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Autore: Shadow writer    06/05/2021    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il primo bacio


 

Mila pigiò il pulsante del campanello e attese in silenzio, fissando l'elenco dei nomi dei condomini.

«Chi è?» le rispose una voce assonnata. Erano le due di pomeriggio di domenica, ma la cosa non la stupì.

«Devo parlare con Nate»

Silenzio.

«Sei Mila?» domandò la voce e lei riconobbe Jay. Imprecò mentalmente. Jay era diffidente e sospettoso. Aveva sperato che a rispondere sarebbe stato il caloroso e mite Mike.

«Sì, sono io. C'è Nate?» rispose frettolosa.

«Io...non so se...»

«Per favore» lo interruppe, «è una cosa importante».

«Io credo che lui sia incazzato. È da un po' che si comporta in modo strano».

«Posso parlargli? Magari riesco a risolvere qualcosa».

Jay esitò. Si poteva sentire il suo respiro leggero attraverso l'altoparlante.

«Va bene» acconsentì alla fine «Ma prometti che sa dà in escandescenza te ne vai senza insistere?»

«Promesso».

La porta del condominio si aprì con un click. Mila si lanciò all'interno e salì i gradini a due a due fino al terzo piano. La porta dell'appartamento era già socchiusa e gli occhi di Jay la scrutavano dall'interno.

«Hai promesso» le sussurrò.

«Lo so. Stai tranquillo» rispose e lui aprì la porta quanto bastava per farla passare.

La casa di Nate era come la ricordava: disordinata, priva di un ordine logico, spoglia e con una perenne aroma di birra e sigarette.

«È in camera sua» disse Jay socchiudendo la porta alle sue spalle, come se fosse pronto ad aprirla nuovamente in tutta fretta, «ma ti consiglio di non entrare a meno che non ti inviti esplicitamente».

Annuì. «Grazie».

Attraversò la piccola sala-cucina si immerse nell'atrio che conduceva nelle camere. Quella di Nate era la penultima a destra; si fermò davanti alla porta e bussò.

«Che c'è?» replicò la voce irritata del ragazzo. Mila sentì un tuffo nel cuore. «Sono impegnato»

Temeva che nel sentire la sua voce l’avrebbe cacciata immediatamente senza neanche guardarla in faccia, così bussò ancora.

«Che palle, Jay, non hai niente di meglio da fare?»

Lei picchiò le nocche sul legno, ancora, e porta si aprì di scatto.

Nate non era arrabbiato. Era la rabbia stessa. Occhi fulminanti, espressione di ghiaccio, muscoli tesi. Il cuore di Mila accelerò improvvisamente, ma la sua lingua sembrava essersi fatta di piombo.

«Midispiace» disse, tutto d'un fiato.

Nate strinse le labbra fino a farle impallidire, così lei ne approfittò per aggiungere: «Hai dalla tua ogni ragione per essere arrabbiato con me e capisco che nessuna giustificazione può rimediare a come mi sono comportata. Quindi volevo solo dirti che mi dispiace, nulla di più»

Lui socchiuse gli occhi e la scrutò in silenzio.

«Che hai fatto alla fronte?» domandò poi.

Mila aprì la bocca, perplessa, poi realizzò che si riferiva al livido provocato dall’incidente. Si era trattato di una faccenda stupida. Clelia aveva perso il controllo dell’auto e si erano ritrovate in un fosso. Alla fine se l’erano cavata solo con qualche botta, ma in quel momento di pura adrenalina Mila aveva avuto una sola cosa in testa: “Se muoio ora, lascerò Nate per sempre arrabbiato con me”. Quell’idea l’aveva terrorizzata molto più del fatto di essere bloccata in un fosso e, una volta tratta in salvo, aveva deciso che era arrivato il momento di ingoiare tutto ciò che rimaneva del proprio orgoglio per presentarsi dal ragazzo e chiedergli scusa. 

«Oh nulla di che» rispose minimizzando.

«Ti hanno picchiata?»

«Cosa?» replicò «No! Ho solo avuto un incidente, nulla di grave»

Lui prese un respiro profondo e Mila fu certa che stesse per sbottarle contro.

«Ti devo chiedere scusa anche io»

La sua replica la lasciò spiazzata. 

«Cosa?»

«Mi sono comportato da testa di cazzo. Non avevo alcun diritto di introdurmi in casa tua e ho detto delle cose orribili su di te. Mi dispiace».

Lei annuì, ricordando come le sue parole l’avessero trafitta.

«Non avrei dovuto dire che non volevo più vederti» mormorò poi lui, abbassando lo sguardo.

Mila avrebbe voluto accarezzare la sua guancia, poi i suoi capelli, ma temette che toccandolo si potesse arrabbiare, come un animale imprevedibile.

