Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |      
Autore: SSJD    18/05/2021    8 recensioni
*(Vincent van Gogh)
Max e Lukas, compagni di stanza al campus di una famosa università d'arte americana, finiscono a condividere una strana esperienza.
Lukas è a letto malato e non riesce a finire di leggere un libro per un esame. Chiede a Max se può leggerglielo e l'amico accetta volentieri, salvo poi scoprire che il testo ha qualche sfumatura di erotismo inattesa...
La storia ha partecipato al contest “Evocami col mio nome, ti svelerò i miei segreti – Edizione speciale Setsy&Mystery” indetto da Setsy e mystery_koopa sul Forum di EFP.
Storia inserita tra le scelte del sito e del Forum
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NA: I personaggi protagonisti di questa storia nascono da un lavoro a 4 mani scritto con Yonoi dal titolo “I custodi della soglia” (https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3890878&i=1), che trovate nella sua pagina.
Naturalmente potete leggere questa mia nuova OS anche senza aver letto l’altra mirabolante avventura. Ma, per maggiore chiarezza, vi lascio giusto due informazioni sui protagonisti.
 
Yuri Alexander Maximilian Smirnov (per tutti Max) frequenta il primo anno alla Siena Heights University nel Michigan quando, su un sito internet per pittori che pubblicano opere online, conosce Lukas Marinetti, un anno minore di lui. Da subito nasce un rapporto di amicizia molto forte, inattaccabile, anche se i due, di fatto, in comune hanno solo l’amore incondizionato per l’arte. Finiscono col frequentare più o meno gli stessi corsi alla Siena e sono compagni di stanza al campus universitario.
 
Detto ciò, vi informo che in blu corsivo trovate il racconto che Max legge a Lukas.
Buona lettura.

 
***
 
 
 
Dedico questo racconto
 al mio amico Yonoi.
Scusa se ti ho fatto fare il 
tuo reale lavoro anche qui…   
Ti stimo, fra’.
 
Ogni artista intinge il pennello nella sua anima, e dipinge la sua stessa natura nelle sue immagini.
(Henry Ward Beecher)
 
 
 
 
Il pennello sta alle mie dita assolutamente per mio piacere.
(Vincent van Gogh)
 
 
 
 
 
