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Autore: Old Fashioned    06/05/2021    10 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Carissimi lettori e lettrici,
ecco qui un altro po’ di mappazzone, spero che non vi sia ancora venuto a noia.
Come sempre vi ringrazio per il vostro costante sostegno e vi auguro buona lettura^^







Quando von Knobelsdorff riaprì gli occhi, seduto sullo sgabello c'era un ufficiale diverso dal capitano medico.
Era un tizio che poteva avere forse trent’anni, di corporatura poderosa, probabilmente altissimo. Rannicchiato sul piccolo sedile, dava l'idea di riempire completamente il ridotto con le sue enormi spalle.
Maggiore Klaus Wrede,” si presentò, tendendo una mano larga come una vanga da trincea.
Il giovane la intercettò con la propria, che vi scomparve dentro come quella di un bambino, e sua volta si presentò: “Tenente Maximilian von Knobelsdorff.”
Ha sete, tenente? Vuole bere un po’ d’acqua?”
Egli annuì. “Sì, per favore.” Con un riflesso involontario provò a deglutire, ma il movimento rimase a metà.
L’altro lo prese per le spalle e lo sollevò come avrebbe fatto con un gatto, aiutandolo a mettersi seduto. Gli porse a quel punto un bicchiere di latta e gli chiese: “Ce la fa da solo?”
Von Knobelsdorff, che malgrado ogni proposito di dignità e compostezza non aveva occhi che per l’agognato liquido, lo prese con due mani e se lo portò alle labbra.
Lo vuotò d’un fiato.
Ancora?” chiese Wrede.
Sì, grazie.”
Mentre si dissetava, von Knobelsdorff si accorse di avere due vistose medicazioni ai polsi. Portò una mano a toccarsi cautamente la schiena e percepì anche quella coperta di garza.
Il maggiore attirò la sua attenzione: “E così, lei è un ulano.”
Sissignore.”
E un pilota da caccia.”
Sissignore.”
L’altro si mosse sullo sgabello, che scricchiolò sotto il suo peso, poi disse: “Cavalleria. Anche a me sarebbe piaciuto, sa? E non parliamo degli aeroplani.”
Il tenente non replicò: forse quel gigantesco ufficiale sarebbe potuto entrare nella Garde du Corps, posto che avesse anche gli altri requisiti necessari per far parte di quell'unità d'élite, ma di certo non sarebbe mai riuscito a infilarsi in un Albatros. Non con la pretesa di uscire vincitore da un duello aereo, almeno.
Capisco,” si limitò a dire.
Altra acqua?” propose il maggiore.
No, grazie, signore.”
Rimasero a guardarsi in silenzio. Da fuori, attutito dalle spesse pareti di terra, proveniva un tuonare sordo. A un certo punto, una detonazione particolarmente forte fece oscillare la lampada che pendeva dal soffitto.
Wrede alzò appena lo sguardo e disse: “Picchiano forte, oggi.”
Il tenente lasciò passare qualche secondo, poi chiese: “Più forte del solito, signore?”
L’altro gli rivolse uno sguardo vagamente interrogativo, alzò le spalle e noncurante rispose: “No, non direi.” Poi, dopo una pausa: “Perché?”
Von Knobelsdorff rimase in silenzio. L’impressione naturalmente era che gli inglesi volessero recuperare lui e l’agente segreto, ma appunto era solo un’impressione.
Si chiese dove fosse l’agente segreto. Ormai si era abituato a vederlo spuntare quando meno se l’aspettava, in un certo qual modo ne sentiva la mancanza.
O forse qualcosa di più di una semplice mancanza.
La voce del maggiore Wrede lo distrasse dalle sue meditazioni: “Vuole raccontarmi cosa le è successo, tenente?”
Von Knobelsdorff scosse la testa. “Non posso.”
Lo sguardo dell’altro si indurì. “Temo di non capire. Lei sta parlando con un ufficiale del suo stesso esercito, se è vero che è tedesco.”
Sono più tedesco dei Sauerkraut, ma si tratta di informazioni che non sono autorizzato a rivelare.”
Wrede annuì lentamente, quindi replicò: “Questo atteggiamento non la mette in una posizione facile. Lo sa, vero?”
Ne sono consapevole.”
Tra i due calò il silenzio.
Infine, il maggiore si alzò. Tenendosi un po' curvo per non toccare il soffitto con la testa, gli disse: “Se umanamente sarei portato a concederle fiducia, tenente, dal punto di vista militare è mio dovere dubitare delle sue parole fino a che esse non mi verranno in qualche modo confermate.”
Von Knobelsdorff annuì. “Lo capisco. L'unica cosa che posso fare è suggerirle di interpellare il mio comandante, il maggiore von Stade della Jasta 6.”
Wrede gli rivolse un'occhiata indecifrabile, poi replicò: “Non lo sapeva, tenente? Il maggiore von Stade è caduto in combattimento due giorni fa.”

