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Autore: Lamy_    08/05/2021    0 recensioni
La vita di Artemis Dumont viene stravolta quando sua madre muore, lasciandola da sola in un baratro di disperazione.
Artemis non si arrende alla perdita e si mette in cerca del famigerato Libro dei Morti, un antico manuale egizio di magia nera in grado di resuscitare i morti. Per ottenerlo intraprende un viaggio rocambolesco che dal Messico la porta a New Orleans. Si imbatterà nella famiglia degli Originali, e Klaus è disposto ad aiutarla perché in passato la madre della ragazza gli ha salvato la vita.
Procurarsi il Libro dei Morti sarà più difficile del previsto. Artemis si scontrerà con un nemico che non credeva potesse esistere. Tutta la città è in bilico, nessuna creatura sovrannaturale è al sicuro. Il grande sacrificio sta per compiersi.
Promesse, magia e amore: gli ingredienti per un incantesimo letale.
[post 5° stagione]
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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EPILOGO

“…non c’è un solo gesto che non corra il rischio
di essere un’operazione di magia.”
(Jorge Luis Borges)
 
Due settimane dopo
Artemis si vestì in fretta mentre dal piano inferiore proveniva già odore di caffè. Era tornata dall’ospedale due giorni prima, la caviglia era fasciata ed era ancora un po’ gonfia. Per sua fortuna Keelin la controllava tre volte giorno per assicurarsi che la commozione cerebrale si fosse ridimensionata. La testa spesso le faceva male, ma secondo i medici era normale e all’occorrenza poteva prendere un antidolorifico.
“Artemis, la colazione è pronta!” la richiamò Hope.
“Sto scendendo.”
In quel momento squillò il cellulare, a chiamarla era un numero sconosciuto.
“Pronto?”
“Parlo con Artemis Dumont?”
“Sì. Chi è?”
“Sono Leonard Pratt, la chiamo dalla banca per avvisarla che abbiamo pignorato la sua casa. Signorina Dumont, lei è piena di debiti e casa sua riesce a colmare due terzi della cifra.”
Artemis si passò frenetica una mano tra i capelli. Si mordicchiò il pollice per il nervoso.
“Di quanti soldi sono in debito?”
“Esattamente di trentamila dollari. Senta, signorina, sono molto dispiaciuto per la morte di sua madre e per questo ho portato le vostre cose in un deposito. Ovviamente anche il deposito è a sue spese, il prezzo è di cinquemila dollari.”
Artemis ripensò alle foto di lei e sua madre, ai tappeti colorati, alle statuette disseminate per tutta la casa. Tutto il suo mondo era stipato in un deposito.
“D’accordo. Io tornerò a Chicago fra un paio di giorni. Possiamo vederci?”
“Certo. L’aspetto mercoledì mattina alle dieci. Buona giornata, signorina Dumont.”
Artemis chiuse la chiamata con un sospiro.
“Buona giornata un cazzo.”
“Artemis!”
Hope aveva fatto capolino dalla porta, i riccioli biondi splendevano ai raggi del sole. Artemis si stampò in faccia un sorriso allegro, doveva fingere che tutto andasse bene.
“Stavo parlando al telefono con Lauren. Sono pronta per la colazione!”
Scesero in cucina mano nella mano. Hope era una ragazzina davvero eccezionale, dolce e con l’indole artistica del padre.
“Buongiorno. Credevo fossi sparita dietro al Bianconiglio.” Disse Klaus sorridendo.
“Giorno.”
“Vieni. Siediti vicino a me.” disse Hope.
Artemis si sedette a tavola e addentò un biscotto, ma lo stomaco le si era chiuso dopo la telefonata. Klaus prese posto di fronte a lei, continuava a sorridere.
“Cosa preferisci? Io prenderei un bignè.”
“Perché tu adori i bignè, papà. Anche io ne prendo uno. Artemis, tu cosa vuoi?”
Artemis non rispose, teneva gli occhi fissi sulla tazza come se si fosse pietrificata. La sua mente saltellava fra le preoccupazioni, dai soldi alla casa pignorata. Si ridestò solo quando Klaus le toccò delicatamente la mano.
“Stai bene? Sei pallida.”
“Sto bene. Stavo decidendo cosa prendere. C’è talmente tanta roba!”
In effetti la tavola era imbandita in grande stile: c’erano dolci, marmellate di ogni tipo, caraffe di tè e di caffè. Addirittura la tazza da cui stava bevendo Artemis era di finissima porcellana decorata da roselline viola.
“Papà voleva fare colpo su di te.” ammise Hope.
Klaus si bloccò con la tazza a mezz’aria, l’espressione imbarazzata e gli occhi strabuzzati.
“Veramente volevo solo che Artemis facesse una colazione abbondante.”
Artemis mangiò un pezzo di torta al cioccolato, soffocando a stento una risatina.
“Grazie per il pensiero.”
“Stasera ci sarai oppure ti fa ancora male la caviglia?” chiese Hope.
Quella sera si svolgeva il Jazz Festival dedicato alle radici musicali e culturali di New Orleans. Tutta la città si riuniva allo Snug Harbor Bistro, uno dei locali più in voga della Louisiana e cuore propulsore del festival.
“Ci sarò. E poi voglio davvero ascoltare buona musica.” Rispose Artemis.
“Allora tu vai con papà e io arriverò con zia Freya e Keelin.” Disse Hope.
Klaus lanciò un’occhiataccia alla figlia, non doveva fissare appuntamenti in sua vece. Adorava Hope ma stava mettendo a dura prova la sua pazienza.
“Hope, basta. Non infastidire Artemis.”
Artemis accarezzò la spalla di Hope per consolarla dopo quell’ammonimento.
“Non preoccuparti. Tuo padre è una guida esperta della città, mi fa piacere andare con lui.”
“Vieni con me al festival solo perché sono bravo come guida?” domandò Klaus, offeso.
“E anche perché mi offrirai tutti i drink che voglio.” Aggiunse Artemis.
Il sorriso divertito di Klaus si spense quando vide Hayley e Freya entrare in cucina con facce preoccupate.
“Che succede?”
“Un evento rarissimo, direi quasi impossibile.” Disse Hayley.
“C’è una riunione con tutte le nove congreghe. Anche Artemis è invitata.” Spiegò Freya.
