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Autore: Lisaralin    04/05/2021    2 recensioni
Un giorno vivi in un castello e canti per il sollazzo di dame e principi. Il giorno dopo ti ritrovi in mezzo a una strada senza un soldo bucato in tasca.
Estratti dal diario di un avventuriero riluttante.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disavventure di un menestrello errante nel Faerûn


Giorno 8
Poiché nostro incarico si è appena trasformato da “semplice consegna di pochi giorni lavorativi per un compenso di dieci monete d’oro” in “epica missione di salvataggio contro la criminalità della Costa della Spada”, suppongo che tocchi a me, in quanto bardo del gruppo, redigere la cronaca delle nostre intrepide gesta.
O almeno prendere qualche appunto sparso in attesa di poter rielaborare il tutto in una forma poetica degna di questo nome. È difficile partorire frasi di senso compiuto quando il pennino ti trema tra le dita per la stanchezza (siamo alla terza chiazza di inchiostro nonché foglio buttato) e gli occhi si chiudono sotto il peso delle fatiche della giornata.
Ronasce ha ancora la forza di menare fendenti attorno al falò, respingendo orde di nemici immaginari con un martello grande quanto la mia testa. In armatura completa. Allenamento serale, lo chiama. Mi sento le braccia di piombo solo a guardarlo. Anche oggi pomeriggio ha maciullato teste e rotule di goblin con la nonchalance di una massaia che sbatte i panni stesi ad asciugare.
E a proposito di martelli e di rotule, le mie ancora gemono per solidarietà allo sfortunato goblin che abbiamo preso prigioniero. Il poveretto aveva già gettato l’arco a terra e ci aveva offerto informazioni in cambio della vita, perciò il colpo tremendo che il nostro paladino gli ha sferrato sul ginocchio “per non fargli venire strane idee” mi è sembrato una crudeltà del tutto esagerata ed inutile.
Poco fa gli ho portato una delle mie razioni per cena e ho allentato un po’ le corde che lo tengono legato. Del resto dove potrebbe mai fuggire con una gamba spappolata? Mi è sembrato tranquilizzarsi almeno in parte. Mi ha ringraziato e tra lacrime mal trattenute e singhiozzi spezzati ha mormorato di chiamarsi Radice di Quercia. Un nome insolitamente poetico per un goblin.
Quella creaturina tremante e raggomitolata per la paura mi fa una pena infinita. Non ho potuto fare a meno di notare che, durante la battaglia, le sue frecce non hanno centrato il bersaglio nemmeno una volta.
Da che pulpito viene la predica! Io non ho fatto certo una figura migliore: sono inciampato su una radice mentre cercavo di lanciare un incantesimo. Un esordio sfolgorante per il primo vero combattimento della mia vita.
Forse io e il piccolo goblin non siamo così diversi, dopotutto. Da parte mia ho solo avuto la fortuna di capitare in squadra con i compagni più forti.
Passato lo spavento e attutita la vergogna, tutto ciò che mi rimane di questa giornata sono tante ossa doloranti, vestiti strappati, capelli ridotti a un groviglio disastroso e la prospettiva di una nottata orribile sulla dura e ingrata terra, a battere i denti avvolto nel mio misero sacco a pelo.
La vita dell’avventuriero non fa decisamente per me.

 

