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Autore: Yunomi    03/05/2021    2 recensioni
"I pianti, le isterie, i lanci di innocenti gerani oltre i balconcini, gli sguardi accesi dalla passione e dal fuoco che non si placava mai, né con il sesso né con le conversazioni alle tre di notte, aggrovigliati come senatori romani tra le lenzuola bianche, le sigarette, i vizi dannosi, le corse in Corvette. L’amore. Quell’amore deleterio, malsano, quell’amore che mi aveva consumata come un fiammifero e che mi aveva ridotta ad un pugnetto di ossa stanche, il cui unico sostentamento era costituito da niente di più che libri e sigarette. No. Non più"
Sequel assolutamente non richiesto di Big God. La lettura è fortemente consigliata per capirci qualcosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chloe Decker, Lucifer Morningstar, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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“Ah.”
 
 


 
“Cioè… Tu mi vuoi dire… che siete andati a Londra per una visitina di piacere… e ora intendete sposarvi lì? Da soli? Senza di noi?”
Lucifer sospirò pesantemente nel telefono. Linda dall’altro capo ruggì furiosamente.
“Prima che tu possa incominciare a ricoprirmi di volgari epiclesi e puerili turpiloqui, posso dire solamente una cosa?”
Linda si trattenne un secondo. Poi acconsentì. “E dilla.”
“E’ stata una cosa dell’ultimo minuto. E’ una sorpresa. Nemmeno Chloe lo sa!”
Linda scoppiò a ridere; Lucifer si preoccupò per la stabilità mentale della donna. “Solo tu puoi pensare di catapultarti a casa della tua ex e del suo fidanzato attuale, dall'altra parte dell'oceano, dopo due anni, e pretendere anche di sposarti lì! Davanti al suo naso! Incommentabile! Sei incommentabile.”, squittì Linda.
Lucifer sentì che stappò una bottiglia di qualcosa, e ne presunse che si trattava di qualcosa ad alta gradazione alcolica. “Senza contare che me ne stai parlando come del compleanno del Principe del Galles! Così, olè, alla leggera! Dov’è Chloe?”
“In doccia, non sono cretino. Senti…”
“No, senti tu. Io inizio ad avere un’età, bello mio. E i nervi si assottigliano, a mano a mano. Ora come ora sono spessi come un capello, vedi tu.”
“Hai appena detto che sono incommentabile, eppure mi pare che tu riesca a commentarmi benissimo.”, ribatté Lucifer, piccato.
Linda prese un sorso della cosa molto forte e sospirò. “Non impari niente. E nemmeno io imparo niente, perché se così fosse me ne sarei fatta una ragione eoni fa.”
Lucifer rilassò le spalle, cogliendo l’addolcirsi di tono della sua amica. Quelle adorabili altalene sentimentali che sfioravano il tentativo di aggressione e subito dopo quello dell’abbraccio materno erano l’unico filo su cui potevano reggersi le relazioni tra gente come loro: gli esausti eppure instancabili figli bastardi di un Dio assenteista, gettati a vivere senza manuale di istruzione e senza la benché minima cognizione di causa. Le vie di mezzo, per gente come loro, erano state scartate a priori; l’equilibrio era per chi aveva paura di cadere.
Linda strinse il bicchiere al collo e non poté esimersi dall’assumere uno sguardo dolce, al pensiero di quel povero Diavolo innamorato. Certo lo avrebbe abbracciato, se non fossero stati al telefono. Gli avrebbe anche tirato uno scappellotto, ma poi lo avrebbe abbracciato ancora più forte.
“Su…”, disse lei dopo qualche secondo di silenzio affettuoso, “dimmi un po’ quanto farà freddo, lì. Vado a prenotare il volo.”
 