Artemis sputò il caffè nella tazza, una goccia le colò lungo il mento e si pulì con un tovagliolo ricamato a mano.
“Perché sono invitata anche io? Non sono una strega di questa città.”
“La congrega di tua madre ti vuole. Anche Nathaniel ha insistito per averti.” Disse Freya.
Klaus guardò Artemis, la mascella rigida e le mani strette a pugno. Non voleva che lei si avvicinasse di nuovo alle streghe, ma del resto era una sua scelta.
“Intendi partecipare alla riunione?”
“Sì. Devo parlare con Nathaniel, non lo vedo da quella sera di luna piena.”
Freya rubò un pasticcino alla crema di nocciola e lo mangiò in un boccone solo.
“Io sarò presente anche per conto di Hope. Andiamo, oppure saremo in ritardo.”
“Vengo anche io.” disse Klaus.
“Non sono ammessi vampiri, lupi e né ibridi.” Obiettò Freya.
Klaus serrò le mani lungo i fianchi, la sua rabbia era visibile nel colore degli occhi di una tonalità più scura.
“Staremo benone. Io e Freya ce la caviamo alla grande.” Disse Artemis.
L’ibrido sospirò, rassegnandosi all’idea di lasciarle andare da sole.
“Ti ricordo che abbiamo un appuntamento stasera. Non fare tardi.”
“Un appuntamento, eh?” lo derise Artemis.
Anche Hayley e Freya ridacchiarono. Hope, invece, diede una pacca sulla spalla al padre.
“Bravo il mio papà, è così che si fa!”
 
Artemis scese dall’auto e per un pelo sfiorò una pozzanghera. Freya aveva lasciato la città per prendere una stradina di campagna e poi aveva proseguito verso una vecchia villa fatiscente. Aveva piovuto la sera precedente, l’odore di pioggia era ancora forte e ogni cosa era ricoperta da una coltre di goccioline.
“E’ questo il posto? Non c’è nessuno.” Disse Artemis.
“Un incantesimo protegge la villa. Ci sono già tutti, lo vedrai tra poco.”
Freya si incamminò verso l’abitazione e Artemis si accodò, non voleva restare indietro in quella campagna tanto lugubre. Superato il cancello di ferro, tutto lo spazio ora appariva gremito di macchine e di persone. Era come entrare in un’altra dimensione, un po’ come Narnia ma senza leoni e bambini.
“Artemis!” la salutò Nathaniel.
Il ragazzo la strinse in un abbraccio caloroso, un po’ eccessivo dato che aveva più vote cercato di metterle i bastoni fra le ruote. Artemis si staccò con un sorriso imbarazzato.
“Ciao, Nathaniel. Come va?”
“Miriam è stata segregata con la magia da qualche parte. Non so altro.” Disse Nathaniel.
Artemis si morse la guancia, erano giorni che pensava al destino che attendeva Miriam e sperava che il suo fratellastro potesse darle una risposta concreta.
“Cosa le faranno? La uccideranno?”
“Non ne ho idea. Non vedo Andrew da due settimane e mi sono trasferito a casa di Bella.”
“Capisco.”
“Venite, stiamo iniziando.” Li avvisò Freya.
Tutte le congreghe si erano riunite in quella che un tempo era stata la sala da ballo. La villa risaliva al Settecento ed era stata una delle residenze estive di un ricco nobiluomo. Freya e Artemis si appostarono vicino al camino, accanto a loro c’era anche Vincent. Al centro della stanza c’erano Lydia e un’altra donna dai capelli bianchi.
“Chi è la vecchia?” sussurrò Artemis.
“E’ Fiona, la nonna di Nathaniel. E’ lei il capo della Congrega Lyra.” Disse Freya sottovoce.
Lydia batté le mani e immediatamente cessarono le chiacchiere. Si guardò intorno per passare in rassegna i volti, e sorrise quando riconobbe Artemis.
“Artemis, per favore, vieni qui. Presentati a tutti.”
Artemis si avvicinò con cautela, le mani affondante nelle tasche della felpa e la testa bassa. Indossava una salopette verde militare e una t-shirt grigia, sembrava una guida alpina anziché una strega.
“Ehm, salve. Io sono Artemis Dumont. Mia madre era Yvette Dumont ed era un membro della Congrega Corvi.”
Un bisbiglio di sorpresa strisciò fra i presenti. Nessuno sentiva parlare di Yvette da anni. Da tutti era considerata una reietta, una fuggitiva colpevole di aver assassinato Dana Cooper e di aver rinnegato la sua stessa congrega.
Lydia si fece avanti perché fosse al centro dell’attenzione.
“So che siete sorpresi, anche io lo ero quando ho incontrato Artemis. Per molti secoli le streghe di New Orleans hanno seguito un codice prestabilito che mirava a mantenere la purezza. Le Congreghe sono sempre state chiuse, sigillate nella loro ignoranza. Perdere Yvette tanti anni fa mi ha fatto riflettere su quel codice. Ora mi rendo conto che sono regole obsolete e ridicole. Con la riunione di oggi poniamo fine all’ideologia conservatrice. Oggi per le streghe e gli sciamani di New Orleans inizia una nuova vita.”
Nathaniel circondò le spalle di Bella e le baciò la testa. Finalmente potevano essere una coppia alla luce del sole. Nessuna regola antiquata li poteva più separare.
“E con oggi Yvette Dumont viene riabilitata.” Disse Fiona.
Artemis spalancò gli occhi, quella era davvero una notizia inaspettata.
“Ma come? Io credevo che lei…”
Fiona la guardò con alterigia mista a tenerezza. Era la madre di Oscar, quindi era la nonna di Artemis.
“Tua madre meritava di più. E’ colpa nostra se è morta. Il minimo che possiamo fare è riabilitare il suo nome e onorare la sua morte. Ora la magia ancestrale di questa città appartiene anche a te.”
Artemis vide Freya che sollevava i pollici in segno di felicità. Ricambiò il sorriso e scosse la testa.
“Grazie, signora Cooper.”
Fiona le prese la mano, era un tocco leggero e impaurito. La donna aveva paura di un rifiuto.
“Artemis, so che non sono stata una nonna presente e me ne dispiaccio. Mio figlio Oscar è stato un farabutto, e ora lo sta dimostrando di nuovo. Ti prego di considerarmi una tua alleata d’ora in poi.”
