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Autore: Gaia Bessie    11/05/2021    2 recensioni
A lei si strozza il fiato in gola e, allora, non riesce a dar torto alle ultime parole di sua sorella – anche se in un frammento di vetro minuscolo, loro due sono identici: nello specchio sporco di rossetto rosso, lei è Asteria e George è ancora Fred.
Le mani si stringono, non conoscono pace: cercano di riscoprirsi uguali in un mondo in cui, l’eguaglianza, non conta niente. Vale quanto la promessa che Blaise le ha infilato al dito.
[George/Daphne, accenni di Fred/Asteria | OS | Possibile OOC | Seconda classificata all'Erotic Drama Contest – II edizione indetto da Freya_Melyor sul Forum di Efp | Partecipa alla Challenge indetta da BlueBell su Facebook]
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daphne Greengrass, George Weasley | Coppie: Astoria/Fred
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Negli specchi'
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Eri come loro


 
Your hand fits in mine like it's made just for me
But bear this mind, it was meant to be
And I'm joining up the dots with the freckles on your cheeks
And it all makes sense to me
 
A Daphne tremano le mani.
Lui se ne rende conto in una serata di agosto, quando il caldo le scioglie il rossetto che insiste nel mettere appena un po’ sbordato – per farsi la bocca più carnosa, dice, ma in realtà sembra solamente una bimba che si è impiastrata il volto con i trucchi della madre. Se ne rende conto e non ha il coraggio di dirlo a lei che lo guarda con una tale dose di speranza che, distruggergliela, si rivela inconcepibile. Ma è crepato il sorriso, crepato il rossetto rosso che ripone nella pochette dei trucchi, e crepato il cuore di Daphne quando gli porge la mano. Trema ancora.
«Non dobbiamo andarci per forza» commenta George, stringendole appena il polso. «Possiamo semplicemente darci la buona notte e ricordarla come una bella serata».
Eppure, Daphne Greengrass ha insistito per ritoccarsi il rossetto rosso a metà cena, poco prima di quel dessert che non ha toccato – e s’è ripassata anche la cipria su quelle lentiggini che non tollera, ma che continuano a farle capolino sul viso. George l’ha notato, quel nervosismo che l’è sfuggito dalla borsetta da dove ha estratto uno specchietto con mano tremante, e non ha potuto fare a meno di prenderla per mano: s’è reso conto che stava tremando in quel momento e, allora, ha dovuto lasciarla andare, disorientato.
«Asteria lo avrebbe voluto, sai?» sussurra Daphne, scuotendo la lunga chioma bionda con aria fintamente svagata. «Me l’ha lasciato scritto in quella stupida lettera che non ha avuto la forza di darmi di persona».
Daphne non sa perdonare, ed è per questo che le trema l’anima nel pensare alle ultime volontà di sua sorella, è per questo che torna a stringere la mano di George Weasley come se lei non avesse una fede, una finta promessa, a raffreddarle l’anulare. Forse, anche se è agosto inoltrato, fa freddo per davvero.
«Non devi farlo, se non vuoi, sono sicuro che tua sorella capirebbe» sussurra lui, piano. «Fred lo farebbe».
Ma Daphne è caparbia e inflessibile persino con sé stessa e allora lo guarda, occhi verdissimi contro quelli azzurri di lui, e si domanda se sia così anche per loro due: negli specchi, ha scritto Asteria nella sua ultima lettera, i gemelli siamo noi. Non temere per dove andrò, sarà sicuramente un posto dove potremo ancora appartenerci.