 
“Ehi, ciao, scusa, non volevo svegliarti. Come ti senti?” mormorò Max, dispiaciuto per aver destato il suo compagno di stanza.
“Ciao. Sto così così, ma non credo di avere la febbre. Com’è andata la lezione?” chiese Lukas stropicciandosi gli occhi e stiracchiandosi leggermente.
“Bene, sono riuscito a farmi dare gli appunti delle lezioni della Miller che abbiamo saltato, nel pomeriggio vado a fotocopiarli anche per te. Sai che la prof mi ha bloccato in corridoio chiedendomi che fine avessimo fatto? Mica si è scomposta quando le ho spiegato che avevi la febbre, anzi! Mi ha detto di ricordarti che il progetto di grafica editoriale lo devi consegnare con una settimana in anticipo,” lo informò tutto d’un fiato, come se non volesse scordarsi nulla di importante.
“C-cosa?” sgranò gli occhi Lukas allucinato, “Come una settimana prima? Ma non ce la farò mai! Se mi metto a leggere mi si chiudono gli occhi dopo dieci sec…”
Interruppe la frase, soffocando le parole in un forte colpo di tosse.
Max gli porse un bicchiere d’acqua e attese che l’agitazione dell’amico passasse.
Quando Lukas riprese fiato, fece un sospiro e mormorò abbacchiato:
“Mi toccherà saltare l’appello”.
Max gli prese il bicchiere vuoto dalle mani e lo depose sulla scrivania. Poi scrutò l’amico e chiese:
“Mi spieghi in cosa consiste questo progetto?”
“Tutti devono leggere un libro in fase di pubblicazione e alla fine elaborare una copertina artistica che il libro ha ispirato loro,” spiegò a fatica Lukas, “la copertina migliore verrà proposta all’autore per la pubblicazione,” concluse.
“Oh, interessante. Hai già un’idea?” chiese a quel punto Max incuriosito.
“Ho letto troppo poco per farmela. Ho iniziato tre dei libri proposti e nessuno mi ispira un gran che,” spiegò il minore.
“Quali sarebbero questi libri?” chiese l’amico.
“Quelli,” rispose, indicando tre volumi impilati sulla sua scrivania.
Max prese quello più in alto, un libretto con la copertina bianca rigida che riportava un titolo accattivante stampato in normalissimi caratteri neri: “Madre Natura”.
“Questo com’è?” chiese Max, sempre più curioso.
“Mah… Per ora so solo che c’è un tizio, un pittore, che ha pubblicato un annuncio su un giornale per cercare una modella per un importante lavoro artistico dal titolo “Madre Natura”. Ne ha già viste un paio, ma non andavano bene. Poco fa leggevo che è arrivata una terza… ma poi mi sono abbioccato di nuovo. Se fosse già pubblicato, cercherei l’audiolibro, ma così… Ma mi stai ascoltando?” chiese sconsolato il giovane.
L’altro alzò lo sguardo oltre al bordo del volume e arrossendo chiese:
“Dicevi?”
“Ma lo stai leggendo?” chiese Lukas scocciato.
“Ehm… sì, non è male!” rispose il maggiore sorridendo.
“Ma scusa, se ti piace così tanto, perché non leggi ad alta voce? Così unisci l’utile al dilettevole e mi fai da audiolibro, no?” domandò con un tono che faceva trasparire una sorta di supplica.
“Certo, volentieri, possiamo cominciare subito, se vuoi!” esclamò raggiante, “Dove sei arrivato?” chiese cercando la pagina.
“Come, dove sono arrivato… dove c’è il segnalibro, no?” spiegò Lukas con l’espressione tipica di chi sta sottolineando l’ovvio.
“No, non c’è alcun segnalibro, guarda!” insistette il maggiore mostrandogli il volume.
“Ma ci deve essere! Che fine ha fatto?” chiese tutto agitato.
“Com’è fatto? Ti aiuto a cercarlo,” si propose l’amico.
“È una carta di gomma da masticare Brooklyn, gusto liquirizia,” spiegò Lukas.
Max smise di darsi da fare per trovare il misterioso segnalibro scomparso e guardò l’amico con un sopracciglio alzato. Poi commentò:
“Una carta delle Brooklyn? Ma sul serio? Mi stai facendo impazzire per cercare una stupida cartina delle gomme? Non puoi prendere un post-it qualsiasi?”
“Non era una cartina qualsiasi, c’era un numero di telefono, dietro,” spiegò Lukas, continuando a cercare tra le pieghe delle coperte.
“E di chi, si può sapere?” chiese incuriosito il maggiore.
“Tina, studia fotografia. Il progetto va consegnato come foto. A-ah! Eccolo! Non perderlo di nuovo, per favore…” disse inserendo nel libro, alla pagina corretta, il suo preziosissimo segnalibro.
Max non poté fare altro che alzare gli occhi al cielo e sospirare paziente:
“Guarda che sei tu che hai riposto il libro sulla scrivania senza inserirlo, non io,” precisò, mentre recuperava una sedia per accomodarsi a fianco al letto dell’amico malato.
Afferrò il volumetto, spostò il segnalibro qualche pagina più avanti e, con calma, iniziò a leggere.
 
 
 
