Da quanto era confinato là?
Un'ora?
Un giorno?
Un mese?
Non lo sapeva, non ricordava neanche come ci fosse finito in
quel posto.
Sapeva solo che ormai si era talmente abituato al tempo che
scorreva in modo così lento, da essersene dimenticato.
Aveva perso il conto dei giorni così come si perdono i capelli.
Stava impazzendo o forse lo era sempre stato.
C'era una parte di lui crudele, capace di uccidere e
strappare via il cuore con un semplice gesto. Ed era quella parte di lui che
non comprendeva ma che lo faceva star bene. Aveva provato di tutto per stare
bene, per evitare di comportarsi in quel modo tanto disgustoso e vomitevole.
Era arrivato a lottare contro se stesso, ma non ricordava
come fosse finito lì. Forse in uno dei suoi deliri, mentre cercava e implorava
aiuto.
Però ora stava meglio, nonostante il tempo fosse lento e
nonostante i medicinali lo rendevano stordito, confuso, per la maggior parte del
tempo in cui rimaneva sveglio.
Ed era felice di essere di nuovo normale, come un qualsiasi
ragazzo della sua età.
"Ken Kaneki" la voce delicata di una delle
tirocinanti lo richiamò dalla fessura della porta, dove passavano cibo, acqua e
medicinali.
"Sì?" si alzò dal letto, su cui era sdraiato,
stordito e speranzoso. Uno dei motivi per cui stava cambiando era lei, lei era
anche la forza che riusciva a mantenere ancorata la sua parte buona in quel
mondo.
Ne aveva fatto, senza sapere come, la sua ancora di salvezza
in un mare infuriato e tempestoso.
Si trascinò fino alla porta, sorridendo timido alla ragazza,
Touka, così si chiamava. Anche lei gli sorrise, porgendogli un piccolo vassoio
contenente acqua, colazione e i medicinali mattutini.
Non ricordava il motivo per cui lo sedavano continuamente,
ma a lui stava bene finché i medicinali erano portati da lei.
“Per oggi hai avuto la libera uscita, anche se accompagnato.
Dove vorresti andare?” nel tono di lei c'era tanta calma, tanta speranza.
Sapeva di star migliorando, ma non fino a questo punto . Non fino al punto di
avere un giorno di libera uscita.
“Verrai tu, con me?” chiese lui, allontanandosi dalla porta
per sedersi al tavolo e mangiare in modo tranquillo.
La stanza era completamente bianca, chiunque avrebbe
iniziato ad odiare quel colore. Ma non lui. Lui l'amava perché era il colore
che li aveva fatti avvicinare.
“Certo, sarò la tua accompagnatrice” il cuore gli si colmò
di gioia. Un giorno intero, fuori da quelle mura, con lei.
“Allora voglio andare nel bosco, quello che confina con il
paesino in cui sono nato” l'espressione della ragazza mutò, in sorpresa e
timore, perché sapeva che Kaneki era diventato quel mostro solo a causa degli
abitanti di quel posto.
“Sei sicuro?” chiese poi premurosamente, appoggiandosi
contro le sbarre della stanza, guardandolo mandare giù i tranquillanti di
quella mattina.
“Se sei con me non avrò l'impulso omicida di farli fuori, uno
per uno” Touka annuì a quella frase, spostandosi poi dalla porta con lo sguardo
basso.
“Allora preparati, tra mezz'ora saremo fuori”
Era fermo davanti alla porta della cella, era pronto con
dieci minuti di anticipo e fremeva all'idea di poter uscire, fuori, e respirare
l'aria naturale che tanto gli mancava. Quel posto, quando concedeva uscite, lo
faceva solo con determinati soggetti che davano riscontri positivi alle cure
assegnate. E se erano uscite giornaliere esse duravano un'oretta, accompagnati
e sorvegliati all'interno del giardino, intorno al castello in cui erano
confinati.
Tutti i ricoverati erano trattati con assoluto rispetto e
affetto in quel posto. Li facevano sentire a casa, come se quello fosse il
posto giusto per loro.