Giorno 9
Nelle saghe epiche solitamente si incontrano tre tipologie di avventurieri.
Quelli che partono spinti dalla sete di gloria o dalla curiosità di vedere il mondo.
Quelli che intraprendono un viaggio per salvare una persona cara, o il proprio regno, o per cercare un parente o un amante scomparso.
Infine, quelli che non sarebbero mai partiti se una qualsiasi disgrazia non fosse piombata dall’alto sulle loro teste, sconvolgendo inesorabilmente la loro tranquilla vita quotidiana.
La differenza tra la seconda e la terza categoria è che i secondi si offrono volontari per partire, mentre i terzi vi sono costretti. Al contrario di questi ultimi, tuttavia, io non sono un orfano dotato di poteri straordinari, né l’ultimo esponente di una stirpe o una casata estinta, né tantomeno il prescelto per riportare l’equilibrio tra il bene e il male nel mondo.
Io sono partito semplicemente perché il lord di cui ho avuto la sfortuna di nascere al servizio una mattina si è svegliato con la luna storta e ha deciso di buttarmi fuori a calci dal suo castello.
E dunque a quale categoria appartengo?
Probabilmente a quella troppo irrilevante perché qualcuno decida di dedicarvi una storia.
Eppure, dal basso della mia irrilevanza, oggi sono riuscito a emergere vivo da una grotta brulicante di goblin, lupi famelici e bugbear.
Certo, il duello più impegnativo l’ho avuto con la corda che tratteneva un ponticello di assi di legno. Il malefico intreccio di canapa ha opposto una strenua e valorosa resistenza agli assalti del mio stocco. Forse, quando i miei compagni mi hanno gridato di coprire loro le spalle tagliando il ponte da cui sarebbero potuti sopraggiungere altri goblin per accerchiarci, avrei dovuto avvertirli che la mia arma è poco più che un oggetto di scena. L’avevo comprata perché mi sembrava elegante, in una vita lontana e felice in cui credevo che sarei rimasto per sempre un menestrello di corte. Kaizu inoltre mi ha fatto notare che non dovrei impugnarla con due mani, “come se fosse una zappa”. Ho sorriso allo gnomo con una punta di nervosismo e ho annuito rispondendo che, naturalmente, lo sapevo già.
Posso considerare un successo l’aver scalato una parete rocciosa di svariati metri per sorprendere i nostri nemici da una posizione di vantaggio, allora? I miei muscoli sofferenti sostengono di sì, e probabilmente se ne ricorderanno per parecchi giorni a venire. Qualsiasi senso di autocompiacimento tuttavia si è sciolto come un panetto di burro sotto il sole quando padre Whiteflame, il nostro chierico, ha intrapreso la salita subito dopo di me. Sono stato condannato all’umiliazione di osservare un uomo di circa il doppio dei miei anni, appesantito da un’armatura, uno scudo e un goblin zoppo aggrappato allo zaino, scalare in meno tempo e con meno fatica la stessa parete a causa di cui mi trovavo in ginocchio a sputare pezzi di polmone.
Malgrado tutto, una piccola scintilla luminosa brilla al termine di questa giornata infernale: stanotte dormiremo in una locanda. Su un morbido materasso, tra lenzuola fresche di bucato. Rilassati e in pace con il mondo dopo un paradisiaco bagno caldo.
Sono rimasto sorpreso quando Radice di Quercia ha chiesto di poter condividere la stanza con me. Pensavo che sarebbe rimasto con padre Whiteflame, che si è preso cura della sua ferita e se lo è caricato sulle spalle praticamente per tutta la giornata. Sarà che padre Whiteflame non sorride mai e guarda chiunque con l’aria di chi preferirebbe trangugiare una fiala di acido piuttosto che iniziare una conversazione con te?
In ogni caso mi fa piacere ospitare il piccolo goblin. Ordinerò dall’oste una tinozza di acqua calda anche per lui.

 

Giorno 10
Il riposo è già una chimera lontana. In qualche modo siamo riusciti ad inimicarci una banda di criminali locali dalla spiccata vena sadica che vestono di rosso e si fanno chiamare molto folkloristicamente Tizzoni Scarlatti.
Della serie che già rimpiango la morning star incrostata di sangue del capo bugbear.
I miei compagni non si lasciano intimidire. Più forti i nemici più grande è la gloria, sostiene Ronasce.
Di cosa sono fatti i loro corpi? Di mithril? Olihargon? No, il loro sangue è rosso come il mio e l’ho visto sgorgare a fiotti in questi pochi giorni di avventura, ma apparentemente qualche ferita non basta a farli rallentare. È difficile, così maledettamente difficile stare loro dietro.
Le occhiate che mi lanciano di sottecchi al tavolo della colazione o mentre giriamo per il villaggio in cerca di informazioni sono eloquenti e fanno più male delle frecce dei goblin. Ronasce si domanda palesemente che cosa io ci faccia insieme a loro (tranquillo, amico paladino, me lo sto chiedendo anch’io), mentre è ovvio che padre Whiteflame mi considera poco più che un bambino affidato alla sua responsabilità.
Violet è rimasta a bocca aperta quando ha appreso che avevo usato i soldi della nostra ricompensa per comprare dei vestiti nuovi invece che un’armatura di cuoio più resistente. Un errore idiota, adesso me ne rendo conto. Ma fino a una decina di giorni fa ero fermamente convinto che in vita mia non avrei mai avuto bisogno di un’armatura.
Rimanga tra noi, amico diario, ma un po’ invidio la nostra stregona tiefling. Ha circa la mia età e sostiene di aver lavorato più che altro come contabile per la propria gilda, ma l’altro giorno non ha esitato a intavolare trattative con un pugno di goblin ribelli per rovesciare il capoclan bugbear che possedeva le informazioni che cercavamo. Tutto questo mentre io, il bardo del gruppo, me ne stavo immobile con la lingua incollata al palato e il cuore che martellava a mille.
L’unico sguardo che riesco a sostenere con serenità è quello di Radice di Quercia. Grazie alle cure del nostro chierico la sua gamba sta molto meglio e presto potrà tornare a camminare. Le informazioni che ci ha fornito si sono rivelate preziose, e ormai persino Ronasce si è convinto che il piccolo goblin non ha alcuna intenzione di tradirci.
“Se io torna da clan ora loro uccide me” mi ha confidato stamattina quando gli ho portato la colazione, la testa incassata tra le spalle sottili e la voce ridotta a un gemito.
“Voi perché viaggia?” ha domandato poi, masticando rumorosamente la sua pappa d’avena.
“Un nostro amico è stato rapito. Vogliamo salvarlo.”
“Voi coraggiosi” ha sentenziato, il cucchiaio sollevato come la bacchetta di un maestro. “Amico fortunato.”
A combattere sarò pure un disastro, ma da buon bardo sono perfettamente capace di leggere il non detto dietro le righe: Nessuno farebbe mai la stessa cosa per me.
Stamattina gli ho regalato un mantello di lana comprato al mercato qui a Phandalin. Vi si è rannicchiato dentro tutto soddisfatto, suppongo che abbia gradito. Non mi è sfuggita però la scintilla di delusione nei suoi occhi rotondi quando si è accorto che era di un colore diverso rispetto a quello che invece avevo acquistato per me. La prossima volta ci farò più attenzione.

