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Autore: _Lightning_    03/05/2021    2 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Episodio 4
LA TRAPPOLA

Parte IV




 

“Non avevo né una madre, né un padre, ma uno sconosciuto mi ha scelto come figlio.
Voi avevate una madre e un padre, e hanno lasciato che uno sconosciuto vi portasse via.
No, Generale, non mi compatisca: è andata peggio a voi.”
– Kal Skirata, guerriero Mandaloriano, al Generale Jedi Tur-Mukan,
durante le Guerre dei Cloni


 




Caverna dei Cristalli, Miniere di Kaha, 9 ABY

La mano del guerriero sconosciuto si stagliava appena nella luminescenza della caverna.

Se non fosse stato per il visore ancora scosso da interferenze che rischiarava il buio, Din non l’avrebbe affatto vista. 

Riportò il cervello al qui e ora – lontano dalle foreste di Concord Dawn e dall’ombra delle stelle che ancora punteggiavano le sue retine. Scacciò con un battito di ciglia quel forte senso di déjà-vu che l’aveva colpito, insinuatosi tra lo spossamento e il dolore diffuso che assediavano le sue membra, e tornò sotto il rassicurante peso della sua armatura, con l’odore ferrigno della battaglia ancora impresso sul palato.

Udì ovattata la voce interrogativa di Cara, seguita da un lamento flebile del Bambino, non allarmante, forse dettato da semplice curiosità. Stava bene. Din rilasciò un muto sospiro di sollievo. 

Il guerriero sconosciuto ruotò appena la testa verso i due, senza per questo ritrarre la mano.

«Se avessi voluto attaccarvi l’avrei già fatto, non credete?» replicò l’uomo.

Din colse un inaspettato accenno di sorriso nella sua voce giovane, affatto minacciosa.

Una serie di trilli robotici seguì quell’affermazione – dei trilli fin troppo vicini. Il visore di Din scattò in basso, verso le proprie ginocchia piantate nel terreno roccioso. Incrociò le orbite tondeggianti di un piccolo droide bipede bianco, che inclinò la testolina squadrata verso di lui, come se fosse intento a studiarlo curiosamente sotto l’elmo. Il che, realizzò nel notare la lucina blu intermittente sul fondo di uno dei suoi occhi artificiali, era perfettamente possibile.

«Ehi!» Din scattò in piedi barcollando con una fitta al costato malmesso, ritraendosi di un passo dal fascio di luce azzurrina che scaturiva dal droide e lo investiva in pieno. «Che kriff stai facendo?»

Il droide sobbalzò sul posto e fece un saltello indietro, emettendo un fischio acuto. A Din ricordò una lucertola lavica, di quelle che inseguiva da bambino su Nevarro; solo che le lucertole laviche si limitavano a scappare e a fissare con sufficienza lui e gli altri ragazzini Mandaloriani dalla cima di alture irraggiungibili. Di certo non assumevano un’aria offesa.

«Ah, scusatelo. Insomma, BD-1!» esclamò poi il giovane rivolgendosi al compagno, in un tono severo non molto diverso da quello che usava lui col Bambino quando toccava qualche comando della Crest. «Non è educato scansionare la gente, te l’ho già detto, no?»

Din approfittò del battibecco per scambiare un’occhiata con Cara. A parte il blaster ancora impugnato, ma non più puntato, sembrava più rilassata, anche se interdetta quanto lui dai nuovi arrivati. Dall’intensità con cui lo squadrò da capo a piedi, intuì che il suo aspetto non fosse migliorato rispetto a poco prima. Gli sembrava quasi di sentire il peso del sangue addosso e ogni respiro era una stilettata al polmone.

Il Bambino, accoccolato sulla spalla della guerriera, gli rivolse uno sguardo stanco, ma indubbiamente lucido e privo di sofferenza, accompagnato da una manina tesa verso di lui. Din stava per avvicinarsi, gettando fuori l’ultimo respiro teso ancora accartocciato nei polmoni, quando realizzò con un sussulto ciò che aveva appena sentito.

«Scansionare?» ripeté voltando di scatto l’elmo, con un picco acuto nella voce che non poté impedirsi, né fu camuffato del tutto dal vocoder.

Il giovane si portò una mano alla nuca, sfregandola in un gesto imbarazzato.


«Sì, è un suo vizio: passa ai raggi X tutto quello che–»

«Elimina quella scansione!» lo interruppe Din, col cuore che fece una capriola avvitata di panico. «Ora, prima che la elimini io,» aggiunse, puntando senza esitazioni il blaster contro la testa del droide, che rispose con una rapida sequenza di suoni terrorizzati.

«Ehi, ehi, calma, non c’è bisogno di–»

«Digli di eliminarla!»

«Fa’ come dice,» intervenne Cara, puntando un secondo blaster contro il droide, che batté in ritirata dietro le gambe del padrone, intento a sbracciarsi nel tentativo di placarli.

«Si può sapere cosa–»


«Ora!»

«Va bene, per Dathomir!» sbottò il guerriero, scoccando un’occhiataccia a loro e poi al droide. «BD, li hai sentiti, no? Eliminala,» intimò infine, incrociando le braccia e assumendo un cipiglio truce.

Lui emise una rapida successione di trilli e borbottii elettronici, seguita da un rumore simile a un fusibile sul punto di friggersi. Infine, saltellò sul posto e fischiò una singola volta, in una sorta di annuncio, arrischiandosi a sporgersi da dietro le ginocchia del giovane.

«Fatto,» concluse il guerriero, annuendo e riportando lo sguardo su di loro. «Contenti?»