Nello specchio, Daphne ci si guarda solamente per un ritocco fugace del rossetto, in una porzione di vetro che è troppo piccola per riflettere il fondo dei suoi occhi: forse, teme che potrebbe vederci George Weasley per scoprire che, come Asteria per Fred, anche loro sono gemelli.
«Asteria non è Fred» borbotta, lapidaria. «Potrà dire quello che vuole, nelle sue ridicole ultime parole, ma… sei tu a essere il suo gemello, e lei non era nessuno».
«L’amore conta, Daphne» commenta George, pronunciando il suo nome. «Altrimenti tu non saresti qui».
Lei sospira – odia che lui le prenda l’anima tra le mani, come gli appartenesse, e le sorrida in quel modo, così che lei riesce solamente a dirgli va bene, portami a casa. Perché casa è ovunque e in nessun luogo ma, di certo, è dove riesce a pensarlo.
E se lo pensa è tangibile e George Weasley la osserva come se rivedesse suo fratello in uno specchio e le tende la mano e. E.
E non bastano le attese, un sospiro (suo, sempre suo), un sorbetto al limone che nessuno dei due ha voglia di mangiare: Asteria Greengrass li ha supplicati, in una lettera che ha strappato a entrambi una lacrima e un pezzo di cuore, di regalare un anniversario a lei e a Fred. Così hanno scelto un giorno, a caso e senza criterio, e hanno deciso che il dodici agosto, che quell’anno cade di domenica, sarebbe stato dedicato a loro.
Una cena fuori, un mazzo di tulipani sulla tomba di lei: quel che basta non basta mai, Daphne, e allora i sentimenti eccedono e lei ci deve sguazzare per non annegarci dentro – intrappolata in un matrimonio che ormai la stringe come quel vestito troppo aderente che indossa, George Weasley è una boccata di aria fresca.
Vorrei sposarmi, un giorno – ha confessato lui, che ancora deve compiere trent’anni, a lei che ne ha due di meno e altrettanti figli da educare, in un matrimonio che è finito e non iniziato. Vorrei sposarmi con qualcuno che mi ami per davvero, con qualcuno che.
Non lo dice, ma stanno pensando la medesima cosa: con qualcuno che abbia il coraggio di lasciarsi andare solo perché non ci sei più. Non è un mistero che Asteria abbia rifiutato ogni cura per quella malattia di sangue che le ha trafitto il cuore, nonostante le insistenze di sua madre, di suo padre e di un giovine biondo che l’ha amata per tutta la vita e forse anche di più.
Ma, le suppliche, a lei non sono bastate – scivolosa la sua esistenza, lei è scivolata via in un sospiro stanco e non è tornata mai.
«Se l’amore contasse, non sarei qui» sibila lei, in risposta. «Sarei con Blaise, a cullare uno di quei pargoli di cui non mi hanno nemmeno permesso di scegliere il nome».
Amélie Zabini è una suocera obnubilante, pensa Daphne, ma lei è stata brava a farsi annichilire. Perché Blaise l’aspetterà a casa, il giorno dopo, pronto ad ascoltare il resoconto di una festa a casa di Paulina Goyle – e invece lei è lì che si fa stringere la mano dall’uomo che, in un’altra vita (nello specchio), sarebbe potuto essere suo cognato.
«Se l’amore contasse, non saresti qui» concorda George, sottovoce. «Ma avresti scelto i nomi dei nostri figli».
A lei si strozza il fiato in gola e, allora, non riesce a dar torto alle ultime parole di sua sorella – anche se in un frammento di vetro minuscolo, loro due sono identici: nello specchio sporco di rossetto rosso, lei è Asteria e George è ancora Fred.
Le mani si stringono, non conoscono pace: cercano di riscoprirsi uguali in un mondo in cui, l’eguaglianza, non conta niente. Vale quanto la promessa che Blaise le ha infilato al dito.
 
***
 
I know you've never loved
The crinkles by your eyes when you smile
You've never loved your stomach or your thighs
The dimples in your back at the bottom of your spine
But I'll love them endlessly
 
