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Autore: Ghen    15/05/2021    1 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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68. Phillings


Conosceva le note a memoria, le dita premevano i tasti del pianoforte senza che li guardasse e aveva imparato da tempo a chiudere gli occhi per lasciarsi trasportare dalla musica. Il salone di villa Luthor ospitava parecchie persone, quella sera, ma restavano in silenzio ad ascoltare, con i bicchieri in mano e un goccio di liquore appena tastato sulle labbra. C'era armonia e Lena era orgogliosa che potesse esibirsi davanti a un pubblico tanto importante come gli amici dei suoi genitori; non voleva in nessun modo far fare brutta figura a suo padre e ce la metteva tutta. Si era preparata con giorni di anticipo senza tregua. Ma poi il campanello aveva suonato, qualcuno bisbigliato all'orecchio di suo padre e lui si era alzato dalla poltrona: aveva prima sentito i suoi passi e dopo aveva sbirciato riaprendo gli occhi, voltandosi l'attimo necessario perché sua madre le dicesse di non smettere. Suo padre era uscito lasciando il portone socchiuso e sua madre lo aveva seguito, restando ferma all'ingresso e guardando fuori, davanti alla finestra. Lena aveva cercato di far finta di niente, doveva continuare cosicché suo padre non avesse notato nessun calo una volta tornato. Ma quando lui era di nuovo in salone, era lui quello cambiato, come se non potesse più compiacersi della sua musica. Si era distratto. Lena aveva continuato a suonare, le dita seguivano la memoria, le note la musica. Aveva smesso di colpo quando tutti si erano alzati, sentendo quel rumore: il portone si era aperto sbattendo e un uomo, piuttosto esile, era entrato sbraitando.
«Non potete chiudermi la porta in faccia!».
In quel periodo, i suoi genitori erano spesso accompagnati da bodyguard. E loro erano schizzati immediatamente e avevano afferrato per le scapole quell'uomo prima che le sue scarpe fangose potessero sfiorare un tappeto persiano.
«Dopotutto quello che ho fatto in questi anni è questo il ringraziamento, eh? Io merito di meglio e voi lo sapete, Luthor! Lo sapete!», aveva continuato a urlare.
Lena aveva guardato suo padre che, livido, aveva ordinato di portarlo fuori. E sua madre, nera di rabbia, che aveva boccheggiato sperando di calmarsi, per poi girarsi e discuterne con alcuni di quegli amici. Non aveva badato a come tutti sembrassero conoscerlo. Perfino Lex, che aveva abbassato lo sguardo.
«Senza di me sareste ancora a spulciarvi tra voi come delle maledette scimmie! Voi non potete farmi questo! È oltraggioso, non potete!».
I bodyguard avevano portato fuori quell'uomo e suo padre si era girato in sua direzione. Gli era bastato un solo suo sguardo per farle capire che avrebbe dovuto riprendere a suonare. Così Lena si era piegata il vestitino ceruleo dietro le ginocchia e si era seduta, pronta a continuare.
«Lo ricordo, adesso», disse a bassa voce, socchiudendo gli occhi pregni di lacrime. «Avevo nove anni, i miei genitori avevano organizzato un piccolo ritrovo con alcuni amici… E lui era entrato e… aveva cominciato a gridare…», si fermò, portandosi una mano contro la bocca. Kara la raggiunse, involgendola con un braccio. «Ha ucciso lui mio padre…?».
Non sapeva come avrebbe dovuto sentirsi. Leggera, sollevata, oppure rancorosa, o abbattuta. Sapeva solo che faticava a sentirsi ancorata al pavimento. Aveva l'assassino di suo padre davanti ed eppure il suo cuore non riusciva a darsi pace, come se non fosse vero niente. Ma lo era. Lo era.
La porta della saletta si aprì con uno scatto e Kara indietreggiò, mentre Lena abbassò lo sguardo e si asciugò le lacrime, distogliendo la sua attenzione dal vetro che affacciava alla saletta adiacente: Jackson Ur Phillings era chiuso lì, in manette, seduto con assurda tranquillità davanti a un tavolo.
«Serene, sono io», Alex entrò e richiuse dietro di lei. Scorse sua sorella riavvicinarsi a Lena e prenderle una mano, intanto che si fermava dall'altro lato. «Ti è venuto in mente qualcosa?». Aprì un fascicolo, sfogliandolo lentamente. «Zod sta arrivando, preferirei sapere qualcosa prima che ci sia lui a metterci il naso».
Lena annuì, mordendosi un labbro. «È stato lui», guardò lei e dopo Phillings attraverso il vetro. «Era un membro dell'organizzazione ma è stato cacciato», annuì, «ed è stato licenziato dalla Luthor Corp, il che lo ha portato a vendicarsi. Ha senso».
«Lena, sei…?».
«Sicura?», si rivolse a Kara. Prese fiato, asciugandosi di nuovo gli occhi. «Ma certo. Mia madre aveva fatto intendere che doveva trattarsi di uno di loro o legato a loro, tanto che temeva che, prendendolo, avrebbe messo tutti nei guai, lei compresa».
Alex scambiò uno sguardo con Kara, a quel punto, come potessero parlarsi con gli occhi. «Lena, io…».
«Lo so, devi arrestarli tutti», affermò glaciale. «Non fartene una colpa. È per questo che…», indugiò, ricordando i loro telefoni accesi e la loro farsa, «è per questo che ti dà tanto fastidio che abbiamo fatto cancellare quei dati. Il lavoro prima di tutto, agente Danvers». Lasciò la presa di Kara e avanzò qualche passo, girandosi un'ultima volta prima di uscire. «Io non so altro, parlane con Lex e con lei. Sapranno essere più utili».
Alex sospirò e Kara girò lo sguardo, osservando quel Phillings. L'aria si era fatta molto più tesa.
«Le parlerò io».
«No, Kara, le parlerò io. Devo. Non è che io abbia una particolare smania nel mettere le manette ai polsi di Lillian: è la moglie di mia madre, accidenti».
«Lei lo sa», scosse la testa. «È convinta che adesso che lui è stato preso sia l'inizio della fine per l'organizzazione».
«E sai una cosa? Vorrei che lo fosse», replicò la sorella con durezza, spalancando le sopracciglia. «Ma qualcosa mi dice che se si è fatto arrestare in questo modo e non sarà presto morto, questo non accadrà. Credi che l'organizzazione se ne starà con le mani in mano se lui è così importante?».
«E Zod sta arrivando. Giusto?».
«Giusto», annuì. «E ne sembrava sorpreso quanto noi alla festa…», lasciò la frase a mezz'aria e si guardarono di nuovo negli occhi, «Non so a cosa credere. Ci penseranno le indagini a far luce sulla questione. Se l'organizzazione non la intralcerà».
Lena non riusciva a fare a meno che vedersi, nella testa, la scena di Jackson Ur Phillings che, alla festa di Lord, rideva e ammetteva di aver ucciso suo padre. E ancora e ancora. A Lex che le diceva che la loro famiglia era malvagia, quel giorno in ascensore alla Luthor Corp di Metropolis, quando gli chiese di raccontarle di più. E Phillings che lo ribadiva alla festa. E sua zia Lorna che, forse, odiava i Luthor. Cosa aveva scoperto l'agente Jonzz lo faceva pensare. Era tutto collegato, tutto connesso, tutto tornava. I Luthor erano malvagi, e così era nata l'organizzazione, e così suo padre era stato ammazzato. E ogni cosa ricadeva in lei, adesso, perché sangue del loro sangue. Per tutti era stata adottata, ma Lena sapeva di essere sangue del loro sangue.
Poteva una discendenza essere maledetta? La malvagità essere trasmessa come una malattia ereditaria?
Lex era malvagio? Aveva incastrato Roulette e il modo in cui aveva sorriso, godendo nel distruggere la festa di Maxwell Lord… Erano state loro a chiedergli di fermare quella vendita e prendersi la paternità dalle pillole, ma come lo aveva fatto… Ricordava ancora con quanta ferocia colpì quel ragazzo nella sua università.
Lei era malvagia? Lo sarebbe diventata? Un giorno avrebbe riso di fronte a ipotesi del genere, ma quel che disse quel Phillings… E le aveva parlato poco prima in cerca di un lavoro. Lui, la persona che aveva messo fine alla vita di suo padre aveva avuto abbastanza fegato da parlare a lei di lavoro.
Guardò il cellulare mentre camminava in corridoio: l'avevano invitata a una festa che, a giorni, si sarebbe tenuta nella sua università. L'assassino di suo padre era stato preso, poteva riprendere in mano la sua vita e andare avanti più serena, adesso?
«Allora?». Indigo era seduta incrociando le gambe su una delle sedie per l'attesa, in mano il suo cellulare, squadrando Lena. «È stato davvero lui?».
«Sei sorpresa? Lo conoscevi?».
«No», si tirò gli occhiali finti sul naso, «Era in bagno alla festa prima di entrarci io. Tutto qui».
Indigo conosceva suo padre e, da come ne parlava, sembrava essere stato una figura importante anche per lei. Lena si sedette al suo fianco e provò a sorriderle mestamente, rendendosi conto che la ragazza aveva allungato al mano sinistra per reggere la sua, in conforto. Indigo non poteva sapere cosa passasse per la testa di Lena ma qualcosa doveva pur immaginarla; sapeva abbastanza sulla sua vita e su quella di suo padre, dopotutto. E doveva saperla anche il suo angelo custode ma, da quella festa, aveva smesso di parlarle. Non aveva ricevuto più alcun messaggio da parte sua, neanche di fronte alle sue domande, era sparito. Era sparito ma sarebbe stato per poco, lei sapeva che sarebbe tornato a farsi sentire presto.