Din squadrò sospettoso il piccolo ammasso di ferraglia e, se davvero poteva vederlo in volto con quei suoi occhi a raggi X, sperò vedesse anche quanto fosse minacciosa la sua espressione. E che badasse bene a non ripetere l’errore di scansionarlo oltre il beskar, se voleva rimanere tutto d’un pezzo. 

Abbassò il blaster con lentezza calcolata, imitato da Cara, per poi soffocare un mezzo sospiro che si infranse contro le costole incrinate: perché sempre droidi? BD doveva ringraziare con ogni fibra ottica e ingranaggio Kuiil, perché fino a pochi mesi prima avrebbe premuto il grilletto senza nemmeno pensarci né pentirsi.

Riprese infine a respirare normalmente. Lasciò spaziare lo sguardo dal guerriero – che non aveva abbandonato nemmeno per un istante quella sua postura di pacata fermezza – al resto della caverna punteggiata da cristalli occhieggianti, alla sagoma massiccia dei due gundark abbattuti. 

Era accaduto tutto nel giro di pochi minuti. Al contrario di qualunque altro scontro a cui fosse sopravvissuto, però, avvertiva un senso di stordimento, solo in parte dovuto al momento d’ipossia e alle fitte che gli pulsavano sorde nel costato come i denti di un akk molesto. Non ripensava a Concord Dawn da... da anni. Decenni. E quel giorno aveva trascinato la sua vecchia casa fuori dalla nebbia dei ricordi per ben due volte – prima con Scorch, a parole, e ora direttamente nella propria testa. Era come se il velo tra passato e presente si fosse squarciato, riportandogli a galla nel cuore un senso di malinconia e perdita. E quelle voci, poco prima... quella sensazione di casa che gli era sbocciata nel petto...

Si chiese di nuovo, guardingo anche nei suoi stessi pensieri, se essere capitato lì fosse davvero stato un caso. Se, dopo così tanti anni passati a seguire la Via e cercare il manda, non l’avesse infine trovato, proprio quando aveva smesso di cercarlo e i suoi passi avevano deviato dal percorso. Se Ruu, dopotutto, non avesse avuto ragione, quel giorno.

Guerrieri armati di spade luminose, gli rimbombò in testa, nella voce leggermente nasale di Scorch. Il suo cuore gli risalì in gola e mandò un paio di battiti ravvicinati, di speranza e paura mescolate nelle vene assieme agli strascichi dell’adrenalina. Un unico pensiero si fece nitido, a quel punto, tra tutte le miriadi che gli si rimestavano sotto l’elmo come gli asteroidi alla deriva sull’orizzonte dilaniato di Concord Dawn: no, non era lì per caso.

Una risatina gorgogliante ruppe la limpida ma inquietante lastra di certezza su cui si era appena adagiato, catturando l’attenzione collettiva: il Bambino fissava BD e i suoi movimenti molleggianti con innegabile ilarità, gli occhi enormi puntati sulla sua sagoma squadrata. Il droide agitò le corte antenne, fissando la creaturina con fare trepidante – ma stavolta, complice l’occhiata eloquente del suo padrone, evitò di avviare qualsiasi scansione.

Anche il guerriero fissava il piccolo con altrettanto interesse. La sua, più che semplice e comprensibile curiosità di fronte a qualcosa di nuovo, sembrava un interesse concentrato, come se stesse ispezionando il Bambino in cerca di un dettaglio familiare.

Il giovane scrutò poi loro brevemente, con un’ombra di sospetto che per la prima volta gli sporcò gli occhi chiari. Adesso il suo volto era illuminato dagli stick luminescenti: barba e capelli erano folti, di un rossodeciso, e incorniciavano lineamenti squadrati e zigomi larghi; sottili cicatrici parallele gli solcavano il naso tozzo e una guancia, simili a graffi biancastri sul volto pallido. Indossava quella che sembrava una robusta tenuta da meccanico sotto una corta veste scura senza maniche, con toppe arancioni sulle spalle – un brandello di tessuto era strappato in quel punto. 

Non sembrava portare altre armi oltre allo strano e letale bastone luminoso che aveva utilizzato poco prima, la cui elsa argentata pendeva adesso innocua dalla sua cintura. Non che gli servissero, valutò rapidamente Din, con le dita che annasparono per un istante in cerca del calcio dell’Amban, trovando solo aria.

«Ora che abbiamo chiarito il disguido... non ti sembra il caso di dirci chi sei? E perché ci hai salvati?» intervenne Cara, con un pizzico d’oscillante ironia pronto a tramutarsi in ostilità.

Neanche lei aveva ancora rinfoderato il blaster, ma Din scelse di dare il buon esempio facendolo per primo. Non vedeva la necessità di mostrarsi aggressivi nei confronti di qualcuno che, chiaramente, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a farli fuori alla stregua dei due gundark – blaster o non blaster. Cara lo imitò con calcolata lentezza, a sottolineare che non apprezzava quella linea d’azione.

Il giovane raddrizzò le spalle, giungendo le mani di fronte a sé in una posa formale.

«Sono Cal Kestis,» si presentò poi, con una sfumatura più grave nella voce. Alzò un sopracciglio rossiccio. «E dovrei farvi la stessa domanda.»

«Cacciatori di taglie,» rispose laconico Din.

«Tu, invece, devi essere la spia,» osservò Cara, senza girarci intorno.

Cal inclinò il capo all’indietro a quelle due informazioni, in quello che sembrò un gesto seccato.

«Ah. Non vi manda Zetz, presumo, o non staremmo parlando amichevolmente.»