 
Portami a casa, gli ha detto, e si sono Smaterializzati nell’appartamento in cui George si è trasferito dalla morte di suo fratello – le tre stanze in cui avevano vissuto prima della guerra non è riuscito a darle via, ma non ha nemmeno mai voluto entrarci un’ultima volta.
Daphne osserva con curiosità quelle pareti verde menta, domandandosi perché George Weasley abbia deciso di colorare casa sua di un colore così improbabile, e allora lo guarda alzando un sopracciglio color sabbia.
«Era il colore preferito di tua sorella» risponde lui, a disagio. «È stata lei a dirmi che avevo bisogno di un posto nuovo dove stare».
«Aveva ragione» commenta Daphne, tornando a guardarsi attorno con aria svagata. «Salazar saprà quanto io odi ammetterlo, ma aveva ragione su molte cose».
Lui la guarda – da qualche parte dentro di sé, George lo sa: sa che Daphne non ha mai amato dare alle cose un volto e un nome, così come non ha mai amato le piccole rughe che le si formano accanto agli occhi quando sorride, o i fianchi slargati dall’ultimo parto. Tutte cose che George ha imparato ad amare.
Lei non lo sa – ha imparato ad amarla, in un momento in cui Daphne pensava che amare lei fosse impossibile: quando aveva il rossetto un po’ sbavato, e altrettanto sbavata e irrisolta quell’aura di perfezione che aveva sempre amato avere addosso.
«Ad esempio?» sussurra George, carico di dolorosa speranza. «Io la devo ancora trovare, una cosa su cui Freddie abbia avuto ragione».
«Aveva ragione su di te» commenta Daphne, calma. «Il verde menta non era il suo colore preferito. È il mio».
Lui ride – l’ha sempre saputo – e le prende il volto, un po’ spigoloso come la sua anima ancora acerba, tra le mani. Lei socchiude gli occhi, le si è sbavato l’ombretto lungo la piega della palpebra e, confusa com’era a cercare il proprio riflesso nello specchio, non se n’è potuta render conto.
Quando finalmente un bacio rompe quella distanza che nessuno di loro ha mai desiderato, Daphne sospira e smette di pensare al rossetto che si sbaverà, al vestito spiegazzato, a lei che si sta dimostrando troppo gentile, troppo disponibile, per essere una donna che s’è sposata anni fa. Anche se aveva a malapena diciannove anni, quando ha detto di volerlo e, in verità, di volere voleva solamente fuggir via.
Hai avuto fretta di trovare l’amore della tua vita, l’aveva rimproverata Asteria il giorno del matrimonio, guarda cosa ti sei fatta fare – da chi ti sei fatta incastrare, Daph, nell’infelicità incolore che hai sempre temuto più di ogni altra cosa.
Lei sospira, gli ha stampato la propria bocca lì, in mezzo al viso, una cicatrice di sangue simile a quell’anima rossa e oro che gli cola dai denti, nell’ennesima ferita che il suo viso dovrà subire per cause terze.
George la stringe a sé: adesso, sono le sue mani a tremare – ma Daphne è tutta un tremore, quando gli slaccia la cravatta e la lascia cadere sopra le proprie decolté smaltate di nero, con un graffio in punta.
«Non devi» sussurra lui, carezzandole la schiena con dolcezza. «Se non lo vuoi, io capirei».
