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Autore: PrimbloodyBlack    10/05/2021    0 recensioni
(la pubblicazione continuerà su Wattpad) Eloyn fa parte di una famiglia di cacciatori di vampiri. Durante la sua prima battuta di caccia viene separata dal gruppo e catturata. Viene portata nella grande dimora di uno dei 5 Signori Vampiri. Viene resa schiava dalla potente Lux che la renderà una Bloodgiver, il cui compito è quello di donare il suo sangue al suo padrone.
Lux riuscirà mai a sottomettere uno spirito ribelle come quello di Eloyn? Sarà una sfida che lei non vorrà di certo perdere.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Eloyn

Mi svegliai di soprassalto. Non mi era mai capitato in tutta la mia vita di iniziare la giornata vomitando. Ribattezzai il pavimento con tutta la forza delle mie contrazioni intestinali. L'unica cosa che mi spronò a cercare di capire, tra un succo gastrico e l'altro, dove mi trovassi fu il grugnito di qualcuno. Mi voltai immediatamente alla mia destra e mi ritrovai un omone seduto su una sedia a poca distanza da me. Aveva una faccia disgustata che diventò subito di allerta quando mi vide spaventata. Scesi dal letto e caddi con le miei ginocchia deboli, mi trascinai fino infondo alla stanza, il può lontano possibile da lui e dai suoi bicipiti che mi avrebbero potuta stendere con un semplice colpo. Lui non si mosse, io mi guardai attorno. Era una stanza chiusa con le pareti in ferro illuminata solamente dal una piccola finestrella circolare alla del letto. Avevo la tentazione di vedere fuori ma ciò implicava avvicinarsi a quell'uomo. Era proprio come tutti gli altri suoi compagni, non aveva capelli ne tanto meno peluria sul corpo. Aveva una maglia grigia sbracciata e macchiata di sudore così come il suo viso, eppure non faceva per nulla caldo. La stanza era abbastanza spoglia, con un comodino in legno marco su cui posava una lampada ad olio e poi una libreria vuota con gli scaffali curvati verso il basso.

Sono nella nave, mi ricordai cosa accadde con Titus. Quindi ormai sono lontana da Styria... 

L'uomo aveva lo sguardo fisso su di me, dietro di lui c'era la porta della stanza, l'unica porta. Se volevo uscire sarei dovuta passera sul suo cadavere, il che era abbastanza improbabile considerando la sua stazza. Ma non c'era nient'altro attorno a me, nulla che potesse aiutarmi.

Quando vide che il mio sguardo stava vagando troppo allungo intorno alla stanza, parlò. "E' inutile tentare di scappare," disse con voce calma, sicuramente meno brusca di quello che mi aveva accompagnata in carrozza, "a meno che tu non voglia suicidarti in mare."

"Non sarebbe una cattiva idea," scherzai, ma lo dissi con tale freddezza e serietà che forse ci crebbe. Alzò le sopracciglia come se fosse stupito e poi abbassò lo sguardo riflettendo. Ci fu del silenzio per qualche minuto.

"Vedo che hai il mal di mare," rise indicando il capolavoro d'arte sul pavimento, "sei pallida," aggiunse dispiaciuto. Quella sua apprensione invece di tranquillizzarmi mi fece irrigidire. Ero stata tradita da chi mi aveva promesso gentilezza, non farò lo stesso errore. "Anch'io inizialmente avevo la nausea, dopo un mese mi è passata. Guarda nel cassetto."

Mi avvicinai al comodino, sempre tendendo gli occhi puntati su di lui. Il suo corpo era rilassato e scomposto, come se avesse cercato di trovare una posizione comoda su quella sedia. Tentai di allentare la tensione facendo respiri profondi, per adesso lui non sembrava un minaccia, mi avrebbe attaccata solo se avessi tentato qualcosa di stupido.

Trovai nel cassetto una boccetta in ferro, particolarmente piccola, non più grande della mia mano. Quando annusai il contenuto girai la testa disgustata. Quell'uomo rise ed io lo guardai torva.