Oscar era fuggito senza lasciare traccia. La sua congrega lo stava cercando e gliela avrebbe fatta pagare cara per tutte le sue colpe. Artemis aveva perso tanto in pochi mesi: sua madre, suo padre e la sua sorellastra.
“Non ti chiamerò mai ‘nonna’, però mi farebbe piacere chiamarti qualche volta.”
Fiona annuì e l’abbracciò, era forte per essere una donna minuta e ossuta. Artemis e diede qualche leggera pacca sulla schiena.
“Farebbe molto piacere anche a me.”
“Intendi restare in città?” si immischiò Nathaniel.
“No. Tornerò a Chicago e riprenderò gli studi.” Disse Artemis.
“Credevo che volessi entrare nella Congrega ufficialmente.” Disse Lydia.
Artemis si grattò la nuca. I suoi nuovi parenti la fissavano e lei voleva solo sprofondare.
“Non mi piacciono i gruppi. Non sono un lupo da branco, preferisco vivere in solitaria.”
“Una strega senza congrega è come un pesce senza acqua.” L’avvisò Fiona.
“Allora vorrà dire che le branchie diventeranno gambe in qualche modo.” Replicò Artemis.
Nathaniel rise per l’espressione infastidita della nonna, non amava il sarcasmo.
“Ti va di andare fuori?”
“Sì.”
Nathaniel si staccò da Bella e aprì la porta per uscire. Artemis ringraziò l’aria fresca portata dalla pioggia, dentro la villa la situazione si era fatta soffocante.
“Artemis, lo so che sono stato uno stronzo. Io non conoscevo le intenzioni di Miriam.”
“Non importa. Ormai non possiamo più salvare le nostre madri, direi che è una punizione alquanto pesante per entrambi.”
“A proposito di questo, io pensavo a noi due senza Miriam.” Disse lui.
“Non ti seguo.”
Artemis doveva alzare il mento per guardare Nathaniel, era tanto alto da coprire il sole.
“Ora che Miriam non c’è e che siamo liberi dalle vecchie regole, vorrei sapere cosa ne pensi di noi due. Tu sei mia sorella e io sono tuo fratello. Per te conta qualcosa?”
Artemis puntò gli occhi sulle proprie scarpe, i soliti scarponcini ormai logori e da buttare.
“Al massimo possiamo essere amici, se vuoi.”
Nathaniel sembrò deluso, si era immaginato un discorso emozionante e ricco di lacrime. Invece Artemis manteneva sempre una certa distanza come se non volesse avere gente intorno.
“Per me va bene.”
“Okay.”
Nathaniel allungò la mano destra e Artemis la strinse. Era l’inizio di una bella amicizia.
“Torniamo dentro prima che Fiona e Lydia vengano a prenderci con la forza.”
 
 
“Alla fine della riunione tutti i fogli di papiro sono stati bruciati.” Stava raccontando Freya.
“Meglio così. Un problema in meno!” esclamò Rebekah.
Artemis ad un certo punto aveva perso il filo della conversazione. I suoi pensieri erano così rumorosi che le impedivano di ascoltare le due donne. La famiglia Mikaelson si era incontrata allo Snug Harbor Bistro in occasione del Jazz Festival. Le strade della città erano affollatissime, cittadini e turisti si accalcavano lungo i marciapiedi, nelle piazze e davanti ai locali. Tutto era accompagnato da svariati musicisti di jazz che suonavano in più punti del festival.
“Io ho sete. Voi prendete qualcosa da bere?” chiese Hayley.
Klaus ed Elijah si erano piazzati al bancone per ordinare, c’era talmente tanta gente che si erano fatti largo a spallate. Da quella posizione si poteva guardare l’esterno. Klaus notò l’aria assente di Artemis, sembrava impegnata in chissà quali contorte riflessioni.
“Fissarla ti è di aiuto, fratello?” esordì Elijah.
“C’è qualcosa che non va. Lei è così distante.”
Klaus aveva captato un cambiamento in Artemis. Non era mai stata una ragazza particolarmente affettuosa, ma negli ultimi giorni sembrava aver innalzato un muro fra sé e il mondo circostante.
“Allora sei tu che devi farti più vicino.” Suggerì Elijah.
“Ci pensi tu ai drink? Io devo parlare con lei.”
“Vai pure, fratello.”
Klaus uscì dal locale infilandosi fra le persone come una sardina in scatola. New Orleans talvolta era la città più asfissiante e rumorosa del pianeta. Puntò verso il tavolo occupato dalle sorelle e toccò la spalla di Artemis. La ragazza sobbalzò sulla sedia per lo spavento.
“Vuoi farmi secca, Mikaelson? Accidenti!”
“Scusami. Volevo solo riportati alla realtà. Stasera pensierosa e fin troppo taciturna.”
La ragazza sbuffò, non aveva nessuna voglia di essere interrogata come una sospettata. “Pensavo solo a mia madre.”
“Dunque permettimi di distrarti.”
“Permesso accordato.”
Klaus allungò la mano e Artemis gliela strinse con un piccolo sorriso. Si immersero nella calca di turisti francesi che si affrettavano per ascoltare un trombettista dall’altra parte della strada.
“Quando io, Rebekah ed Elijah arrivammo qui non c’era niente. Era una colonia semplice, più paludi che palazzi.”
Artemis ammirò gli edifici in piena architettura creola francese che combinava il gusto rococò con quello neoclassico.
“E nel frattempo si alternavano il dominio francese e spagnolo fino all’Indipendenza.”
L’ibrido la prese a braccetto e la guidò nel centro della piazza, la musica che proveniva da ogni angolo.
“New Orleans segue un unico principio: laissez les bon temps rouler.
“Che significa?”
“Lascia che i bei tempi rotolino, ossia sii sempre pronto per far festa.” Disse Klaus.
Passarono davanti a una donna che suonava il sassofono, teneva gli occhi chiusi mentre eseguiva la melodia. Era una musica meravigliosa, avvolgente come una coperta calda.
“Il brano è di Gene Ammons, un famoso sassofonista. Il titolo della canzone è ‘It’s You Or No One’ e si data al 1959.”
“Conosci questo brano?” domandò Klaus con sorpresa.
“Mia madre lo eseguiva al violino. Era uno dei suoi preferiti.” Rispose Artemis.