 
Dopo aver agganciato la chiamata con Linda, Lucifer si spogliò ed entrò nella doccia senza bussare. A Chloe per puro caso non scappò un urlo hitchcockiano.
“Ciao.”, fece Lucifer, mellifluo.
“Sei pazzo. Mi hai fatto prendere un col-“
Ovviamente, Lucifer era entrato nella doccia con l’idea di fare tutt’altro che parlare, quindi la mise a tacere con un bacio intenso. A Chloe vennero le gambe molli.
“Di cosa avete parlato con Thomas, ieri?”, chiese lei, organizzando un filo di voce.
Lucifer ruotò gli occhi e prese a baciarle il collo imperlato di goccioline di acqua. “Devo iniziare a preoccuparmi del fatto che citi quell’uomo proprio quando sto per scoparti fino allo sfinimento?”
Chloe si prese un secondo per deglutire aria secca, e balbettò qualche monosillabo senza significato mentre Lucifer le rivolgeva lo sguardo, quello che le incendiava i lombi e le faceva mancare la terra sotto i piedi.
Rinvenne un secondo prima che lui riprendesse a baciarla. “Beh… è che siete rimasti a parlare un bel po’.”
Chloe lo fissò intensamente mentre Lucifer si perdeva un secondo ad osservare una piastrella; si spegneva per qualche secondo, si ritirava dentro un angolo di sé e la estrometteva momentaneamente dalla propria vita; ma Chloe non aveva più paura.
Si alzò sulle punte dei piedi per depositargli un piccolo bacio tra il collo e la mascella. Lucifer si scosse leggermente.
L’acqua era incandescente, e densi vapori esalavano dalla loro pelle. Lucifer spostò lo sguardo su Chloe e pensò che la amava immensamente, e lo colpì la certezza – sì, esatto, certezza – che per la prima volta in vita sua stava facendo qualcosa di Giusto. Le prese il viso tra le mani e si tuffò nel mare blu pallido di quegli occhi quieti.
“Ti amo come mai ho amato chiunque altro nella mia stupida vita. E come sai, ho vissuto un bel po’.”
Chloe si buttò a baciarlo con un tale impeto che lo spinse con la schiena contro le piastrelle gelide. Questo lo fece squittire, e vanificò il tono serio e romantico con cui aveva pronunciato quelle parole. Chloe rise contro le sue labbra.
“Ora scopami.”, sussurrò sottovoce; lui già la stava sospingendo contro il muro.
“Chi ti ha insegnato a parlare così, detective…”, ribatté lui, fingendosi estremamente scandalizzato.
“Il peggiore di tutti.”
E gli gettò le braccia al collo, ridendo.
 
 
 
 


 
 
In the crooks of your body, I find my religion.
(Sappho)
 
 


 
 
 
 