"Devi berlo, ti farà passare il mal di mare."

"Non bevo cose che non conosco."

"Io sono ancora vivo, quindi non c'è da preoccuparsi."

Sbuffai e senza pensarci una seconda volta bevvi tutto d'un sorso. Quella robaccia era aspra, un miscuglio di dolce e salato che mi fece contrarre tutti muscoli del viso. Combattei contro me stessa per non sputarla. Qualche goccia mi cadde dalle labbra, ma riuscii con disgusto a mandare tutto giù.

"Non ho mai bevuto nulla di più schifoso."

Lui rise, battendo la mano sul ginocchio. "Però è meglio bere quella roba o avere nausea?"

"Decisamente questa, disgustosa ma veloce."

Non replicò con altro, si limitò a guardami, pensando a qualcosa, finché non disse: "Bene," si alzò, fino a quel momento non avevo notato che appese alla sedia c'erano delle manette, "ti devo mettere queste adesso." 

Camminò verso di me. E' così alto... e grosso. Io indietreggiai. Per quanto si avvinò con sguardo tranquillo e rilassato, io rimasi estremamente intimorita. Quando sorrise, io tentai di rimanere ferma sul posto, mi dissi: Non c'è motivo di avere paura.

Con mia sorpresa si inginocchiò e mi mostrò la manette, invitandomi a dargli i polsi, senza prendermeli con la forza. Il suo viso arrivava al mio petto, così da vicino potei notare le rughe che gli segnavano il volto. Aveva degli occhi castani, le labbra così fine che sembrava non le avesse. Era strano vederlo così da vicino, non mi era mai capitato di vedere qualcuno senza ciglia, sopracciglia. Ma tralasciando questo, aveva un volto davvero bello. Dopo qualche secondo di esitazione io poggiai polsi dentro le manette e lui le chiuse. Poi prese dalla tasca dei pantaloni una piccola chiave, nelle sua mani sembrava minuscola, e con quella non sarei più riuscita a togliermele. 

Quando lui si alzò e si voltò io testai la loro durezza. La catena nel mezzo sembrava decisamente dura, non si sarebbe spaccata così facilmente, e anche rubare la chiave sarebbe stata un'impresa.

"Su, vieni." Spostò la sedia e con un'altra chiave aprì la porta. Io mi avvicinai, rabbrividii quando mi prese dietro alla nuca. Mi guidò fuori senza mai togliere la mano. Non era una stretta forte, la teneva solo poggiata, ma sentirla a contatto con la mia pelle mi fece sentire a disagio ed indifesa. Gliela avrei voluta scansare via, ma avevo paura, e in un certo senso non avevo nemmeno il diritto di oppormi, del resto ero una prigioniera.

Passammo tra i vari corridoi della nave. Erano stretti e non incontrammo nessuno. Quando salimmo delle scale, allora sì che la nave cominciò a prendere vita. Si sentiva qualcuno parlare con un tono decisamente alto dando degli ordini e poi un potente 'Sissignore'. Vidi quasi di sfuggita un gruppo di ragazzi, mi parve tre, intenti a pulire. Ci trovavamo ad un incrocio, stavamo per voltare verso il lato opposto. Uno di loro ci notò mentre il loro supervisore stava ancora parlando. L'uomo gli diede uno schiaffo punitivo e il ragazzo si girò immediatamente. Sentii l'uomo sgridarlo, ma ormai erano solo diventate voci di sottofondo insieme al rumore dei macchinari. Passammo accanto ad altre persone, prima un meccanico che con una scala riparava un pannello nel soffitto, e poi una cameriera con un carrello di lavanderia.

Non sapevo che le navi fossero così grandi, un conto è vederle all'esterno, mastodontiche, ma poi quando ci sei dentro sembra che ci siano innumerevoli strade, quasi un labirinto in cui potresti perderti, ed è in quel momento che capisci veramente quanto siano grandi. 