Passò qualche giorno dalla festa e da quella terribile confessione che portò all'arresto di Jackson Ur Phillings. Conteso tra polizia e D.A.O. fu interrogato a lungo da ambo le parti rilasciando dettagliate confessioni su come aveva commesso il delitto, sempre coerente con se stesso e senza tentennamenti, tanto che Alex Danvers cominciò a credere che si fosse studiato tutto e che stesse recitando come davanti a un pubblico. Lena non ne voleva sapere. Si era chiusa e, ogni volta che tentavano di mettere in dubbio la colpevolezza di quell'uomo, se ne andava affermando che perdevano il loro tempo. Era stato lui, lo avevano preso, era finita. In fin dei conti, Lillian stessa aveva confermato alle ragazze che poteva benissimo essere stato lui: il fatto che lei al suo arresto ne fosse più sollevata che preoccupata era però un chiaro segnale che non solo non era lui quello che Lillian credeva essere stato prima della confessione, ma anche che, per sconforto di Alex, erano ben lontane dallo sgominare l'organizzazione. E se lo aspettava.
«Adesso potete cogliere questo momento per smettere di mettere naso in affari che non vi riguardano e andare avanti», commentò placidamente Lillian davanti a Lena, Kara e Alex. «Potete lasciar perdere l'organizzazione e vivere finalmente appieno la vostra vita di fanciulle». Adocchiò Lena, seria, poi Kara, più dubbiosa, e infine Alex, che aveva il broncio. «O almeno la maggior parte di voi può iniziare a farlo; consiglierei all'altra di cambiare mestiere».
Kara fermò Alex ad un braccio.
«Datemi retta», mormorò un'ultima volta la donna, voltandosi per allontanarsi, «godetevi questi attimi ora: non torneranno».
Se ne andò e Alex prese un lungo respiro, appoggiandosi a un mobile della cucina, lì in casa Danvers-Luthor. Lena e Kara erano lì con Indigo per passare due giorni di vacanza, e Alex le aveva raggiunte quel pomeriggio per parlare con loro di Phillings, prima che la donna le interrompesse. «Bella faccia tosta…», commentò acida, «Con quello che sa sull'organizzazione, sarebbe una miniera d'oro se confessasse, ci aiuterebbe tantissimo. Ma preferisce fingere di non saperne niente, che non porta che acqua al loro mulino». Si sedette sul mobile e allungò lo sguardo a Lena, che era ancora ferma sui suoi passi. «Se decidesse di lavorare con noi, non ci sarebbe neppure bisogno di arrestarla: siglerebbe un patto ed entrerebbe nella protezione testimoni».
Fu allora che Lena la guardò, voltandosi appena. «Jonzz in coma in un letto d'ospedale e pensate di poterla proteggere? Non sapete proteggere voi stessi».
«Lena», balzò dal mobile per andarle incontro e Kara strinse le labbra, alzando una mano come per fermarla, lasciandola invece passare. «Non credere che mi piaccia tutto questo-».
«Fai il tuo lavoro».
«Non è solo questo: la mia compagna rischia grosso infiltrandosi tra loro, mentre loro tentano di infiltrarsi nella sua testa», lanciò uno sguardo a lei e a Kara.
«Mi pare però che Maggie inizi a prenderne atto», continuò Lena, decisa. «Molti altri hanno cercato di porre fine all'organizzazione prima di noi e hanno fallito», si fermò solo un secondo pensando di aver potuto dire qualcosa di sbagliato davanti a Kara per via dei suoi genitori, ma lei si limitò ad abbassare lo sguardo: forse ne prendeva atto anche lei. «È entrata nella nostra quotidianità; sono ovunque, potrebbero essere arrivati a mettere radici anche a capo del D.A.O. senza che tu te ne possa essere resa conto. Saranno loro a guidare i fili di ogni cosa, anche di questa indagine. E della tua su di loro».
«Allora cosa ci consigli di fare?», domandò stizzita, «Mollare tutto?». Lei e Maggie avevano capito di dover convivere con quella indagine in corso, la loro nuova realtà, ma lo avevano deciso anche per andare avanti, non per arrendersi.
Lena prese fiato. «Se Maggie prenderà un giorno il posto di Zod possiamo stare tranquille, no?». Alex la guardò malissimo, ma non si sarebbe pentita di averlo detto.
«Cosa credi che dovremo fare?», le domandò allora Kara e Lena finalmente le sorrise, le sorrise con amore, di gusto, come se appena prima non stesse controbattendo con la sua sorellastra.
«Goderci questi attimi. Lillian per una volta ha ragione. Goderci noi, adesso», Lena le prese una mano e la baciò davanti ad Alex, che arrossì, distogliendo lo sguardo. «L'assassino di mio padre è stato preso, l'assassina dei tuoi genitori è a Fort Rozz. Abbiamo vinto, Kara», le carezzò il viso, circondandoglielo con un palmo. «Dovremo semplicemente vivere la nostra vita, adesso. Siamo libere».
Lena era raggiante, e Kara non se la sentì di smontare il suo entusiasmo. Si lasciò trascinare fuori dalla cucina mano nella mano e si girò appena prima di uscire per lasciare detto ad Alex, con il solo movimento delle labbra, di tenerla aggiornata su Phillings.
Kara accettò la decisione di Lena, pur non concorde. Anche per lei, come per Alex, la confessione di Phillings non convinceva fino in fondo e sapeva che non si sarebbe arresa con l'organizzazione. I suoi genitori non l'avrebbero fatto.

«L'organizzazione?». Il giorno dopo, Phillings scrollò le spalle, per poi battere la mani sul tavolo dov'era stretto in manette, nella saletta degli interrogatori. «Quale organizzazione? Di cosa diavolo andate cianciando, voi piedipiatti?», sorrise sghembo, aumentando il battere delle nocche sul tavolo. Voleva andare a fumare, maledizione… Quando aveva confessato quell'omicidio, non aveva pensato affatto che non l'avrebbero lasciato fumare. E forse, credeva, avrebbero usato quell'espediente per torturarlo mentalmente o ricattarlo in cambio di informazioni. Non sapevano con chi avevano a che fare.
Davanti a lui sul tavolo, Alex era seduta a fianco di Jeremiah Danvers, con le braccia a conserte. Era la prima volta che seguivano un caso insieme. Maggie era con altri agenti dietro al vetro nella saletta accanto, e Alex sapeva che doveva anche esserci Zod, con loro. «Non prenderci in giro», Alex lo inchiodò con lo sguardo. «Sappiamo benissimo che sai di quale organizzazione parliamo». Sul tavolo, davanti a lui, avevano disposto in sequenza delle foto: di Faora Hui, in vita e quando la trovarono morta nella sua cuccetta d'ospedale, del commercialista Michaels ufficialmente suicidato in carcere, e così anche di altri volti noti dell'organizzazione. Anche Rhea Gand. Lui non nascose di conoscere qualcuno di loro come il commercialista, ma solo perché di fatto era il suo commercialista prima che lo arrestassero; e Rhea Gand, poiché era un volto molto noto al pubblico. Fu attento a non tradirsi. «Facciamo così…», si guardarono negli occhi e Phillings deglutì, «confessa e noi, in cambio, ti offriremo una sigaretta».
Maledizione! Lo sapeva! Ma lui era un uomo duro, non l'avrebbero piegato…
«Una sigaretta per ogni informazione. Potrai fumarla qui davanti a noi: allenteremo le manette».
«… credete che sia così stupido?».
«Quindi non se ne fa niente? Sei sicur-».
«Accetto! Datemi quella sigaretta, maledizione: non vedete che sto impazzendo?».
Alex sospirò: non faceva che ripensare alle parole di Lena il pomeriggio precedente. Davvero Phillings avrebbe detto qualcosa sull'organizzazione? Adocchiò suo padre a fianco. Odiava ammetterlo, ma al momento non riusciva a fidarsi neppure di lui. Suo padre, accidenti! Avrebbe dovuto scagionarlo il più in fretta possibile perché non poteva arrivare a non fidarsi perfino del proprio padre. Intanto, Phillings si stava godendo quella sigaretta con lo sguardo soave di un bimbo. «Ottimo. Ora che hai la tua sigaretta, puoi cominciare a parlare».
«Di cosa, signorina?».
Alex Danvers si accigliò. «Agente, non signorina. Dell'organizzazione». Acc… lo sapeva.
«Ah, non ne ho idea», scrollò le spalle, «Ma avrei detto di tutto per una sigaretta… signorina».
Erano buchi nell'acqua. Continui buchi nell'acqua. La prossima sigaretta gliel'avrebbe fatta sudare.
Aveva come l'impressione che indagare sull'organizzazione fosse come nuotare controcorrente.
Per di più, di lui avevano solo una confessione che non valeva niente senza prove, ed erano impossibili da trovare, diceva di aver fatto sparire tutto e gli credevano. Era meticoloso, lo confermò Lillian quanto Lex, da quel che ricordava di lui. Non fosse altro, Lillian Luthor aveva lasciato detto parecchio di quando lavorava alla Luthor Corp e di come lo avesse licenziato lei stessa. Il passato dello scienziato alle sue dipendenze aveva lasciato di ghiaccio tutte, sempre più convinte che il suo posto sarebbe dovuto essere la prigione: in tempi non sospetti, una collega lo aveva denunciato per aver rapito e seviziato il suo cane. Lo trovarono per strada mesi dopo la sparizione malconcio e affamato, malato, morì nell'ambulatorio veterinario senza che capissero cosa gli fosse accaduto. Non c'erano state delle vere e proprie connessioni con lo scienziato e tutto finì con un nulla di fatto, fino a quando non sparirono altri animali che ritrovarono morti. Messo sotto torchio, aprirono un'indagine e ne conseguì che non rispettava le norme ed era crudele con le cavie. L'ultima volta aveva portato un bambino in laboratorio. Non era stato denunciato solo poiché la madre del piccolo aveva firmato una liberatoria ed era stata adeguatamente compensata in anticipo. Era in astinenza, avrebbe fatto qualunque cosa per avere i soldi necessari a una dose ma a lui non sembrava importargli. Phillings giurò che il bambino sarebbe tornato a casa con un cerotto e una caramella. Infine, fu preso di peso dalle guardie e scortato fuori. Per molte volte successive al licenziamento tentò di riavvicinarsi al suo vecchio laboratorio per riprendersi il suo lavoro e ogni volta fu sbattuto fuori. Si guardarono bene dal portarlo in tribunale e la polizia, sul resto, non fece nulla. Era chiaro a tutte che se ne occupò l'organizzazione. Ma anche da lì, giurò Lena secondo i suoi ricordi, fu fatto fuori. E poteva ancora respirare… anche dopo l'arresto.

La porta della loro camera in comune in casa Danvers-Luthor era chiusa a chiave. Il laptop di Lena poggiato sulla scrivania di Kara vicino a una copia del CatCo Magazine. L'indomani le ragazze sarebbero tornate a National City e Alex, con Maggie e Jamie, avrebbero preso il loro posto per passare lì un week-end. La finestra era aperta ma le tapparelle erano abbassate e i raggi del sole illuminavano una parte della stanza, come il letto che una volta apparteneva ad Alex. Lena e Kara erano sdraiate, godendosi l'aria e- no, più che altro cercavano di godersi un momento solo per loro con le loro madri in salotto e Indigo nella stanzetta accanto. Pur la stringesse a sé e le baciasse il collo, Kara non faceva che pensare a Phillings. E in quel momento, accidenti, era più inopportuno che mai. Era stato licenziato da Lillian ma aveva ucciso Lionel. Era stato licenziato ed espulso dall'organizzazione. Aveva perso il lavoro e, contemporaneamente, i vantaggi nello stare tra le fila dell'organizzazione. Quell'uomo doveva essere pieno di rancore e alla festa ne aveva dato prova, ma durante gli interrogatori, astinenza da nicotina a parte, era tranquillo. Il suo comportamento continuava a confonderla.
Lena mise via il cellulare e lo spense, sistemandolo accanto a quello di Kara, sul cuscino oltre le loro teste. «Quando torno dalla festa alla mia università, domani, devo passare da Willis».
«Che cos'ha? Sta bene?», le baciò il mento, poi sotto, salendo dietro l'orecchio. Lena la bloccò frapponendo una mano e Kara rise: forse pensò che si sarebbe vendicata per tutte quelle volte che le aveva leccato dentro l'orecchio in quel modo.
«No… o meglio, non ne è sicura. Mi ha chiesto di andare da lei per un problema urgente».
«Se ti chiede di andare da lei e non di vedervi… in un bar», fece una smorfia con le labbra, «dev'essere davvero grave».
Lena spalancò la bocca e scherzosamente anche gli occhi, stringendola più forte a sé. «Davvero, Kara Danvers? Era una cattiveria? Detta da te… Io non ti riconosco più».
L'altra rise e prese le labbra con le sue, socchiudendo gli occhi e trattenendo il fiato, baciandosi più a fondo. Kara le mise una mano sotto la camicia e lei gliela guidò fino al suo seno. Continuarono a baciarsi finché Kara non si staccò per riprendere fiato, guardandola negli occhi chiari. «È la tua influenza», dichiarò senza mezzi termini e Lena le pizzicò una guancia, cercando poi di sganciarsi dalla sua presa. «Eddai, scherzavo», la fermò stringendo la camicia, «non andare, Lena».
«Non vado da nessuna parte». Le strinse i polsi e si portò sopra di lei in un attimo, baciandola a sua volta.
«Basta che non mi lecchi l'orecchio…», bisbigliò e lei alzò un sopracciglio.
«Voglio solo punirti».
«… ah», arrossì, guardando il soffitto. Ansimò appena ma, ancora una volta, i suoi pensieri andarono a Phillings. Conosceva Lena ed era pronta a giurare che non fosse affatto convinta che fosse stato lui, sembrava solo che se ne fosse voluta convincere per chiudere quel caso. Prima di andare a casa Danvers-Luthor erano passate in cimitero davanti alla sua tomba ed era rimasta per molto tempo zitta fissando la foto di suo padre. E c'era anche un'altra cosa che… «L-Lena…?». Continuò quando la sentì farle un verso. «So che no-non è il momento, ma-», si zittì quando la scorse fermarsi per guardarla a sottecchi. «No-Non voglio interrompere la mia giusta punizione, e-umh», arrossì ancora, «M-Ma mi chiedevo cosa ne pensassi… se quel Phillings… e se fosse anche il garante di Indigo?».
«Proprio ora?».
«Pensaci! Coincide con il profilo che ci siamo fatte: nell'organizzazione, cacciato via, non è stato fatto uccidere. E…», proseguì debolmente, «ce l'ha con la tua famiglia. Torna… abbastanza». Deglutì. «E-E poi, lo so, hai detto di aver chiuso con il caso della morte di tuo padre, ma il garante voleva che scoprissi chissà cosa sulla tua famiglia e-e, Lena, questa cosa non l'abbiamo risolta e… sì, vorrà risolta». Lena non si mosse e Kara capì che, davvero, avrebbe dovuto parlargliene in un altro momento. Probabilmente era stata indelicata. Perché non riusciva a pensare prima di parlare? Stava per dire qualcosa che Lena…
«E verrà risolta. Non avere fretta. Tuttavia, temo dovremo cercare un altro nemico della mia famiglia».
«Indigo non confermerà in ogni caso», obiettò, anticipando i suoi pensieri.
«Sì, ma lei sa chi è e dice di aver conosciuto lui in bagno, fumava lì dentro. È molto nervosa quando parliamo del garante e con lui non ha battuto ciglio. Non è lui».
Kara sbuffò. «Accidenti! Non ci saremmo mai abbastanza vicine…».
«Ci arriveremo, te l'ho detto», le sorrise, «Abbiamo trovato l'assassina dei tuoi genitori e ora abbiamo quello di mio padre. Troveremo anche lui, non ho dubbi. Capiremo cosa voglia che scopra». Si sorrisero con complicità fino a quando Lena non strinse più forte le unghie sulla carne di Kara, sulle braccia che teneva ancora sotto le sue. «E ora, per avermi interrotto, la punizione sarà di gran lunga peggiore».
Lena sembrò sufficientemente appagata quando Kara si presentò a cena, rossa talmente dall'imbarazzo da avere le orecchie in pendant con la t-shirt che indossava, con una sciarpa di lino intorno al collo. In realtà, anche lei si imbarazzò un po', sapeva di aver esagerato, ma non poteva capire cosa provasse Kara quando Indigo, Eliza e Lillian capirono perché indossasse la sciarpa. Ancora poco e Lillian non si strozzava con il vino.
Invece, Indigo si godeva quei giorni di relax con un non troppo: le veniva da sorridere ma non troppo, dormiva ma non troppo, guardava un film ma non troppo, era spensierata ma non troppo. Alle altre poteva sembrare la sé di sempre ma, più tempo trascorreva senza notizie da quello che lei, erroneamente, aveva sempre definito angelo custode, e più ne aveva paura. Ma aveva fatto ciò che le aveva chiesto, aveva eliminato quel video e non si era intromessa, non avrebbe dovuto arrabbiarsi con lei. Il suo sesto senso, però, non le dava pace.