“Che poi, a pensarci bene, gettare le braccia al collo è un’espressione di una cruenza rara.”
Molly e Thomas leggevano separatamente a letto, soddisfatti dalla vita per una buona volta, sazi di sesso e di baci. Molly, tuttavia, faticava a concentrarsi sulle pagine, e ne aveva fatta la sua missione impedire anche a lui di concentrarsi. Thomas alzò gli occhi dal libro, e sbatté le palpebre una volta.
“E ha anche un che di apocalittico.”, continuò lei, accomodandosi nella sua argomentazione. “Mi immagino qualcuno che si svita le braccia e le tira tipo getto del peso in faccia a qualcuno.”
Molly fissò Thomas con estrema serietà.
Thomas sbatté ancora una volta le palpebre.
“Hai presente come si posizionano i lanciatori alle Olimpiadi? Col peso attaccato all’orecchio?”
Thomas scoppiò a ridere, improvviso e inaspettato, e dovette addirittura togliersi gli occhiali. A Molly si illuminò lo sguardo.
“Piccola.”, disse, dopo che si fu ripreso.
“Sì?”
“Sei matta come un cavallo. Vieni qui.”
Molly chiuse il libro languidamente e gattonò verso Thomas, sedendoglisi a cavalcioni. Chiuse anche quello di lui e lo appoggiò sul comodino, assicurandosi di muoversi per bene sopra un punto ancora sensibile sotto le coperte. Thomas piegò la testa a osservare la tenuta della ragazza: un paio di mutandine di tulle rosa, sottili e praticamente impalpabili. Molly gli voltò il viso verso il proprio e sorrise. “Devi ringraziare il buon gusto della Papessa in fatto di lingerie.”, sussurrò prima di baciarlo intensamente. Le mani di Thomas si allungarono ad accarezzare la curva dolce ricoperta di tulle.
“Dovrei proprio alzarmi.”, disse lui, staccandosi a malincuore.
“Una parte di te l’ha già fatto.”, ribatté lei, maliziosa, e si piegò a baciargli il collo. “Mazeltov, tra l’altro.”
“Perché devi sempre mettermi nella posizione di fare l’adulto responsabile?”, sbuffò lui, gettando la testa all’indietro e mordendosi un labbro. Non accennava a levare la mano dal gluteo della ragazza, tuttavia. Molly si mosse lievemente.
“Ma tu sei l’adulto responsabile. Io sono solo una ragazzina disubbidiente e insubordinata…”
Thomas maledisse tutte le schiere angeliche ed emise un gemito di frustrazione. “Tu…”, disse solamente, vedendo che lei non smetteva di muoversi e di sbattere le ciglia come una languida cerva.
“Io…?”
“Sì…”
“Ti ascolto.”, replicò lei, abbassandosi a torturargli il petto di baci.
Thomas sbuffò; raccogliendo una forza che non pensava di possedere, le prese il viso in mano e le stampò un bacio frettoloso sulle labbra. Si alzò prima che potesse fargli cambiare idea; Molly sbuffò sonoramente.
“Abbiamo davvero tanto da fare.”, disse lui stringendo gli occhi e cercando di far affluire il sangue in qualsiasi altra periferia del suo corpo. “Lucifer ci ha dato dei compiti ben precisi.”
“Odio quando fai l’adulto responsabile.”, borbottò lei, mettendo il broncio.
“Okay, hai ragione. Ora vai a metterti, non lo so, un sacco di iuta, e… e ci vediamo di sotto in cucina, d’accordo?”, balbettò Thomas, in evidente difficoltà.
Molly si lisciò una ciocca di capelli, e alzò uno sguardo da sgualdrina che fece credere a Thomas che sarebbe impazzito se non l’avesse presa subito. Ma come tutte le altre volte in cui aveva creduto che sarebbe impazzito, non impazzì. Si limitò a mordersi un labbro, puntarle un dito contro e minacciarla, prima di sparire nel bagno: “Io vado a farmi una doccia gelida. Artica, anzi. Ma non pensare che sia lontanamente un discorso chiuso.”
“Me lo auguro.”, ribatté lei, facendogli la linguaccia.
 