§

Il palazzo dei servizi segreti britannici a Parigi non era nulla di pomposo. Tutto il contrario, anzi: era il retro di un negozio di modista, in una strada della prima periferia.
Le lettere dell’insegna erano ormai sbiadite. Nella vetrina un po' polverosa c'era solo un tristo assortimento di cappellini e borsette fuori moda. La commessa – in realtà una delle loro agenti – era una megera dall’aria burbera, per evitare che a qualche ingenua cliente venisse comunque l'idea di entrare a curiosare.
The Bishop sostò qualche istante dall'altra parte della strada, dandosi l'aria di non essere minimamente interessato a quella mesta esposizione, poi attraversò con passo misurato, si guardò fugacemente intorno e si infilò rapido nel vicolo che si apriva accanto al negozietto.
Il selciato era sconnesso, al centro della carreggiata correva un rigagnolo d'acqua che scompariva in un tombino poco lontano. Dalle finestre pendevano festoni di panni stesi.
Da qualche parte, una voce femminile stava cantando Quand Madelon.[1]
The Bishop si fermò ad ascoltare assorto per qualche secondo, poi svoltò in un vicolo ancora più angusto. Raggiunse una porta dall'aria anonima, con la vernice un po' scrostata. Bussò un paio di volte.
Dall'altra parte, qualcuno chiese: “Chi è?”
Sono qui per la caldaia,” rispose.
Chi l'ha chiamata?”
La signorina del negozio. C'è stata una perdita.”
L'udito fine dell'agente colse il ben lubrificato scatto di vari chiavistelli.
Entrò in un androne in penombra, salutò chi gli aveva aperto la porta, poi a voce più alta disse: “Salve a tutti!”
Da alcune feritoie mascherate nel muro provennero varie risposte.
Sapeva che quelle aperture permettevano a osservatori e fotografi, ma soprattutto a tiratori scelti, di tenere d’occhio quello che succedeva nella stanza. Immaginò il Werwolf in quello stesso androne, esattamente nella posizione in cui si trovava lui in quel momento, e un sorrisetto gli stirò le labbra. “C’è il capo?” chiese.
È di là,” giunse la risposta, da una delle feritoie.
Da un’altra provenne: “Fatto buona caccia?”
The Bishop rispose con un'alzata di spalle, poi si diresse a un corridoio, lo imboccò e lo percorse fino a una porta chiusa. Vi si fermò di fronte.
Dall’altra parte provenne: “Avanti!”
Egli abbassò la maniglia, l’anta cedette senza rumore.
Al di là vi era un ufficio. Lungo una delle pareti correva una mensola su cui si trovavano apparecchi telegrafici e telefoni, su quella opposta c’erano schedari e armadi per documenti.
Al centro si trovava una scrivania dietro cui sedeva quello che a prima vista si sarebbe detto l’anonimo contabile di una piccola impresa: né magro né grasso, né vecchio né giovane, occhiali tondi cerchiati di metallo, incipiente calvizie, abiti modesti. Nessun segno particolare, nessuna caratteristica che attirasse una seconda occhiata.
Eppure the Bishop sapeva bene che quell'ometto dall'aria insignificante era maestro di almeno quattro arti marziali, era uno schermidore eccezionale e un tiratore altrettanto pericoloso.
Malcolm, ragazzo mio,” lo accolse questi. Gli indicò la sedia che si trovava davanti alla scrivania.
C'ero quasi,” sospirò l'agente segreto prendendo posto. Si passò una mano sulla fronte. Praticamente non dormiva da quando aveva cominciato la caccia al Lupo Mannaro. Una volta arrivato a Parigi era riuscito a malapena a farsi una doccia e a mangiare un boccone, poi era corso a far rapporto. Poteva scommettere che il suo capo, che in quel momento lo stava guardando come il Figliol Prodigo, non fosse per nulla soddisfatto di come erano andate le cose. “È scappato,” disse semplicemente, sperando che la scarna affermazione fosse sufficiente a esaurire l'argomento. “Se n'è andato con un aeroplano.”
L'altro rimase impassibile. Raddrizzò un foglio che si trovava sul piano della scrivania, allineò le penne accanto al calamaio e si assicurò che il suddetto fosse chiuso a dovere. “Capita,” disse poi in tono pacato.
Calò un silenzio rotto solo da un vago ticchettare di strumenti. In lontananza, fioco, suonava un telefono.
Alla fine, the Bishop replicò: “Ma non doveva capitare.”
L'uomo annuì. “Te ne do atto. Potrei risponderti che ad impossibilia nemo tenetur, ma sai anche tu che non funziona così.”
Pensa che mi trasferiranno?”
L'uomo alzò le spalle. “Forse. C'è bisogno di bravi agenti in Africa e in Asia.”
The Bishop non replicò. Avrebbe potuto raccontare tutto quello che era successo da quando gli avevano trasmesso la soffiata sulla presenza del Werwolf dietro le loro linee, ma ai piani alti contavano i risultati, non l'impegno.
Non che biasimasse quell'atteggiamento, in effetti. A differenza di quella che si svolgeva nelle trincee, che comunque qualche regola la conservava, quella tra agenti segreti era davvero una guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi. Non c'era posto per volonterosi pasticcioni.