Il giorno successivo, le ragazze lasciarono casa Danvers-Luthor e tornarono a National City. John Jonzz uscì dal coma proprio quella mattina e andarono a trovarlo in ospedale con il cuore un po' più leggero, trovando Megan in sala d'attesa. Molti erano i colleghi del D.A.O. venuti a vedere come stesse, e stavano arrivando anche vicini e conoscenti da Marsington. Suo padre arrivò sul tardi ma lo lasciarono entrare per primo e da solo, poi lasciarono entrare Alex che permise a Megan di farglielo salutare. Per terzo, fu il turno di Jeremiah Danvers, prima di pranzo. Dopo di lui dovettero tutti tornare a casa poiché gli infermieri chiusero alle visite. John era stanco e non dovevano fargli fare sforzi, non soprattutto dopo ciò che dovette dirgli Jeremiah, che ora prendeva il suo posto come comandante ad interim: ai piani alti non dovevano aver apprezzato troppo il suo lavoro in solitaria né come insistesse sul coinvolgimento del capitano di polizia Adrian Zod, poiché non sarebbe stato sostituito solo per un breve periodo, era stato licenziato. Di certo, un po' tutte pensarono che doveva essere la piccola vendetta messa in atto da Zod per aver fatto domande a sua figlia sulla sua vita. Il potere dell'organizzazione era davvero diventato grande e vasto come sembrava. Considerando ciò che gli era successo con Armek, e ciò che l'organizzazione faceva alle persone scomode, iniziarono a pensare che, dopotutto, fosse meglio così, per la sua incolumità. A pensarlo per prima era Megan, che non vedeva l'ora di poterlo portare fuori dall'ospedale.
La ragazza decise di restare lì nonostante non glielo avrebbero fatto vedere e Kara passò a prendere la cagnolina Nana dal campus, o l'avrebbero lasciata sola chissà quanto. Da quando arrivò in villa, Nana sembrò agitata anche se aveva già conosciuto e odorato il posto: non faceva che girarsi e rigirarsi e Lena temette che facesse pipì da qualche parte, pregando Kara di farla uscire in cortile.
«I cani sono molto intelligenti», spiegò quest'ultima. «Forse Nana capta le emozioni di Megan, la sua padrona. Sente che John si è svegliato».
«Oppure vuole cacare sotto le scale», la indicò Indigo e Kara andò subito a prenderla in braccio, prima che dal naso, sul tappeto, ci passasse la coda. Ci mancava solo che Lillian, dopo aver visto la sciarpa, decidesse di chiedere il divorzio da Eliza perché la figliastra aveva fatto fare i bisogni a una cagnolina sul suo prezioso tappeto. Aprì la portafinestra superando il pianoforte e la lasciò fuori, richiudendo.
«Mi preparo ed esco, non voglio far tardi», l'avvertì Lena e si scambiarono un bacio.
«Hai bisogno di me in doccia?».
L'altra le sorrise compiaciuta, portando i suoi occhi in alto e fingendo di pensarci a lungo. «Ho sempre bisogno di te in doccia», le baciò il naso, «Ma non oggi: non devo far tardi».
La lasciò per andare al piano di sopra e Kara sospirò, Indigo la prese in giro e allora le fece la linguaccia, girandosi per controllare Nana: era ancora lì davanti e spingeva con la zampa per aprire la portafinestra.
Lena uscì poco dopo per andare alla festa organizzata nella sua università e Kara si preparò di fretta per uscire anche lei. Non ne aveva fatto parola con Lena e, quando gliele chiese Indigo, le disse solo che andava a far fare a Nana la consueta passeggiata.
La ragazza si era raccolta i capelli con la sua iconica treccia e aveva gettato i finti occhiali da vista su una sedia della sala da pranzo, mettendosi sul tavolo a trafficare con il laptop di Lena e il suo cellulare collegati. «Anche quando me lo chiederà Lena dovrò dirle così…? Una passeggiata?».
Kara arrossì, imbronciandosi. Non sapeva come, ma riusciva anche lei a cogliere le sue bugie. «N-Non te lo chiederà, tornerò prima io. Sicura che posso lasciarti sola, invece? Che stai facendo?».
Indigo le mostrò uno sguardo scocciato come se in fondo, anche se glielo avesse detto, non avrebbe capito. Decise di essere sintetica: «Lavoro su una nuova app messaggistica con tracciamento dei cellulari personalizzata che aveva pensato Lena prima di…», sospirò, «prima di accettare l'idea che quel Phillings avesse ucciso suo padre. È per via di Kyle, che se n'era andata dalla festa senza dire niente. In questo modo, ognuna di noi invierà segnali gps alle altre anche quando non avrà voglia di scrivere: le manderà la app in automatico».
«È una bella idea, ma… la privacy? Viola un tan-tinello la privacy».
Indigo rise finché non si accorse che era seria. «Ah… Senti, stiamo agendo contro l'organizzazione e quando facciamo robe come quella, è importante che nessuna di noi sparisca e basta per riapparire sui social due giorni dopo e dire scusate, non avevo voglia di avvertirvi», sbraitò Indigo, «O mi sbaglio?».
Beh, in effetti si era molto preoccupata per Selina, scoprendo che lei, al contrario, non se n'era preoccupata affatto. L'aveva sgridata, ma non cambiava la situazione.
«Senti, rompiballe: la master del gruppo potrà disabilitare la app quando vuole con una password e quella master sarà Lena. Non io. Ti fa sentire più tranquilla?».
Kara alzò le mani in segno di resa, girandosi per andare a prendere Nana con il guinzaglio in mano. Stiamo. Non si lasciò sfuggire quella parola: stiamo. Indigo si considerava parte del gruppo. «Ehi! Non chiamarmi così».
«Nascondi meglio quel succhiotto!».
«T-Tu non guardarlo!».
Era l'undici di luglio e il sole particolarmente cocente, neanche l'ombra di una nuvola. Lena parcheggiò al solito posto nel parcheggio sotterraneo dell'università e, con il rumore dei tacchi sul cemento, si diresse in ascensore. Aveva indossato un fine completo nero, con pantaloni larghi, aperto sulla schiena e a fascia sul seno; orecchini dorati e lunghi, pendenti; rossetto rosso scuro; e i capelli tenuti legati in una coda alta. Sapeva che alla festa sarebbero stati presenti tutti i pezzi grossi dell'università: dagli studenti più abbienti e meritevoli agli insegnanti di rilievo, fino agli ex studenti che ora erano adulti in carriera, pezzi grossi della città. Sapeva perché si trovava lì: da settembre si sarebbe conclusa la successione a Lillian alla Luthor Corp, stava diventando un pezzo grosso di National City anche lei. Era lì perché una Luthor. All'improvviso sentì di dover prendere un respiro più lungo e fermò l'ascensore, appoggiandosi allo specchio dietro di lei, tremando. I Luthor che erano malvagi. Lei sarebbe stata lì per rappresentarli, perché parte di loro, perché ora era adulta e sarebbe diventata una di loro a tutti gli effetti. Quel pensiero le faceva male dentro, da qualche parte. E aveva ancora il coraggio di pensare che non avrebbe voluto che sua madre finisse in prigione? Ne andava della loro famiglia allargata… Magari pensava più al bene comune che al bene di Lillian come singola. Aveva una famiglia allargata meravigliosa e il suo arresto avrebbe distrutto tutto.
Kara era felice di camminare sotto al sole con Nana che le tirava al guinzaglio da quando avevano lasciato la villa. All'inizio la cagnolina non se ne voleva andare, poi si arrese, seguendo altri odori. Aveva portato la borraccia per lei per quando si fossero fermate, procedendo piuttosto svelte. Seguendo quell'andatura, sarebbe arrivata molto prima dell'appuntamento. O quasi, alla fine si erano fermate perché Nana era visibilmente stanca e, dopo averla fatta bere e aver bevuto anche lei, Kara continuò con la cagnolina in braccio, coccolandola un po'. Ormai la piccolina aveva anche una certa età. Inviò una sua foto a Megan, dispiacendosi di non poter essere con lei a farle compagnia in ospedale, e arrivò a destinazione, davanti al loro chiosco all'Angel Children's Memorial. C'era poca gente, forse perché il sole era ancora troppo alto, e Siobhan Smythe non era ancora arrivata. Beh, Kara era in anticipo di cinque minuti e, conoscendola, lei sarebbe stata in ritardo di almeno venti, doveva mettersi l'anima in pace.
In villa, Indigo stava lavorando a gran ritmo su quel progetto. Non era la prima volta che creava un'app quasi da zero, ma stavolta era molto importante che riuscisse e in tempo celere. Dopo aver dovuto fingere di fallire alla festa di Lord con quel video, non voleva di nuovo deludere Lena. Non voleva, e non doveva. Oh, le mancava qualcosa… Forse il suo quaderno degli appunti poteva tornarle utile. Masticando la cannuccia del succo di frutta, si alzò e corse con le sole calze ai piedi al piano di sopra, raggiungendo la sua camera. Il quaderno… Il quaderno… Nel cassetto del comodino, probabilmen- Indigo si fermò, e il suo cuore si fermò allo stesso tempo. Il lemure peluche sul suo letto… il lemure aveva un coltello piantato in pieno petto. Cosa… No. La ragazza si ghiacciò, tornando indietro di mezzo passo, spalancando gli occhi. Doveva andarsene… subito. Si voltò in fretta e un urlo muto le scappò dalle labbra quando la donna uscì dall'armadio. Veloce, Indigo svoltò fuori dalla stanza in corridoio ma lei la strinse con una morsa tra le braccia e lasciò che perse la cannuccia, scivolandole dai denti; la donna chiuse con un calcio la porta della camera e cercò di bloccarla. Indigo scalciò, tentò di morderla, e urlò prima che le tappasse la bocca, non si sarebbe lasciata uccidere senza lottare, ma Carol la sollevò da terra dandosi slancio e infine tentò di farla sedere sulla sedia davanti alla scrivania, calciandola per sistemarla davanti a lei.
«ShhShh… Indi, calmati. Calmati, cara, calmati», la spinse col sedere sulla sedia, lasciando che la guardasse negli occhi. Oh, si era messa a piangere… Carol le passò il pollice destro sul viso, asciugandole le lacrime, così tolse lentamente la mano sinistra dalla sua bocca. «Piccola… Non sono qui per ucciderti, stai tranquilla, va tutto bene».
Tutto bene…? Aveva piantato un coltello nel petto del lemure ed era spuntata dall'armadio vestita di pelle nera. Indigo aveva tra la lingua e i denti il sapore della plastica dei suoi guanti. Se non per ucciderla, allora per che cosa si era introdotta lì? E come aveva fatto? C'era un ottimo impianto di sicurezza e lei stessa lo aveva testato, per essere certa che non fossero entrati a far del male alle uniche persone che aveva. Perché Carol era lì… se non forse per spaventarla a morte?
Verosimilmente, agli altri, tra studenti e professori, la rettrice, ed ex studenti in carriera, Lena Luthor doveva apparire a suo agio. Conosceva solo pochi di loro, ma parlava con tutti, rideva e scherzava, brindava. Lena sapeva di non essere al suo massimo perché non faceva che pensare alla sua famiglia e a come questo l'avrebbe influenzata, ma era stata talmente abituata, fin da bambina, a comportarsi in un certo modo, che le veniva naturale come respirare. Doveva già essere stata influenzata, pensò. Era già stato fatto. Qualunque cosa avessero di sbagliato i Luthor, lei era già compromessa: non solo il sangue, ma l'educazione, il modo di pensare e di comportarsi, tutto. Era già come loro. Per un attimo pensò di avere un attacco di panico, finché un ragazzo non si avvicinò a lei con un calice in mano e una bottiglia dall'altra. Tutto si fermò, prese respiro e tornò lì, davanti a lui, in quell'aula e a quella festa. Lui le sorrise e lei si sforzò per fare altrettanto, accettando che le versasse da bere. Era un ragazzo non troppo alto, robusto, con un panciotto elegante e scarpe laccate, i capelli legati indietro in una piccola coda, bassa. Lo aveva sentito parlare con altri prima ed era un ex studente, uno di quelli modello, che aveva lasciato l'università col massimo dei voti. Ora che ci pensava, il suo ritratto doveva essere affisso in un corridoio da qualche parte. Forse anche il suo lo sarebbe stato, ora che se ne andava.
«Avevo scommesso con un amico che non saresti venuta».
Con quanta insolenza, pensò. Neanche lo conoscesse, cos'era quella confidenza? Lei gli sorrise e lui indicò l'amico non troppo distante da loro, che la salutò innalzando il suo calice. «Cosa ti dava questa sicurezza?».
«Dicono tutti che ormai sei troppo snob per noi… Dopo aver frequentato per un periodo il pupillo di Gotham Bruce Wayne, noi dobbiamo apparirti come delle nullità, dico bene?», rise e bevve un sorso, poggiando il bicchiere sul tavolino accanto.
Oh, lei neanche ricordava di aver finto una relazione con Bruce Wayne, in quel momento. Era così che appariva agli altri? Una snob? Di certo, Lillian sarebbe stata più felice se avesse davvero avuto una relazione con Wayne. Sarebbe stata più adatta a lei, al nome dei Luthor. «Eppure… eccomi qui».
«Eccoti qui…», ripeté il giovane. «Sei molto bella stasera, comunque. E a breve diventerai una delle signorine più potenti di National City. Non che tu ora non lo sia praticamente già…». Il suo sguardo la squadrò attentamente da capo a piedi, focalizzandosi sul suo seno, come se lei non se ne accorgesse. «Come ti fa sentire? I Luthor hanno tutto e tu… tu erediterai ogni cosa. E», cambiò tono di voce, «hai già un nuovo compagno, a proposito? Bruce Wayne non sa cosa si è perso».
Lei lo guardò negli occhi, glaciale, riservandogli un altrettanto freddo sorriso. «E neanche tu». Gli versò il contenuto del suo bicchiere in faccia e si allontanò, sentendo l'amico del suo spasimante ridacchiare sotto i baffi. I Luthor hanno tutto. I Luthor hanno tutto. No, lei poteva avere ancora una scelta. Poteva ancora salvarsi dall'essere come loro.
Stava per andarsene che la rettrice e una donna che non conosceva la fermarono, pregandole di ascoltarle perché avevano qualcosa da offrirle. Da offrire a lei?
All'Angel Children's Memorial, Kara aveva aspettato Siobhan per ben quarantotto minuti. Il sole stava sparendo per lasciare il posto alla sera e il parco si era riempito di bambini e famiglie. L'unica cosa che riuscì a dirle fu che c'era troppo caldo per uscire di casa. Non ci pensava neanche a una scusa da darle.
«Ringrazia che sono uscita solo per te, semmai», le lanciò un'occhiata seccata. «In questi giorni c'è troppo caldo anche per vivere». Si lamentò ancora sventolando una mano e infine le chiese se potesse allontanare il cane che le stava odorando intorno, quasi temesse per la sua vita.
«Hai paura dei cani, Siobhan?».
«Non ho paura delle bestie…», fece una smorfia, «è solo che puzzano». Guardò Nana con orrore, divincolandosi finché Kara non pensò di prenderla in braccio.
«Non è una bestia», brontolò. Le carezzò la testolina pelosa, imbronciandosi e coprendole le orecchie per proteggerla dalle sue parole, inviandole poi un bacio.
Lei la guardava con sconcerto. «Sì, come ti pare», sventolò una mano e guardò solo per un attimo Nana che, a lingua all'infuori, la osservava. Quando la abbaiò saltò dallo spavento, chiedendo all'altra di farla smettere. «Allora, vuoi sapere cos'ho scoperto per te, o vuoi continuare a giocare a minacciarmi con quella bestia?».
«Nana non è una bestia, e su, dammi qua».
Incredibile, ma Siobhan Smythe le era stata utile davvero. Conservò i fogli nel suo zainetto e la ringraziò.
«E così è stato lui?», domandò Siobhan, mettendo le braccia sui fianchi. «È stato questo Phillings a uccidere Lionel Luthor? Un tizio che lavorava per lui! Tipico».
«Non lo sappiamo ancora», Kara si accigliò. «Le indagini non stanno andando da nessuna parte».
«Roma non è stata costruita in un giorno», boccheggiò, fingendo disinvoltura. «E ora vado a casa, pietà, ho bisogno di abbracciare il ventilatore. Credo che, con questo, io mi sia sdebitata abbastanza. Ora siamo pari, biondina». Le lanciò un'occhiata al collo e formò un sorriso sghembo.
Kara si rabbuiò e Nana l'abbaiò, forse anche lei perplessa. «Sdebitata di cosa?».
Davvero Kara Danvers non ricordava i suoi singhiozzi terrorizzati al telefono quando Rhea Gand mandò quegli uomini ad ucciderla alla CatCo? Oh beh, allora non era il caso di rinfrescarle la memoria, dopotutto. L'importante era che avesse pareggiato i conti. «Lasciamo perdere», la salutò con un gesto, attenta a non avvicinarsi troppo. «Ci vediamo, bestia».
«Non chiamarla bestia».
«Stavolta non mi riferivo a lei», sogghignò, toccandosi il collo e facendola avvampare. «Sei così innocente che sei tu a farmi paura». Scosse la testa e se ne andò.
In villa, Indigo era ancora seduta sulla sedia nella sua camera. Tremava, era sudata, non riusciva a respirare normalmente. Carol si era introdotta lì e l'aveva quasi fatta morire di paura. Se n'era andata da poco, e lei non riusciva a calmarsi. E avrebbe dovuto farlo preso, perché non solo doveva tornare al lavoro al piano di sotto, ma presto o tardi una delle due sarebbe tornata a casa e lei doveva far finta di niente.
«Si farà sentire presto», le aveva detto Carol riguardo lui, che da quella festa era sparito. «Mi aveva solo chiesto di venirti a trovare, cara. Era molto deluso per delle informazioni inesatte».
«N-Non…», Indigo aveva deglutito, «I-Io lo avevo aggiornato, lui mi aveva ignorata! E avevo fatto come mi aveva chiesto», si era difesa, «mi sono fatta da parte». Poi aveva stretto i denti, respirando a fatica, cercando di essere forte: «Allora deve essere più chiaro, quando parla con me».
Carol aveva scosso la testa. «Non intende per il video». Dopo aveva deciso di andarsene, sbadigliando. «Il fuso orario mi sta uccidendo… Come si chiama? Jattlog qualcosa. Ero fuori per lavoro e non sono ancora tornata a casa. Non vedo l'ora di fare i biscotti con Amber e Adam. Magari te ne metto da parte un po'. E scusami per questo… ti prego». Credeva avesse già qualcosa per cui scusarsi, invece si era avvicinata alla tigre bianca di peluche, anche quella sul suo letto, e l'aveva decapitata davanti ai suoi occhi.
Indigo non poteva descrivere cosa provasse in quel momento e, prima che la donna uscisse, aveva avuto il coraggio di chiamarla: «Ca-», aveva preso fiato a pieni pomoni, «Carol». Per fortuna lei si era fermata davvero, pronta ad ascoltarla. «Perché fai questo per lui…? È davvero… lavoro?». Le faceva schifo pensare che alcune persone facessero certe cose per lavoro. Lei aveva fatto cose orribili prima che l'arrestassero. Veniva pagata perché era brava e internet era il suo regno. Aveva distrutto la vita di tanti, senza toccarne nemmeno uno di persona. Aveva la coscienza pulita, allora? Era lavoro. Anche quello che faceva per lui era iniziato come un lavoro. Un lavoro come un altro. Così si guadagnava da vivere: distruggendo gli altri. Ora quel pensiero le faceva schifo. Che quello fosse il karma venuto a chiederle il conto? L'aveva vista sospirare, prima di decidere di risponderle.
«No, non è lavoro, cara», scosse pacatamente la testa, continuando a sorriderle. «Lui non è davvero così come sembra. Nel profondo, è molto dolce anche lui; ha sofferto tanto e non riesce a mettersi l'animo in pace. È molto disilluso e hanno cercato di infondergli un odio che nemmeno gli apparteneva. Il mio cuginetto…», aveva lasciato cadere la frase, abbassando gli occhi prima di guardarla di nuovo e sorriderle con dolcezza. «Non vuole davvero che qualcuno si faccia male, la sua è solo facciata, Indi. Comportati bene. E non dovremo rivederci presto. Oh! E non dirgli che te l'ho detto».
Il mio cuginetto…
Indigo si alzò dalla sedia, trascinando le gambe pesanti come macigni, e raccolse la testa della tigre bianca. Aveva perso dell'ovatta tra il tappeto e il letto e, inchinata, pensò di rimettergliela all'interno, o almeno ci provava. Doveva ripulire tutto prima del loro ritorno. Abbracciò la testa e trattenne il fiato, con gli occhi azzurri pregni di lacrime.
Phillings e Carina Carvex? Dopo aver chiuso il cancello ai cavalli della villa insieme a Lena, più tardi, Kara ricontrollò i documenti che le aveva passato Siobhan Smythe su quell'uomo, all'interno della sua camera. I suoi informatori avevano scoperto che una donna lo andava a trovare spesso al suo vecchio indirizzo e, sia ricercando il suo identikit negli archivi e sia parlando con il ragazzo della portineria del palazzo, l'avevano identificata come l'agente del D.A.O. Carina Carvex, la partner di sua sorella Alex. Secondo il portinaio, l'ultima volta lì si era precipitata con un piede di porco. E, secondo Indigo, lui alla festa fumava in bagno… di nascosto? Carvex era alla festa. Lui stava appresso a Maxwell Lord, paonazzo. Che avesse usato il padrone di casa per proteggersi da lei? E perché? Quali erano i loro rapporti? Inviò un messaggio ad Alex con le foto dei documenti, non aveva tempo per telefonarle. Nascose tutto sotto il letto e uscì, trovando Nana che odorava in corridoio come un segugio, osservandola poi masticare qualcosa. Era di nuovo strana da quando tornarono… La prese in braccio e la spupazzò, scendendo insieme di sotto. «Dove l'hai trovata questa?», le tolse da bocca la cannuccia da succo di frutta. Indigo! Aveva l'abitudine di lasciare sempre tutto in giro!
Quella notte restò lì e, dopo cena, fuori in cortile e sedute sugli sdrai, finalmente Lena vuotò il sacco circa cosa le era capitato quell'oggi alla festa dell'università. Indigo si era chiusa nella sua camera molto presto e la cagnolina Nana si era coricata ai loro piedi, dopo aver aspettato che Megan arrivasse, davanti al portone della villa. Per fortuna, alla ragazza avevano concesso di vedere John, ora che l'ospedale era più tranquillo. Le permisero di passare lì la notte ma, questo, Kara non poteva spiegarlo a Nana.
«Una cattedra?», lei spalancò gli occhi dalla sorpresa e la vide arrossire, sorridendo pacatamente. «Ti hanno proposto di andare ad insegnare?».
«Storia dell'arte», la informò, guardando le stelle.
«Ma… Ma è meraviglioso, Lena», si portò dritta con la schiena di colpo, facendo spaventare Nana, che rizzò le orecchie. «È-È proprio ciò che… Tu sei portata per la storia dell'arte! Ti piace! E ti piace insegnare! Ah», la indicò con un dito quando la vide fare una smorfia con la bocca, «Non provare a dirmi che non è vero! Questa è la tua occasione».
Lena non aveva avuto il coraggio di rifiutare. Aveva detto loro che ci avrebbe pensato e avevano continuato a spiegarle in che istituto sarebbe stata, in che classe, quando poteva iniziare se avesse accettato, quando avrebbe avuto le ferie e altri mille dettagli. Non erano neanche sicure che tutto questo sarebbe poi rimasto uguale a come lo raccontavano. Sembrava… bello. Proprio quando si stava mettendo in testa che poteva essere diversa dal resto dei Luthor, le si era paventata questa possibilità. L'aveva colta così di sorpresa… Aveva sempre saputo che sarebbe finita a lavorare alla Luthor Corp. Non poteva diventare un'insegnante perché era una Luthor. Ma l'idea di esserlo le piaceva da impazzire. «Credi che io possa farcela?». Finalmente si voltò, guardandola negli occhi. «Non ho mai pensato di avere una scelta».
«Ricordi cosa mi dissi quando ero decisa a entrare in un corpo di polizia con Mike?», la fissò con serietà: «Sei tagliata per questo incarico, Lena. Hai letteralmente gli occhi che si illuminano quando parli di arte, qualunque tipo di arte, ne sai sempre una in più dei documentari e non vedi l'ora di rimetterti a lavorare per la mostra! E ami insegnare alle ragazze a cui facevi da turor. Sapevi che era un impegno e-e le hai guidate nonostante fossi oberata, portandole a concludere degli esami importanti. Prova a scegliere per te, lascia da parte il nome della tua famiglia. Lillian si arrabbierebbe, sì, ma… voglio dire, non sarebbe la prima volta che la fai arrabbiare», sorrise, «con l'unica differenza che ora si parla di una scelta che ti cambierebbe tutto. Non precluderti questa possibilità! Non farlo a te stessa».
Zitta, gli occhi verdi le si riempirono di lacrime e abbassò il capo per asciugarseli, arrossendo e cominciando a ridere e annuire. «Ci penserò».
Kara l'aiutò ad asciugarsi gli occhi, accarezzandole il viso. Si baciarono, sotto la luce delle lampade.