Il ricordo di sua madre la investì come un maremoto. Aveva perso la sua occasione di riaverla. Era rimasta sola, senza una famiglia da cui tornare. Era orfana e indebitata fino al collo. Quella considerazione sul proprio status la fecero rattristare. Ora le note del sassofono erano basse e cupe, proprio come l’umore della ragazza.
“… e quindi abbiamo brindato per tutta la nottata.” Stava dicendo Klaus.
Artemis sbatté le palpebre tornando con la mente al presente.
“Eh?”
Klaus emise un sospiro stanco, non capiva perché la ragazza si perdesse nella propria testa.
“Artemis, che hai? Ti vedo turbata. E’ successo qualcosa alla riunione con le streghe? Devo torturare qualcuno?”
“Non dirlo neanche! Senti, non è successo niente. Stavo solo… pensando alla musica.”
Artemis gli diede le spalle per tornare dagli altri, ma Klaus le sbarrò la strada e le afferrò il gomito.
“Parla con me. Lo vedo che stai male. Che c’è?”
La ragazza si scrollò la sua mano di dosso con un gesto furioso. Era triste, arrabbiata e non aveva bisogno della sua compassione.
“C’è che non ti sopporto! Sei dannatamente appiccicoso! Io non sono una di quelle tipe che sbavano ai tuoi piedi e supplicano perché tu le degni di uno sguardo.”
Klaus fece un passo indietro come se le parole di Artemis l’avessero preso a schiaffi.
“Perdonami. Non pensavo che la mia apprensione ti recasse tanto fastidio.”
La strega distolse lo sguardo, non voleva più avere a che fare con lui e la sua famiglia. Aveva fin troppi problemi, non le servivano anche screzi amorosi.
“Io me ne torno a casa. Sono stanca.”
“Artemis…”
“No! Lasciami stare!”
 
Artemis faceva una gran fatica a infilare i vestiti nel borsone. In teoria doveva recarsi al Jazz Festival, ma in pratica stava facendo i bagagli per tornare a Chicago. Più restava a New Orleans e più la sua vita si incasinava. Aveva prenotato un volo last minute che sarebbe partito alle dieci. La casa era vuota, tutti si stavano ancora intrattenendo alla festa. Stava scappando. Era l’unica cosa che sapeva fare. Fuggire era la sua arte, la sua ancora di salvezza quando la nave affondava.
“Non mi sorprende affatto.” disse Gabriel.
Artemis si immobilizzò, le dita artigliate attorno ad una maglietta. Non ebbe il coraggio di voltarsi, non avrebbe sopportato lo sguardo del vampiro. Tornò a sistemare le proprie cose nel borsone.
“Devo andarmene.” Disse Artemis, risoluta.
Gabriel entrò nella camera da letto, ora Artemis poteva avvertirlo alle proprie spalle.
“Ora capisco perché Klaus si sta scolando tutto l’alcol del Rousseau.”
La ragazza richiuse il borsone e raccattò lo zaino, dopodiché controllò la toilette per essere certa di non aver dimenticato nulla.
“Klaus pagherà bene per tutto l’alcol consumato.”
Gabriel si era appostato davanti alla porta e non la lasciava passare.
“Perché te ne vai? New Orleans è una bella città quando una strega folle non cerca di uccidere tutti.”
Artemis si mise a giocare con il portachiavi appeso allo zaino pur di non guardare in faccia Gabriel.
“A Chicago ho da fare. Comunque, mi dispiace per Gwen. Avrei voluto riportarla in vita.”
“Beh, Gwen non è la mia defunta ragazza. Gwen è mia sorella e vive col marito a Buenos Aires, è viva e vegeta. Ho inventato quella storia per conto di Klaus.”
“Che bastardi.” Commentò Artemis.
“Fa parte del mestiere!” disse Gabriel sorridendo.
“Ti sei davvero suicidato o sei morto in qualche altro modo?”
“Mi sono davvero suicidato. Ero un alcolizzato, la mia vita non valeva niente e mi vergognavo a tornare a casa dalla mia famiglia. Klaus mi ha dato una seconda possibilità grazie alla trasformazione.”
“A Klaus piace fare la carità ai reietti.” Disse Artemis.
Come aveva fatto con Gabriel, Klaus aveva aiutato Artemis a riavere una seconda chance con sua madre. Per quanto fosse manipolatore e stratega, l’ibrido aveva uno spiccato senso della famiglia. Più pensava a Klaus e più stava male. Voleva davvero restare a New Orleans, ma doveva far ritorno a Chicago per porre rimedio al caos che aveva causato.
“Gabriel, ora devo andare. Il mio volo parte fra mezz’ora.”
“Fa buon viaggio, Artemis.”
 
Tre mesi dopo, giugno, Chicago
Artemis si fiondò sul letto non appena mise piede in casa. Erano le tre del mattino e aveva appena finito il suo turno di lavoro al Viceroy, un hotel di lusso di Chicago. Era stata assunta come cantante per il pianobar mentre gli ospiti cenavano e chiacchieravano. Dopo cena lo spettacolo si spostava al primo piano dell’hotel dove ogni sera si continuava a festeggiare fino all’alba. Artemis aveva scoperto che la gente ricca pur di divertirsi è disposta a spendere cifre esorbitanti. Con suo grande sollievo – e anche sorpresa – questa notte la festa era finita in anticipo ed era tornata a casa prima che facesse giorno. Brett, il pianista che accompagnava le sue performance di canto, la riaccompagnava a casa tutte le volte a fine turno.
“Che palle.” Borbottò fra sé.
Fece uno sforzo immenso a togliersi i vestiti, farsi una doccia per lenire la tensione dei muscoli e infine a mettersi il pigiama. Erano all’incirca le quattro quando si trascinò verso il letto.
All’improvviso un fruscio sospetto la mise in allerta. Poteva sentire una strana e oscura aura magica alle sue spalle. Era buio, perciò non vide nulla quando si girò a controllare l’ingresso. La porta era ancora chiusa con la catenina e la doppia mandata.
“Ti sono mancato?”
Artemis riconobbe quella voce all’istante, era inconfondibile quell’accento vecchio di secoli.
“Che ci fai qui?”
“Aspettavo che tornassi a New Orleans, ma alla fine sei svanita nel nulla e ho deciso di cercarti.”