«Grazie per avermi ascoltata» disse poi e si guardò attorno con aria imbarazzata: «Io...è meglio che vada...»

Nate risollevò le sguardo e Mila si accorse che stava sorridendo. 

«Ti va di farmi compagnai?»

 

 

Mila aprì la porta del locale e venne accolta dall’aria calda all’interno.

Si trattava di uno di quei café alla moda costruiti con pezzi di recupero che andavano particolarmente in quel momento. Un grande tavolo di legno lucido alla sua destra ospitava diverse postazioni di lavoro, mentre nella parte opposta una serie di tavolini circondati da poltrone confortevoli offrivano postazioni più intime per chi voleva chiacchierare. I colori neutri abbinati al legno scuro facevano apparire il locale confortevole come un salotto di casa.

Clelia l’attendeva ad uno dei tavolini e sventolò una mano in aria non appena la vide entrare.

Mila si affrettò a raggiungere l’amica. Lasciò il cappotto sull’appendiabiti affisso al muro accanto a loro e si sedette sulla poltrona grigia.

Clelia stava già sorseggiando una tazza di tè, accompagnandola con un’alta fetta di torta glassata.

«Ti assicuro che vale tutte le ore in palestra per smaltirla» commentò.

Mila scosse il capo, divertita.  La sua migliore amica era sempre stata il tipo di ragazza che riesce a catturare gli sguardi di tutti. Indossava abiti che non coprivano le sue forme morbide, a volte anche di qualche taglia di meno per mettere in evidenza il suo fisico. Mila non si era stupita quando terminati gli studi in economia, Clelia era stata immediatamente assunta da un’importante azienda. La ragazza era carismatica, sensuale e persuasiva. Tutto l’opposto di lei, insomma, che odiava essere al centro dell’attenzione e spesso avrebbe solo voluto scomparire. Clelia non era mai a disagio, sapeva sempre cosa dire e cosa fare. Veniva da una buona famiglia, ma a differenza di Mila, non le bastava sventolare il suo cognome per trovare una schiera di persone pronte a servirla e riverirla. Fatta furba dall’esperienza, aveva imparato come legare a sé le persone tra moine e sguardi languidi. 

«Tesoro, dimmi tutto» la incoraggiò l’amica.

Aveva chiamato una cameriera per farsi portare un’altra tazza e versò del tè anche a Mila. Lei prese la tazza calda tra le mani e fissò il contenuto come se riuscisse a trovarci le parole per cominciare a parlare.

«Io… ho incontrato un ragazzo».

Alzò lo sguardo in tempo per vedere le sopracciglia di Clelia levitare sproporzionatamente nella fronte. «Se hai dei problemi con James, potrei essere sconvolta» commentò. «Voi due siete fatti l’uno per l’altra».

Mila scosse il capo. «No, è un ragazzo che conosco da tempo. L’ho rivisto dopo anni».

«Un ragazzo speciale?»

«Io e lui… ecco, abbiamo avuto una relazione».

La confessione la spinse a nascondersi dietro alla tazza prendendo un sorso e, quando tornò a guardare l’amica, notò che quella aveva un’aria ancora più incuriosita e sorpresa.

«Mila Barnes» iniziò infatti. «Sono stata al tuo fianco da quando avevamo quattro anni e tu osi avere segreti con me?».

Clelia aveva usato un tono ironico, ma c’era un’inflessione preoccupata nella sua voce. Non c’erano mai stati segreti tra loro, in effetti.

«Lui veniva da Stanwood Junction» riprese Mila e, dalla reazione sul volto dell’amica, capì che non aveva bisogno di aggiungere altro: il quartiere era risaputamente uno dei luoghi più pericolosi e degradati della città.

«Ha frequentato il nostro liceo?» le chiese Clelia e lei annuì. Per dimostrare senso di comunità e di beneficenza, la loro scuola superiore accoglieva ogni anno decine di studenti provenienti da Stanwood Juction, tentando di integrarli con i ragazzi più privilegiati. Alcuni ci riuscivano e abbandonavano il quartiere di provenienza, ma la maggior parte terminava il liceo con lo stesso senso di distacco e diffidenza verso un mondo a cui sentiva di non appartenere.

«L’ho conosciuto quando lui aveva già finito» continuò Mila. «Lo abbiamo incontrato insieme fuori da scuola. Forse ti ricordi».

Frugò nella borsa ed estrasse il cellulare, poi aprì la galleria alla ricerca di una fotografia di Nate. Quando l’ebbe trovata, tese il dispositivo a Clelia per farle vedere.

«Non male, Barnes. Mi ricordo di lui» commentò l’amica. «Aveva fatto il galletto con i tuoi compiti, giusto?»