          Una fioca luce filtrava dalle due piccole finestre presenti su un solo lato della stanza resa altresì buia e cupa da bassi soffitti a cassettoni e pareti annerite dal fumo del vecchio camino presente in un angolo.
Ari stava in piedi, al centro del locale, attendendo con una leggera ansia l’arrivo del maestro.
“Aspettate qui,” l’aveva informata una donna di mezza età dall’aria austera.
Ari si guardava attorno cercando di mantenersi calma.
L’odore di tempere e solventi si mischiava al profumo di legno del pavimento e del soffitto.
Lo scoppiettare del fuoco nel camino regalava un dolce tepore, tanto che la ragazza si sentì libera di potersi togliere il cappottino nocciola che aveva appoggiato sulle spalle.
Proprio nel momento in cui stava per depositarlo ripiegato sulla spalliera di una sedia, sentì la porta aprirsi, con un fastidioso cigolio.
Si voltò e vide entrare un uomo nella stanza.
“Maestro,” lo salutò cordialmente, con un leggero inchino.
Lui chiuse la porta e fece un cenno con la testa.
“Venite, fatevi osservare,” la invitò a spostarsi vicino a una delle due finestre.
Lei lo seguì.
Non appena la luce la investì, il maestro sgranò gli occhi.
Mai nella sua vita aveva potuto incontrare una giovane di cotanta bellezza.
Il viso, dai tratti così perfetti da sembrare quasi di porcellana, era incorniciato da una chioma di uno straordinario color ebano: fili di raso che le cadevano sulle spalle, fino a metà della schiena.
La ragazza guardò il pittore con due occhi di un verde quasi innaturale.
Schiuse le labbra e le inumidì leggermente, rendendole di un roseo colore irreale.
L’uomo le girò attorno, osservandone i minimi dettagli, dal colore della pelle, a quanto apparisse vellutata ai suoi occhi.
Dopo aver compiuto un giro completo, si posizionò di nuovo davanti a lei e chiese:
“Come vi chiamate?” 
“Ari, maestro,” rispose, abbassando lo sguardo.
“Quanti anni avete?”  
“Sedici, signore, appena compiuti,” precisò.
“Sapete di che tipo di arte mi occupo?” domandò serio.
“So che cercate una modella. Immagino siate un ritrattista,” ipotizzò la giovane.
“No, non esattamente. Venite, vi mostro un album di foto con i miei lavori,” le disse, allungando un braccio per indicarle di avvicinarsi a un tavolino, a fianco al camino.
L’uomo aprì un libro rilegato in pelle scura e mostrò alla ragazza parte dei suoi lavori.
C’erano donne con il corpo completamente dipinto a temi sempre differenti.
Una pitturata interamente di blu, con pesci variopinti che sembravano uscire dalle sue natiche.
Un’altra era ricoperta di fiori coloratissimi e una sembrava essere avvolta dalle fiamme.
Ari rimase colpita nel constatare che, nonostante le modelle fossero completamente nude, questo particolare non si notava per niente, nel disegno complessivo che ricopriva il loro corpo…”
 

“Body-painting, so di gente che fa delle cose fantascientifiche…” mormorò Lukas.
“Sì, ti attira?” chiese Max incuriosito.
“Come tela o come pittore?” chiese, non sapendo bene cosa rispondere.
“Non lo so, una delle due. È una forma d’arte che ti ispira?”
“Forse come pittore. Come modello… no, credo di no… ma scommetto che per te è esattamente il contrario…” sorrise Lukas.
“Già, mi conosci fin troppo bene…” gli rispose Max.
“Continui?” chiese con una voce davvero stanca l’amico.
“Sì, certo, scusa. Dov’ero?... Ah, sì. Ecco qui.”
Max si schiarì la voce e proseguì:
 
          Ari sfogliò il libro con delicatezza, osservando estasiata ogni singola foto. Arrivata a metà dell’album, si rese conto che le successive pagine erano vuote.
“Sono meravigliose, maestro,” disse, richiudendo il libro.
“Volete ancora il posto da modella?” le chiese facendosi serio.
“Ma certo, se sono adatta per il vostro prossimo progetto, sono disponibile a iniziare quando desiderate,” rispose, non nascondendo una buona dose di entusiasmo.
L’uomo incupì ancora di più lo sguardo e chiese:
“Non provate vergogna a farvi vedere nuda da me?”
Ari mostrò un sorriso coinvolgente, accentuato da due deliziose fossette ai lati della bocca, e replicò candidamente:
“Perdonate la sfacciataggine, maestro, ma se gli artisti o i modelli avessero un senso del pudore troppo accentuato, non avremmo mai potuto osservare un Davide di Michelangelo o una Venere di Milo…” rispose candidamente.
 

“Eheh, Max. La ragazzina ne sa più di te,” cercò di sorridere.
“Che scemo che sei, ognuno ha il suo stile. Da ritrattista preferisco concentrarmi sui visi o sulle figure che osservo fuori per strada, o sedute al tavolo di un ristorante. Perché dovrei mettermi a dipingere nudi?” chiese Max con calma.
“Privi il mondo di opere che potrebbero essere capolavori,” rispose l’amico convinto.
“Se’, crediamoci. Meglio che continui a leggere. O preferisci riposare? Posso continuare domani…”
“No, puoi finire il capitolo, per favore?” domandò Lukas.
“Ma certo, manca una paginetta.
 