«Inchiodata!», Alex batté un piede, al chiosco nella piazza, pensando a Carina Carvex. Era passata una settimana da quando Kara si fece dare quei documenti da Siobhan Smythe e da quando l'avvertì per messaggio, ma leggere per bene le varie dichiarazioni su quei fogli in mano era più appagante. «I miei dubbi dall'inizio sono fondati, è nell'organizzazione e mi prende in giro da sempre».
Kara era più perplessa. Non che dubitasse di Carvex e l'organizzazione, ma… «Ormai ce ne sono così tanti ovunque che cominci a chiederti chi non è nell'organizzazione, sorellona, siamo piene all'orlo». Che avesse ragione Lena, almeno un po'? «È così importante smascherare proprio lei?».
Alex arrossì appena, distogliendo lo sguardo. «Sì, lo è». Flirtava con lei da tempo e le interessava sapere se era per conto loro o meno. Eccome. Ma, non fosse altro, scagionare suo padre aveva la priorità e proprio a causa sua e di quella telefonata quando arrestarono Armek a Marsington non riusciva più a fidarsi.
Intanto, in televisione, la quasi totalità dei programmi tv come i talk show e i telegiornali non facevano che parlare del loro fratellastro Lex Luthor, di quelle pillole e di Maxwell Lord, e Roulette, che era stata intervistata a proposito del suo arresto e della sua relazione con i due giovani da una conduttrice famosa che l'avrebbe mandata in onda in prima serata a giorni. La ragazza si dichiarava ancora innocente. Pure Lillian era apparsa in televisione, ripresa a Metropolis mentre scendeva da una lussuosa macchina pronta a raggiungere la loro proprietà, dove abitava il figlio. Sapevano che lei ed Eliza erano andate a trovarlo, quando scoppiò il caso. Anche Eliza apparve per brevi secondi in schermo, lontano, intenta a scendere dalla vettura. Kara si teneva ancora in contatto con Lucy Lane che le giurava che le acque si stavano muovendo per vie legali e che tutto si sarebbe trascinato fino a settembre, senza entrare nei dettagli.
«Senti, sorellina», la guardò a sottecchi e Kara si voltò, appoggiata sul corrimano in ferro del chiosco. «E se tornassimo a qualche vecchia abitudine?», Alex sorrise con fierezza, «Ci serve il suo telefono».
Lei fece una smorfia con le labbra. «E come pensi di fare?».
«Una festa per l'arresto di Phillings? Al bowling?», Lena alzò un sopracciglio quando glielo proposero, andate in villa per riprendere Nana. «Perché proprio al bowling?».
«N-Non ci sei mai stata, Lena?», le domandò Kara. Stava sudando freddo; non potevano parlargliene o avrebbe dovuto dirle che stava indagando su Phillings che per lei era un caso chiuso, ma la sua agitazione per poco non si tagliava con il coltello e Alex le diede una spallata, simulando un colpo di tosse.
«Il bowling è divertente, il salone è spazioso. Siamo giovani», commentò lei, «dovremo pur goderci come si deve questa vittoria».
E la musica è alta e ci saranno le luci psichedeliche, aggiunse Kara per sé. Perfetto per un furto.
«Non ci sono mai stata», Lena abbassò lo sguardo, per poi annuire con sempre più convinzione. «Facciamolo. Voglio provare a giocare».
«Questo è lo spirito giusto, Luthor», Alex le diede manforte e Kara l'abbracciò.
«E se poi Carvex decidesse di non venire?», bisbigliò quest'ultima alla maggiore solo pochi attimi più tardi.
Alex si accigliò. «Verrà», fissò un punto vacuo, «Verrà di certo».