Mila annuì e le immagini di quel giorno le tornarono alla mente come un lampo. Mentre si lamentava dell’impossibilità dei problemi che erano stati assegnati di compito, il foglio le era sfuggito dalle mani, strappato dal vento, finendo ai piedi di Nathaniel Winchester. Appoggiato alla sua moto, con la giacca di pelle e i jeans sbiaditi, il ragazzo aveva l’aria poco raccomandabile di uno che non sapeva cosa fossero le regole. Lui aveva raccolto il foglio, le aveva chiesto una matita e aveva risolto i problemi scritti su di esso. E aveva aggiunto il suo numero di telefono alla fine.

«Ti pregai per mesi di darmi quel numero!» esclamò Clelia riportandola al presente. «E tu dissi che lo avevi perso o forse buttato via».

Mila arrossì al ricordo. Quella era stata una delle sue prime bugie. Al liceo era abituata a vedere la sua migliore amica conquistare tutti i ragazzi più popolari, così, per ripicca o semplice curiosità, aveva deciso di tenere il numero di Nate per sé. In quel periodo, Clelia aveva una passione per i bad boys, e Mila era convinta che se le avesse dato il numero del ragazzo, lei non lo avrebbe mai più rivisto.

«Non tenermi sulle spine!» 

La protesta dell’amica la fece sorridere nervosamente. Decise di proseguire. «Per una settimana mi rigirai il numero tra le mani, poi decisi di chiamarlo».

Clelia rise, affondando la forchetta in quello che rimaneva nella sua torta ipercalorica. «Gli ormoni cominciavano a farsi sentire».

Mila fece una smorfia. «Più che altro il brutto voto in fisica».

L’altra strabuzzò gli occhi con la forchetta di torta ancora in bocca. «Dimmi che stai scherzando».

«Lo sai anche tu com’ero. I miei genitori mi stavano con il fiato sul collo per ogni voto non eccellente, così decisi di fare un tentativo e chiamarlo».

Clelia batté le mani, eccitata dalla piega che la storia aveva preso. «Oddio, non me lo dire. Questa è un classico: la relazione tra alunna e tutor!»

Mila sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «La prima volta non successe nulla. Lo invitai in casa mia quando i miei non c’erano, per evitare domande, e lo feci stare nel salotto».

«Quanto sei noiosa» protestò l’amica e lei si strinse nelle spalle. «Nate fu impeccabile. Mi aiutò con i compiti e mi disse di chiamarlo quando volevo».

Tacque un istante e si sentì arrossire ripensando a quei momenti. Lei era una studentessa timida e impacciata, abituata a dimostrare il proprio valore con ciò che sapeva, anche a costo di sembrare una saputella. L’importanza del suo cognome l’aveva sempre protetta da qualsiasi attacco, così che nessuno l’aveva mai presa di mira, ma nessuno pareva particolarmente interessato a lei.

Nate Winchester si era presentato alla porta con un sorriso sfacciato e per tutto il pomeriggio l’aveva canzonata come nessuno aveva osato, ma senza essere fastidioso o pungente. Con lui aveva riso come non le era mai successo e, quando Nate aveva detto di doversene andare, Mila aveva sentito il cuore come pesante all’idea di doversi separare da lui così presto.

Non era il suo essere attraente che l’aveva affascinata, ma il modo in cui i suoi occhi brillavano maliziosamente quando la prendeva in giro, o la piega ironica delle sue labbra ogni volta che aspettava una replica da parte sua.

«E poi?»

Ancora una volta, la voce di Clelia la riportò dolorosamente al presente. Un presente in cui Mila non era più una studentessa ciecamente innamorata di lui e Nate non l’avrebbe guardata con quel suo sorriso malizioso. Non più.

La ragazza prese un respiro profondo. «Continuammo a vederci per i due anni successivi, senza mai chiarire il nostro rapporto. Era chiaro che tenevamo l’uno all’altra, ma conducevamo vite troppo diverse per conciliarle».

Una cameriera la interruppe, chiedendo se volessero qualcos’altro. Clelia ordinò altro tè per entrambe e aggiunse una fetta di torta.

«Quante ore in palestra hai intenzione di fare?» le domandò Mila.

L’amica le sorrise. «Tesoro, questa è per te. Sento che ne avrai bisogno».

La cameriera ritornò con le loro ordinazioni, così lei poté proseguire la storia.

«Due anni fa, Nate mi chiese di partire con lui. Aveva vinto un concorso e si sarebbe trasferito qui. Rifiutai, perché dovevo finire l’università e prima di poche settimane fa non ci siamo più rivisti».

Clelia tacque in silenzio. Poi si mise a fare un rapido calcolo sottovoce e quando ottenne il risultato, piantò i suoi occhi chiari in quelli di Mila. «È lui il motivo per cui hai avuto la tua piccola “crisi”?»