Il dossier scorre attraverso la scrivania fino a fermarsi davanti a lui. Egli solleva lo sguardo verso l'uomo che gliel'ha consegnato, ma incontra solo un volto impenetrabile. Apre il plico di documenti, la prima fotografia che trova lo costringe ad alzare di nuovo gli occhi sul suo interlocutore.
Questi gli restituisce uno sguardo impassibile.
È sicuro?” gli chiede allora.
L'hanno fotografato mentre passava informazioni a un agente tedesco.”
Nel dossier c'è anche quell'immagine.
Come può essere certo che gli stesse passando informazioni?”
La voce dell'uomo ha il tono dell'ovvietà: “Perché una cosa che sapeva solo lui, dopo poco la sapevano anche i tedeschi.”
Egli aggrotta le sopracciglia. “Si spieghi meglio.”
Un altro documento attraversa la scrivania per arrivare fino a lui. Egli lo legge con crescente disagio: una trappola in piena regola, un ghiotto boccone passato ai servizi segreti tedeschi per avere le prove del doppio gioco portato avanti dall'agente inglese.
Quelle prove devono essere costate almeno duecento morti, riflette fra sé e sé. Ma d'altra parte, il mestiere che si è scelto è così: a volte bisogna sacrificare duecento persone per farne sopravvivere duecentomila.
Un agente segreto che vuole definirsi veramente tale deve essere in grado di spogliarsi dei sentimentalismi che affliggono la gente comune.
Riguarda il dossier: la prima fotografia che ha attirato la sua attenzione è quella di un giovanotto dall'aria spavalda, atletico, con l'elegante uniforme della cavalleria. Quel giovanotto si chiama Richard ed è stato proprio lui a selezionarlo fra innumerevoli candidati.
Perché io?” chiede.
L'altro solleva le sopracciglia, quasi stupito dalla domanda. “Ma perché era sotto la sua responsabilità, mi pare ovvio.” Fa una pausa e soggiunge: “Naturalmente le sue azioni saranno tenute sotto controllo.”
Naturalmente,” fa eco lui. “Il fatto che io possa nutrire sentimenti di affezione nei confronti del soggetto è irrilevante per voi?”
Dovrebbe esserlo per lei,” è la risposta, proferita in tono di inflessibile durezza. “Perché se non lo è, colonnello Norwood, penso che lei sia più adatto al suo reparto di provenienza, che ai servizi segreti.”