Jackson Ur Phillings aveva conosciuto i Luthor nel millenovecentosettantacinque, iniziando a lavorare per loro quando aprirono a nuovi settori della loro azienda che un giorno si sarebbe evoluta nella Luthor Corp attuale. Alex gliene parlò a un nuovo interrogatorio, con una foto di Lionel Luthor sul tavolo, leggendo davanti a lui alcuni passaggi della sua vita. Phillings si era deciso a fare scena muta fino a quando non gli avessero elargito una nuova sigaretta, ma non era così che funzionavano le cose e ci tenevano a farglielo capire. Aveva lavorato per la famiglia Luthor per gran parte della sua vita ed era stato licenziato nel duemilasei, dunque perché uccidere Lionel Luthor nel lontano duemiladiciassette? Undici anni di vuoto erano tanti! Com'era che avesse deciso di mettere in moto la sua vendetta proprio allora e non molto prima? Mancava qualcosa. Carvex era entrata con lei e fissava insistentemente l'uomo in manette. Phillings, d'altro canto, da quando c'era lei si comportava in un modo ancor più strano: la sfidava con lo sguardo, quasi in modo arrogante e, se non battesse le mani sul tavolo dall'astinenza, avrebbe dato una maggiore impressione della sua sicurezza.
«Ho ucciso Lionel Luthor perché lo odiavo», ribadì quando riuscirono a farlo parlare, dopo un po'. «E ora datemi quella maledetta sigaretta, per piacere».
Doveva essere uno che fumava davvero molto per non riuscire a resistere qualche ora e Carvex lo sapeva bene; per poco non gli sputò: «Dovrai guadagnartela».
Lui ebbe un sussulto, solo un secondo. «Lo odiavo, cos'altro c'è da dire, eh? Lo odiavo così come li odio tutti quegli impiastri che si credono i re e regine di questa città! Lionel Luthor si dava tante arie e un giorno ho deciso che lo avrei soppresso. È tutto. Voglio la mia sigaretta!».
Alex diede uno sguardo alla collega vicino e lei se ne accorse, poggiando le mani sul tavolo e piegandosi verso il sospettato. Inaspettatamente, sorrise. «Magari questa è l'occasione giusta per smettere».
Lui sbiancò e prese a urlare in preda agli spasmi quando le due agenti lo chiusero dentro da solo.
«Lo conosci, Carina?».
«Eh? Conoscerlo?».
«Sì… Sembrava lo conoscessi, e che lui conoscesse te».
Lei le regalò un grande sorriso, aprendo la porta per la saletta adiacente, collegata dal vetro. «Forse perché passo le notti a leggere ciò che abbiamo di lui e mi sembra di conoscerlo. A te non succede mai, partner?», entrarono. «Mi disgusta. Ha fatto cose veramente orribili, non pensi anche tu?».
Le aveva mentito in un battito di ciglia, davvero brava. Alex si domandava quante volte lo avesse fatto, forse anche su come si era fatta quel livido al collo. Maggie le aspettava e, sapendo che erano solo loro tre, lei e Alex si lasciarono andare a un veloce bacio, ignorando la presenza della collega. «È stato lui senz'altro», le disse Alex. «Hai sentito poco fa? Quell'uomo è fuori di testa: li odia davvero. Ne parlavo giusto ora con Carina».
Maggie annuì, sorridendo a entrambe. «Almeno Lena potrà tornare tranquilla alla sua vita. E la festa? Si è deciso cosa fare?». Forse ci stava mettendo troppa enfasi, doveva risultare naturale.
«Oh, sì», la cinse per i fianchi. «Abbiamo prenotato al bowling: Lena non ha mai giocato e sarà divertente». Allora si voltò verso Carina, rimasta in disparte. «Che idea! Perché non vieni anche tu? Ci saranno degli amici, non puoi mancare. Festeggiamo l'arresto! Un altro assassino consegnato alla giustizia. Non accetto un no come risposta… partner». La vide dondolare sul posto, puntando altrove lo sguardo e formando un sorriso. Era sua.