Ma lei sorride – una smorfia un po’ sbavata e un po’ insanguinata che, però, a lui non lascia scampo. Un’ombra di rossetto gliel’ha stampata sul colletto della camicia, domani dovrà lavarla in acqua fredda, perché il freddo è l’unica cosa con cui si scaccia l’amore.
«Certo che dobbiamo» sussurra Daphne, attirandolo a sé, dimentica del rossetto, del trucco e del vestito spiegazzato. «Te lo sei dimenticato, che noi ci apparteniamo?».
George sorride – di dimenticare, non ha dimenticato mai.
Di appartenersi, s’apparterranno sempre e questo, nascosto sotto quel sorriso irriverente e le mani che non tremano mai, lo sa anche lui: buffa cosa, la speranza. Perché George Weasley ancora ci spera segretamente, nell’amore e nell’appartenenza.
Ci spera quando sente il rumore della zip e un vestito che fruscia sul pavimento, ci spera quando lei lo ripete – te lo sei dimenticato, che noi ci apparteniamo?
Ma, per quanto potrà amare ogni parte di Daphne Greengrass – anche quelle che lei odia di più – ce ne sarà sempre una che gli sfuggirà, che gli rimarrà celata in un orizzonte verde menta di cui non scorge inizio. O fine.
Perché lei potrà toccarlo, sfilargli la camicia facendone saltare un bottone (uno solo, un gemello perso in un mare di dimenticanza non voluta, non accettata), sorridergli dolcemente. Ma rimarrà comunque il più grande mistero che George conoscerà mai.
Gli sarebbe piaciuto, scegliere la strada più semplice: una casa a Londra con una famiglia, due bambini, una moglie pronta ad accoglierlo a casa la sera. E invece ha scelto un appartamento a Hogsmeade e una relazione extraconiugale che gli regala solamente insoddisfazione e gelido rimpianto.
Ma poi la guarda – e Daphne ha un sorriso che scioglie il cuore.
È quel sorriso che la rende irreale, come vincolata a un altro mondo: un universo dove ogni promessa è falsificabile e, allora, anche il suo matrimonio lo è. Gliel’ha chiesto, George, quand’è che quella stupida promessa smetterà di contare, per lei.
Daphne ha risposto mai, stringendosi a lui nel tragitto verso il letto. Ha detto mai e non ha sorriso più, con la bocca ancora macchiata di rossetto bordeaux e la fede ancorata al dito – Daphne, Daphne, dove andrai il giorno che le promesse smetteranno improvvisamente di contare?
Lei lo guarda, sopra di sé: andrò nel posto dove sono adesso, non sei forse tu, casa mia?
George sospira – potrà entrarle dentro finché lei glielo consentirà, ma penetrarle i pensieri sarà sempre la cosa più dannatamente complicata da fare in tutto il mondo che ha conosciuto, perché Daphne Greengrass ha una mente così dannatamente intricata che, una volta sfiorata con la punta delle dita, ti ingloba e non ti lascia più.
George sospira, non può fare altro: può solamente toccarle i capelli, sfiorarle la pelle nuda come se s’appartenessero per davvero e non fosse una sciocca convinzione, una vana speranza per giustificare un tradimento che non è finito, ma quando è iniziato?
E il pensiero è sempre quello – che entrarle dentro sarà sempre più semplice che comprenderle i pensieri, quando Daphne geme e ogni tanto guarda il soffitto come potesse intravedervi qualcosa.
Forse, lo sguardo deluso di suo marito.
Forse, quello complice di sua sorella.
 