Quell'uomo mi portò in numerosi corridoi, girando ogni tanto a destra, poi a sinistra, come se fosse confuso su dove andare, ma in realtà voleva solo confondermi per non farmi memorizzare la piantina della nave. Finalmente salimmo altre scale, mi fece fare qualche altro corridoio e poi ci fece fermare di botto davanti una porta. Bussò piano, tanto che mi chiesi dove fosse tutta quella delicatezza in un corpo del genere.

"Avanti," disse una voce acuta a me familiare. "Tesoro!" I suoi occhi si illuminarono quando mi vide, io alzai gli occhi al cielo al quale lui rispose dandomi della stronza. "Grazie Laumar."

Vidi l'uomo sorridere per poi spingermi dentro la stanza e chiudersi la porta alle spalle.

"Allora," disse Titus, "accomodati."

Era una stanza semplice, con il minimo necessario, poco più grande della mia, ma decisamente più dignitosa. Lui era seduto all'estremità del letto e mi indicò la sedia davanti a lui. Quando mi avvicinai notai che sulla scrivania c'era poggiato un piatto in acciaio vuoto ed un altro ancora coperto.

"Scusami, avevo fame," mi guardò innocentemente, "l'altro è tuo, serviti pure."

Sollevai il cloche e il profumo di pesce mi invase le narici. Fossi stata un vampiro i miei occhi sarebbero diventati di un rosso profondo. Presi il piatto con le posate e posai il tutto sulle mie gambe quando mi sedetti. Non mi piaceva mangiare davanti a lui che mi fissava, ma avevo enormemente fame, tanto che prima di affondare il primo boccone chiesi: "Per quanto tempo ho dormito?"

"Un girono intero."

Bene ma non benissimo. 

"Vorrei darti delle dritte prima di raggiungere terra, perché penso tu ne abbia bisogno."

"Vai avanti," dissi con la bocca aperta e tutto il mio interesse puntato sul cibo. Un modo stupido per fargli capire che non mi importavano i suoi discorsi sul 'fai tutto quello che ti viene chiesto senza obiezioni.'

"Sta notte raggiungeremo la terraferma."

Sta notte?! Fermai la forchetta a mezz'aria. Così presto?

"Prederemo un auto, faremo mezz'ora di viaggio e poi arriveremo a Diaspor, dove c'è la dimora della mia padrona."

Finalmente una cosa che mi interessa. "E' stata lei a mandarvi, giusto?" Lui annuì. "Posso sapere il perché?"

Lui sorrise, ma era un sorriso amaro. "Lei non è come la tua padrona, lei è..." alzò lo sguardo cercando di trovare la parola giusta, "vendicativa," poi aggiunse velocemente, "rancorosa, oserei dire."

Si vede proprio che non conosce Lux. "Lux le ha fatto qualcosa?" domandai con estrema curiosità. Posai coltello e forchetta e lo fissai aspettando una risposta.

"Questo non è il motivo per cui ti ho fatta venire qui."

Io lo implorai di rispondere con lo sguardo. Ci sono ancora molte cose che non so di Lux, io voglio sapere tutto ciò che la riguarda.

"Eloyn, voglio solo avvertirti-"

"No, mi dirai nuovamente quello che mi ha detto l'altro giorno, non è così?"

"Voglio aiutarti," disse preoccupato con un viso accigliato che non gli si addiceva proprio. Che attore farlocco.

"Perché? Nemmeno mi conosci." Lui alzò gli occhi al cielo, questo si che gli si che è da lui.

"Senti," cominciò, utilizzando un tono di voce più scocciato, il suo vero tono di voce, "penso di sapere cosa succederà a presto. Io sono qui per rendere più gradevole il tuo soggiorno, così se succederà qualcosa di spiacevole, tu metterai una buona parola su di me."

"Penso di essermi persa qualcosa."