«Scorch era piuttosto ansioso di sapere dove ti fossi cacciato,» si limitò a rivelare Din.

«Lo immagino,» tagliò corto Cal, per poi emettere un sospiro. «Mi stupisce che non sia con voi, quel pazzoide di un Clone. Dov’è, ora?»

«Diretto in un luogo sicuro,» replicò vago Din scrutando la reazione dell’altro, che fu pressoché nulla. «Ha detto che probabilmente Zetz voleva attirare lui allo scoperto. Per questo ha ingaggiato noi.»

«Sensato,» annuì Cal, il gesto accompagnato da un lieve fischiettio del droide.

Cara fece per parlare, ma Cal alzò un palmo, in un gesto gentile ma deciso, gli occhi che corsero all’improvviso alle sue spalle.

«Sono certo che abbiate delle domande, e molte, ma dovremo rimandare le spiegazioni. Stiamo per avere compagnia.»

Din, la presa già sul calcio del blaster, ruotò il busto verso l’ingresso della caverna – forse solo uno dei tanti. Non vide né sentì nulla, né i sensori del casco gli riportarono dettagli allarmanti. Con la coda dell’occhio, vide Cara agitarsi perplessa, le orecchie tese quanto le sue. 

Il Bambino, però, strinse i pugni e abbassò le orecchie, facendo guizzare gli occhi nel buio. Cal si stava già avviando verso l’altra estremità della caverna con BD alle calcagna, come dando per scontato che loro l’avrebbero seguito. Din non si mosse, tantomeno Cara, il cui cipiglio guardingo si inspessì ulteriormente.

«Come fai a dirlo?» indagò Din.

Si mosse verso i resti del fucile Amban sparpagliati a terra, così da prendere tempo e mascherare la sua reticenza a fidarsi con così tanta facilità. 
Cal si voltò appena e per un istante, non seppe spiegarsi perché, parve confuso. Scoccò un’occhiata laterale al Bambino, un’occhiata quasi complice, poi rivelò un sorriso appena accennato.

«Ho i miei metodi.» Li incalzò con un colpo di dita a mezz’aria. «Ora andiamo, prima che Zetz si unisca alla festa.»

Din si inginocchiò a raccogliere la baionetta del fucile, leggermente deviata, ma comunque intatta al contrario del resto, e la assicurò alla cintura. Cercò lo sguardo di Cara, che si era avvicinata per restituirgli la pistola Verpine. La accettò con un cenno, udendo un mormorio distorto nel comlink dell’elmo, direttamente nell’orecchio.

«Possiamo fidarci?»

Din temporeggiò, assicurando la pistola alla fondina da gamba e rimestandosi in testa le poche, lacunose informazioni che avevano su Cal. Li aveva salvati, certo, e quello deponeva in suo favore. Forse lavorava per la Repubblica – il che lo rendeva inviso a Cara, ma comunque preferibile a un agente Imperiale. Collaborava con Scorch, che si era dimostrato ben più che amichevole nei suoi confronti nonostante la baruffa scaturita dal loro incontro, e simpatizzava comunque per i Mandaloriani – anche quelli con la fissa per l’elmo”.

E, nell’irrazionalità di quel pensiero, Cal non aveva fatto scattare alcun campanello d’allarme nella sua testa. Non poteva dire di saper leggere sempre al volo le persone – quel voltagabbana di Calican ne era un chiaro esempio – ma aveva sempre contato sulla sua abilità nel trarsi fuori da situazioni scomode, piuttosto che sul prevenirle. Ma nemmeno il Bambino aveva mostrato alcun cenno di diffidenza nei confronti del giovane. Anzi, ne sembrava attratto e affascinato. Non poteva non considerarlo, come fattore di valutazione.

Guerrieri armati di spade luminose. Ripensò alla danza di battaglia del guerriero, accompagnata da quell’arma prodigiosa dal brillio azzurro. RIvide il gundark che ondeggiava a mezz’aria, sovrapposto al ricordo del mudhorn in quella esatta situazione, con la differenza che all’epoca lui era inzaccherato di fango e adesso di sangue, ma comunque a un passo da una fine affatto gloriosa. Non era difficile trarre il collegamento. Ma tenne per dopo quella domanda che gli premeva contro le corde vocali.

Fiducia o meno, non aveva altra scelta, se non seguire Cal.


«Lo scopriremmo in ogni caso,» rispose quindi in un soffio tramite il comlink, facendo leva sulle ginocchia per rialzarsi.

Cara non sembrò affatto convinta, ma non contestò, limitandosi a scuotere la testa.

Nel frattempo, Cal si era fermato ad attenderli pochi metri più in là, gli occhi socchiusi e il naso all’insù come se stesse fiutando una traccia, una mano leggermente estesa a mezz’aria. Non sembrava volerli incalzare ulteriormente, quasi fosse conscio dei loro dubbi.

Din si prese qualche altro istante per fare un controllo generale dell’equipaggiamento, mentre Cara recuperava la culla ammaccata e vi accomodava il Bambino. Il dispositivo era malmesso per gli urti, ma ancora in grado di tenere un passo sostenuto.

Din si affacciò oltre il bordo. Il blocco metallico all’altezza dello stomaco si fuse in mille rivoli tiepidi non appena si ritrovò a piantare gli occhi in quelli enormi e interrogativi del piccolo. Lo scrutarono a fondo, affatto impauriti nonostante dovesse apparire spaventoso, in quelle condizioni, ma registrò solo una tenue preoccupazione a incresparne le profondità liquide e nere. 