***
 
You can't go to bed without a cup of tea
And maybe that's the reason that you talk in your sleep
And all those conversations are the secrets that I keep
Though it makes no sense to me
 
Parla nel sonno.
Avvolta nella camicia di George, Daphne intrattiene discorsi sussurrati con qualcuno di invisibile. Nello specchio della propria camera da letto, a George piace pensare che stia parlando con Asteria così come lui parla con Fred. Sottovoce, per non svegliarla, confessa al suo gemello i propri peccati – attendendone il verdetto, qualunque esso sia, con flebile speranza.
Ma Fred non risponde mai. Nello specchio, Asteria Greengrass gli sorride dolcemente: come se lei potesse rivelargli il segreto che si cela dentro la mente della sorella e anche di più.
George vorrebbe tanto comprenderla: a volte le sente dire un mi dispiace così chiaro e inequivocabile dal fargli temere che, nei suoi sogni, Daphne stia parlando con il marito – e forse è così, insensato, stupido, inutile: e adesso che anche il loro amore è spezzato, cosa rimane?
Lui che si tiene la testa in un angolo del letto, i gomiti sulle ginocchia e le lacrime che gli bucano lo sguardo: non ha pianto mai più dopo la morte di Fred. Ma per lei, che dorme con una tazza di tè vuota sul comodino, forse potrebbe.
Forse avrebbe persino un senso, uno scopo, dirsi che una lacrima conterrebbe tutto quell’amore bruciato che non sa dedicarle. Che non sa dirle quando Daphne spalanca gli occhi verdi e gli chiede se può usare il camino.
Lui si trattiene dal dirle rimani, anche se lei lo comprende comunque – e dice di dover tornare, prima che uno di quei bambini dal nome disgustosamente francese si svegli chiamando nonna e non mamma.
Daphne Greengrass sparisce in uno sbuffo di polvere, nel caminetto di uno squallido appartamento ad Hogsmeade. George Weasley rimane ad ascoltare il rumore di quei suoi passi inquieti e lo strascico dei suoi sogni lasciati lì, tra le lenzuola.
Forse, si dice, non riuscirà mai a comprendere i suoi borbottii notturni – ma non temere, Daphne, noi ci apparteniamo ancora. Non sei forse tu, casa mia?
 