          Il maestro la guardò per qualche secondo, strofinandosi la barba di uno strano colore misto tra il rosso e il biondo.
Poi fece un sospiro e disse:
“Posso chiedervi di spogliarvi? Devo verificare il colore della vostra pelle, la morbidezza e le dimensioni del vostro corpo”.
La ragazza si morse le labbra, apparentemente indecisa, ma poi, senza dire nulla, si tolse prima le scarpe, poi la gonna; si slacciò la camicetta di un rosa tenue e la depose, assieme agli altri indumenti, sulla stessa sedia sulla quale, poco prima, aveva lasciato il cappottino.
Rimase in reggiseno, mutandine e calze autoreggenti color carne.
Fece per slacciarsi il reggiseno, ma l’uomo la fermò: era sufficientemente scoperta per valutare la sua “tela”.
La osservò attentamente, constatando che la pelle della ragazza era indiscutibilmente del colore giusto per ciò che aveva in mente di dipingerci sopra.
La giovane era alta quasi come lui e robusta abbastanza perché non si vedessero le orribili costole che le altre modelle tanto orgogliosamente mostravano.
Un seno piccolo e sodo, della misura giusta per una ragazza così giovane, arricchiva il compiacimento del pittore.
Ari era oggettivamente perfetta come modella.
L’uomo prese un pennello e scelse un tubetto di colore verde smeraldo. Immerse le setole nella pasta densa e le disse:
“Vi dipingo qualcosa sul braccio, così verifico la presa del colore e voi potete iniziare a capire cosa vi aspetta”.
Si mise al fianco di lei e, con estrema calma e un tocco leggerissimo, disegnò un piccolo quadrifoglio all’altezza della spalla.
Ari sentì un brivido percorrerle la pelle.
Il maestro se ne accorse e subito le chiese:
“Soffrite il solletico?” 
“Perdonatemi, il pennello era solo un po’ freddo. Continuate, vi prego,” arrossì la ragazza.
L’uomo terminò di riempire i quattro petali, con estrema cura. Quando finì, attese qualche breve istante che la tempera asciugasse, poi disse:
“Venite vicino alla finestra, voglio osservare meglio il colore”.
Un tenue sole filtrava in quel momento attraverso i vetri e fu quindi più facile verificare che il verde del quadrifoglio appena dipinto fosse esattamente della tonalità che l’artista desiderava ottenere.
“Perfetto,” sentenziò. Poi guardò la ragazza e abbozzò un leggero sorriso.
“Dunque? Ho passato l’esame?” chiese la giovane sorridente.
“Direi proprio di sì. Ci vediamo domani, alle otto in punto. La signora Meier vi preparerà, prima della seduta,” la informò, tornando serio, “potete rivestirvi, grazie per essere venuta,” concluse, uscendo dalla stanza.

 
Max fece per chiudere il libro, ma Lukas, nonostante lo stato di torpore, riuscì a dirgli:
“Ricordati il segnalibro…” prima di cadere in un sonno profondo.
L’amico rispose il volume sulla scrivania, a fianco al letto di compagno di stanza. Poi gli appoggiò le nocche sulla fronte e incupì lo sguardo nel constatare che la febbre era di nuovo salita.
 
***
 
Max si sdraiò sul suo letto, con le mani sotto la testa a pensare e ripensare.
Se solo avesse fermato Lukas, qualche giorno prima, forse non si sarebbe ridotto in quel modo.
 