Era però soffocata da una cieca fiducia che emerse in un lieve sorriso e in un versetto gioioso. La stessa con la quale lui, fin troppi anni prima, aveva guardato Ruu di ritorno da una missione, credendola immortale – finché, un giorno, non era più tornata. 

Din espirò piano nell’adagiare una mano sulla sua tunica sgualcita, a stringere il ciondolo di beskar che gli pendeva dal collo, e le mani del Bambino si adagiarono sulla sua. Fu l’unico tocco che percepì: quello che gli aveva sfiorato il petto poco prima era svanito, perso nei meandri tortuosi del manda e di una Via che si faceva sempre più oscura con ogni passo, ma che forse prometteva un’uscita vicina. Un pizzicore di paura gli solleticò il cuore.

Guardò la schiena dritta di Cal che aspettava di guidarli attraverso la caverna, poi il buio fluorescente dietro di loro che inghiottiva le sagome dei gundark esanimi, infine il soffitto adornato di false stelle. Strinse la mano minuscola del piccolo. Non sapeva dire cosa riservasse loro il futuro, nemmeno di lì a pochi minuti. Sapeva soltanto di aver mantenuto la tacita promessa di tornare. E quella, per ora, era l’unica cosa che contava.

 

 

Cal raramente sbagliava nel leggere le tracce impresse nella Forza, ma a volte avrebbe davvero preferito prendere un abbaglio e scambiare un boggdo per un bogling. Questa era una di quelle volte. Riusciva quasi a sentirsi sul collo il fiato di Zetz e dei suoi sgherri. Inspirò a fondo e mantenne la calma, senza accelerare il passo, anche se le sue dita sfiorarono l’elsa della spada laser.

I suoi stivali morbidi avanzavano silenziosi sul pavimento dissestato della miniera, ormai divenuta in tutto e per tutto una labirintica caverna naturale. Riusciva quasi a udire lo sfrigolare della lava che aveva scavato quella galleria e, in seguito, delle impetuose acque marine che l’avevano levigata prima che i livelli inferiori venissero prosciugati per far posto al sito d’estrazione.

Dietro di lui, ben più reali e vicini nel tempo e nello spazio, echeggiavano i passi cauti del Mandaloriano e della guerriera, accompagnati dal tintinnio di metallo e armi e dal ronzio flebile della culla; aggrappato alla sua schiena, BD emetteva di tanto in tanto qualche cigolio nel girare qua e là la testa.

Cal non si era sentito imprudente a dare le spalle ai suoi nuovi, improvvisati compagni: nonostante l’aspetto letale, la loro impressione nella Forza era neutra, a tratti anche positiva, e non erano certo individui in grado di sottrarsi al suo scrutinio invisibile – il Mandaloriano, poi, era del tutto insensibile al flusso. La guerriera recava una tenue traccia di sensibilità, ma non ne era probabilmente nemmeno consapevole. 

Il piccolo, d’altro canto... non si stupì nel constatare di aver percepito quell’enorme possanza solo nei pressi di un unico altro essere vivente, così simile a quell’esserino verde in apparenza del tutto inerme. L’onda d’energia era stata immane, tanto da guidarlo senza dubbi verso il gruppo sotto attacco; eppure, adesso, non riusciva più a distinguere la sua impronta nella Forza, nonostante fosse ad appena un paio di metri da lui. 

Sembrava aver troncato di netto il proprio legame col flusso non appena era apparso lui: il suo canale di comunicazione era ostruito da una diga inamovibile. Cal, a quel pensiero, s’incupì di un dolore antico. Cadde come un sasso cadde al centro del suo petto, increspandolo di lievi onde concentriche destinate ad acquietarsi presto assieme ai ricordi.

Allontanò da sé i molti interrogativi che si affollavano attorno a quello strano trio: per ora, la prerogativa era raggiungere un posto sicuro nel dedalo di cunicoli inesplorati che si dipanava dinanzi loro. 
Avvertiva chiaramente il nervosismo dei suoi due compagni e non poteva dare loro torto: per quanto ne sapevano, stavano sfuggendo a un nemico invisibile o forse inesistente, seguendo le orme di un completo sconosciuto armato di spada laser e in grado di abbattere due gundark da solo, seppur indeboliti.

Cal trattenne un sospiro mesto. Avrebbe preferito non dover uccidere le due creature, per quanto pericolose. Non dover avvertire la loro vita che defluiva dai rispettivi corpi per disperdersi nell’etere, nutrendo la Forza, ma era conscio di aver compiuto una scelta sensata, anche se non l’unica. Era passato del tempo, dall’ultima volta che aveva stroncato una vita, seppur di un essere non senziente, e gli era rimasto addosso un denso velo d’inquietudine.

BD interruppe i suoi pensieri con un borbottio robotico, protendendo la testa oltre la sua spalla.

«Lì, dici?» chiese conferma sottovoce Cal, adocchiando la fenditura nella parete, fiocamente illuminata dagli stick luminescenti e dalla torcia del droide.

BD assentì con un trillo deciso. Cal non obiettò, fece un cenno della mano sopra la sua testa e attraversò lo stretto passaggio nella roccia. Dopo un passo, si allargava appena formando una nicchia irregolare di dimensioni modeste, sufficiente a far entrare comodamente una decina di persone e più che ampia per il loro piccolo gruppo. 

I suoi compagni lo seguirono in pochi secondi, con un raschiare di metallo e duraplast contro le pareti calcaree ravvicinate, tra cui la culla passò a fatica, dovendosi inclinare un poco.

«Qui dovremmo essere al sicuro,» parlò Cal, spazzandosi via i residui di polvere dal poncho.