***
 
I know you never loved the sound of your voice on tape
You never want to know how much you weight
You still have to squeeze into your jeans
But you're perfect to me
 
 
Allora inizia a lasciarle piccoli indizi disseminati lungo la sua vita, così che lei a malapena riesce a rendersene conto, ma lo ama già più di quanto non sia disposta ad ammettere, più di quanto non sia disposta a riconsiderare. Una cassetta con poche parole pronunciate da lei stessa, durante l’ennesima cena illuminata da una candela e da speranze spezzate: te lo sei dimenticato, che noi ci apparteniamo?
Lei cede. Prima no, poi tutto insieme, ed infine crolla come un castello di pensieri spiegazzati: Blaise, suo marito, la vede cambiare giorno dopo giorno – e in tre mesi Daphne diviene sempre più consumata, stanca e nevrotica.
Finché non cede. E un giorno si alza dal letto, con sua figlia Amélie – squallido, che si chiami come sua nonna – che le tira la lunga camicia da notte, mentre lei inizia a truccarsi con la foga di un’invasata. Fondotinta, cipria, un pizzico di terra sulle guance. E, infine, un rossetto bordeaux che le crepa il sorriso quando si guarda allo specchio.
Vorrebbe vedersi bella, Daphne, ma la sua bellezza s’è sporcata nella malattia della sorella e non è rifiorita più. Buffo, che la vedano ancora affascinante, quando nello specchio lei trova solamente l’ennesima incrinatura a fiorirle su un volto non più giovane.
Nello specchio, è smunta e spigolosa come sua sorella: di morire le dicono che morirà dopo anni di vita (in)felice, ma lei nello specchio è Asteria che la guarda e scuote il capo, come se il suo tempo fosse già finito. Come se non ci fosse più niente da cominciare, da sbagliare, e allora che senso ha il fondotinta, la cipria, la terra e, sul finire, persino il rossetto.
Daphne beve una tazza di tè, prima di presentarsi da lui, perché lì vi annega ogni timore e non riemerge più – nel liquido che odora di menta, Daphne si perde, domandandosi se anche lì George Weasley avrà il coraggio di andare a cercarla.
Lei odia sentire la propria voce registrata – ma, di funzionare, funziona: si ascolta e piange, Daphne, e decide che oggi correrà.
Le fanno male i piedi, su delle scarpe troppo alte, si è infilata nei primi vestiti che ha estratto dall’armadio ed è andata via: senza un bagaglio, senza speranze. Daphne prende e lascia casa, due figli, un marito e una suocera troppo invadente.
Quando si Smaterializza di fronte alla sua porta, George è sul pianerottolo, con un completo da Mago un po’ spiegazzato – lei vorrebbe domandargli se ha dormito lì, mentre lei si prendeva i suoi mesi, anni e secondi per riflettere, ma non ne ha il coraggio. Per una volta, comprende di non essere sua sorella e, allora, Daphne tace e la bocca sporca di rossetto si rimangia le parole non dette.
Ma George le sorride e va bene così: pensa che sono tante, tutte quelle piccole cose di Daphne che ha imparato ad amare, da quando ha scoperto che erano predestinati da un destino crudele, forse infausto, che ha deciso che l’amore doveva trovare un suo proseguimento.
Pensa che sono tante, troppe, tutte quelle cose che lei odia di sé e che invece lui ha scoperto di amare – perché lei è casa sua, il posto dove torna ogni volta.
«George» lo chiama lei, in un sussurro che suona solamente spaurito e pigolante. «Non funzionerà mai».
«Lo so» sussurra lui, con un sorriso che gli separa il volto come un’unghiata della vita, dolorosissima, ma inevitabile. «Ma perché non provi a rimanere, per una volta?».
Daphne ricambia il sorriso – è ferita anche lei, le cola sangue tra i denti, insozzando il rossetto di una tonalità di rosso che, per lei, è sbagliata e innaturale.
«Noi non siamo loro, George» sussurra, pronunciando il suo nome. «Come pensi che possa funzionare?».
Ma, nello specchio appeso nel pianerottolo, un po’ incrinato, sorridono – Asteria Greengrass, vestita della camicia da notte con cui ha lasciato il mondo; Fred Weasley, il viso distorto da un bagliore di luce, l’esplosione che gli ha tolto la vita.
George presenta la medesima cicatrice sul viso, Daphne ha un vestito che azzurro che sembra una camicia da notte: forse non esiste la predestinazione, si dicono, ma loro sono eredità e lascito di quel che i loro fratelli hanno dovuto abbandonare – nello specchio, sono gemelli: azzurri gli occhi di lui, verdi quelli di lei.
«Se lasciassi Blaise» pigola Daphne, appesa alle braccia di lui per non crollare sul pavimento. «Cosa faremmo noi?».
George sorride – per una volta, non pare l’ennesima cicatrice disposta a dividergli in due il volto.
«Andremmo via» risponde, carezzandole il viso. «Esisterà un posto dove possiamo essere di più che un semplice riflesso».