 
Lucifer entrò poco dopo senza bussare: aveva un asciugamano bianco intorno alla vita e i capelli arricciati dall’umidità della doccia. Iniziò a guardarsi intorno, aprendo cassetti e frugando tra gli scaffali come fosse camera sua. Molly accennò un colpo di tosse.
“Hai bisogno?”, chiese, sollevando le sopracciglia.
“Sì, Thomas ha detto che potevo guardare nei suoi cassetti per un fazzoletto da taschino di Hermés.”
Finalmente, dopo aver sventrato un paio di comò e una povera cassettiera Ikea, glissò lo sguardo sulla ragazza: teneva un braccio davanti al seno, nudo, e indossava nient’altro che un paio di invisibili slip di tulle rosa.
“Oh.”, disse Lucifer.
“Eh.”, disse Molly.
“Molly.”
“Dimmi, caro?”
“Sei… Sei in mutande.”
“Sono in camera da letto.”
“Sì, ma… E’… come dire… Lingerie.”
“Ebbene?”
“E’ che… mh.”
“Luci. Parla come mangi.”
“Sono… mutandine di tulle.”
“Ti aspettavi che indossassi una cotta di ferro, sotto la gonna?”
“Lo so cosa indossi.”
“E allora?”
“Sono un po’… un tantino… trasparenti, ecco. Il tulle non è esattamente un materiale coprente.”
Molly si lasciò cadere la mascella sul pavimento. Thomas uscì dal bagno en suite fischiettando Gloria di Umberto Tozzi, e si strozzò con l’aria vedendo Lucifer impietrito con le mani nei suoi cassetti e gli occhi sulle mutande della sua ragazza. “Ah.”, disse solamente, e una goccia si staccò da un boccolo per precipitare urlando sul pavimento.
“Ehilà.”, salutò Lucifer, cercando di distogliere lo sguardo. “Bel tempo oggi, no?”
“Un po’ bagnat- ehm… umido. Già.”
“Sembra l’inizio di un film porno.”, sbuffò Molly, alzando gli occhi al cielo. Sempre con il braccio premuto a coprire le proprie grazie, scivolò nella cabina armadio, da cui poi riemerse con un’enorme camicia di flanella a quadretti.
I due uomini piegarono la testa di lato.
“Non è esattamente un miglioramento.”, disse Lucifer, passando in posizione da calcio da punizione. Si sa che gli asciugamani fanno quel che possono, in fatto di dissimulare le reazioni fisiologiche alle nudità femminili. Thomas lo imitò, tossendo lievemente.
Molly pensò che condivideva la casa con due adolescenti deficienti. Si abbottonò la camicia e prese una sigaretta. “Sorvoliamo, per carità del signore.”
“Sarà meglio.”, dissero in sincrono i due.
“Ordine del giorno?”, chiese lei, sedendosi in punta al letto.
“Fioraio e boutique, allestimento del giardino, recupero di Eve e di Linda domani, in aeroporto.”, stilò Lucifer, secco come un burocratico.
“Okay. Chi ci pensa a distrarre Chloe finché sistemano il giardino?”, chiese Molly.
Lucifer aprì la bocca e la richiuse poco dopo.
Thomas alzò le spalle.
Molly alzò gli occhi al cielo. “Gesù.”
“Non scomodiamolo.”, scherzò Lucifer, ma fu subito colto da uno sguardo gelido da parte della ragazza.
“Di cosa parlate?”, chiese Chloe, facendo capolino nella stanza. I tre gelarono sul posto, e a Lucifer per poco non cadde l’asciugamano che aveva stretto intorno ai fianchi.
“Del tempo.”
“Del tè.”
“Di Teheran.”
Un fuoco incrociato di sguardi basiti e recriminanti.
Chloe era confusa. “Sono confusa.”
“Anche loro.”, disse Molly con un gesto vago in direzione degli uomini. Non lasciò loro il tempo di commentare che prese a spingere Lucifer verso l’uscio. “Andate a farvi un giro voi due, comprate un vassoio di croissant per la colazione, oppure fatevi una sveltina da qualche parte, non me ne cala, schiodate, sciò.”
Thomas rise, scuotendo la testa, e una volta che quella pertica di Lucifer ebbe smesso di opporre resistenza la ragazza chiuse ad entrambi la porta sul muso. Si sentirono deboli proteste, ma d’altronde non erano che le nove del mattino: nessuno aveva troppa voglia di lamentarsi, a quell’ora.
Molly si voltò con esasperazione verso Thomas; lui le sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio e le baciò la fronte. “Come ti senti?”
“Sono sempre stanca. Sempre, Tom. Non importa quanto caffè beva o quanto dorma la notte.”, rispose lei.
“Si chiama diventare grandi.”
“Si chiama rottura di coglioni.”
“Sì, beh. Ci si deve passare per forza.”
“Non mi sembra di aver firmato da nessuna parte.”, ribattè lei, caustica. “Tu come stai?”
Thomas trattenne il fiato e si limitò a sospirare.
Quanto stava sopportando, questo la ragazza non avrebbe mai potuto quantificarlo. Ciò di cui era certa era che, qualunque cosa lui e Lucifer avessero discusso il giorno precedente, aveva sbloccato qualcosa. Come quando cerchi di chiudere un cassetto che proprio non ne vuole sapere di chiudersi, e non fai altro che spingere, e spingere, e spingere, spesso arrivando anche a sfasciare l’intera struttura del mobile. E poi alla fine ti rendi conto che bastava rovesciare il contenuto sul tappeto per scoprire che c’era qualcosa incastrato sul fondo che bloccava tutto. Molly gli passò una mano sul volto fresco di rasatura, e pensò che era l’uomo più incredibile e forte che avesse mai visto. “Ti amo, lo sai?”, sussurrò lei a un centimetro dalle sue labbra.
Si guardarono con la loro solita inossidabile tenerezza. “Grazie.”, disse lui, carezzandole una guancia.
“Le grazie le fa solo la Madonna.”, rispose Molly alzando le spalle. “Io mi limito a fare quello che più mi viene naturale fare.”
 