Una festa per l'arresto del dottor Jackson Ur Phillings. Forse solo Lena e pochi altri che non conoscevano i retroscena erano convinti che quell'uomo fosse al cento per cento l'assassino di Lionel Luthor, ma non importava, a quella festa dovevano crederci tutti o fingere che fosse così perché funzionasse. Avevano affittato la pista, commissionato un buffet, portato da bere e invitato chiunque venisse loro in mente. Più gente sarebbero riuscite a portare, più la confusione sarebbe stata maggiore. Questa volta non ebbe da ridire nemmeno Indigo, quando la invitarono.
Quando ancora non erano che solo loro, Kara giocò con Lena quasi esclusivamente da sole, aiutandola a capire il gioco. Alla prima le sembrava che la boccia fosse troppo pesante e si fece accompagnare più volte verso la pista con le braccia di Kara su di sé, saltellando quando beccava i birilli.
Alex si era seduta davanti a loro, con Indigo vicino, silenziosa. «Secondo me lo fa apposta», bisbigliò, indicandogliele con lo sguardo. «Come si fa spiegare tutte le regole e se l'abbraccia… occhio alle mani…», si voltò indietro e riguardò l'orologio, aspettando che la festa potesse davvero iniziare. «Ormai non hanno più neppure la briga di fingere di essere sorellastre e basta». Vide Lena venire verso di loro, con un enorme sorriso stampato in faccia. «Scommetto che hai capito subito come si gioca, eh?».
Lei aprì una bottiglia davanti a loro, riguardando la sua ragazza e versandosi un bicchiere. «Campionessa per due anni consecutivi, non dirlo a Kara», mandò giù d'un sorso e la raggiunse di nuovo in pista, chiedendole come funzionasse il tabellone per il punteggio.
Alex riguardò Indigo, riservandole un'occhiata saccente. «E tu, invece? Cos'hai? Da giorni sei più silenziosa del solito e non istighi più Kara. Finiremmo per preoccuparci». Le sorrise d'istinto, come se a intuito avesse capito che ne aveva bisogno.
«Tutto normale. Come al solito».
La sua risposta era così scostante: Alex la tenne d'occhio. «Se ti serve qualcosa, puoi parlarcene».
«Non devo parlare con nessuno, sorella maggiore, hai capito male». A quel punto si alzò e sentì lo sguardo di Alex Danvers seguirla lungo la pista. Se ne andò verso i bagni, dando una spallata al palestrato che entrava in quel momento.
James Olsen fu il primo ad arrivare, alzando le braccia per farsi notare. «È qui la festa?».
Le luci psichedeliche c'erano, l'alcol c'era, gli stuzzichini c'erano, la compagnia c'era anche quella: Alex e Kara ne rimasero soddisfatte.
Dopo James che per fortuna lavorava da quelle parti, arrivarono anche Maggie e Charlie Kweskill dopo il lavoro, Winn li raggiunse qualche minuto dopo scusandosi perché credeva di essere in ritardo e Lucy Lane arrivò appena prima che alzarono la musica, attaccando la playlist. Non sapeva ci sarebbe stato anche il suo ex ragazzo, ma per loro non sembrò un problema, mettendosi subito a giocare. Quando era tutto avviato, cominciarono ad arrivare anche alcune delle ragazze della squadra di lacrosse in cui giocavano Kara e Megan. Kara le andò ad abbracciare come se non fosse mai successo nulla tra loro, ringraziandole. Con sorpresa di quest'ultima, due di loro chiesero scusa non nascondendo imbarazzo per come si erano evolute le cose in squadra, sperando potessero farlo anche le altre. Kara era sempre più convinta che sarebbe riuscita a riconquistarle. Con loro, qualcuna aveva portato anche delle amiche e i rispettivi ragazzi e altri amici, così cominciò a crearsi atmosfera. Appena Kara le lasciò, scambiò uno sguardo complice con Alex, lontane, che salutava con Maggie tre amiche della classe di yoga che prima frequentavano, arrivate con i loro compagni e qualche amico. Megan li raggiunse poco dopo, felice che potesse divertirsi un po' senza l'ansia di sapere John in coma. Era riuscita a trascinare con sé anche qualcuno che frequentava i suoi corsi alla Sunrise, entusiasta che alcune delle ragazze della squadra fossero venute davvero. Saltò addosso a due di loro quando seppe che avevano chiesto scusa. Con meraviglia di Lena, alla festa si unirono le ragazze a cui aveva fatto da tutor, nonostante quello non fosse proprio l'ambiente che frequentavano di solito. Forse per questo quando arrivò Siobhan, che non era sicura affatto di volerci essere fino al momento di entrare là dentro, si attaccò a loro, o almeno finché non scoprì che erano più interessate ai muscoli di Charlie Kweskill e James Olsen che ai suoi discorsi. Non che quei due quando flettevano i bicipiti… beh, in fondo, sembravano interessanti anche a lei.
Carina Carvex non era ancora arrivata e Alex adocchiò nuovamente l'ora, dando anche uno sguardo a Indigo, seduta lontano da tutti. Il tabellone nella pista davanti a loro segnò un altro strike e Lena esultò trionfante, tornando dagli altri giocatori.
Kara non credeva ai suoi occhi, appoggiata schiena a un tavolino, accanto alla sorella. «Ha imparato davvero in fretta».
La videro buttare giù d'un sorso il contenuto di un bicchiere e sfidare un ragazzo che prendeva la boccia. Alex inarcò un sopracciglio. «Ssì. Un talento naturale…».
Megan venne a prendere quest'ultima e lei lasciò detto alla sorella di dire a Lena che era con lei quando avesse finito quella partita, correndo dalle ragazze del lacrosse per fare tutte insieme un brindisi di pronta guarigione del loro vecchio coach John Jonzz. Non importava che si fosse scoperto un agente del D.A.O. sotto copertura, per loro era sempre il coach. Per Megan anche qualcos'altro, ma lo tenne per sé.
Alex guardò di nuovo l'ora e cercò con lo sguardo Maggie, dall'altra parte, che giocava con Charlie e un altro gruppo, di cui facevano parte James e Lucy. Carina era in ritardo. Ma sarebbe venuta, lo sapeva. Forse sarebbe stato il caso di divertirsi e giocare anche lei, mischiarsi con gli altri, per non destarle sospetti quando si sarebbe fatta viva. Stava per alzarsi che scorse il valletto, no, il segretario di Lena, o meglio il suo assistente, Winn, avvicinarsi cautamente a Indigo che era sola. Alex sapeva che lavoravano insieme. Forse lui sarebbe riuscito nell'ardua impresa di capirla un po'.
Arrivarono altre due amiche dello yoga e studenti della Sunrise, e Carina ancora non si faceva vedere.
Intanto, quando smise di giocare o per meglio dire di stracciare gli altri, Lena si prese qualche minuto per parlare alle ragazze a cui aveva fatto da tutor della cattedra in storia dell'arte che le avevano proposto; le interessava sapere la loro opinione, potevano aver avuto un'anteprima di quale professoressa sarebbe potuta essere. Kara la vide parlare con loro dalla pista, e all'improvviso abbracciarle. Un po' troppo all'improvviso. Ma almeno doveva essere perché aveva ricevuto pareri positivi.
«Quanto sta bevendo?», Lucy prese una boccia, toccando a lei, e Kara riguardò Lena. «Aah… solo quattro giù. Che schifo. Devo aver perso le forze quando ho distrutto James».
«Un pochino più del solito», rispose Kara, guardando la ragazza dopo di loro che lanciava. «Ma non voglio dirle niente… È una festa e hanno arrestato l'assassino di suo padre, e ha ricevuto una bella notizia, anche se è incerta sul da farsi, quindi…».
«Ma non hai caldo?», si indicò il collo: Kara indossava una maglia a collo alto, non era nel suo stile.
Avvampò, ingigantendo gli occhi. «S-No, no, oggi volevo- stavo bene con questa».
Risposta vaga e imbarazzante. «Quindi è sicura che sia stato questo Phillings?». Vide Kara scrollare le spalle mentre la teneva d'occhio nell'andare a scambiare due parole con Indigo e Winn. «Il fatto che abbia confessato comunque lascia da pensare. Se è stato lui è un incosciente», osservò Lucy, «l'aveva scampata fino ad ora. Se non è stato lui, invece, perché confessare e darsi tanto da fare?».
Effettivamente, Kara non aveva riflettuto di questo lato della faccenda: cosa potrebbe guadagnarci quell'uomo nel confessare un delitto non commesso? Continuò a guardare Lena e, quando Lena guardò lei, arrossì. Ma l'altra si accigliò e Kara sussultò. Perché quello sguardo? Cosa le aveva fatto? Lucy la scrollò con una stretta: toccava a lei.
«Otto», Lucy le sorrise. «C'eri vicinissima! Peccato».
Poco più lontano, Maggie e Charlie bevevano seduti davanti a un tavolino. Si stavano godendo un piccolo momento di pace. La ragazza quasi si dispiaceva di aver lasciato Jamie con la babysitter anche quella sera, ma sentiva il bisogno di staccare, anche se la festa era nata solo affinché Alex incastrasse la sua collega. Non che l'idea le dispiacesse, dopotutto: più aveva a che fare con quella Carvex, e meno le piaceva. «Carina Carvex è dei vostri?». Se lei era un'infiltrata non le avrebbe risposto, ma d'altra parte… «Charlie?». Era incantato al gioco davanti a loro. O forse non proprio al gioco. «Ti piace?».
«Eh?». Lui si voltò scattante in sua direzione.
«Credevo uscissi già con qualcuno».
Il ragazzo si grattò la nuca. «Abbiamo preso due caffè, non ci sto insieme…».
Maggie rise, inclinando la testa da un lato. «Allora prova a buttarti».
«Tu dici?».
«Perché no?».
Lui indugiò, gonfiando le guance e continuando a bere. «Tu, invece? Stai ancora fissando la notifica della disponibilità? Non glielo hai ancora chiesto?».
Maggie arrossì, abbassando gli occhi. La notifica sul cellulare, già. Sì, si era solo limitata a guardarla. Non vedeva l'ora che l'anello fosse disponibile e poi non aveva fatto nulla. Ma la vita andava avanti, doveva andare avanti, organizzazione o meno. Non avrebbe avuto un momento giusto, doveva farlo e basta. «Chiedere a una persona di sposarti non è facile come sembra».
«È facile eccome», bevve lui, avvicinandole una mano per stringerle un polso. «Compra l'anello, va' da lei, guardala negli occhi e fa' la magia: sii spontanea, ma decisa. Andrai alla grande, Mags».
Lei sorrise di nuovo. Sembrava così facile davvero. Sarebbe stato assurdo chiedergli di essere il suo testimone?
«Beh, io vado», si alzò di scatto. «Mi butto come hai detto tu. Fammi gli auguri! Se va male, me la prenderò con te che mi hai detto di farlo, intesi?», accennò una risata.
«Ah, Charlie?», il ragazzo si fermò subito, ma lei indugiò: «… ah, nulla. Solo… Carina Carvex? Ti dice niente?».
«Quella del D.A.O.?».
Lei scosse la testa e lui sorrise, tornando in pista. In tutti i sensi.
Kara vinse per un soffio e alzò le braccia al cielo, mentre le ragazze che giocavano con lei e Lucy si complimentavano, convinte che non le servissero delle pillole per essere la migliore. «Potete giurarci che è così», riferì Lucy, sollevandosi le maniche della maglia fine che indossava e passandosi una mano sulla fronte sudata. Cominciava a far caldo là dentro. «Se pensate davvero che Kara, che Kara Danvers, abbia assunto delle pillole solo per giocare meglio di voi, allora non avete capito niente di lei», proseguì, «Di come è fatta, o della sua vita». Kara la pregò di lasciar perdere e la tirò a un braccio, ma lei sembrava determinata a strigliarle: «Loro sono le tue vecchie compagne di squadra? Ma ti conoscono o no? Kara si fa in quattro per tutti, anche per voi! E non avete idea di cosa ha passato per quelle pillole». Sentirono qualcuna di loro chiedere scusa e allontanarsi pacatamente, così anche Kara tirò via lei, accostandosi a uno dei tavolini. «Scusa, non ci ho visto più…».
«Ti senti bene? Come va con tuo padre?».
Lei tardò a rispondere, prendendo da bere. «Mi ha messo in panchina, ma me lo aspettavo. Non ha l'autorità per congedarmi o l'avrebbe fatto, quindi mi ha solo rimandato a casa fino a data da destinarsi».
Kara si rabbuiò. «Mi dispiace, Lucy».
Lei sorrise, scuotendo appena la testa. «Non vedo l'ora di parlarne bene a quattrocchi con Lois. Sarà felice di sapere che non è più ufficialmente la figlia che ha più problemi con nostro padre».
Paninetto in bocca, Kara si guardò attorno ma non trovava più Lena, in compenso era finalmente arrivata Carina Carvex e per poco non sputò tutto. Aveva ragione Alex: non sarebbe mancata. Cercò anche lei ma c'era troppa confusione e non la vedeva. Un'arma a doppio taglio… Per di più, non rispondeva al cellulare. Ora capiva l'importanza dell'app che stava sviluppando Indigo.
«Ehi, Kara». Lucy attirò di nuovo la sua attenzione. «Quello non è il collega di Maggie Sawyer?».
Aguzzò la vista e, anche se sotto luci blu e verdi, era chiaramente Charlie Kweskill quello che palpava i bicipiti di James con tanto interesse. James Olsen forzava il muscolo e ne parlava compiaciuto, vantandosi degli ultimi allenamenti. Al tempo stesso, guardava e chiedeva dei pettorali dell'altro. Le due ragazze li guardarono interessate, annuendo e facendo delle smorfie compiaciute.
«James lo avrà capito che ci sta provando con lui?».
Kara scosse la testa. «Non ne sono sicura…». Ah! Carina Carvex! Si girò subito ma l'aveva persa. Doveva trovare Alex e dirglielo. Chiese scusa a Lucy e la lasciò, chiedendo a due ragazze dello yoga se l'avevano vista, andando verso un'altra pista del salone. D'improvviso, due braccia la colsero alle spalle e per poco non saltò addosso a un ragazzo dallo spavento. «L-Lena! Dov'eri finita?». La ragazza aveva le guance imporporate, aveva visibilmente bevuto troppo.
«Ho accompagnato qui fuori Indigo e Winn… Winslow», le sorrise, avvicinandosi a lei un po' troppo e con uno strano sguardo, troppo strano considerando quanta gente c'era. Cosa aveva in mente? «Starà a dormire da lui, qui si stavano annoiando e avevano un torneo in non so quale gioco, da concludere», ci pensò, «Forse qualcosa sulle macchine, non mi ricordo». L'abbracciò ma Kara si divincolò da lei pian piano, anche se non sembrava prenderla bene.
«B-Beh, sorellastra mia», precisò a voce alta. «Mi aiuteresti, p-per favore, a ritrovare l'altra tua sorellastra cioè mia sorella maggiore? È importante».
«Certo», le sorrise passandole avanti e Kara sospirò. «Cosa avete in mente, voi due? Avete sempre qualcosa in mente, voi due. Da quando vi conosco. Non riesco a starvi dietro».
«Ma no, pff», ridacchiò nervosa, «niente». Carina Carvex: eccola, aveva appena fatto strike a un tabellone. Il suo cellulare…? Forse poteva pensarci lei. Chiese a Lena di seguirla e insieme si avvicinarono al tavolino correlato, fingendo disinvoltura, scorgendo la borsetta incustodita. Una coppia si stava baciando sul divanetto davanti, se faceva abbastanza in fretta non l'avrebbero vista infilarci una mano.
«Kara».
«Ah!», saltò di nuovo dallo spavento, togliendo la mano dalla borsetta e nascondendola alle sue spalle.
«Si sente la mancanza di Willis, non è vero?», Lena si avvicinò di nuovo pericolosamente a lei, allungando la mano sinistra alla schiena dell'altra, sfiorandole la mano. «Scusa», la lasciò andare all'ultimo, vedendo che aveva le orecchie rosse dall'imbarazzo, nonostante le luci blu e verdi. «È che sono un po' su di giri».
Kara si guardò into- oh, la coppia le fissava. Per fortuna non li conosceva. E c'erano le luci psichedeliche. Beh, tanto non stavano facendo nulla di sconveniente, nulla! Ridacchiò di nuovo, sempre più nervosa, e si allontanò di poco, appoggiandosi di spalle al tavolino vicino, vuoto. «Leslie sta ancora male?», le provò a chiedere, sperando di farle cambiare argomento.
Lena allungò un sorriso, contenta che glielo avesse chiesto. «Lo sarà per nove mesi». Rise quando vide Kara spalancare gli occhi. «Ricordi quando sono andata da lei? Non aveva il coraggio di affrontare un test di gravidanza da sola, così l'ho accompagnata per comperarlo e ho aspettato fuori dal bagno», raccontò.
Leslie era uscita strepitante di gioia, girando alla vittoria! «È negativo! Diventerò credente e andrò a pregare ogni giorno! L'ho scampata per poco», le aveva mostrato il test, davanti alla porta. «Andrò dal medico sul ritardo, magari da ora comincio a prendere la pillola, ma tutto risolto, tanta ansia per nulla».
«Leslie, è positivo».
«No».
«Sì».
«No».
«Ti dico di sì». Si era avvicinata, mostrandole la legenda sul significato delle due lineette e Leslie Willis si era congelata in espressione funerea.
«Cazzo».
A Kara venne da sorridere e a Lena con lei. «Nessuno ancora lo sa… Doveva restare un segreto, veramente», allora rise e Kara arrossì.
Era bellissima. Aveva bevuto un po' troppo, ma era così pura e naturale che, per un attimo, avrebbe voluto mandare al diavolo la loro relazione segreta e baciarla davanti a tutti. Se ne sarebbero preoccupate il giorno dopo. Oh! La coppia le guardava ancora. Ma non avevano di meglio da fare, come controllarsi le tonsille a vicenda come stavano facendo fino a un secondo prima, magari? Si distrasse il momento in cui udirono una ragazza urlare su quanto amasse una canzone che prese per mano Lena, decidendo di riprendere la sua ricerca di Alex. «Vieni, sorellastra mia», alzò la voce, «A-Andiamo a cercare l'altra tua sorellastra, cioè mia sorella». Beh, dopotutto era meglio rimandare.
Neanche il tempo impiegato a cercarla o a cercare di prendere quel cellulare, che lo aveva già lei e la ritrovarono in bagno, dopo aver chiesto a Maggie, intenta a scoprire la password. C'era da aspettarselo.
«Sicure che non si sblocchi con l'orma del pollice?», suggerì Lena.
Alex aveva scritto a matita su un tovagliolo tutte le possibili varianti, ma aveva due soli tentativi rimasti.
«Potremo prenderle il pollice e portarlo qui con un sacchetto del ghiaccio».
Kara e Alex la guardarono allibite. «Ma quanto ha bevuto?», domandò la seconda, incerta. Mancarono le parole a entrambe le Danvers quando un'amica dello yoga uscì da uno degli scomparti, le salutò e finse di non aver sentito, mentre cercava di lavarsi in fretta per uscire dai bagni il prima possibile.
«Accidenti! Ho un'altra sola possibilità», Alex tentò, ma era un salto nel vuoto. Non avevano neppure un indizio, solo cose che Alex credeva di sapere di lei.
Non c'era Indigo ad aiutarle e alla fine decisero di non rischiare di bloccarlo, uscendo sperando che controllare nella sua borsetta le avrebbe portate alla soluzione ma, quando poggiarono il cellulare, questo non c'era già più. Era stato un attimo e Carina stava ancora giocando, non poteva essere stata lei a riprenderlo. Avevano… perso la loro occasione.
«Se vi fa sentire meglio… la festa è un successo». Almeno Lena imbevuta d'alcol trovava il lato positivo in ogni cosa. O quasi ogni cosa. Bastò che Lucy tornasse a rivolgere la parola a Kara perché quest'ultima capisse subito il perché di quello sguardo quando stava giocando con lei. Normalmente Lena manteneva la propria gelosia a livelli accettabili; era abituata, da Luthor, a saper fronteggiare le cose a sangue freddo, ma se la quantità d'alcol giusta arrivasse a toglierle certe inibizioni… «Mi sono stufata di vederti con la cresta sempre alzata quando sei appresso alla mia ragazza».
«Sorellastra!», Kara le urlò sopra, censurando la parola. Tentò di bloccarla, ma Lena la scansò.
«Cos'era che dicesti a casa mia?», domandò lei a denti stretti. Lucy guardò Kara e Kara guardò lei, ma Lena era partita in quarta. «Ah, già, lo ricordo: sei una grande sostenitrice della nostra relazione».
«Amicizia!».
«Sai invece cosa penso io?», proseguì Lena, puntandole contro un dito e facendola indietreggiare fino ad appoggiare la schiena a un tavolino. «Che sei gelosa. Che sai che Kara ama me-».
«Amaramente!».
«E la cosa ti fa stare malissimo», Lena strinse un pugno e Lucy le labbra, deglutendo; smise di guardare Kara. D'altra parte, lei iniziò a guardarla sotto una nuova luce. «Hai ancora una cotta per lei, vero? È così. Schifosamente. Evidente».
A quel punto, Alex e Maggie richiamarono tutti quelli distratti alla festa e ai tabelloni segnapunti, in modo che avessero qualche spettatore in meno. Quella storia di certo non riguardava nessuno di loro. Anche Carina Carvex smise di ascoltare, mettendosi alla ricerca del suo cellulare con un sorriso.
«È… vero, Lucy?», Kara arrossì. Non se n'era accorta. Lei e Lucy avevano avuto un flirt e, ammetteva, con lei c'era sempre un non so che di fondo che sapeva non sarebbe mai stato di più, ma forse quel non so che, per Lucy, aveva dimensioni maggiori.
Lei aprì la bocca lentamente, distanziandosi dal tavolino e vergognandosi abbastanza per non riuscire a sollevare lo sguardo. Non all'inizio, se non altro. «È… vero. Mi piaci ancora», sorrise e Lena sospirò.
«Va bene, quantomeno lo hai ammesso», sentenziò lei, smettendo di attaccarla. «Meno occhi dolci da adesso in avanti, Lane. Lei è la mia ragazza».
Kara arrossì talmente che non si accorse che avrebbe dovuto censurare la parola.
«Ed è anche la mia, di ragazza», Alex tentò di metterci sopra una toppa e sentì alcuni sguardi addosso, così ridacchiò anche lei. Il nervosismo era contagioso. «La nostra… sorellina».