“Eccoci, allora, andiamo?” sorrise alla ragazza che,
accompagnata dal capo reparto, gli parlava in modo dolce e gentile. Lui annuì,
allegramente, mentre il medico gli parlava “Mi raccomando, signor Kaneki,
cerchi di controllarsi e di evitare nel dare di matto. La signorina Kirishima
si assume ogni responsabilità quest'oggi, e lei, signorina, se per qualsiasi
motivo iniziasse a dare di matto… lo sedi, è per il bene di entrambi” la
ragazza annuì, aprendo del tutto la porta per farlo uscire. Un lieve inchino prima
di lasciare del tutto quei corridoi bianchi e gelidi.
“Ci hanno messo a disposizione uno dei cavalli per la pet therapy,
si chiama Yukino, è una bellissima puledra dal colorito nero, sono certa
andrete d'accordo” la giovane gli sorrise, mentre si infilava il cappotto viola
dirigendosi alle stalle, attraversando le sale dedicate alle terapie di
recupero con gli animali.
“È un bel nome” rispose solamente lui, guardandosi intorno,
lì l'ambiente era più tiepido e colorato.
Arrivarono alle stalle e la puledra era già pronta “Allora,
andiamo?”
L'aria fresca gli era mancata, del tutto, i rumori della
città in quel posto non si udivano. L'unica cosa percepibile era l'odore
dell'erba, il cinguettio degli uccelli che volavano da albero ad albero e tutto
ciò che animava quel bosco tanto colorato e vivo.
“Sei felice?” la ragazza era seduta alle sue spalle, gli
cingeva la vita con le sue braccia. Riusciva a percepire il calore del suo
corpo contro quello di lui. E gli piaceva, lo faceva sentire stranamente a
casa, terribilmente vivo e forte. Lei era la sua ancora e lui l'amava per
questo.
“Sì, ora sì, tu sei felice?” la ragazza non rispose a quella
domanda, ma si limitò a stringersi di più a lui. Il giovane la prese come una
conferma alla sua domanda. Continuarono a cavalcare, superando tutto il magico
mondo del bosco, arrivando alle porte del paese.
C'era molta gente, entrava e usciva ritmicamente, e dal
centro della piazza era udibile una musica movimentata. Forse c'era una festa
in corso?
Scesero dal cavallo e si addentrarono tra la marmaglia di
gente, le case erano addobbate a festa, con festoni e stoffe colorate. C'era
chi ballava e chi intonava canti. Arrivarono al centro della piazza, dove la
musica aveva origine.
“Il mostro è andato, è fuggito lontano, un anno è ormai
passato e lui non c’è più nulla. Il villaggio è stato liberato e le nostre
famiglie intonano questo canto, affinché quella bestia in questo posto non
torni… mai più” erano queste le parole di quel canto, non sapeva chi fosse la
bestia, non ne aveva memoria.
Tutti ballavano, cantavano su quella musica. Fin quando un
anziano non si fermò, guardandolo in viso e la sua espressione mutò: era paura
quella che gli leggeva in faccia, una paura che lui non comprendeva.
“Ken Kaneki” sussurrò, allontanandosi senza mai voltarsi,
tremava come le foglie durante una tempesta.
“KEN KANEKI” urlò lui più forte, la musica venne fermata
così come quel canto. I ricordi sembravano affiorare, secondo dopo secondo,
nella sua memoria.
Lui, fin da bambino definito mostro e bestia, per il colore
dei suoi capelli del tutto diversi da quello degli altri. Lui, maltrattato e
picchiato, costretto a fare e sottostare ad ogni loro calunnia e derisione. Fin
quando non si era liberato e aveva provato gioia nel strappare via i loro
cuori.
Lui, che aveva subìto e poi reagito, arrivando ad odiarsi
nei suoi momenti di lucidità.
La ragazza gli strinse la mano, tirandolo via, ma la sua
forza era effimera confronto a quella di lui. Rabbioso e incupito.
Stava per reagire, per tornare ad essere quella bestia che
tutti temevano, ma qualcosa lo afferrò da dietro, stringendolo forte e
tenendolo fermo.