"Non essere stupida. Il tuo Lord prima o poi scoprirà chi ti ha presa, è quello che la mia Signora vuole. Tu sarai la scintilla che darà inizio al grande fuoco," disse in modo drammatico. "Io sarò al tuo fianco per tutta la tua permanenza, sono gli ordini. Stare accanto a te mi mente estremamente in pericolo. Quando Styria cadde sotto l'anarchia cinquant'anni fa, Lux Thorns è riuscita a ristabilire l'ordine, ha ucciso tutti i traditori, uno ad uno. Non c'è alcun dubbio che riuscirà a raggiungerti, e se raggiunge te, allora arriverà anche a me, e a quel punto io voglio essere il tuo migliore amico, un fidato compagno che non faresti mai uccidere."

Per quanto volessi picchiarlo per volermi usare come scudo, quello che disse mi risollevò enormemente il morare. Sorrisi, tanto da quasi ridere di gioia. Lux sarebbe riuscita a trovarmi, in un modo o nell'altro, dovevo solo resistere.

"Devi meritartelo il posto di 'migliore amico,'" dissi prendendolo in giro. 

Lui sbuffò. "Okay," rispose con voce acuta. "Ora finisci di mangiare e poi vattene, ho bisogno di riposo."

Come no, pare essersi svegliato dieci minuti prima che arrivassi. Che primadonna.

"Perché sogghigni?"

"Nulla," dissi riprendendo a mangiare. Lui mi guardò di sbieco.

Quindi, la sua padrona vuole che Lux mi trovi. Cosa ci otterrebbe però? Poi non capisco perché io, avrebbe avuto più senso se avessero preso Rhea, che è la sorella. Perché hanno preso me che teoricamente sono solo la sua Bloodgiver? E' vero che Lux è stata molte volte ambigua nei miei confronti ma mai al di fuori della magione. Forse... c'è qualcuno con la lingua troppo lunga in quella casa.

Quando ritornai nella mia camera, Laumar riprese la sua solita postazione, ed io mi misi a fissare il mare attraverso quella finestrella circolare. "Si chiama oblò," disse il mio sorvegliante. Non era nulla di eccezionale, si vedeva solo acqua, non era diverso dal lago del mio villaggio. Fui presa dalla noia, e poi dalla paura con il passare delle ore, presto avrei toccato terra, cosa mi sarei dovuta aspettare?

Laumar cominciò a parlarmi della struttura geografica del regno, sembrava simile a Styria. Divisa in ducati, Tianama è uno dei regni più grandi, moderni e più ricchi, con un popolo decisamente patriottico. Un regno che ha costruito se stesso iniettando paura e terrore. Diaspor, la capitale, è dove risiede il Governatore, o come è solito dire, il Lord. Una zona neutrale che appartiene personalmente al suo Signore. Quando ho cercato di scavare più in profondità capii che non sapeva molto, voglio dire, anche un abitante di Styria sarebbe riuscito a darmi le stesse informazioni che mi aveva dato lui. Ma non c'era motivo di cercare risposte che avrei presto avuto. Quella notte attraccammo.

Il porto era privo di vita, con piccole imbarcazioni legate alla banchina, o altre grandi altrettanto quanto quella su cui sto sopra. Laumar prima di uscire dalla stanza mi fece mettere un pesante collare legato alla lunga catena che stringeva in mano. Mi fece un sorriso di scuse ma non riuscii a trattenermi dal commentare quanto fosse disumano. "Come un animale, eh?"

Scesi dall'enorme passerella della nave, a passo così lento che Laumar mi fece accelerare con una spinta dietro la schiena. Di fianco e dietro a noi c'erano uomini e donne dalle sue stesse fattezze fisiche. A quel punto mi chiesi se loro fossero una specie a parte, uno strano popolo di una strana terra. Davanti a noi camminava Titus, sguardo fiero e testa alta. Si vedeva che era contento di ritornare nel suo paese. 