La festa al bowling era stata… un successo. Va bene, non erano riuscite a sbloccare quel cellulare e ad immergersi nella tela di segreti di Carina Carvex né a scagionare Jeremiah, ma si erano divertite e, se Kara e Lena erano fortunate, forse nessuno degli invitati avrebbe parlato fuori di lì di ciò a cui avevano assistito. Sperare che non avessero capito era un insulto alla loro intelligenza.
Non seppero che era stato Charlie Kweskill a sottrarre il cellulare rubato di Carina e a restituirglielo fuori dal complesso.
«Carvex», gli era spuntato alle spalle e lei lo aveva aspettato davanti alla sua auto, così le aveva mostrato il maltolto. «Hai perso la testa. Occhio a dove lasci le tue cose».
Come lui non poteva sapere che lei lo aveva lasciato incustodito di proposito.
Appena se n'era andato, aveva controllato che il cellulare fosse integro, notando che avevano tentato di accedere senza successo. «La password, cara Alex, è facile». P-a-r-t-n-e-r digitò veloce, sbloccandolo. L'aveva messa apposta per lei, sperava ci sarebbe arrivata.
Non seppero che Charlie aveva visto Alex Danvers pendere quel telefono dalla borsa, ma che, di lì a poco, sarebbe stato impegnato, e non aveva potuto fermarla.
Chiusi nel bagno degli uomini, Charlie gli aveva circondato il volto con le mani e gli aveva accarezzato i lineamenti, poi si era avvicinato. James era rimasto immobile, con gli occhi aperti, aspettando che lo baciasse.
Non seppero neppure che, nel momento in cui loro attiravano gran parte dell'attenzione degli invitati, Siobhan Smythe aveva suggellato una nuova amicizia con le ragazze a cui Lena aveva fatto da tutor, facendo un selfie insieme e scambiandosi i numeri del cellulare. Ma dopotutto, a nessuna di loro importava saperlo.
Prima ancora che la festa finisse, Kara decise di portare via Lena in modo che si riprendesse. Qualcuno si offrì di accompagnarle, Lena non poteva certo guidare, ma infine quest'ultima telefonò direttamente a Ferdinand l'autista che le venisse a prendere. Vecchie abitudini. Si sdraiò sui sedili posteriori e appoggiò la testa sulle cosce di Kara, calde, chiudendo gli occhi. La sentì accarezzarle i capelli.
«Grazie per la disponibilità», Kara spezzò il silenzio. Fuori dal finestrino, National City era luminosa e chiassosa, piena di vita. Le notti d'estate erano le sue preferite. «E ci scusi se… l'abbiamo disturbata a quest'ora».
Lui le guardò appena attraverso lo specchio retrovisore dell'auto, impassibile. «È il mio lavoro».
A volte Kara si domandava se fosse un uomo o un robot.
Le lasciò in villa che questa notte sarebbe stata completamente loro e Lena mise a fare la tisana sul fuoco, dopo essersi lavate e cambiate. Non se ne erano accorte prima, ma in fondo erano stanche e continuavano a pensare e a ripensare a quella giornata e a quelle precedenti. A Phillings, ai Luthor, alla cattedra in storia dell'arte e, naturalmente, alla gelosia di Lena. Molte delle attenzioni di entrambe andarono a quest'ultimo punto. Kara si appoggiò al bancone della cucina e Lena la guardò di straforo. Nel silenzio della villa, si ritrovarono a sorridersi.
«Perdonami…», Lena si avvicinò a lei pian piano, camminando con le sole calze corte ai piedi. «Ero un po' brilla. Non dovevo scattare in quel modo con Lane, ho combinato un pasticcio». Senza tacchi ancora si meravigliava quanto diventasse bassa davanti a Kara, anche lei con le sole calze. La vide fare una smorfia con le labbra, puntare lo sguardo al cielo e, in un attimo, scoppiare a ridere, rossa sulle gote.
«Mmh… F-Forse qualcuno avrà capito che io sono la tua ragazza», disse, continuando a guardare da un'altra parte. Lena si lasciò andare a un brusio con la gola e, abbassando il capo, lo appoggiò sul suo petto.
«Ho combinato un pasticcio…», ribadì in un lamento.
«Beh», deglutì, «Probabilmente. M-Ma un giorno lo sarebbero venuti a sapere comunque. E… devo ammettere che-», si interruppe quando scorse Lena rialzare la testa, appoggiandosi a lei con il suo corpo, «che… non mi è dispiaciuto affatto come tu abbia messo in chiaro che io sia… la tua ragazza», trovò il coraggio di guardarla negli occhi. «Non mi è… dispiaciuto che ne fossi gelosa».
Lena ansimò e con il ginocchio destro riuscì a mettersi in mezzo alle sue cosce. La circondò con le mani e le insinuò sotto la sua maglietta, sulla pelle calda, e morbida. Non indossava il reggiseno. Alzò la testa il tanto per guardarle le labbra con desiderio e portargliele via in un bacio, socchiudendo entrambe gli occhi. Schiuse le labbra piano e sentì le braccia di Kara stringerla a sé. «Lo avevo già messo in chiaro quando ti ho fatto questo», le leccò il succhiotto sul collo e la sentì sospirare. Si baciarono di nuovo, più forte e più a fondo. «Kara, andiamo di sopra», le sussurrò e, neanche il tempo di aggiungere un'altra parola, che lei la sollevò portandosela in braccio, facendola spaventare. «No, Kara, no! Non così, dai!, ho paura», le uscì la voce stridula e la costrinse con un colpo a tornare indietro per spegnere il fuoco sulla tisana. «Mettimi giù».
«Ma sono la tua ragazza».
«Che obiezione è? Ti prendo a calci, così».
Kara passò metà rampa di scale a prendersi calci di paura e l'altra metà, una volta messa Lena a terra, a prendersi pizzicotti e buffetti per non averla messa a terra prima. Al sentire la mia ragazza rivolta Lucy, a Kara era sembrato diverso. Non avrebbe saputo spiegarlo. Poteva essere sembrato un nulla di che, ma invece era tanto. Stringerla e fare l'amore, toccarla con i polpastrelli e con le labbra, con la lingua, quella notte, le era sembrato un suggellamento di quelle parole, un metterci la firma. Era la sua ragazza.
Non riuscirono a prendere sonno, dopo. Lena la stringeva a sé e giocava con i suoi capelli, poggiata accanto al suo seno scoperto. Forse tutte e due avevano ancora molto a cui pensare, anche se erano stanche.
«Kara», la chiamò e lei attese. «Quell'uomo non ha ucciso mio padre».