L’aveva sentito alzarsi alle sei, come tutte le mattine, e infilarsi la tuta per uscire a correre.
Mai più si sarebbe immaginato ciò che poi effettivamente sarebbe successo.
Il telegiornale aveva classificato l’evento come “straordinario”: una nevicata improvvisa, in pieno mese di maggio, erano secoli che non si vedeva più in quella regione.
Lukas aveva corso i primi cinque chilometri, poi il cielo aveva iniziato a coprirsi. Il tempo di pensare se fosse il caso di rientrare o aspettare che l’ormai imminente temporale passasse, che il cielo aveva aperto i rubinetti e iniziato a buttare acqua ghiacciata, mista a neve, come se fosse pieno inverno. In un attimo si era ritrovato nel mezzo del nulla, senza un posto dove ripararsi, o mettersi al calduccio, ad attendere che l’inferno decidesse di trasferirsi altrove.
Come unica soluzione, aveva trovato quella di rimettersi in marcia e correre velocemente verso casa.
L’aveva visto rientrare giustappunto nel momento in cui lui stava uscendo dalla loro camera, per andare a lezione.
“Cazzo, Lukas, ma cosa diavolo è successo?” gli aveva domandato, riaprendo la porta e permettendogli di entrare.
“Non lo so, è arrivata all’improvviso, non ho potuto fare nulla… Mi faccio una doccia calda e vengo con te a lezione, mi aspetti?” gli aveva risposto, probabilmente senza rendersi nemmeno conto di essere letteralmente ridotto a uno straccio.
Aveva atteso con una certa apprensione che l’amico finisse la doccia.
Poi l’ansia si era trasformata in vera e propria paura, quando l’aveva visto uscire dal bagno e crollare pallido sul letto.
L’aveva soccorso immediatamente, chiamando in aiuto il medico del campus.
La diagnosi era stata devastante: sospetta polmonite.
Riposo assoluto, antibiotico, antipiretici per la febbre. Bere molto e possibilmente mangiare non troppo elaborato.
“Passerò nei prossimi giorni a vedere come sta; mi raccomando, mi chiami se nota un qualsiasi peggioramento,” aveva detto il dottore prima di andarsene, lasciandolo nello sconforto più totale.
Dal suo punto di vista, un ulteriore peggioramento delle condizioni dell’amico poteva significare solo il suo trapasso. Altri stadi intermedi non pensava potessero esistere.
Per due giorni l’aveva curato, uscendo dalla camera solo per andare a pranzo e a cena alla mensa, a recuperare qualcosa da mangiare anche per Lukas.
Aveva saltato le lezioni con l’idea che, se vi avesse preso parte e in sua assenza fosse successo qualcosa al compagno di stanza, non se lo sarebbe mai perdonato.
Solo quel mattino aveva portato una novità.
Lukas si era svegliato senza febbre e con un gran appetito. Aveva aspettato che Max si destasse a sua volta e semplicemente gli aveva dato il buongiorno accompagnato da un sorriso.
“Buongiorno a te, come stai? Hai la febbre?” gli aveva chiesto.
“No, l’ho misurata, guarda,” aveva risposto, mostrando orgoglioso il termometro preso dal comodino pieno di pasticche di ogni tipo.
“Sì, ti credo, si vede che hai un’altra faccia stamattina. Sono felice che tu stia meglio. Mi hai fatto preoccupare tantissimo.”
“Mi dispiace. Anche di averti chiuso qui dentro per due giorni,” si era scusato sinceramente.
“Scherzi? Anche tu l’avresti fatto per me,” lo aveva rassicurato con un sorriso.
“Oggi però sto davvero meglio, sarei felice se tu andassi a lezione anche per me. Magari riesci a recuperare gli appunti dei giorni scorsi da qualcuno…”
“Stai cercando di cacciarmi via?” gli aveva domandato con un finto broncio, ma in realtà grato all’amico di potersi allontanare per qualche ora.
“Allora vado, ma promettimi che se stai di nuovo male mi fai un colpo di telefono, anche se sono a lezione. Vedrai che arrivo subito!” si era raccomandato.
“Promesso, me ne sto qui buono a leggere qualcosa. Ora vai, che se fai tardi la strega ti trasforma in un rospo,” aveva scherzato Lukas.
E così, più o meno tranquillo, era andato alla lezione di arte dei graffiti della signorina, un modo gentile per non chiamarla zitella, R. D. Miller. Una donnetta sulla settantina che, col tempo, anziché acquistare dolcezza e sapienza, qualità tipiche delle persone avanti con gli anni, era diventata il terrore degli studenti che non si erano risparmiati di affibbiarle il nomignolo di strega.
Dopo la lezione, era riuscito a recuperare gli appunti dei giorni precedenti e, tutto contento, stava tornando in camera, quando era stato letteralmente bloccato da una voce stridula che lo chiamava per nome:
“Signor Smirnov!”
Si era voltato con gli occhi spalancati e aveva dovuto abbassare lo sguardo di una spanna e mezza per poter incontrare quello severo della signorina zitella Miller.
“Signor Smirnov, spero che lei e il signor Marinetti abbiate una buona giustificazione per non essere venuti a lezione in questi giorni,” aveva detto con un tono davvero acido.
“Lu… il signor Marinetti è a letto con la febbre, professoressa,” aveva spiegato lui, confidando nella compassione della donna.
In tutta risposta lei aveva assottigliato lo sguardo e, puntando il dito indice sotto al naso del ragazzo, lo aveva quasi minacciato:
“Lo informi che, per l’esame di grafica editoriale, mi deve consegnare il lavoro finito una settimana prima dello scritto, e non ammetto scuse. Ha capito?”
“C-certo, lo avviserò. Buona giornata, professoressa,” l’aveva salutata senza aspettarsi la minima risposta, poi era tornato in camera e aveva trovato Lukas a riposare. Aveva cercato di fare piano, ma non appena aveva chiuso la porta, l’amico si era destato.
 