«Credi che basti a nasconderci?» commentò la guerriera, con un’occhiata sbieca alla stretta apertura della nicchia, comunque sufficiente a lasciar trapelare una lama di luce azzurrina al di fuori.

«BD?» Cal schioccò le dita e il piccolo droide balzò giù dalle sue spalle.

Lui raggiunse l’apertura, vi puntò gli occhi e proiettò un ologramma che coprì interamente la spaccatura nella roccia, riproducendone le asperità e aggiungendovi un paio di cristalli blu luminescenti a giustificare il chiarore che proveniva dall’interno. Le sopracciglia della guerriera si inarcarono e la testa del Mandaloriano ricadde di lato, in un mutuo cenno d’approvazione.

«Non è molto, ma avremo un po’ di tregua. Il tempo per permettervi di riprendere fiato e sistemare gli acciacchi,» continuò Cal, con un’occhiata eloquente al Mandaloriano inzaccherato di sangue, il visore a malapena distinguibile sul beskar.

Aveva zoppicato per tutto il tragitto e anche ora la sua postura era sbilenca; aveva tutta l’aria di avere mezza cassa toracica incrinata.

Lui sospirò piano, ma annuì riluttante. Il peculiare odore del sangue di gundark, simile a fumo o legna bruciata, permeava lo spazio angusto. Si sedette con cautela su una sporgenza rocciosa, prendendo a frugare nelle sacche appese alla cintura, presumibilmente alla ricerca di bacta. Il piccolo seguiva ogni suo movimento Mandaloriano, pur mantenendo le orecchie tese verso di lui, di fatto l’estraneo. Nonostante il timbro di Forza fosse ben camuffato, Cal registrava comunque con chiarezza una vibrazione confusa in lui, impercettibile se non sapendo dove e come cercare. Il piccolo sarebbe risultato invisibile a qualunque ricerca ad ampio raggio tramite la Forza.

«E abbiamo anche il tempo di porti qualche domanda?» indagò a quel punto la guerriera, con un lampo negli occhi neri.

Rimase di posta accanto a BD, le mani piantate sui fianchi, come se non si fidasse comunque a lasciare sguarnita l’entrata. Il Mandaloriano interruppe i suoi armeggi con un iniettore di bacta e ruotò appena l’elmo, ma Cal non capì se stesse guardando lei o il piccolo, né la natura del gesto.

I due si erano scambiati a malapena una decina di parole e, nonostante lui non potesse nemmeno contare sulla mimica per esprimersi, sembravano comunque intendersi al volo. Se avessero deciso di attaccarlo, per quanto avventata sarebbe stata una mossa simile, l’avrebbe capito unicamente dalle oscillazioni negative che quegli intenti avrebbero generato nella Forza, non certo osservandoli dall’esterno. Per ora, si limitavano a rimanere diffidentemente sul chi vive.

«Suppongo di sì,» concesse infine, corroborando il tono amichevole con un abbozzo di sorriso. «Posso almeno sapere con chi sto parlando, prima?»

I due si scambiarono uno sguardo rapido, coordinato, per poi rispondere quasi in coro:

«Syn.»

«Mando.»

Cal strinse gli occhi a quelle risposte che, chiaramente, non erano una verità assoluta, ma nemmeno una completa bugia. Sarebbero bastate, decise... o quasi.

«E lui?»

Il suo indice puntato fece girare entrambi verso il piccolo, che lanciò un tenue lamento di disagio. Syn schiuse la bocca per rispondere, ma Mando la anticipò, precipitosamente:

«Ad’ika.»

Cal corrugò le sopracciglia, e non per la peculiarità del nome – di certo ne aveva sentiti di più bizzarri. Quella era una bugia... ma anche una verità, almeno secondo chi la pronunciava. Il cozzare di quei due estremi causò un tenue tremolio, ben distinguibile, ma Cal scelse di ignorarlo, per ora.

«Allora? Chi sei davvero?» interloquì a quel punto Syn, incrociando strettamente le braccia senza schiodargli lo sguardo di dosso.

Prima di rispondere, Cal si addossò a una parete, contro un rilievo di roccia che fungeva da sedile di fortuna.

«Qualcuno molto interessato ai traffici dell’Impero. E qui su Awath sono piuttosto vivaci, come avete visto.»

Un mugugno sforzato da parte di Mando lo fece interrompere quando questi affondò seccamente l’iniettore in un interstizio della corazza argentea, sulla zona contusa. Lo estrasse con una smorfia invisibile, ma ben intuibile. Ripose la fialetta vuota nella sacca, parlando poi con voce tirata, già nell’atto di alzarsi in piedi.

«Non tirarla per le lunghe,» lo incalzò, la voce poco più di un roco sussurro, ma non per questo meno tesa. 

Cal avvertì con un picco allarmato l’improvvisa ostilità nei suoi confronti per aver evitato di nuovo le loro domande, e sospirò. Non era in caso di inimicarsi un Mandaloriano: spada laser o meno, quel beskar avrebbe costituito un problema.

«Scorch mi chiama “spia”, ma non lavoro per lui, tanto per cominciare. Abbiamo solo una... comunanza d’intenti, ovvero ostacolare quanto più possibile ciò che rimane dell’Impero. Che, per i miei gusti, è fin troppo.»

«Ne sappiamo qualcosa,» commentò Syn, riducendo poi le labbra a una riga sottile, come se si fosse pentita di aver parlato.