“Non farlo, non farlo ti prego, non farlo” la voce soffocata e
strozzata dal pianto di Touka lo bloccò, arrestò ogni suo pensiero omicida, ogni
suo istinto animale. I nervi tesi si stesero, ammorbidendo i muscoli,
addolcendo il cuore.
“Non farlo, andiamo via, ti prego” e così fece, la seguì,
silenzioso, sotto le urla e gli insulti del suo paese. Se mai avesse potuto
definirlo tale. Lui non aveva mai avuto una casa, un posto da definire tale.
Si sentiva a casa solo in quel luogo bianco, solo con le al
suo fianco.
Uscirono dal paesino, salendo su Yukino e cavalcando via verso
il tramonto.
“Ken, sei stato forte, sei stato coraggioso. Hai vinto Ken,
hai vinto” pronunciò in un sussurro lei, poggiando il viso contro la sua
schiena.
Lui sorrise, enormemente, sentendosi libero di ogni dolore e
peso. Non sentiva altro che amore, per la vita, per lei che era riuscita a
cambiarlo e liberarlo.
“Grazie, Touka” sussurrò appena lui. Arrivati alle porte del
castello scesero dal cavallo, era felice di essere nuovamente lì. Si sentiva a
casa e sereno.
“Prima di entrare, devo dirti una cosa” iniziò dicendo Touka,
avvicinandosi a lui e stirandogli il colletto del maglioncino bianco.
“Qualsiasi
cosa accada in questo posto, pensa a me, al fatto che ti amo e che
farei tutto per te”
“Lo so, anche io ti amo” rispose lui, confuso, avvicinandosi,
ma lei si allontanò, sorridendo tristemente, avanzando verso l'entrata. Lui la
seguí, senza mai riuscire a raggiungerla, senza mai riuscire ad afferrarla.
“Aspettami Touka, non andare ti prego, io ti amo!” continuò
ad avanzare, fin quando non venne fermato da un infermiere “Kaneki tutto bene?” lui annuì confuso “Stai seguendo le direttive del medico? Hai preso gli
ansiolitici?” lui fece cenno di no con la testa.
“Hai visto Touka passare per di qua?” chiese poi, eclissando
del tutto le domande successive.
“Kaneki, non ricordi?”
“Cosa…?” lo sguardo dell'uomo divenne triste e cupo, quasi
stesse per piangere.
“Kaneki, Touka è morta. Non ricordi?”
“Ma lei era qui, fino a pochi minuti fa ero con lei, come è
possibile…?” poi dei flashback fecero capolino tra i suoi pensieri,
straziandogli il cuore, lacerandogli l'animo: Touka distesa in una pozza di
sangue, lui che urlava in preda alla disperazione mentre i medici lo
trattenevano e lui… quel pazzo assassino, quell'uomo cattivo e meschino, con un
coltello tra le mani e quel ghigno, gelido come i ghiacciai.
“Lei è morta, me l'ha portata via. Dov'è lui ora? DOV'È? Gli
strapperò via il cuore, e lo farò a tanti piccoli pezzettini…” stava delirando,
tra urla e lacrime e rideva, sadico, mentre escogitava un modo per farlo fuori.
Poi tutto si arrestò, lo avevano sedato? Non fa niente,
andava bene, perché lei era lì di fronte e le sorrideva. Quella giornata con
lei non era stata un'illusione, perché lei era viva. Ed era lì con lui.
“Ti amo, Touka”
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Confesso che questa storia è vecchiotta, risale a novembre,
scritta per il compleanno di steffira e solo in tre l'hanno letta.
Ma visto che ho ripreso a scrivere con passione, nuovamente, ho deciso di pubblicarla.
Tutto parte da un sogno che ho fatto, il finale però
sarebbe stato un po' più tragico rispetto a questo, ma ho deciso
di evitare il punto esatto in cui veniva svelato il nome
dell'assassino, avrebbe fatto male anche a me.
Nonostante sia completamente una storia angst, spero possa piacervi, con affetto,
Vera.