 
 
 
 
 
 
My lover’s got humor, she’s the giggle at a funeral.
(Hozier)
 
 
 
 



 
 
 
 

Still,
we’re not broken
Just bent.
(P!nk)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
Più tardi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Tu non sei capace di amare, Thomas.”
Coltelli. Certe parole sono coltelli.
Thomas si accese una sigaretta e si passò una mano sul volto. Le lenzuola sembravano fatte di cemento armato, e il materasso era un mostro con le fauci aperte che voleva inghiottirlo. Erano le tre del pomeriggio.
Si voltò verso la finestra aperta: le tende si gonfiavano di una brezza tenue, come fantasmi. Il sole mandava raggi freddi e inospitali attraverso il biancore del cotone.
Thomas scosse la testa e gli venne voglia di piangere. Sospirò, invece.
“Non credere che sia qualcosa di innato. Qualcosa che matura con l’esperienza, con la vita. C’è chi può e chi non può. E tu non puoi.”
Non rispose subito alla voce secca che stava a fissare il soffitto di fianco a lui. I graffi che lei aveva solcato nella sua schiena bruciavano ancora un poco; le labbra se le sentiva calde e ancora umide di quei baci pieni di rancore, affamati di qualcosa che sapevano di non poter ricevere. Aspirò profondamente dalla sigaretta e si ravviò i capelli. Quanti errori per una sola vita. Quanta sofferenza inutile. Quanta amarezza.
Avrebbe voluto chiederle cosa ci fosse di così fondamentalmente, fisiologicamente sbagliato in lui che lo rendesse così incapace di amare. Poi pensò che lei sarebbe stata troppo onesta nella risposta, e quindi tacque.
“Sono felice.”, disse solamente con un filo di voce.
Non la guardò.
“Non è vero.”, rispose lei. Allungò una mano a sfilargli la sigaretta dalle dita senza delicatezza. “Non sei mai stato felice.”
“E’ vero. Ma ora lo sono.”
“Ti illudi, Thomas.”
“Forse.”
Finalmente la voce si tirò a sedere sul letto; il lenzuolo le scivolò dal busto come un sipario, rivelando il seno pallido e un collo lungo e vessato di morsi. Una cascata di capelli color rame le si riversò su una spalla. Lei lo guardò con uno sguardo di fumo liquido, e vedendo che lui non riusciva a sostenerne l’intensità scosse lievemente la testa. Anche lei provava tanta amarezza.
Si alzò dal letto.
Recuperò la biancheria, il vestito, l’anello che aveva lanciato sul comodino con fin troppa veemenza, quando si erano chiusi la porta alle spalle e lui era crollato su di lei, inciampando nei vestiti e nei ricordi nella corsa verso il letto.
Thomas si appoggiò alla testiera e la osservò rivestirsi. Quanti errori potevano commettere due persone prima di rendersi conto che certe cose non sarebbero mai funzionate? Esisteva un numero massimo, una capacità che una volta raggiunta avrebbe fatto partire una spia intermittente e una voce metallica che avrebbe intimato tutti di evacuare? Evacuare cosa poi? Il cuore, la testa, la vita? Thomas si rese conto che, qualunque cosa stesse calando a picco, dentro di lui, come il capitano di un vascello pirata sarebbe affondato insieme ad essa, legato con la sartia all’albero maestro.
Solo. Senza alcun fastidioso pennuto sulla spalla. Forse in fondo aveva ragione lei.
Intanto la donna si era vestita e si accingeva a chiudersi un orecchino di perla.
“Margaret?”, chiamò lui, con gli occhi appannati di qualcosa che ancora non riusciva a identificare. Quella che una volta era sua moglie si voltò verso di lui con un sopracciglio alzato.
“Cosa?”, chiese quella, visto che lui si era come impallato.
Thomas dovette sforzarsi di concentrarsi sugli occhi della donna. La vista gli giocava brutti scherzi. Un paio di occhi dolci e scuri continuavano a sovrapporsi su quelli di Margaret.