Si spostò di un passo dall’ingresso, in un moto nervoso che la indusse a irrigidire le spalle sotto la corazza. Cal decise di non approfondire la questione: trovava che il piccolo tatuaggio della Ribellione e i marchi da soldato d’assalto che portava in piena vista fossero simboli più che sufficienti del suo astio verso l’Impero. 

Quanto al Mandaloriano, non si poteva dire che tra le due fazioni corresse buon sangue, ma sapeva che con quel popolo singolare non era il caso di trarre conclusioni affrettate nemmeno dagli indizi più ovvi.

«Ti sei alleato col Clone,» lo spronò Mando, di nuovo in piedi e piuttosto saldo sulle gambe. «Cosa cercavate, qui sotto?»

«Scorch non è stato del tutto chiaro,» tentennò Cal, inarcando le sopracciglia a sottolineare che fosse sincero, su quel fatto.

Aveva faticato persino a capirlo, tra il miscuglio di Mando’a e Basico che parlava e la sua logorrea inarginabile, figurarsi leggere tra le righe di ciò che gli aveva chiesto di fare. Cosa che, al momento, non gli sembrava il caso di rivelare in termini netti. Mando, in ogni caso, non gli sembrava indossare un’armatura verde e rossa, quindi tanto valeva tenersi l’asso di sabacc nella manica, come avrebbe detto quel baro tetrabrachio di Greez.

«Ha detto solo di riferirgli nel dettaglio chi stesse prendendo parte all’operazione mineraria. Credo che stia cercando qualcuno e credo che c’entriate voi Mandaloriani,» proseguì cauto, con un’occhiata a Mando, che rizzò il capo con improvviso interesse.

«In che modo?»

Cal, a quel punto, sospirò una risatina.

«Neanche il database di BD riuscirebbe a trovare un senso agli intrighi di Mandalore degli ultimi cinquant’anni.» BD fischiò offeso, disapprovando quell’affermazione. «So solo che stava raccogliendo informazioni e che deve tornare su Concord Dawn a fare rapporto. Ma faresti bene a chiederglielo direttamente... mi sembrate già abbastanza in conflitto tra voi e non voglio creare ulteriori incomprensioni.»

Mando, a quell’affermazione reticente, sembrò congelarsi sul posto. L’armatura argentea gli donava di per sé un’aura di immota staticità: compiva solo i movimenti strettamente necessari ad accompagnare le sue parole, ma in quell’istante sembrò tendersi allo stremo sotto la pressione di mani invisibili. Tacque così profondamente che, per un attimo, Cal faticò persino a udire i refoli d’aria che sfuggivano ben udibili dall’elmo, come se fosse entrato in apnea.

«Non ci hai ancora detto cosa cercavi tu,» puntualizzò Syn, dopo uno sguardo laterale e interrogativo a Mando, ancora rigido e piantato al suo posto, una mano che era andata a stringere il bordo della culla.

«Io sono qui per i cristalli kyber, ma credevo fosse evidente,» rivelò Cal, con una scrollata di spalle a celare la metà dei non detti, per poi leggere la confusione nei loro occhi – e visore. «O forse no.»

Mando sembrò staccarsi dall’orbita parallela sulla quale si era agganciato, e rivolse l’elmo verso di lui.

«Kyber, hai detto? Tu sai cosa sono quei cristalli? Sai come funzionano?»

Cal annuì guardingo, interdetto dalla stringa di frasi più lunga che fosse uscita di bocca al Mandaloriano fino a quel momento. Tutto quell’interesse era sospetto, ma, di nuovo, non avvertì alcuna emozione o intento negativo ad accompagnarlo – anzi, fu il pizzicore inaspettato e innocente della speranza a sorprenderlo. Si trovò a increspare la barba attorno a un sorriso.

«Sono cristalli energetici. Alimentano queste,» aggiunse ad abbreviare le spiegazioni, prendendo l’elsa della spada laser.

Notò il modo automatico in cui le mani di entrambi corsero discretamente alle rispettive armi, e puntò così il foro della lama altrove, prima di premere il tasto d’accensione. 

Il familiare sibilo scrosciante riempì la piccola grotta e ogni sporgenza e rientranza della parete venne dipinta in altorilievo dal brillio intenso della lama dai contorni turchesi, di un bianco abbacinante al centro. La lieve cuspide in cui culminava la punta disegnò un piccolo arco a mezz’aria quando la fece ondeggiare con un colpetto del polso, provocando un ronzio basso che riverberò nei loro timpani.

Era chiaro che nessuno di loro due avesse mai visto una spada laser, né uno Jedi. Non avrebbe dovuto sorprenderlo, ne era consapevole, ma era difficile, quando era stato abituato a vederne di ogni tipo e colore sin da quando era in grado di camminare. Si astenne quindi dalle spiegazioni tecniche o più filosofiche, quelle con cui il Maestro Tapal riempiva ore e ore di lezione che sembravano protrarsi all’infinito, e si limitò ai fatti più superficiali:

«Amplificano la ricezione ed emissione dei segnali, oltre a quella della Forza. Il fatto che l’Impero si sia messo a cercare giacimenti di kyber non è un buon segno di per sé, ma almeno vuol dire anche che il Sacrario Jedi su Ilum è rimasto inviolato.»

Stavolta, colse un irrigidimento da parte di entrambi. Quasi poteva vederli tendere le orecchie verso di lui, come bogling incuriositi che fanno capolino da una tana. Vista quella reazione, si sarebbe aspettato qualche domanda in proposito, invece, di nuovo, fu preso in contropiede da ciò che disse Mando:

«Dobbiamo andarcene, ora,» sbottò, quasi affannato; poi, con più veemenza, in un modo che gli parve scollegato: «Gli Imperiali cercano lui.» 