***
 
Max si stiracchiò e si mise a sedere sul letto.
Guardò l’amico riposare per qualche istante, poi decise di alzarsi e andare a prendere il libro che Lukas avrebbe dovuto finire in un paio di giorni per poi dedicarsi al lavoro artistico da consegnare in tempo utile, prima dell’esame.
Si rilassò leggermente nel constatare che, col suo aiuto nella lettura, erano arrivati più o meno a metà.
Ancora di più si tranquillizzò nel buttare uno sguardo fuori dalla finestra. Il cielo si stava facendo plumbeo e, se le previsioni erano corrette, avrebbe piovuto tutto il fine settimana.
Lukas non avrebbe fatto storie per tentare di accelerare a suo modo i tempi di guarigione uscendo a fare due passi e così, insieme, avrebbero potuto terminare il racconto.
 
Per fortuna di Max, una volta tanto le previsioni diedero un senso alla loro nomea. Settantadue ore di pioggia ininterrotta.
Il sabato mattina i due ragazzi si svegliarono praticamente assieme. Grande fu la gioia del maggiore nell’apprendere che la febbre di Lukas fosse scesa senza l’utilizzo di alcun farmaco.
Max si vestì e uscì a recuperare dei pancake per colazione. Quando tornò, Lukas aveva preparato due ‘cappuccini italiani’, come li chiamava lui.
“Sta finendo il caffè, dobbiamo ordinarlo, ci pensi tu?” disse spegnendo la macchinetta per l’espresso e cappuccino che si era fatto spedire direttamente dalla nonna italiana.
“Sì, certo, il solito o vuoi provare qualcosa di nuovo?” chiese Max.
“Chi lascia la strada vecchia per quella nuova…”
“Parli come tua nonna. Facciamo colazione e poi andiamo avanti a leggere?” propose.
“Facciamo colazione, ordini il caffè e poi andiamo avanti a leggere…” specificò Lukas, azzannando i pancake spalmati di un’abbondante quantità di marmellata di fragole.
 
“Dove eravamo rimasti?” chiese Max, per fare mente locale sull’ultima pagina letta.
“Che il pittore le dice che è perfetta per il suo lavoro e che deve presentarsi l’indomani mattina,” spiegò Lukas sommariamente.
“Ah, sì, sì, mi ricordo.
 