***


Neppure Indigo poteva dormire. Non che riuscisse sempre a dormire a lungo durante la notte, ma da quando Carol le fece visita e decapitò la sua tigre bianca era diventato molto difficile lasciarsi andare e coccolare da Morfeo. Aveva giocato con Winn come promesso e, dopo averle di nuovo chiesto come stesse, il ragazzo le aveva lasciato la sua camera e se n'era andato a dormire sul divano nel salottino. Se anche uno come lui aveva intuito che qualcosa non andava, significava che doveva riprendersi in fretta. Non poteva permettersi che le facessero domande a cui avrebbe dovuto mentire. E poi, come un fulmine a ciel sereno, neanche immaginasse che era ancora sveglia, quello che aveva deciso di chiamare angelo custode si era fatto risentire dopo giorni di chiassoso silenzio:
Dovevo capire come mi sarei dovuto approcciare di nuovo a te, Indigo. Mi hai deluso, ma non capiterà più.
Lei si passò le mani sul viso e, facendosi forza, gli rispose:
Mi hai punito per qualcosa di cui non avevo colpe.
Ci aveva impiegato più di quanto si aspettasse a risponderle:
Me ne rendo conto. Perdonami, se puoi. Non interpretarlo come un segno di debolezza, ho semplicemente capito di aver preteso troppo da parte tua.
Da Me a X
Jackson Ur Phillings ha ucciso Lionel Luthor?
Da X a Me
Lena Luthor voleva un colpevole e gliel'ho dato. Sono solito a mantenere la parola data.
Indigo strinse i denti e il telefono sotto le dita, cominciando a sentire la pressione salire e il suo corpo, così umano, a sudare. Così umano.
Da Me a X
Voglio chiederti un favore: voglio tornare in prigione.
Da X a Me
In prigione? Non dovrai tornare in prigione, quando finirai con questo incarico.
Da Me a X
Mi sono sopravvalutata, questo incarico non è adatto a me e alle mie competenze. La prigione è dove merito di stare.
Il cellulare si bagnò di lacrime. Tutto quello che era stato, che era successo… Non poteva essere dalla parte di Lena neanche volendo, lo aveva capito tardi. Era così, dopotutto, che Carol era entrata in villa Luthor-Danvers: lei aveva controllato il loro impianto di sicurezza, e loro controllavano lei. Senza saperlo, era stata lei a farla entrare. Poteva schermarsi e sbatterli fuori dai suoi dati e accessi, certo, ma avevano loro il coltello dalla parte del manico; e la tigre bianca poteva diventare qualcun altro. Ogni mossa che faceva non era libera. Non l'avrebbe mai lasciata libera…
Da X a Me
Desolat*, non posso. È a causa mia? Ti ho fatto paura? Devi fare per me ancora un'altra cosa. Quest'altra cosa e dopo avremo chiuso, Indigo. Se andrà secondo i piani, non avrò motivo di tenerti ancora sotto le mie dipendenze.
Lei spalancò gli occhi azzurri, intanto che le dita che stringevano il cellulare avevano iniziato a tremare.
Da oggi potrai mettere in pratica la seconda parte del piano. Come preferisci, quando vuoi tu. Non abbiamo troppa fretta, fai che sia naturale.
Non voleva… Indigo strinse gli occhi bagnati, asciugandoseli con il lenzuolo.
Da Me a X
Ti vuoi vendicare dei Luthor per tuo padre? Howard? O di Lex Luthor e vuoi distruggere la loro famiglia?
Trattenne il respiro nell'aspettare la risposta a quelle domande. Forse aveva osato troppo. E aveva paura. Il suo cuore batteva impazzito, per poco rischiava di ingoiarlo. Non avrebbe dovuto fargli quelle domande, era stata una stupida. Una stupida. E non poteva cancellarle, ormai lui aveva visualizzato. E stava scrivendo…
Da X a Me
Sei arrivata fino a questo punto? La tua è solo curiosità o ti sei davvero innamorata di lei? Tutto questo non ti riguarda, Indigo: io erogo gli incarichi, tu li esegui. Sei cambiata da quando stai con loro. Sono genuinamente felice per te, ma ti prego, non farmi arrabbiare anche tu. Completa il piano con la seconda parte. Buonanotte, Indigo.
Lei strinse i denti. Non era innamorata di lei! Era solo che… Era solo che lei, loro… erano…
Da Me a X
La mia è solo curiosità. Non sono cambiata.
La sua famiglia. Loro erano la sua famiglia.
Da Me a X
Phillings odiava i Luthor, ma se non è stato lui, allora chi è stato? Anche tu odi quella famiglia e hai sempre detto di sapere chi è stato.
Da X a Me
Sei curiosa fino a questo punto? La curiosità ti ha reso chi sei, non è vero? E va bene.
X sta scrivendo…
Da X a Me
Sono stato io.




































***

Capitolo in ritardo di una settimana, scusatemi, ma la settimana scorsa non ho potuto.
Vi è piaciuto? Sono successe un bel po' di cose… alcune interessanti, e altre…
Beh, possiamo cominciare da Phillings! Ha o non ha ucciso Lionel Luthor? Lena si era decisa a credere che fosse colpevole, voleva l'assassino e voleva chiudere il caso, ma troppe cose non tornavano e ora è arrivata alla conclusione che non sia stato lui. Ma perché confessare un delitto non commesso? Specialmente quando hai una dipendenza da nicotina come quella… A quanto pare il garante di Indigo ci ha messo lo zampino. Lo aveva detto, in un capitolo scorso, che avrebbe dato a Lena l'assassino che tanto voleva trovare. Peccato che, ops, a Indigo abbia appena confessato di essere stato lui D: Il garante ha ucciso Lionel Luthor!
Abbiamo avuto anche dei piccoli indizi su di lui, però, da Carol e da Indigo.
E a proposito di Carol e Indigo… Rip tigre bianca peluche. Regalata da Lex a Indigo, hai avuto una vita breve, ma intensa. Beh, anche il lemure peluche si è beccato una coltellata.
È bello perché Nana la cagnolina sentiva che c'era qualcun altro in villa, ne sentiva l'odore, e ha perfino trovato la cannuccia che aveva Indigo in bocca quando era stata presa da Carol in corridoio… ah, se solo i cani potessero parlare!
E poi, e poi, Carina Carvex! Ora le ragazze hanno le prove che Carina è una bugiarda patologica, o quasi. In fondo non hanno sbloccato il suo telefono e non hanno potuto scagionare Jeremiah Danvers. Almeno la festa al bowling è stata una bella festa e Charlie ha flirtato con James, che si è lasciato andare °° Il potere dei bicipiti! E abbiamo fatto luce sulla notifica sul cellulare di Maggie! Vuole chiedere ad Alex di sposarla, anche se non pensa sia una cosa facile da fare. Infine, Lena ha sentito il bisogno di mettere i puntini sulle i a Lucy riguardo Kara. Ops.

Cosa? Leslie è incinta?



E ora spendo qualche parola riguardo il futuro di Our home: è di nuovo in pausa. Non sono riuscita ancora a finire il prossimo capitolo, mi dispiace, ma devo anche ammettere che mi viene davvero difficile scrivere questa storia, ultimamente. Lo so, di nuovo, ma non posso farci nulla. Anche se ho le idee ben chiare e so cosa scrivere e dove andare a parare, il modo in cui lo faccio non mi piace, non mi convince, e anche questo capitolo mi pare sia venuto su con la forza, che non abbia sentimento. Magari a voi non darà le stesse sensazioni, ma a me sa di compitino senza pretese, senza anima. E non è così che voglio concludere questa fan fiction per me molto importante. Quindi nulla, sono costretta alla pausa ma va bene così, sono distratta e non giova a questa storia.
Ringrazio chi mi ha sempre sostenuto e… tornerò. Non so quando, ma spero solo con dei capitolo scritti con l'anima dentro, e non compitini.
Alla prossima!


   
 
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