Guarda e riguarda la fotografia: un giovanotto di bell'aspetto, con lo sguardo vivace e il sorriso sfrontato di un guascone.
Si chiede chi sia stato ad avvicinarlo, su cosa abbia fatto leva per convincerlo a tradire il suo Paese. Ripercorre la composizione della sua famiglia, che ha minuziosamente vagliato prima di accettarlo come allievo, la rete dei suoi affetti, amici, fidanzate... non c'è nulla su cui sia possibile esercitare pressioni.
Lusinghe, dunque, e non ricatti?
Che cosa gli avrà promesso, l'agente che l'ha contattato? Soldi? Potere? Che altro?
Decide di seguirlo. Il ragazzo è ancora per certi aspetti inesperto, e per quanto durante certi spostamenti si guardi alle spalle, essenzialmente non sa su cosa sia più opportuno fissare l'attenzione.
I primi pedinamenti sono infruttuosi, ma finalmente un giorno lo segue fino a un caffè elegante del centro. Si nasconde lì vicino. Il giovanotto entra, parla con il cameriere e poi si accomoda in una zona un po' appartata. Ordina qualcosa, e il vassoio che dopo poco gli viene deposto sul tavolino contiene un servizio per due persone.
Aspetta.
Anche Richard, là seduto, aspetta. Prende qualcosa da un piattino, lo mangia. Si muove sulla sedia con l'atteggiamento di un bambino impaziente.
Egli considera che sembra in preda a qualcosa di molto simile a una gioiosa aspettativa, ma al tempo stesso continua a guardarsi intorno a disagio, come consapevole di stare facendo qualcosa di sbagliato.
Aspetta ancora.
Infine vede un giovane uomo avvicinarsi al locale. È di altezza media, snello, vestito con sobria eleganza. Anche lui entra e parla con il cameriere, che subito lo conduce al tavolo di Richard.
Quando lo vede senza cappello, egli quasi trasale: è il Werwolf.
I due si scambiano uno sguardo che si presta a pochi equivoci. Il modo in cui le loro mani si sfiorano sul tavolino, poi, è ancora meno fraintendibile.
Rimane a guardarli: il Werwolf parla e Richard letteralmente si beve le sue parole, fissandolo affascinato.

Si chiede perché sia successo. Richard è omosessuale, o magari bisessuale? Sono stati insieme nelle più svariate occasioni, in intimità impensabili, a volte anche nudi. Perché non ha mai avuto il sentore di certe tendenze?
Forse il Werwolf non è un lupo mannaro, ragiona, ma un serpente, che ipnotizza le sue vittime. Fatto sta che lui e Richard sono nudi, distesi sul letto di una discreta pensioncina di campagna, impegnati in attività che lui ha persino ritegno di guardare.
Soppesa la pistola e pensa che sarà tutto molto semplice: un calcio alla porta e due colpi in testa a quel maledetto tedesco. Più altri due, per essere sicuro. Poi deciderà cosa fare di Richard, ma già sta pensando a destinazioni lontane o a discreti congedi anticipati.

Non era stato semplice per niente: al rumore della porta che si spalancava, il Werwolf si era rigirato con un colpo di reni scomparendo dietro il letto, e chi aveva intercettato le pallottole letali era stato il suo allievo.
Poi il tedesco si era dileguato e lui non aveva potuto fare altro che tenere fra le braccia il giovane, mentre agonizzava e infine spirava per le ferite che lui stesso gli aveva inferto.