La ragazza strinse le labbra e fece un lieve cenno di assenso.

“Crisi” era il termine che i suoi genitori avevano coniato per il periodo che aveva preceduto la decisione di abbandonare gli studi. Subito dopo la partenza di Nate, aveva cercato di soffocare il dolore e il rimpianto tenendosi occupata ventiquattr’ore al giorno, tutti i giorni. Studiava, lavorava, esaminava casi, scriveva articoli… Era arrivata a passare le notti insonni pur di non dover stare da sola con i propri pensieri.

I signori Barnes non erano mai stati particolarmente attenti nei suo confronti, ma sarebbe stato difficile non notare il suo improvviso dimagrimento e l’aria perennemente stanca. Più tardi, aveva anche cominciato a lavorare insieme a James, che per primo si era accorto che qualcosa non andava. L’aveva convinta a prendere le cose con calma, a dedicare più tempo a se stessa e, rimasta sola con i propri pensieri, Mila era implosa. Dopo poche settimane aveva annunciato di voler abbandonare l’università e a nulla erano valsi i tentativi dei genitori per farla desistere. La sua relazione con James e l’assunzione come sua assistente avevano placato la loro avversione alla decisione di lasciare l’università e presto un nuovo equilibrio si era ristabilito.

«Perché non l’hai cercato? Perché non hai abbandonato prima la tua vita?» le chiese Clelia scrutandola.

Mila deglutì e si sfregò gli occhi. «Credevo davvero di aver fatto la scelta giusta. Partire con Nate era come giocare d’azzardo e non potevo permettermelo».

«La signorina Barnes ha sempre un piano» commentò l’amica e lei annuì: «L’idea di partire verso una vita sconosciuta mi terrorizzava tanto quanto l’idea di separarmi da lui. E mi illudevo dicendomi che sarebbe tornato».

Clelia rigirò il cucchiaino nella tazza, facendolo tintinnare quando il metallo si scontrava con la ceramica.  Tacquero entrambe e il chiacchiericcio intorno a loro assorbì il silenzio pesante che si era creato. Mila decise che la nuova fetta di torta era davvero invitante e la tirò verso di sé per affondarci la forchetta e prenderne un boccone. Quando rialzò lo sguardo su Clelia, l’amica la stava guardando con un’espressione intensa.

«Rimane solo una cosa da chiederti. Cosa provi per lui ora?»

Mila si sentì tremare a quella domanda, ma sapeva che non erano tanto le parole dell’amica a spaventarla, quanto la risposta che avrebbe dato.

Clelia le sorrise in modo stranamente dolce, quasi fosse intenerita da quello che vedeva.

«Non c’è bisogno di rispondere» le disse. «La tua espressione è abbastanza chiara».

 

 

Mentre il taxi la riportava a casa, la mente di Mila volò un’altra volta a quattro anni prima, facendo riemergere ricordi che credeva di aver sotterrato per sempre.

La seconda volta che Nate era stato a casa sua, avevano studiato nella camera di lei. La ragazza non lo aveva programmato, ma suo padre aveva dato ordine di riverniciare il salotto proprio quella mattina, quindi non aveva avuto scelta.

Ricordava l’imbarazzo che aveva provato mentre gli occhi scuri di Nate avevano sondato la sua stanza. Si era torturata l’orlo della maglia mentre rifletteva su quanto lui dovesse trovare infantile il rosa pallido delle pareti o i suoi vecchi libri da ragazzina nella libreria.

Nate non aveva fatto commenti e si era seduto al suo fianco alla scrivania. La vicinanza aveva fatto provare a Mila l’impulso di uscire dalla stanza, per allontanarsi da quel ragazzo che la faceva bruciare dentro e fuori. Lui non aveva detto nulla e per una buona mezz’ora si erano concentrati sullo studio. Ad un certo punto, l’aveva guardata negli occhi senza distogliere lo sguardo. Le sue labbra non avevano perso quella piega maliziosa quando le aveva detto: «Signorina Barnes. Non posso concentrarmi se continui a guardarmi in quel modo».

Mila si era sentita andare a fuoco e aveva perso ogni facoltà mentale. Aveva farfugliato una qualche scusa — probabilmente incomprensibile. 

Nate aveva sorriso, in modo premuroso questa volta, e aveva allungato una mano per accarezzarle la guancia. Lei, convinta di aver ormai raggiunto la temperatura di fusione, aveva tremato, nel timore di scottare il ragazzo con quel contatto.

Eppure, lui era rimasto con il palmo sul suo volto mentre le aveva chiesto in un sussurro: «Posso baciarti?»

Nel taxi, la ragazza socchiuse gli occhi, cercando di trattenere quel ricordo e di non dimenticare mai la morbidezza delle labbra di lui sulle proprie.

   
 
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