C'erano delle automobili in fila ad aspettarci. Sembravano più moderne rispetto a quella di Lux, non immedesimavano più la forma di una carrozza. Non erano in legno lucido bensì fatte di metallo ed erano decisamente più basse. Titus entrò in quella di mezzo, come se le altre gli avrebbero fatto da scudo e dal finestrino ci fece segno di entrare. Laumar mi mise una mano sulla testa e mi spinse dentro con violenza. Rimasi per un momento atterrita da quel gesto inusuale, ma poi capii che non eravamo più in una stanza chiusa, eravamo all'aperto e lui doveva mostrarsi come gli altri si aspettavano. Mi mise una benda sugli occhi e l'automobile partì. Rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio che non durò più di venti muniti. Quando ci arrestammo, anche il mio cuore si fermò. Era arrivato il momento, ormai ero in territorio nemico. Sentii Laumar scendere e poi tirami fuori con la catena. Quasi inciampai, ma mi aggrappai a lui, almeno questo me lo permise. 

"Arrivati!" disse Titus con quello che sembrava un sorriso davvero entusiasta. 

"Potete togliermela?" domandai riferendomi alla benda sugli occhi.

"Farai meglio a fare silenzio a meno che tu non sia interpellata," mi rispose Laumar con voce fredda. Io mi ammutolii.

Se prima mi accompagnava tenendo una mano dietro la mia schiena o sulla nuca, ora mi tirava con quella maledetta catena, e il fatto di non riuscire a vedere rendeva l'atto di camminare ancora più difficile. Sentii la breccia sotto le scarpe, ogni passo la mia ansia aumentava. Titus cominciò a sbattere quello che sembrava un battente ad anello contro la porta della magione. Il portone si aprì e sentii Laumar avanzare, io mi mossi con lui, evitando che mi tirasse. Una volta entrata, inondata dal calore della casa, finalmente, mi tolsero la benda e il portone dietro di me si chiuse. Non era, ma nemmeno lontanamente, l'ingresso principale. Era una stanza totalmente vuota con delle guardie a sorvegliare, tra di loro delle lunghe scale portavano in basso. Capii subito dove mi stavano portando.

Non in gabbia... no!  

Laumar mi tirò con violenza quando mi vide restia. E mi cedette ad una delle due guardie.

"Eloyn." Io mi girai con sguardo pietoso verso Titus. "Incontrerai sua Signoria domani, ora riposa."

"In una cella?!" inveii. "Non sono un animale! Non merito di essere tratta così."

"Andiamo," disse a Laumar voltandosi.

"Aspetta-" Sentii il respiro fermarsi in gola. La guardia mi strattonò con la catena con una violenza tale da gettarmi a terra.

L'altra guardia rise e poi, senza neanche a darmi un avvertimento, mi colpì subito al volto con un calcio e non ci misi molto a perdere i sensi.

"Umani..." disse in modo dispregiativo.

Quella fu l'ultima parola che sentii quella notte.

Mi svegliai a causa di un rumore assordante che mi mise subito in allerta. Ero distesa sul gelido pavimento e mi alzai con rapidità. Era solo la guarda che aveva battuto un bastone di metallo contro le sbarre. Rise quando posai il mio sguardo su di lui. Probabilmente ero in uno stato orribile. Ero stata gettata a terra senza alcun riguardo. Mi bruciava il labbro, con la punta del dito mi toccai. Avevo un taglio con del sangue secco.

"Su, alzati," disse l'altra guardia, la donna che ieri mi aveva strattonata e gettata a terra, "e tu smettila."

"Va bene, va bene."

La donna aprì la serratura e entrò con autorevolezza nella cella. Io indietreggiai per paura delle sue intenzioni. Aveva in mano il collare in ferro. Mi invitò ad avvicinarmi. Feci come mi disse, a testa china e intimorita. Mi alzo il mento con il dito, il suo volto neutro, e lo chiuse intorno al mio collo. Con la catena già nella sua mano, mi tirò facendomi uscire. Il suo compagno mi guardo con superiorità e con un ghigno, e per poco non mi fece sbuffare. Ormai dovevo stare attenta, non avevo più la protezione di Lux.