È che lei è semplicemente fatta per lui: lo è in quello sguardo pieno di ansia che gli rivolge, subito quietato da un autocontrollo che ha del sovraumano. È che lei è fatta per lui quando lo guarda e ogni cedimento è dovuto, giustificato, finché lui può passarle un braccio attorno alla vita e spegnere con il proprio respiro ogni protesta.
Lei non risponde al bacio – vuole mantenere un brandello di dignità, e la fede al dito pesa così tanto che, quando George s’allontana da lei (deluso, amareggiato), lei la sfila e le rimane solamente quella promessa insensata nel palmo della mano. Daphne sospira, prima di muovere un passo indietro.
«Tu pensi davvero che esista, un posto del genere?» gli domanda, quieta. «Dove potremmo essere liberi?».
George tace e non dice una parola – lei s’è risposta da sola, quando prende la propria fede nuziale e la lancia con rabbia sul pavimento, facendola finire sotto il cassettone: te lo sei dimenticato, che noi ci apparteniamo?
Questa volta, è lei ad avvicinarsi a grandi passi, gettandogli le braccia al collo e intrappolandolo in un bacio insensato, inutile, ma di cui entrambi hanno bisogno come fosse aria. S’è infilata in un vestito che è una camicia da notte, toglierlo è semplice come perdere le piume: forse non potrà più volare, ma ci sarà sempre lui disposto a raccoglierla dopo ogni caduta, per quanto alta.
Le pieghe del completo di George si allisciano sotto le sue mani – lui sorride: della notte passata sul pianerottolo, non ha più traccia nel suo viso.
Spogliarsi è solamente uscire fuori da una corazza tutt’altro che indistruttibile, ma pensabile e per questo tangibile.
«Aspetta» le sussurra lui, carezzandole il capo. «Il letto. Non voglio farti male».
Il pavimento è pieno di scarpe spaiate, un libro rivoltato per mostrare le proprie viscere d’inchiostro, un bicchiere mezzo pieno di succo di zucca della sera prima. Lei sorride, un po’ malinconica, si guarda la mano priva della fede.
«Non importa» sussurra, intrecciandogli le mani sulla nuca. «Fammi male».
Non tiene conto che George è troppo innamorato della loro storia d’amore per ferirla e, allora, si lascia dolcemente adagiare sul letto ancora da rifare – ma anche da disfare un po’ di più.
Lo guarda. Dentro di loro, sono ancora i fratelli di un ragazzo e una ragazza innamorati, dentro di loro non hanno scampo – potrà accoglierlo dentro di sé, Daphne, ma riuscirà mai a comunicargli quel senso di appartenenza che percepisce solamente soltanto lei?
Potrà entrarle dentro in ogni modo possibile, lui: piano, non piano, con dolcezza e senza fretta – ma si chiederà sempre se non ci sia una parte di Daphne Greengrass che gli rimarrà per sempre nascosta, per sempre celata, e che non basterà il semplice (squallido, banale) atto sessuale a disvelarla.
Non basterà sfilarle il reggiseno, aprirle il petto con la punta delle dita per trovarne il cuore – non lo troverà mai e, allora dovrà semplicemente arrendersi alla possibilità che lei non l’abbia affatto, un cuore da poter accarezzare.
Non è l’attrito dei vestiti che ne fa i battiti, che semplicemente non ci sono, quando lei lo guarda con quegli occhi di un verde impossibile e sussurra qualcosa – ma, il suo nome, non lo è mai. A George viene sempre il dubbio che, tra un bacio e l’altro, mentre lui l’accarezza con una dolcezza che non troverà mai per nessun’altra donna, Daphne Greengrass parli ancora con lo spettro inconsistente di suo marito.
E, quando lui finalmente smette di essere vittima del proprio stesso autocontrollo e le entra dentro, comunque meno di quanto potrà mai farlo con la sua mente, lei emette un sospiro stremato e lo guarda finalmente negli occhi. Dentro di Daphne, un abisso di parole non dette, di segreti, e lei che gli si appiglia alle spalle come se stesse annegando – quando, in realtà, l’unica acqua che potrà mai andarle addosso è quella che proviene dai suoi occhi.
C’è che è uno spreco di spazio, prenderla sul letto, con lei che c’è fisicamente e fisicamente risponde a ogni spinta, ma mentalmente chissà dove vaga – ci sei ancora, amore mio?
C’è che è uno spreco di tempo, attendere è solamente un respiro tra un movimento e il seguente – lei sussurra qualcosa, lui non riesce a comprenderne le parole: è semplicemente perfetta per lui ma, quando la sta guardando negli occhi, Daphne sta piangendo.
Lo tiene ancorato a sé, stringendolo a sé con forza, ma nel mentre gli singhiozza con violenza sulla spalla. E potrà farlo gemere e gemere anche lei, ma niente gli creperà di più l’anima del suono di quei singhiozzi – nemmeno nell’urletto che le infrange la gola, il trillo di un passerotto, George riuscirà più a vederci un cenno di veridicità.
Daphne ha pianto e nemmeno sa il perché – in verità, se solamente avesse parole per chiederglielo e non la lasciasse seduta sulle lenzuola, a pulirsi ricomporre quel trucco ormai sbavato, saprebbe che non riesce a comprenderne le ragioni nemmeno lei.
 