Mando indicò brevemente il piccolo, compiendo un passo nervoso avanti, poi di nuovo indietro. Cal arricciò la fronte e portò un palmo a sfregarsi la barba troppo cresciuta, in quei giorni passati a girovagare per le miniere cercando un’uscita alternativa per sfuggire a Zetz senza mandare all’aria la copertura. Rinfoderò la spada laser, gettandoli di nuovo nella penombra.

«Che vuoi dire?» prese tempo, fissando il Mandaloriano finora imperturbabile che, adesso, sembrava essere a stento contenuto dall’armatura.

«Voglio dire,» riprese lui, avanzando di un passo, «che l’Impero cerca sia lui, sia questi cristalli. Lui sa... controllarli, in qualche modo. Questo è il posto più pericoloso in cui potrebbe trovarsi. E tu lo sai già,» aggiunse aggressivo, con un secco colpo del mento nella sua direzione.

Cal tirò le labbra, i piedi che andarono istintivamente a cercare un appoggio più solido sul terreno, pronti a far presa per un eventuale balzo o torsione.

«So che è versato nella Forza, ed entrare in sintonia coi cristalli kyber ne è una naturale conseguenza. Ma non sapevo che l’Impero lo stesse cercando. Anche se, no, non mi stupisce.»

«Tu...» Mando s’interruppe, lanciando uno sguardo fugace al piccolo, intento a osservare a turno tutti loro oltre il bordo della culla, un’espressione spaurita a raggrinzire il suo volto. «Tu sei uno Jedi, vero?»

Cal ponderò quella domanda con la stessa, ferma cautela con cui maneggiava la propria spada laser, senza stringere troppo la presa, né renderla troppo molle. Si era aspettato di sentirsi porre sin da subito quella domanda e, quando non era arrivata, non si era più aspettato di sentirla, neanche dopo la menzione di Ilum. Il fatto che fosse arrivata adesso lo incuriosiva, mettendolo al contempo in allerta, soprattutto perché non c’era alcuna risposta semplice.

«Sono stato addestrato come Cavaliere Jedi. E seguo le Vie della Forza, anche se non faccio più parte dell’Ordine.»

Vide Mando stringere con più vigore il bordo della culla, fin quasi a farsi tremare le nocche. Quando parlò, la sua voce fu particolarmente roca e bassa:

«Mi è stata assegnata la missione di ricongiungere lui ai Jedi.» Fece una pausa, deglutendo. «È uno di voi.»

Cal quasi sobbalzò. Sentì il silenzio premergli sui timpani, oltre che ai margini della coscienza, lì dove terminava il suo essere e iniziava il flusso della Forza. Mando lo fissava, un tremito impercettibile a scuotergli le mani, le spalle diritte, il respiro superficiale e rapido di chi cerca aria, no ntrovandola. Syn taceva, senza muovere un muscolo, se non per le labbra strette e le sopracciglia inclinate in una piega ansiosa.

Il piccolo stringeva il guanto del Mandaloriano, fissandolo dal basso con un’insistenza che di infantile aveva ben poco – per un istante, Cal colse un breve impulso da parte sua, come un sasso che sfreccia rimbalzando a pelo d’acqua per poi piombare a fondo.

Cal si ritrovò a scuotere la testa, piano, senza quasi rendersene conto, a distruggere quella frase assurda che aveva appena sentito.

«No, non lo è. Lo sarà solo se deciderà di esserlo,» scandì, accigliandosi, una vena severa che andò a tingergli la voce in modo molto più marcato di quanto intendesse.

«Lui ha dei poteri da Jedi,» ribadì Mando, chiaramente convinto di quel fatto, ma altrettanto chiaramente incerto su cosa stesse davvero dicendo, come se stesse ripetendo qualcosa che non comprendeva del tutto. «Come può non essere uno Jedi?»

Il piccolo emise un breve, acuto lamento, e l’elmo del Mandaloriano scattò nella sua direzione come a comando, per poi tornare a rivolgersi verso Cal. 

Questi scosse la testa, senza irritarsi. I Jedi erano niente più che una leggenda, alle orecchie della Galassia, in particolar modo nell’Orlo Esterno. E dove non arrivavano nemmeno le leggende, subentrava l’ignoranza, o la manipolazione.

Non sapeva dire chi avesse spedito quel Mandaloriano in quella caccia al bantha priva di alcun fondamento, né per quale motivo l’avesse fatto. 
Gli era solamente chiaro che, se Mando aveva aspettato fino a quel momento per chiedere conferma dell’ovvio, non era una missione che stava portando a termine a cuor leggero – e il modo in cui il piccolo Ad’ika si aggrappava a lui ne era una prova lampante. Trasse un respiro profondo.

«Il piccolo è sensibile alla Forza in un modo che raramente ho visto prima. È versato nel suo uso e probabilmente lo hai già visto all’opera. Potrebbe rientrare ancora nell’età idonea per l’addestramento.»

 Si interruppe, piantando gli occhi nel punto in cui intuiva fossero quelli del Mandaloriano, ora di nuovo in apnea. 

«Ma non ha scelto di essere uno Jedi, e non sarò io a imporglielo come fu imposto a me. È una sua scelta.»

Gli parve di sentir boccheggiare Mando sotto l’elmo, e anche Syn fu investita da un sussulto di sconcerto. Il Mandaloriano fissò il piccolo, scuotendo il capo, la mano ancora nella stessa posizione.

«E lui cosa vuole?» chiese poi, con veemenza minata da un tremito subdolo. «Puoi... sentire anche quello che pensa? O che prova?»