Due settimane,” disse the Bishop.
L’uomo lo fissò perplesso. “Prego?”
Mi servono un paio di settimane per chiudere una questione, poi vado in Asia, in Africa o anche sulla Luna, se mi ci manda.”
L’altro scosse la testa e rispose: “Non è possibile, Malcolm: siamo in guerra. Le faccende personali non possono...”
No, niente Malcolm,” lo interruppe brusco l’agente segreto. “Io sono the Bishop, e sono il migliore agente segreto della Corona. Se mi lascia due settimane, le do la mia parola d’onore che tornerò puntualmente e poi mi metterò a sua completa disposizione. Se invece prova a fermarmi, io andrò lo stesso, ma lei dovrà trovarsi qualcun altro da spedire nelle colonie.”
Si fissarono in silenzio per un tempo che parve interminabile. Uno dei telefoni che si trovavano sulla mensola si mise a squillare, ma nessuno dei due si lasciò distrarre da quel suono improvviso.
Rimasero immobili, occhi negli occhi.
Infine lentamente, senza distogliere lo sguardo, l'uomo scandì: “Tu sei un agente segreto, Malcolm. Non mi importa se sei il migliore o il peggiore, hai comunque scelto di svolgere il tuo servizio come tale, il che significa che hai scelto di rinunciare a personalismi e paturnie sentimentali.” Fece una pausa, durante la quale la sua espressione altrimenti mite si trasformò in una lama d'acciaio, poi specificò: “Hai scelto, bada bene, non ti ha costretto nessuno. Ora però sei qui, e devi fare quello che ti viene ordinato. Non me ne faccio niente di primedonne che siccome si reputano migliori di altri pensano di poter fare ciò che vogliono. Obbedisci agli ordini o torna al tuo reparto, è tutto.”
The Bishop annuì secco. “Perfetto, ho capito,” rispose, e uscì dalla stanza.

§

Il tenente von Knobelsdorff sollevò lo sguardo verso la finestra, ampia ma attraversata da un solido reticolo di sbarre.
Il comportamento del maggiore Wrede era stato ineccepibile sotto ogni aspetto. Una volta appurato che non aveva intenzione di rivelare particolari della sua missione, l'erculeo ufficiale l'aveva fatto trasferire nelle retrovie, ovviamente agli arresti. Non gli aveva fatto mancare comunque cibo, acqua e scrupolose cure mediche. Anche se non l'aveva mandato a un ospedale da campo, un dottore andava a visitarlo ogni giorno, accompagnato da due infermieri, per controllare la guarigione delle sue ferite e rifare le medicazioni.
Si chiese cosa sarebbe successo. Una volta morto von Stade, nessuno avrebbe potuto confermare che il suo ruolo in quella strana missione era a favore della Germania.
I due agenti segreti che l'avevano istruito, la giovane donna e l'uomo allampanato, probabilmente non esistevano nemmeno, a livello formale. Poteva scommettere che nessun ufficiale superiore, lungo tutta la linea del fronte, sapesse di loro. Se anche li avesse menzionati, nel migliore dei casi non sarebbe stato creduto, oppure sarebbe stato considerato pazzo.
Man mano che passava il tempo, poi, anche le sue certezze si facevano sempre meno solide. Cos'avrebbe dovuto fare? Come sarebbe andata a finire?
Seduto sulla branda, puntò i gomiti sulle cosce e poggiò il viso tra le mani. Quando si piegava in avanti, come nel movimento che aveva appena compiuto, la schiena gli faceva male. Sentiva la pelle stirarsi e allora di solito si raddrizzava, temendo di far riaprire le ferite.
In quel frangente rimase immobile. Fissò gli occhi sul pavimento, composto da vecchie piastrelle di graniglia bigia, e rivolse il pensiero all'agente segreto.
Si chiese dove fosse, tanto per cominciare, se avesse portato a termine la sua missione. Se stesse bene, soprattutto, dal momento che quando era scomparso aveva ancora una pallottola nel fianco.
Ripensò al nome che l'uomo aveva pronunciato quando, stremato, si era abbandonato a pochi istanti di incoscienza: Reiner.
Si chiese chi fosse quel Reiner e rievocò qualcosa come uno strano dialogo, con qualcuno che aveva la sua stessa faccia. Una frase gli risuonò in mente: si muore per rinascere.
Un presagio?

