già in desiderio.
"Pensavo fossi più un tipo da bombe allucinogene e karas."
Jacob la sovrasta con il proprio corpo, sollevandole i fianchi per le natiche - affondando sulla sua bocca per non gridare quello che davvero vorrebbe dirle.
Evie mormora quelle parole per entrambi.


Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow
Little sister can't you find another way
No more livin' life behind the shadow

I shake up.

Tra le strade di Whitechapel, in equilibrio sulle guglie del Big Ben - non ha importanza.
I gemelli Frye vibrano con Londra, si vestono della stessa pelle - cuoio e acciaio.
Henry li osserva lanciarsi in avanti l'uno a un respiro dall'altro - comparire pochi secondi dopo sul tetto successivo, correre, e sovrapporsi in un unico profilo.

"Io non ti piaccio."
"Non capisco di cosa tu stia parlando."
"Greenie. Greenie, Greenie."

E ha ragione, Jacob: non gli piace.
È imprudente, avventato e volgare; un sorriso a mezza bocca, il totale sprezzo delle regole - del buonsenso.
È viscerale, Jacob: nasconde dietro una battuta uno spirito violento, feroce.
L'ha visto combattere e ha subito notato la scintilla eccitata che gli accendeva lo sguardo quando uccideva e picchiava e massacrava - e non per il Credo, ma per sé.

"Oh, e questo cos'è? Il Natale degli Assassini, Greenie?"

Guida i Rook con un pugno di ferro travestito da mano tesa - non rifiuta mai una rissa, la brutalità di uno scontro per strada, con chi contesta lui e la sua autorità.

"Mi hanno detto che hai vissuto per anni nelle fogne, sotto il Tamigi."
"Dovevo nascondermi."

Henry atterra a pochi metri dietro di loro, li studia sporgersi in avanti, Evie afferrare il colletto del cappotto di Jacob e strattonare - idiota; così ti farai scoprire.

"Ho saputo che laggiù in India hanno perso uno di quei mirabolanti frammenti dorati."
"Si chiamano dell'Eden, Jacob. E sì, a quanto pare non lo trovano più."
"Meraviglioso: e dire che non stiamo certo parlando di un paio di scarpe."

Ed è un pugno di bianco e giallo nella notte, Henry; un uomo che cerca di scacciare la molesta sensazione d'essere di troppo - di aver ormai perso ogni possibilità.

"Sei geloso, Greenie?"
"Di cosa?"
"Di Evie."

Evie ride a qualcosa che le appena sussurrato Jacob, dandogli una leggera pacca sulla schiena ed Henry la trova adorabile.

Ma.

Ma non è lui che guarda.
Non è a lui che rivolge lo sguardo quando ha bisogno di aiuto - non sarò sola contro Starrick; torni sul treno, signor. Green. - non è lui che cerca nel mezzo dello scontro, la mano che stringe fino a far sbiancare le nocche.

"No."
"Ah sì? Strano, ho trovato questo mazzo di fiori stamattina nella sua carrozza."

Evie si volta, le labbra ancora tese in un sorriso divertito, un po' infantile.
"A quanto pare i Blighter rimasti credono di poter importare reliquie rubate senza che ne veniamo a conoscenza." inizia, indicando verso il vicolo con un brusco cenno del mento.
"Non hanno mai brillato di furbizia." sottolinea Jacob, posando lo sguardo su Henry - nella pupilla una luce predatoria, che gli ricorda quella delle aquile in caccia.

"Fiori d'acacia e rose gialle. Il giglio bianco l'ho trovato un tocco di classe."
"Sono solo fiori. Un ringraziamento ad Evie per avermi aiutato e per quello che potrà fare in India, con la Confraternita."

No, non gli piace Jacob Frye; è tutto ciò che lui non è mai stato - sfacciato, irriverente, sanguigno.
Mentre le sue mani tremano al pensiero di togliere la vita a una persona quelle di Jacob no: si muovono veloci, nutrendo uno spirito selvatico, che solo in alcuni momenti ha intravisto anche in sua sorella.

"Sai qual è il bello di lasciar pensare agli altri di essere stupido?"
"Che ti sottovalutano."
"Esatto, Greenie: esatto."

Evie si cala maggioramente il cappuccio sul viso, tendendo i muscoli prima del salto.
"Pronto?"
Jacob storna lo sguardo, posandolo in quello di sua sorella.
"Sempre."

"Avresti potuto scegliere l'agrimonia. O la dalia. Il glicine, perché no. Invece hai voluto esagerare."

"Controllerò il perimetro; se i cecchini si spostano vi manderò il segnale pattuito." si intromette Henry, nella voce una nota irritata - che sfugge al suo controllo.

"Evie voleva regalarti un mazzo di narcisi."
"Oh, che pensiero gentile."
"Indicano l'amore per se stessi, Jacob: non è un complimento."
"Che io sappia significano anche cavalleria, rispetto; rappresentano la paura per un amore che si teme non sia corrisposto."

Evie annuisce, Jacob schiocca le dita verso di lui, beffardo.
"Chi arriva ultimo paga la cena?"
"Preparati allora a spendere fino all'ultima corona, sorella."
I gemelli Frye toccano il bordo del tetto nello stesso istante - si staccano dalle tegole e rimangono sospesi nel buio di Londra insieme, nel silenzio solo lo scintillio tetro delle loro lame.
Henry non può fare a meno di chiedersi se persino per un uomo come Jacob quello non sia troppo.

Immorale, sbagliato. Osceno.

La risposta che riesce a darsi non prende neppure in considerazione la morigerata e deliziosa Evie Frye.
   
 
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