Cal ripiegò le labbra, corrucciandosi pensoso, riluttante. 

Poteva provarci, nonostante la chiusura ermetica del piccolo al mondo esterno. Non amava violare l’intimità di una mente altrui, ma Ad’ika sembrava tutto, meno che inconsapevole di ciò che stesse accadendo. Nei suoi occhi aleggiava, eterea, tutta la grave saggezza che ricordava di aver visto nel Maestro Yoda, particolarmente evidente, in quel momento, tra le rughe premature che increspavano il suo volto di infante.

Cal scrutò il Mandaloriano, sull’orlo di quella che sembrava disperazione di fronte al vicolo cieco di una ricerca durata chissà quanto; poi il piccolo, che non aveva distolto nemmeno per un istante le pupille dilatate dalla figura ricoperta di metallo che era senza dubbio il suo punto di riferimento. 

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli per scostarsi le ciocche troppo lunghe dal volto. Se anche il piccolo avesse espresso la volontà di addestrarsi, ciò non avrebbe cambiato nulla. Ma, almeno, Mando avrebbe avuto una risposta, tra le tante che stava cercando.

Cal socchiuse gli occhi, estendendo appena una mano verso la culla, il cui occupante rivolse subito la sua attenzione verso di lui con fare inquieto, tirando indietro le orecchie. Cal incontrò la sua barriera e si fermò, senza tentare di forzarla. L’altro non cedette, né fece cenno di voler aprire un varco, anche se non rinsaldò le sue difese già inespugnabili nel percepirlo così vicino a lui.

Cal contrasse il volto, imprimendo un’ulteriore spinta alle sue capacità di percezione. L’impronta che captava era ovattata, sbiadita, chiusa dietro mura d’energia invalicabili.

Si rivide per un istante bambino, subito dopo la morte del Maestro Tapal, quando si era trovato a dover chiudere ogni canale di comunicazione con la Forza per sopravvivere alla Purga Jedi. Ma era stato solo per pochi anni. Quel bambino... da quanto si precludeva il contatto con la Forza? Per quanto tempo era rimasto solo, nascosto e abbandonato a se stesso, con una costante minaccia di morte sulla testa? 

Eppure, oltre la confusione imperante, c’era un mare di serenità, un’ancora infissa nel fondale sabbioso – come i piccoli artigli che affondavano adesso nel guanto di cuoio del Mandaloriano.

«È difficile leggerlo,» proferì in un soffio, serrando i denti per la tensione. «Sembra... ritrarsi dalla Forza, è come se fosse fuori dal suo flusso,» tentò di spiegare, con lentezza misurata. 

Abbassò poi la mano, rilasciando con un soffio la pressione accumulata.

«Avverto però molta confusione in lui,» asserì gravemente, riaprendo gli occhi e incontrando la luminescenza azzurrina ormai familiare che permeava la grotta.

Mando spostò il peso da un piede all’altro, evidentemente intento a trattenere l’ennesima domanda che, infine, si lasciò sfuggire:

«E cosa vorrebbe dire?»


Cal fissò il guerriero in armatura dinanzi a lui, sentendo di avere su di lui un potere troppo grande, in quel momento, in grado di stroncare lui e la sua missione con la sola forza delle parole.

«Che adesso non è pronto a diventare uno Jedi, né forse lo sarà mai.»

 





 


Note&Glossario:

– I bogdo e bogling sono due creature apparse in Jedi: Fallen Order. I primi sono carini e coccolosi, i secondi sono macchine di morte e il detto che ho inventato gioca su quello "prendere lucciole per lanterne", oltre che sulla somiglianza tra i due nomi.
– Jaro Tapal è un Lasat, Maestro di Cal, ucciso di fronte a lui durante l’Ordine 66.
– Greez è un compagno di viaggio di Cal nel videogioco (qui, è un semplice easter egg).

Note dell’Autrice:

Cari Lettori,
ve lo aspettavate questo cambio di PoV? Sì? No? Beh, in ogni caso, eccolo qua ♥

Molti di voi avevano indovinato: il guerriero misterioso era proprio Cal Kestis ♥ Spero sia un inserto gradito: il suo doveva essere un semplice cameo, ma ha acquisito molto più spessore con l’evolversi della trama... ma lo scoprirete presto.
Sarò sincera: non so dirvi se sarà ricorrente o meno, come PoV, perché stavo seriamente pensando, dopo l’omissione di quello di Cara, di tenermi un "PoV vagante" con cui approfondire un paio di secondari rimasti in sordina finora, ma vedremo dove mi porterà il cuore ;)


È un capitolo abbastanza tecnico con relativamente poche introspezioni/passaggi descrittivi, e ne sono conscia, ma è fondamentale per il futuro e non ho voluto smollarvi 5k di parole dilungandomi in chiacchiere. Non succede (ancora) nulla di che, a parte il povero Mando sballottato da una quest all’altra, ma nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle, promesso :D
Per ora, spero abbiate apprezzato questo primo confronto, ricollegato anche alla citazione iniziale, tratta dalla saga Republic Commando. Sono abbastanza critica con le "vie Jedi" e ho voluto sviluppare il personaggio di Cal sia basandomi sul canone, sia costruendovi degli headcanon. Se volete approfondire il personaggio tramite Wookieepedia/Jawapedia, troverete chicche interessanti, ma sappiate che verrà comunque sviscerato nel corso della storia ♥

Grazie a tutti voi che leggete, commentate e supportate la storia! Siete il mio coaxium **
Alla prossima, di nuovo tra una settimana (eheh)

-Light-

   
 
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