 

Giorno 12
“Cerca il Graal dentro di te
Sconfiggi il drago nei tuoi sogni.”
Una delle mie ballate preferite. Le sue note hanno continuato a rimbalzarmi nella testa per tutta questa giornata folle, mentre ci addentravamo tra i meandri umidi e dal fetore di necromanzia della magione Tresendar, dove i Tizzoni avevano costruito il loro covo.
Le sue parole hanno danzato sulle mie labbra senza sosta, infondendo forza e velocità nei corpi dei miei compagni.
Non ho smesso di canticchiarle come una nenia ossessiva nemmeno di fronte al guardiano. Inchiodato dalle profondità liquide del suo unico occhio verde, mentre la sua voce simile al sibilo di un nido di serpenti scoperchiato di colpo si insinuava a forza tra le pieghe della mia mente. 
Non sono scappato soltanto perché mi sembrava di non essere io all’interno del mio stesso corpo. Ogni sensazione mi arrivava distante, attutita. L’impugnatura dello stocco scivolava tra le dita macchiate di sangue, e mi sembrava di osservare da una distanza lontanissima i miei colpi goffi e sgraziati andare a vuoto l’uno dopo l’altro.
Però, in quegli attimi terrificanti che si dilatavano all’infinito, sono certo di aver scorto con la coda dell’occhio Violet alle mie spalle rialzarsi barcollando e riguadagnare una distanza di sicurezza. Ferita, ma viva.
Ricordo chiaramente quell’unico pensiero lucido farsi strada in mezzo al terrore e alle note della mia canzone: se fossi morto in quel momento, almeno sarebbe servito a qualcosa.
Non siamo morti, né io né Violet. L’aberrazione infine si è dovuta sottomettere al giudizio del martello di Ronasce. La battaglia tuttavia ha concesso al mago suo padrone, il capo dei Tizzoni, il tempo di fuggire grazie a una pozione di invisibilità.
Si tratta di una vittoria, suppongo. Un villaggio liberato dal giogo di spietati criminali. Questo fa di noi degli eroi? È troppo presto per dare un nome al groviglio di sensazioni che tutto questo provoca dentro di me. Per il momento c’è solo l’immenso sollievo di essere ancora vivo.
La nostra missione tuttavia non finisce qui: abbiamo ancora un conto in sospeso con quel mago. Lo inseguiremo fino in capo al mondo, se necessario.
E lo faremo in sei.
La gamba di Radice di Quercia è guarita del tutto, ma il piccolo goblin non ha voluto saperne di partire per la sua strada.
“Voi salvato me, io adesso aiuta voi! Io bravo a seguire tracce!”
In piedi su una sedia nella sala comune della nostra locanda, Radice ha fatto correre lo sguardo dall’uno all’altro di noi. Per poi soffermarsi più a lungo di tutti su di me.
E sorridermi.
Forse ho appena trovato un motivo in più per proseguire in questa folle avventura.

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Note: questa storia è tratta da una campagna di D&D attualmente in corso: tutte le figure di m** menzionate dal mio personaggisono realmente accadute in game (ho davvero usato dei soldi per comprare vestiti eleganti invece che un'armatura di cuoio rinforzata '^_^). Però adesso ho un adorabile sidekick goblin che mi segue ovunque :)
I versi citati nel giorno 12 sono una traduzione approssimativa del ritornello della canzone Sail Away to Avalon di Ayreon.
  
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