Camminai attraverso i corridoi delle segrete, se questo era il termine giusto, sembrava una prigione, di quelle che abbiamo nei nostri villaggi.

Non sapevo quanto fosse grande questa magione, ma sicuramente i suoi sotterranei lo erano. Per quante volte salimmo le scale, non arrivammo mai in superficie. Mi portò in una camera, c'erano delle donne vestite in bianco e con capelli legati, mi accolsero con entusiasmo.

"Adesso ti rimettiamo apposto," disse una di loro.

Io le guardai un po' confusa, per poi rivolgere lo sguardo verso la guardia. La donna si voltò verso di me, mi tolse il collare e le manette e si mise davanti alla porta.

"Comportati bene," mi ammonì.

Una delle donne in bianco mi prese il polso con rapidità, e nonostante avesse un sorriso sul volto, io scattai indietro.

"Ehi!" urlò dietro di me la guardia. "Non farmi ripetere."

La donna tentò una seconda volta di toccarmi, ed io con fastidio glielo lasciai fare. Mi portò dalle sue compagne, e insieme ad altre due mi fecero entrare in una stanza. C'erano delle doccie. A quel punto capii. Una di loro tentò di spogliarmi, io le scansai la mano, mi guardò quasi offesa.

"Faccio da sola!" Arrosii violentemente, nessuno mi aveva mai vista completamente nuda.

Mi spogliai sotto i loro occhi, ma non mi vedevano come fossi un oggetto sessuale o cibo. Mi fissavano, sì, e, certo, mi metteva a disagio, ma i loro occhi mi osservavano come se fossi una bambola che dovevano modellare. Mi tranquillizzai. Le docce non erano chiuse nemmeno da una tenda e sembrava che quelle donne non avessero intenzione di darmi della privacy. Mi misi sotto il soffione, a terra sulla destra c'era una boccetta, probabilmente del sapone liquido. La presi e mi girai verso di loro, annuirono tutte e tre. A quel punto cominciai a lavarmi, l'acqua che cadeva ai miei piedi era visibilmente sporca, del resto la cella in cui ero stata rinchiusa era piena di polvere e terra.

Mi diedero un grande asciugamano, una di loro me lo mise sulle spalle ed io mi coprii. Mi fecero sedere su una sedia, mi strofinarono un asciugamano più piccolo sulla testa e cominciarono. Mi asciugarono i capelli, mi fecero vestire, mi misero apposto.

Approcciai la guardia. Era poggiata contro la porta, con una spinta si protrasse verso di me. Avvicinò il suo volto al mio, era molto più alta di me. Sembrò annusarmi e mi scrutò. Annuì alle donne in bianco dietro di me, per poi rimettermi sotto i ferri.

"Adesso sei pronta."

Finalmente mi portò in superficie, lo capii dal cambio di arredamento. Quando aprì la porta, mi ritrovai nella grande entrata, sulla sinistra, in fondo c'era infatti un grosso portone con due servitori. Ai lati delle pareti invece c'erano delle guardie. Il pavimento era un insieme di figure geometriche colorate che creavano conformazioni a specchio. Anche casa di Lux era bella ed elegante, ma questa... era tutto un altro livello. C'erano delle scale davanti a noi, sia a destra che a sinistra che portavano al piano superiore che si affacciava al nostro. Era come un enorme balcone. Avanzammo. La guarda mi guidò su. Le parenti erano dotate di enormi vetrate che illuminavano tutta la magione, con tende rosso sangue scansate ai lati. Nel punto in cui convergevano le due scalinate c'era un lungo corridoio ai cui lati si ergevano due alte, e lunghe per tutto il corridoio, librerie. Mi chiesi se era davvero possibile leggere tutti quei libri.

La casa era immensa ed io davvero non riuscivo ad immaginarmi dove stavamo andando. Avrei conosciuto la padrona, ma dove? Avevamo già superato quella che sembrava una sala, lasciata scoperta alla vista grazie alla porta a due ante fatte in vetro trasparente e riscaldata da un camino acceso. C'era qualcuno dentro ma non riuscii a vedere bene. Seguendo quella strada ci ritrovammo davanti a un grade portone il legno. Lì Titus ci aspettava, ero finalmente arrivata.