***
 
You'll never love yourself half as much as I love you
And you'll never treat yourself right darling, but I want you to
If I let you know, I'm here for you
Maybe you'll love yourself like I love you, oh
 
 
Sei troppo dura con te stessa e lo sai anche tu.
Le dice George, quando la mattina lei si riveste senza se e senza condizioni, glielo dice in un sussurro e lei finge di non udirlo – Daphne si sistema con la propria pochette sul lavandino del bagno, intenta a recuperare il recuperabile.
Guarda questi capelli, la sente sbiascicare con le mani che trafficano tra quelle ciocche biondissime, guarda qui cosa sono costretta a fare.
George sorride e vorrebbe replicare – guarda cosa sono costretto a fare io: raccogliere i cocci è un compito ingrato, ma qualcuno deve forzarsi a farlo. O no?
«Impara a essere meno inflessibile» le sussurra, posizionandosi alle sue spalle e cominciando a intrecciarle i capelli. «Non te  ne farà una colpa nessuno, se vieni via con me».
Quando si volta, lei è semplicemente disperata – e i capelli mezzi intrecciati le pendono sul viso in maniera strana e innaturale, dandole l’aria di un’annegata.
«Io lo farei» sussurra, piano. «Io lo farei, George… Salazar, come fai a non capire quanto sia sbagliato tutto questo?».
«Ce lo hanno chiesto loro, Daphne» risponde George ma, anche alle proprie orecchie suona solamente disperato. «Che altro avremmo potuto fare?».
Daphne ride e ferita è come il sangue che le esce dalla bocca, come una colata di rossetto, e glielo dice. Parole dure, ingiuste – ma lui se le aspetta.
Sono passati tre anni dalla morte di Asteria Greengrass, e sua sorella mai ha saputo arrendersi: come se potesse resuscitarla al terzo anno con le proprie medesime mani, senza che alcuna scrittura lo preveda, Daphne non ha mai smesso d’esser dura con sé stessa. E lui lo sa.
Perché sono tre anni che s’incontrano a cena, in date diverse, dopo che lei ha scoperto la lettera di sua sorella – lui l’ama già, lei si riscopre innamorata ogni volta.
Ma finisce sempre con lei che lo guarda dritto negli occhi – verdi i suoi, azzurri quelli di lui – e annuisce lentamente: tra un bicchiere di Vino Elfico e il successivo, George le dice sempre che Hermione gli ha insegnato gli incantesimi di memoria, come prima cosa dopo la guerra. Stupidi e inutili, ha mentito, visto che lui non li ha utilizzati mai.
Ma adesso Daphne lo guarda e allarga le braccia, annuendo con svagata dolcezza: fallo, gli dice, e non se ne parli più.
«Vorrei solamente che tu fossi in grado di amarti quanto ti amo io» le sussurra, dandole un’ultima carezza sul viso. «Lo vorrei tanto».
Lei ricambia il sorriso, una lacrima si porta via un grumo di mascara.
«Fallo» dice, semplicemente. «Non credo ci sia un’altra soluzione anche se… mi cercherai ancora, non è vero?».
Il sorriso di lui è una ferita che gli divide in due il volto – mentre pronuncia quella parola, con calma, senza calma, giustamente, ingiustamente.
Oblivion.
 
***
 
And I've just let these little things slip out of my mouth
 
 
«Buonasera, Signora Zabini» la ferma per strada, quando passeggia per Hogsmeade con aria distratta. «Posso parlarle un attimo?».
Daphne spalanca gli occhi – ha il rossetto che le si s’è stampato sui denti e a malapena se n’è resa conto.
«Weasley» sputa quella parola come fosse un insulto. «L’altro gemello. Dimmi pure, ti ascolto».
Lui sorride ma, questa volta, non ha il coraggio. Non ha il coraggio di ricordarle che la sua memoria, sbagliata e imperfetta, preserva ancora le vestigia di un amore incompreso e intangibile, ma che c’è stato. E che lui ama ancora tutte quelle piccole cose che la compongono ma questo, ormai, non glielo dirà mai più.
Così abbassa il capo, disorientato.
 
 
But if it's true, it's you
It's you, they add up to
I'm in love with you
And all your little things
(One Direction, Little Things)
 
 

Se vi stavate domandando dove fossi finita, la risposta è che scorsa settimana ho dormito così poco da perdere ogni facoltà cognitiva. Però, sono tornata (l'aggiornamento della long slitterà al 21, per chi è interessato).
Note alla storia:

- Per il titolo ho ricevuto l'aiuto di Milagar, che peraltro non ha letto la storia (vi giuro non so come abbia fatto): lei lo intendeva come un "eri come l'oro" che fa assonanza con alloro, il significato di Daphne. Io l'ho adattato alla situazione, dove il "eri come loro" è ovviamente riferito a Fred e Asteria.

- Se qualcuno ravvisa una certa somiglianza con "Negli specchi", sì, originariamente questo era il prequel ma poi ci sono state delle divergenze nella storia (Asteria morta più giovane, mai sposata con Draco ec.).

- La storia è stata ispirata da un prompt, che è questo

Ed è tutto.
Grazie per avermi letta, vi mando un bacio!
Gaia
   
 
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