“Io la amo.”, esalò lui, e fu come se gli avessero sfilato un palo dal cuore.
La mano della donna sarebbe caduta mollemente lungo il fianco, se non fosse stata così rigida e rassegnata. Infatti, Margaret si limitò a sospirare. Agganciò anche l’altro orecchino e scosse la testa, raccogliendo la pazienza. “Non ho detto che non la ami. Solo che non sei capace di farlo.”
Lui abbassò lo sguardo sul viluppo di lenzuola intorno alla propria vita. Gli tremò una mano impercettibilmente. Lei la prese e la strinse. Quella pelle che aveva sempre riempito di baci ora aveva la stessa consistenza del cuoio freddo, contro la sua.
Lo guardò negli occhi con una nuova sfumatura di rimorso. “Non fare stronzate. Sappiamo entrambi che per quelli come noi non esiste nulla di duraturo. Sensazioni effimere, Thomas. Soltanto gli irrinunciabili ricordi di sentimenti discontinui e provvisori.”
Un’interminabile saga di tutto ciò che non ha funzionato…”, citò lui, pensando ad un romanzo che aveva letto a Molly un’estate incastrata in una crepa temporale in cui non aveva fatto altro che imboccarle spicchi di arancia e illudersi che tutto sarebbe andato bene.
Il professore di desiderio’, si chiamava il romanzo. Si passò una mano sul volto.
Margaret non era una donna stupida, perciò non provava alcun tipo di rancore. Il tempo aveva posato le sue lunghe dita anche sul suo viso, e delle piccole rughe si formarono intorno agli occhi quando gli sorrise. Lo baciò sulla bocca, anche se lui rimase inerme. Gli passò una mano gentile sul petto.
“Prima te ne rendi conto, e meno soldi butterai in terapia.”
Si alzò e si avvicinò alla specchiera per darsi una sistemata ai capelli. Thomas rimase fermo, cristallizzato in un istante di sgomento. Non se ne capacitava. Come poteva lei essere così refrattaria al senso di colpa? Lei si era risposata. Aveva due figli, ora. E nonostante non avesse il cuore di rifiutarlo, quando lui si presentava alla sua porta con quella faccia disorientata e spenta, dopo non si sentiva svuotata come si sentiva invece lui. Ancora gli permetteva di rovesciarle in grembo il casino che ogni tanto diventava ingestibile; lo accoglieva in casa e tra le sue gambe, si faceva ricoprire di frustrazioni e delle sue insicurezze. Eppure, appena finivano, non si faceva alcun problema ad interfacciarlo con la realtà dei fatti. Lui, invece, si sentiva una pianta a cui non davano da bere da settimane.
“Farai meglio ad andare.”, disse Margaret, schiarendosi la voce. “Non dovevi passare a recuperare la piccola dai tuoi?”
 
 
 
 
 
 







Breve ma intenso.
Altrimenti detto: buonasera, scusate per la sparizione.
Piombo qui come un sasso nello stagno dopo un mese di silenzio.
Non me ne vogliate, non ero dell’umore di scrivere di matrimoni e men che meno di preparativi di matrimoni.
Non so cosa dire di sensato, quindi dirò:
Bulgakov.
Gin tonic.
Bulbi di gladiolo.
(Che comunque riassume perfettamente ciò che ho fatto in queste settimane di congedo dal mondo di questi matti.)
Sto mettendo in cantiere un finale che spero apprezzerete, e che spero di pubblicare prima dell’uscita della 5B della serie – sono una che si fa influenzare facilmente, e non vorrei che i Crisantemi iniziassero a starnutire a caso.
Siete come sempre i benvenuti a farmi sapere cosa ne pensate – ora più che mai, dato che questo capitolo è un po’ una sorta riscaldamento prima del Gran Finale.
Che pressione mi sento addosso, ragazzi.
Intanto saltello e vi bacio forte.
- Y.
   
 
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