Il rumore della serratura che scattava lo distolse dalle sue meditazioni.
La porta si aprì, due piantoni lo prelevarono e lo condussero lungo un corridoio, fino a una stanza ampia, illuminata da larghe finestre e quasi spoglia di mobili, a parte un tavolino e qualche sedia.
Lo lasciarono solo.
Egli fece qualche passo guardandosi intorno. L’avevano fatto uscire altre volte, ma non l’avevano mai portato in quel posto. Sui muri c'erano rari graffiti, per il resto erano immacolati, verdi fino a circa due metri d'altezza e poi bianchi. Il pavimento era della stessa graniglia bigia della cella. Il soffitto, altissimo, era a volta e dava l'idea di essere piuttosto antico.
Mentre camminava per l'enorme locale, i suoi passi echeggiavano come nella navata di una chiesa.
Si sedette al tavolino, appoggiò gli avambracci sul piano del mobile. Si guardò i polsi ancora fasciati, girò le mani con i palmi verso l'alto e strinse lentamente le dita, come per accertarsi che funzionassero ancora.
A quel punto, il rumore di una porta che si apriva spedì un riverbero di echi sul soffitto. Egli si girò in quella direzione e vide che stavano entrando due ufficiali e un uomo in borghese.
Gli ufficiali ormai li conosceva, erano un colonnello di fanteria e un maggiore degli ulani. Erano già venuti in precedenza a fargli domande sulla missione.
L’uomo in borghese invece non l’aveva mai visto.
Si alzò e si mise sull'attenti.
Comodo,” gli disse il colonnello. Lo raggiunse e propose: “Vogliamo sederci un momento?”
Sissignore.”
Il tenente prese posto.
Al lato opposto del tavolo si sistemarono gli altri tre.
Von Knobelsdorff fissò lo sguardo sul civile, che sedeva tra i due ufficiali, quindi proprio di fronte a lui: alto, legnoso, con una scriminatura centrale che sembrava un colpo d'accetta e la cicatrice della Mensur[2] sulla guancia. Portava il monocolo all'occhio destro. “Siamo qui per capire come aiutarla,” lo informò.
Allora mi faccia riprendere i voli di guerra, non chiedo altro.”
L'altro rimase impassibile. Annuì secco, quindi rispose: “Tornerà in servizio, eventualmente, quando avremo chiarito la sua posizione.”
Ho già detto tutto quello che so.”
A quelle parole fece seguito un lungo silenzio.
Infine l'uomo si tolse il monocolo, lo lucidò brevemente con un fazzoletto candido, se lo reinserì nell'orbita e disse: “Tenente, lei è arrivato di fronte alle nostre linee ai comandi di un aereo inglese, con addosso un'uniforme inglese. Racconta che stava compiendo una missione per conto dei nostri servizi segreti, ma non mi sa dire un nome o una circostanza per provare la veridicità delle sue affermazioni. Non mi sa spiegare di che genere di missione si trattasse, né sa darmi lumi sull'identità della persona che a suo dire la accompagnava. Persona di cui non è stata trovata traccia, le faccio notare.”
Il tenente annuì come per prendere atto di tutte quelle obiezioni, poi rispose: “Le ripeto, signore, che ho già riferito ogni informazione in mio possesso. Non mi è stato detto alcun nome, né dato alcun riferimento, per evitare che in caso di cattura li riferissi al nemico. Ho ricevuto l'ordine di atterrare dietro le linee in un dato punto e raccogliere una persona. Non so altro.”
E quello che è successo dopo?”
Qualcuno ci ha intercettati.”
Com'è possibile?” Il tono dava l'idea che l'uomo considerasse l'accaduto una sua precisa responsabilità.
Von Knobelsdorff si irrigidì. Fissò alternativamente i due ufficiali come aspettandosi un loro intervento, che però non giunse. Rivolse allora nuovamente lo sguardo al civile e rispose: “Posso solo formulare ipotesi, signore, e nella fattispecie ipotizzo che l'informazione sia in qualche modo trapelata.”
Alla frase fece seguito un altro lungo silenzio. L’uomo si lucidò nuovamente il monocolo, quindi lapidario proferì: “Lei non ci sta aiutando.”
Vorrei poterlo fare, signore, ma ho detto tutto quello che so.”
L’altro strinse l’occhio libero e le labbra, che divennero un taglio orizzontale nel viso granitico. Infine lentamente scandì: “Vorrei che le fosse chiaro, tenente, che se lei non ci aiuta, noi non possiamo aiutare lei. Mi spiego?”







[1] Canzone militare francese, più nota come La Madelon, molto popolare durante la Grande Guerra.
[2] Duello rituale tradizionale combattuto con sciabole affilate nelle Università dei paesi di lingua tedesca. Le cicatrici lasciate da questi combattimenti erano motivo d'orgoglio e al tempo stesso segno di istruzione universitaria.

   
 
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