          Il giorno seguente, Ari arrivò puntuale alle otto, come le era stato ordinato.
Bussò al portone e ad aprirle arrivò la signora Meier.
Quest'ultima la fece entrare e l’accompagnò in una sorta di sala da bagno. Le indicò uno spogliatoio e le disse:
“Spogliatevi, poi venite da me nell’altra stanza”. 
La giovane rispose tutti i suoi indumenti perfettamente ripiegati sull’unica sedia presente nello stanzino poi, completamente nuda, raggiunse la donna che la stava aspettando.
“Cosa devo fare?” chiese Ari gentilmente.
“Prendete questa crema e spalmatela sull’inguine e sotto le ascelle,” rispose secca la donna, porgendole un barattolo di vetro scuro chiuso con un coperchio di metallo.
La ragazza eseguì l’ordine senza discutere. Si spalmò accuratamente la crema dove le era stato indicato e poi richiuse il barattolo, restituendolo alla signora.
“Venite. Sedetevi su questo sgabello,” le ordinò asciutta.
Ari, leggermente a disagio per quella crema che l’avrebbe fatta tornare esteticamente bambina, si sedette.
La donna le girò attorno, si mise alle sue spalle e le raccolse i capelli in una treccia molto curata, che partiva dall’alto della testa e si chiudeva poco sotto le spalle con un elastico di gomma.
L’operazione durò circa una decina di minuti, tanta fu la cura che la donna ci mise per raccogliere ogni singola ciocca sfuggente.
Terminata la sua opera, si posizionò di nuovo davanti alla ragazza e le consegnò una sorta di spatola di plastica.
“Venite,” le disse, facendo cenno di seguirla.
Ari fu scortata in un’altra sala al centro della quale c’era una vasca piena d’acqua, dalla quale si sollevava una leggera nebbia superficiale.
“Immergetevi e levate con la spatola i residui della crema. Quando avete finito, mettetevi quell’accappatoio e tornate da me,” disse, uscendo dalla stanza.
La giovane eseguì tutto quanto le era stato detto. Quando si sollevò dalla vasca, le fece uno strano effetto vedere la sua immagine nuda riflessa nello specchio appeso al muro, a fianco allo sgabello su cui c’era l’accappatoio che doveva indossare.
Si avvicinò, lasciando piccole impronte bagnate sul pavimento in terracotta e si posizionò davanti allo specchio. Alzò le braccia, per verificare se la crema avesse fatto correttamente il suo lavoro. Soddisfatta, riabbassò gli arti lungo i fianchi e guardò in basso.
L’inguine glabro le apparve come una V rosea che la riportò a qualche anno prima quando, ancora bambina, vestiva bambole lisce come lei.
Si infilò l’accappatoio e si frizionò leggermente il corpo, per togliere l’acqua in eccesso, poi tornò dalla donna che la stava aspettando.
“Fatemi controllare se siete a posto,” le disse.
Ari aprì l’accappatoio e spostò lo sguardo in alto, mordendosi nervosamente le labbra, mentre la donna faceva scorrere le dita prima sotto le ascelle e poi sulle sue labbra intime, lisce come seta.
“Molto bene, venite, vi accompagno dal maestro,” disse infine.

 
“Vuoi che continui?” chiese Max, vedendo l’amico agitato e sofferente.
“Sì, no, è che… stavo pensando… che culo ‘sto pittore, no? Sedicenne disinibita, completamente depilata, offresi per body painting… complimenti al ‘maestro’ se non si eccita almeno un pochino,” scherzò.
“Sei il solito pervertito. Quindi, secondo te, Goya, Manet? Andavano avanti a bromuro per calmare i bollenti spiriti?” domandò Max.
“Ma che c’entra? Loro dipingevano modelle, non sulle modelle, è diverso…” ironizzò Lukas.
“No, non lo è. Se uno di professione fa… ecco! Il ginecologo! Che fa, si eccita ogni volta che infila le dita in una vagina?” chiese Max convinto di aver colto il punto.
“Ma dai, che esempio del cazzo. È ovvio che no, lui è un dottore. Ne visita cento al giorno, ormai le vedrà con indifferenza, come un podologo coi piedi. Vedrai che questo pittore, con questa ragazza, combina qualcosa, sicuro. Continua, continua a leggere!” suggerì il ragazzo sicuro della sua teoria.
Max alzò gli occhi al cielo, prima di riposarli sul libro e proseguire.
 