Era ancora buio, eppure Artemis sapeva che lui la stava osservando anche in mezzo alle tenebre.
“Mi hai trovata. Ora puoi anche tornatene in Louisiana.”
“Prima guarda il dono che ti ho lasciato sul tavolo.”
Artemis si avvicinò al tavolo rotondo attaccato al muro e vide un cesto di vimini che conteneva almeno un chilo di fragole. Si passò una mano tremante fra i capelli.
“Non è divertente. E poi le fragole non mi piacciono. Adesso vattene.”
“Sbagli tattica, milady. Tu provi a resistermi in tutti i modi, ma lo sai che non durerà per sempre.”
Artemis, ormai stufa di quel giochetto, accese la luce e incrociò le braccia al petto. Ed eccolo l’Originale, appoggiato alla porta d’ingresso con le mani dietro la schiena e un sorriso furbo sulle labbra.
“Io non provo a resisterti. Tu sul serio credi che tutto giri intorno a te? Sei davvero egocentrico!”
“Sì, lo confesso. È uno dei miei pregi.” Ribatté lui.
Artemis emise un verso strozzato, avrebbe voluto sbatterlo fuori a calci. Avrebbe anche potuto fargli venire un aneurisma con la magia, però sembrava troppo crudele.
“Vorrei che ora uno dei tuoi pregi fosse uscire da casa mia. Grazie.”
Klaus ridacchiò, era così snervante che la ragazza alzò gli occhi al cielo.
“Sei incredibile, Artemis. Fai la dura ma il tuo cuore batte all’impazzata.”
Artemis non ce la faceva più. Si lasciò cadere sul letto con uno sbuffo sonoro. I capelli si erano allungati fino alle spalle, i riflessi ramati erano più visibili.
“Ascolta, tu sei davvero affascinante. Sei bello da togliere il fiato, sei galante, sai essere gentile quando vuoi, conosci un sacco di cose e hai tutto lo charme da incantatore. Io ne sono consapevole, dico davvero. Però io non posso complicarmi la vita per un bel faccino.”
Klaus si portò la mano al cuore con fare offeso, avrebbe messo anche il broncio se fosse stato il caso.
“Troppi complimenti nel giro di due minuti.”
“Sono seria. Non posso permettermi distrazioni.” Disse Artemis.
Klaus tornò serio, l’espressione stanca della ragazza era un monito a non scherzare più.
“Lo so che hai problemi con la banca. So anche che hai perso la casa. Ho sentito la telefonata tre mesi fa.”
“E mi hai lasciata andare lo stesso?”
Artemis era sbigottita. Era convinta che l’ibrido l’avrebbe trattenuta e che avrebbe fatto di tutto pur di ripagare i debiti, invece l’aveva lasciata libera di andare e fare le sue scelte.
“Dovresti fidarti di più di me. Se ti avessi obbligata a restare con me, alla fine mi avresti odiato. Negli ultimi mesi ho capito che tu agisci sempre di testa tua. Sei come un treno che parte e persegue imperterrito la sua rotta. So che non posso tenerti con me, non sarebbe giusto nei tuoi confronti. Tu vuoi risolvere i problemi da sola perché ti fidi solo di te stessa, e su questo sei identica a tua madre.”
“Sono un treno che nove mesi fa ha deragliato.” Mormorò Artemis.
Klaus si sedette al suo fianco e le diede una leggera spallata.
“Capita a tutti di perdere la strada, l’importante è saperla ritrovare. E te lo dice uno che ha impiegato più di mille anni per trovare la propria strada.”
“Ma io non sono immortale.” Obiettò lei.
“È vero, però hai me come esempio da non seguire. È già un passo avanti!”
Artemis rise e scosse la testa, si sentiva talmente sfiancata da non riuscire a tenere il muso.
“Klaus…”
“Lo so. Non sei pronta per una relazione in questo momento.” L’anticipò Klaus.
“Esatto. Ho davvero troppi casini da risolvere e voglio farlo con le mie forze.”
L’ibrido odiava quella situazione. A lui piaceva avere il controllo su tutti e tutto, e quando qualcosa non andava secondo i suoi piani diventava irritabile. Con Artemis le cose erano ben diverse, lungi dalla sua mania di supervisione. Lei era una persona, era indipendente e non poteva neanche essere soggiogata. Doveva attenersi alle sue decisioni.
“D’accordo.”
Artemis annuì e si alzò per andare a prendere un bicchiere d’acqua. Cantare per tante ore era la causa di numerosi mal di gola.
“Hai prenotato una camera da qualche parte oppure resti a dormire qui?”
Klaus le scoccò un’occhiata maliziosa, un sorriso sornione si dipinse sulla sua bocca.
“E’ un tentativo maldestro per chiedermi di passare la notte con te?”
“Per caso vuoi un bicchiere di strozzalupo?”
Artemis richiuse il frigo con un tonfo, quanto le sarebbe piaciuto colpire l’ibrido con la stessa forza.
“Accetto l’invito.” Disse Klaus.
Senza che lei potesse replicare, l’Originale si era già tolto le scarpe e la giacca.  Si spaparanzò sul letto con le mani dietro la testa e le caviglie incrociate.
“Mi devi cento dollari per l’ospitalità.” Disse Artemis.
Klaus scoppiò a ridere, da quando si erano conosciuti non facevano altro che discutere di soldi.
“E’ così che pensi di ripagare la banca?”
“Ehi, faccio quel che posso!”
Artemis ringraziò il Cielo quando il suo corpo si rilassò sul materasso. Le braccia e le gambe le dolevano tanto da farla mugugnare.
“Stai bene?”
“Sono stanca e ho dolore dappertutto. Voglio solo dormire.”
“Ai tuoi ordini.”
Klaus si allungò per spegnere il lume e Artemis si ritrovò a un centimetro dal suo petto. Trattenne il respiro fino a che l’ibrido non fu tornato al suo posto. Ora che la stanza era di nuovo vuota poteva rilassarsi. Si mise sul fianco e schiacciò il cuscino per renderlo più comodo.
“Buonanotte, Mikaelson.”
Un attimo dopo Klaus le baciò prima la tempia, poi la guancia e infine la spalla.
“Sogni d’oro, milady.”