"Pronta?"

"Direi proprio di no."

"Bene," rise. "Andiamo."

Prese la catena dalla mano della guarda e aprì il portone. Io mio cuore andava a mille.

Mi ritrovai in una mastodontica sala. E poi la vidi. Rialzata da terra con qualche scalino, sedeva su un trono una donna.

"Sii rispettosa," bisbigliò Titus, "e andrà tutto bene."

Ai piedi di lei, due uomini erano inginocchiati. Ma quando mi vide, quando posò i suoi gelidi occhi su di me, il suo volto annoiato si trasformò. Sorrise, ma non ne capii la natura. Sventolò la mano congedando i due uomini, che prima di andarsene chinarono il capo un ultima volta.

Titus si mosse ed io lo seguii.

"Non guardarla negli occhi, tieni sempre la testa bassa, a meno che non ti dica lei di fare il contrario."

Abbassai la testa. Non c'era nemmeno bisogno che lo dicesse, l'avrei fatto comunque. So quando stare al mio posto, l'avevo imparato, e questo era momento. Quanto mi sbagliavo.

Mossi con terrore le mie gambe sotto il vestito candido che quelle donne mi avevano costretta ad indossare. Più mi avvicinavo, più il terrore si faceva strada in me.

"Mio Lord." Titus si inginocchiò, io lo seguii.

Ha detto Lord?! E lì feci l'errore di alzare lo sguardo e fissarla dritta negli occhi.

Avevo capito che sarebbe stato diverso. Lì dinanzi a lei, in ginocchio, alzai lo sguardo e mi bloccai. I miei capelli si intrecciano con la mano di Titus, e con la sua forte presa mi piego la testa verso il basso. Ma i miei occhi non potevano guardare altro. Quella donna, così elegante, occhi gelidi e le labbra serrate, mi fissava con un terrificante sguardo che non potei più muovere un muscolo, nemmeno sbattere le ciglia. Scosse la testa e la mano di Titus smise di far valere la sua forza si di me. E potei finalmente raddrizzare la spina dorsale.

Titus si alzò e sentii i suoi passi allontanarsi sempre di più. Ora c'ero solo io.

"Alzati ragazzina," disse lei, io potei solo obbedire. La sua aura era terrificante. "Fai un passo in avanti." E mentre salivo il primo gradino, lei continuò. "Di più," e poi ancora, "più vicina." Finché non mi trovai davanti a lei, un metro di distanza. "Ma guardati," disse con un sorriso, "hai lottato," disse alzandosi dal trono. Tentai di fare un passo indietro ma lei afferrò la catena e con una scatto trovai il mio viso a pochi centimetri dal suo. Cominciò ad osservarmi. Mi tenne ferma prendendomi il mento. "Non sembra una cosa seria, bene." Le sue mani erano fredde. Quel contatto mi fece rabbrividire. I suoi occhi, calmi e tenaci, erano di un rosso profondo. Strinsi gli occhi quando il suo si avvicinò ulteriormente. Sentii qualcosa premere contro il mio labbro inferiore, dove il calcio di quell'uomo aveva lasciato una ferita. Era qualcosa di bagnato, soffice, ma fu veloce. Aprii gli occhi appena in tempo per vedere quel vampiro assaggiare il mio sangue con gusto. "Sai saporita," disse soddisfatta, "Nessun dubbio sul perché ti abbia presa." Ritornò sul suo trono, sedendosi come se possedesse il mondo. "E non c'è da stupirsi che ti terrò." Strattonò la catena ed io caddi ai suoi piedi.

Sapevo che era l'inizio della fine, e se credevo che Lux sarebbe stata la mia morte, quella donna era l'inferno in persona.

"Io sono Cassandra Von Gotha il Lord di Tianama, e tu piccola umana, sarai il mio nuovo animaletto."

 

   
 
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