 
Klaus richiuse la porta con attenzione, non voleva fare rumore e svegliare Artemis. Lei viveva in un angusto monolocale, ogni area della casa era concentrata in una sola stanza. Non c’era il divano, l’armadio era striminzito e il frigo era attaccato al tavolino. Il letto era vuoto, ciò significava che Artemis era già in piedi. Klaus ebbe la conferma quando la sentì canticchiare dal bagno. Si stava facendo la doccia e l’acqua accompagnava il suo canto.
“Where do broken hearts go? Can they find their way home? Back to the open arms of a love that’s waiting there.”
Klaus sorrise d’istinto. Per un breve momento immaginò come sarebbe stato sentire Artemis cantare ogni giorno, magari prima di andare a dormire o durante pomeriggi di totale relax.
“Oddio!” strillò Artemis.
Klaus sollevò le mani in segno di resa, poi fece scivolare gli occhi sui capelli bagnati della ragazza e sul suo accappatoio viola.
“Buongiorno anche a te, Artemis.”
Gli occhi della strega lampeggiavano di rabbia. Si mise le mani sui fianchi come a prepararsi per un rimprovero.
“Perché diamine sei ancora qui? Quando mi sono svegliata e non ti ho trovato, ho pensato che te ne fossi andato. Invece sei qui!”
“Ero solo andato a comprare la colazione.” Disse Klaus con aria innocente.
Artemis serrò i pugni lungo i fianchi e fece un respiro profondo. Non era così che doveva andare. Quella vicinanza era pericolosa.
“Mangia la tua colazione e sparisci.”
Intanto Klaus si era premurato di scartare la colazione e tirare fuori una vaschetta di bignè ricoperti di glassa bianca allo zucchero.
“Vuoi un bignè? Sono ottimi!”
Artemis aggrottò le sopracciglia e si morse le labbra per non urlare.
“Io devo andare a lezione, perciò non voglio trovarti quando torno.”
Klaus mangiò il suo bignè alla crema con nonchalance, sebbene riuscisse a captare la collera della strega mentre prendeva i vestiti.
“Sicura che non vuoi un bignè? La crema è davvero squisita.”
“Sei un imbecille!” sbottò Artemis.
Klaus sghignazzò, era divertente prenderla in giro e farla arrabbiare. In un baleno fu dietro di lei, l’odore del bagnoschiuma al talco era intenso. Artemis trasalì ma non si mosse di un millimetro, non voleva mostrarsi vulnerabile.
“Forse preferivi la glassa alle fragole?” le sussurrò Klaus all’orecchio.
Artemis si irrigidì quando l’ibrido le spostò i capelli umidi e le abbassò l’accappatoio sulla spalla. Poteva sentire l’eco del suo cuore che si dibatteva nelle orecchie.
“Ho detto quella cosa a Hope solo perché credevo di morire.”
“Per mia fortuna sei ancora viva e posso prendermi gioco di te.”
“Tu sei davvero perfido.”
Klaus sorrise e poi fece scorrere il dito indice sulla spalla della ragazza, la pelle era ancora calda e bagnata per via della doccia. Bloccò il dito sopra la vena pulsante del collo.
“Ti giuro che sto morendo dalla voglia di baciarti proprio in questo punto.”
Artemis deglutì facendo gonfiare ancora di più la vena, il sangue fluiva al suo interno e inebriava i sensi di Klaus.
“N-no, Klaus. Vattene. Per favore.”
Artemis scappò in bagno e si chiuse dentro a chiave, non avrebbe sopportato un altro secondo insieme a lui. Erano come il fuoco e la paglia: vicini andavano in fiamme.
 
Erano le sei del mattino quando Artemis rincasò. La festa all’hotel era durata più del previsto. Aveva cantato per ore senza sosta, e la sua gola ne risentiva dello sforzo. Abbandonò lo zainetto sul pavimento, si tolse le scarpe e si buttò sul letto. Un raggio di sole le colpì gli occhi e si coprì la fronte con la mano. Le parve di scorgere un’ombra accanto alla finestra.
“Artemis Dumont, altresì nota come guaio ambulante.”
Artemis grugnì, la faccia premuta contro il cuscino. Klaus emerse dall’ombra con le sopracciglia inarcate.
“Smettila di fare quella cosa con le sopracciglia. Mi piace troppo e mi urta.”
“Anche tu mi piaci troppo. Davvero troppo.” Disse Klaus.
Artemis si tirò su e distese le gambe sul letto, odiava indossare i tacchi durante le esibizioni. Il direttore dell’hotel la obbligava a mettere un tubino blu ogni sera, secondo lui conferiva maggiore eleganza alla performance.
“Credevo fossi andato via. Stamattina ero stata chiara.”
“Sono un tipo testardo, sai. E preferisco fare a modo mio.”
Klaus si spostò e la luce del lampione esterno gli illuminò una parte del viso. I suoi riccioli sembravano più biondi del solito.
“Sei appiccicoso.”
“Me lo hai già detto.”
Artemis si morse le labbra per non sorridere, però lui riuscì a cogliere il divertimento nei suoi occhi.
“Quindi hai intenzione di restare a darmi il tormento?”
“Sì, è la mia crudele e subdola intenzione.” Rispose Klaus.
La ragazza nel frattempo si era stesa sul letto, con le dita si massaggiava delicatamente gli occhi stanchi. Poco dopo sentì il materasso che si abbassava e vide che Klaus si era sdraiato a fissare il soffitto.
“Artemis.”
“Sì?”
“Dimmi che provi qualcosa anche tu.”
Artemis chiuse gli occhi per cercare una risposta concreta da dargli. Che cosa provava? Non lo sapeva neanche lei. Klaus era bello e sapeva come prenderla, ma c’era qualcosa che la spaventava e la teneva a freno. Ogni volta che si affezionava a qualcuno le cose non finivano bene. Sembrava che la sua vita fosse destinata a essere solitaria. Suo padre l’aveva abbandonata, sua madre era morta, con Darren era andata male, Miriam voleva ucciderla. Temeva che avvicinandosi a qualcuno si sarebbe ritrovata col cuore spezzato.
“Klaus.”
“Sì?”
“Le fragole non mi sono mai piaciute.”
Klaus proruppe in una risata incontrollata, e Artemis pensò che sentirlo ridere le piaceva.
“Artemis.”
“Sì?”
“Adesso ho davvero bisogno di baciarti.”
“Parli troppo e agisci poco.” Si lamentò Artemis.
Klaus non ebbe il tempo di replicare che Artemis lo stava baciando. Dapprima sbalordito, l’ibrido impiegò pochi secondi per lasciarsi andare. Questa volta non c’erano filtri magici a insinuare dubbi. Ad un tratto il bacio si fece selvaggio, un incendio di emozioni che divampava con le sue alte fiamme. Klaus si bloccò quando la mano di Artemis si infilò sotto la sua maglia.
“Aspetta, aspetta.”
“Mi interrompi sul più bello, Mikaelson?”
L’ibrido si alzò in piedi e si aggiustò la maglietta, la sua espressione era titubante.
“Fammi capire, facciamo sesso e poi mi cacci come fossi un cane randagio?”
“Ecco che ricominci! Sei insopportabile.” Disse Artemis, stizzita.
“Ci tengo sul serio a te, Artemis. Ci tengo al punto che una storia da una notte non mi sta bene. Lo so che non vuoi una relazione stabile perché sei piena di problemi, ma io non voglio sesso occasionale con te.”
“Ma chi ti dice che si tratterà di una notte di solo sesso? Per avere più di mille hai il cervello di una larva! Io… io…”
“Tu cosa?” la incitò Klaus.
Artemis distolse lo sguardo da lui, si vergognava per ciò che stava per dire ad alta voce.
“Anche io tengo a te. All’inizio ti odiavo, poi tutto è cambiato. È solo che io…”
“Tu hai paura.” Concluse Klaus.
“Ho bisogno di tempo per capire e abituarmi. Puoi darmi tempo?”
Klaus in lei rivide se stesso. Anche lui era insicuro nelle relazioni e per questo non aveva mai avuto una storia duratura. Certo, c’erano state molte donne ma nessuna si era mai presa la briga di restargli accanto. Artemis gli piaceva, era carismatica e fiera, era divertente ed era anche incasinata. Era una ventata d’aria fresca.
“Tutto il tempo che ti serve.”
Artemis sorrise e andò da lui per abbracciarlo, posando la guancia contro il suo petto.
“Ora posso infilarti le mani sotto la maglia o devo aspettare ancora?”
Klaus sorrise e le stampò un bacio sulla fronte, al che lei lo abbracciò più forte.
“Puoi farmi tutto quello che vuoi.”
Artemis allora gli sfilò la maglietta per godere appieno del suo fisico asciutto e muscoloso. Con le dita tracciò il contorno della piuma tatuata sulla spalla. Poi lo baciò. Al tocco delle sue labbra seguì una caterva di brividi lungo la schiena. Klaus la spinse dolcemente sul letto e lei divaricò le gambe perché lui vi trovasse spazio in mezzo. Si spogliarono in fretta senza smettere di baciarsi. Volevano di più, sempre di più.
“Che c’è? Perché ridi?” domandò Artemis, perplessa.
Klaus la squadrò da capo a piedi, i suoi occhi indugiarono sul reggiseno rosa a pois bianchi sulle coppe e gli slip giallo fluo.
“Mi piace il tuo intimo raffinato.”
“Ehi, era tutto scontato e ne ho approfittato. Apprezza le mie doti di risparmio.”
Klaus sfoggiò un sorriso allegro e subito dopo di chinò a baciarle il collo. Le sue mani con gesti scattanti aprirono i ganci del reggiseno e lo lanciò chissà dove. Con la punta del naso sfiorò la carotide mentre le sue mani scivolavano sempre più in basso oltre i fianchi. Klaus baciò entrambi i seni e poi scese a baciarle la pancia. La sua lingua giocò con il piercing all’ombelico, si trattava di un piccolo sole in acciaio con al centro un brillantino. Dal canto suo, Artemis gli mise una mano fra i ricci e mosse piano i fianchi.
“Ah, la mia donzella è impaziente.” Biascicò Klaus.
Artemis strinse le gambe intorno al suo bacino e sorrise soddisfatta nel costatare che quella vicinanza piaceva a entrambi. Klaus di colpo si era irrigidito, però il suo corpo reagiva senza alcun controllo.
“Trovi l’occorrente nel secondo tiretto del comodino.”
Klaus non capì fino a quando non scavò nel comodino e trovò una piccola bustina argentata. Un nodo gli serrò la gola, era gelosia allo stato puro.
“Non voglio neanche sapere perché hai dei preservativi se non hai un ragazzo.”
“È stata Lauren a lasciarlo nel caso in cui tu fossi venuto a trovarmi.” Chiarì Artemis.
“Tu hai parlato a Lauren di me? Sono sorpreso.”
“Ovvio che ho parlato di te con lei, è una mia cara amica. E poi ti ho detto che ci tengo a te.”
Klaus le prese il mento fra le dita e le scoccò un bacio a stampo sulla bocca.
“Tanto vale la pena usarlo, no?”
“Era ora, Mikaelson!”
I venti minuti successivi trascorsero fra baci, risatine e prese in giro. Con le mani si toccavano dappertutto, ogni centimetro di pelle era come un percorso lussurioso da seguire. Quando furono pronti, Klaus si prese qualche secondo per guardarla.
“Te la senti di continuare?”
“Assolutamente sì.” Disse Artemis con un sorriso.
Fu allora che i loro corpi si unirono strappando un gemito a entrambi. Artemis mise le mani sui fianchi di Klaus per accompagnare ogni spinta. Era un abbraccio caldo, sensazionale tanto da riempire la stanza di gemiti e ansimi.
 
Il sonno profondo di Klaus fu interrotto dall’imperterrita vibrazione del cellulare. Lo afferrò senza neanche aprire gli occhi.
“Pronto?”
“Ciao, Nik. Io e Freya abbiamo localizzato Oscar Cooper.” Disse Rebekah.
Klaus si svegliò completamente col terrore che Artemis avesse ascoltato la notizia. Invece, con suo rammarico, era da solo in casa. L’orologio sul tavolo della cucina segnava le undici e mezzo di mattina, quindi era probabile che la ragazza fosse andata a lezione. I suoi vestiti erano stati impilati in ordine sulla sedia, così come le sue scarpe e la sua giacca.
“Dove si trova?”
“Ad Amite City, una cittadina che dista circa due ore da New Orleans.” Riferì Freya.
Klaus aveva intenzione di catturare Oscar, rinchiuderlo nelle segrete di palazzo Mikaelson e di interrogarlo sul potere di Artemis. Freya gli aveva detto che quel potere speciale, quello di manipolare le emozioni, era troppo grande e instabile per una strega inesperta come Artemis. Avevano bisogno che Oscar li aiutasse a comprendere meglio quell’abilità per aiutare la ragazza.
“Io lascerò Chicago tra un paio d’ore. Alle quattordici parte il volo per la Louisiana.”
“Ti aspettiamo o ti anticipiamo? Oscar non resterà nei paraggi per molto.” Disse Rebekah.
Klaus si rimise i boxer, si alzò e tastò le tasche della giacca in cerca del portafogli.
“Andate a prenderlo. Io tornerò il prima possibile.”
La porta cigolò e Artemis entrò con due bicchieri di caffè e un sacchetto bianco.
“Ehi!” lo salutò lei.
Klaus sventolò la mano e accettò con un cenno del capo il bicchiere di caffè. Era nero e poco zuccherato come piaceva a lui.
“Ci vediamo dopo, Nik. Saluta la tua streghetta da parte nostra.” Lo derise Rebekah.
Artemis rise per l’espressione scocciata dell’Originale, di sicuro le sorelle lo avevano preso in giro in qualche modo.
“Tutto okay? E’ successo qualcosa?”
“Devo tornare a New Orleans per sbrigare alcuni affari. A quanto pare i vampiri si stanno abbandonando ai festeggiamenti in maniera eccessiva. In estate la città pullula di turisti.”
Klaus indossò i pantaloni con noncuranza, era davvero abile a mentire.
“Non sia mai che il turismo di New Orleans fallisca perché mancano i turisti!”
“Avverto una punta velenosa. Già senti la mia mancanza?”
Artemis si sedette a tavola e tirò fuori dalla busta bianca un cornetto farcito di marmellata ai frutti di bosco.
“Finalmente ti levi di torno! Ti avrei ucciso se fossi rimasto un minuto di più.”
L’ibrido sogghignò mentre si allacciava la cintura.
“Fingerò di crederci. Mangi solo tu? Lasciarmi affamato è meschino.”
“Ti ho comprato un bignè, dato che li adori così tanto.” Disse Artemis.
Klaus le strinse le spalle, si piegò e le diede un bacio sulla guancia.
“Adoro anche te. Anzi, ti adoro più dei bignè.”
“Ehm, grazie.”
Artemis arrossì un poco e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con imbarazzo. Klaus si infilò la maglia ridendo di gusto.
“Artemis Dumont che arrossisce, che evento memorabile!”
“Smettila. Mangia il tuo stupido bignè.”
L’ibrido si sedette e addentò il dolce, dovendo riconoscere che quelli di Chicago erano buoni quanto quelli di New Orleans. Si prese qualche secondo per osservare Artemis che beveva tranquillamente il suo caffè.
“Hai da fare? Ho due ore libere prima di andare in aeroporto. Ovviamente non sei obbligata a stare con me se non vuoi. Non voglio essere appiccicoso.”
La ragazza con il dito percorse il bordo del bicchiere con fare pensieroso. Poi si riscosse e sorrise, era una bella giornata e voleva viverla fino in fondo.
“Potremmo andare all’Artspace, è una galleria d’arte e venti minuti da qui. Che ne pensi?”
Il cuore di Klaus fece le capriole, per la prima volta Artemis si mostrava incline a stare con lui.
“Penso che sia un’idea grandiosa.”
 
Quattro mesi dopo, ottobre, Chicago
Artemis varcò la soglia prima che venisse giù il diluvio. La sua felpa grigia era coperta da pois di gocce di pioggia. Si tolse il cappuccio e si riavviò i capelli all’indietro.
“Okay, okay, ci sono. Mi dicevi?”
“Che papà mi sta riaccompagnando a Mystic Falls per l’inizio delle lezioni.” Disse Hope.
Quella mattina Hope l’aveva chiamata per ragguagliarla sugli ultimi giorni a New Orleans. La ragazzina l’aveva chiamata per tutta l’estate, si erano anche viste ogni sera tramite skype. Artemis era rimasta a Chicago per studiare e lavorare, pertanto lei e Klaus non si vedevano da quattro mesi.
“Sei contenta di tornare a scuola?”
“Sì, anche se mi dispiace lasciare papà da solo.”
“Papà starà bene anche da solo.” Si intromise Klaus.
Artemis svoltò l’angolo e un ragazzo le andò addosso facendola sbattere contro il muro.
“Ahia! Ma che diamine!”
“Scusami! Sono in ritardo per la lezione di storia industriale.” Si giustificò il ragazzo.
Aveva due occhi blu come il mare e capelli rossi come un rubino. La sua bellezza era talmente strabiliante che Artemis sbatté le palpebre per guardarlo meglio.
“Storia industriale con la professoressa Miller? Ci sto andando anche io. Aspetta qui, ci andiamo insieme.”
“O-okay.” Balbettò il ragazzo in imbarazzo.
Artemis si allontanò per parlare al telefono senza staccare lo sguardo dal nuovo arrivato.
“Che succede? Stai bene, Artemis?” domandò Klaus, preoccupato.
“Sto bene. Un tipo mi è venuto addosso per la fretta. Posso chiamarti più tardi? Ora devo andare a lezione.”
“Certo. Ci sentiamo dopo, milady. Fa attenzione ai ragazzi che ti cadono addosso.”
Artemis alzò gli occhi al cielo per quella nota di gelosia nella voce di Klaus.
“Ciao, Artemis! A stasera.” Disse Hope.
“Vi saluto. Ci sentiamo stasera. Buon rientro a scuola, Hope! E Klaus, non essere appiccicoso.”
“Mi manchi anche tu. Vai a lezione, su.”
“A dopo.”
Artemis concluse la telefonata e tornò dal ragazzo, che intanto si dondolava sui talloni per l’ansia da primo giorno.
“Io mi chiamo Artemis.”
Il ragazzo strinse la sua mano con un sorriso timido, le sue guance erano rosse come i capelli.
“Io sono Noah.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccoci giunti alla fine della prima parte. Spero che vi sia piaciuta questa storia, c’ho lavorato davvero tanto.
Grazie di cuore per averla seguita.
Alla prossima, un bacio.

 
  
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