          Ari seguì la donna fino alla porta dello studio in cui era stata esaminata il giorno prima.
“Potete entrare,” le disse, abbassando la maniglia dopo aver bussato.
La ragazza fece un leggero inchino e si fece avanti.
“Benvenuta, accomodatevi, prego,” le andò incontro il pittore con la solita cordialità.
“L’accappatoio,” disse la signora Meier, ancora sull’uscio, allungando un braccio per prenderlo.
Ari slacciò la cinta e se lo tolse.
Glielo porse e la donna, senza nemmeno congedarsi, se ne andò.
“La temperatura è di vostro gradimento?” chiese l’artista, con un tono di voce molto accomodante.
“È perfetta, grazie. Cosa devo fare?” domandò timidamente.
“Dovreste sdraiarvi su questo tavolo e rilassarvi il più possibile. Ho scaldato i colori a bagnomaria, così non vi verranno i brividi quando li poserò sulla pelle. Quando siete pronta, possiamo iniziare,” spiegò con molta calma, mostrandole una tavola rivestita da un telo bianco di lino.
La ragazza si sdraiò.
“A pancia in giù, per favore,” precisò l’artista.
“Potete appoggiare il mento alle mani, se volete. L’importante è che stiate il più comoda possibile e che non sentiate la necessità di muovervi,” si raccomandò.
Ari appoggiò la guancia sinistra sul telo e le braccia piegate a lato della testa.
“Va bene così?” chiese cordialmente.
“Perfetto, ora dovete rilassarvi completamente. Ci vorrà un po’ di tempo. Possiamo iniziare,” la informò l’artista.
Prese un pennello, lo intinse in una pasta di un intenso colore marrone e iniziò a sfogare la sua fantasia sulla sua formosa tela.
Ari sentiva scorrere le setole morbide sulla sua pelle con un tocco leggero, come se un velo di seta si stesse muovendo su di lei. Chiuse gli occhi e si godette a lungo quella sensazione di indescrivibile piacere. Una carezza morbida e vellutata che, a poco a poco, stava raggiungendo ogni singolo centimetro della sua pelle.
Provò una sensazione di assoluto rilassamento e, lentamente, si addormentò.
Quando aprì gli occhi, dovette riprendersi per qualche istante per capire esattamente quanto tempo fosse passato e cosa le fosse accaduto.
Sollevò il viso leggermente arrossato e guardò il maestro che stava pulendo i suoi pennelli, in un lavandino posto in fondo alla stanza.
“Perdonatemi, per quanto tempo ho dormito?” chiese senza spostarsi dalla posizione in cui si trovava, per paura di combinare qualche guaio.
“Tutto il tempo necessario per permettermi di terminare il mio lavoro,” le rispose, chiudendo l’acqua del rubinetto e afferrando uno straccio di cotone, per tamponare i pennelli che teneva in mano.
“Avete… terminato?” chiese un po’ stranita.
“Dietro sì, è completato. Potete alzarvi e vedere se piace anche a voi quanto aggrada me!” disse entusiasta, mostrandole due specchi, uno di fronte all’altro, in cui potersi rimirare.
Ari si alzò e si posizionò tra i due vetri in modo tale da riuscire a vedere cosa fosse stato dipinto sul suo corpo.
Ciò che le si parò davanti agli occhi la impressionò. Gli specchi riflettevano l’immagine tridimensionale del tronco di un albero talmente realistico nei minimi dettagli, che Ari si spaventò quasi. Pensò addirittura che della corteccia, ornata da muschio e abitata da insetti vari, fosse cresciuta veramente in poche ore sulla sua schiena.
Le gambe erano state dipinte come grosse radici. Qua e là piccoli ciuffi di erba e qualche vermino facevano capolino tra pieghe dipinte che le solcavano la pelle.
“Vi piace? Cosa ne pensate?” chiese l’uomo.
“Maestro, è incredibile. Ma come avete fatto?” domandò la ragazza estasiata.
“In effetti siete voi che mi ispirate. Siete pronta a ricominciare?” chiese cordiale.
“Sì, certo, sono pronta,” rispose Ari con un sorriso.
Si sdraiò di nuovo sul tavolo, in posizione supina, con le braccia lungo i fianchi.
“Le braccia in alto, per favore,” le ordinò il maestro.
“Rilassatevi e, se dovete muovervi per qualche motivo, avvisatemi che smetto di dipingere,” concluse.
Ari chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, come aveva fatto poche ore prima. Per un po’ ci riuscì, il lavoro era ricominciato dalle braccia diventate, in breve tempo e come per magia, dei lunghi rami di albero, talmente realistici da stupirsi della mancanza del tipico odore di umido che satura i boschi di montagna.
Fu quando il pittore si mise a dipingere i palmi delle mani e trasformare le dita della ragazza in sottili ramoscelli, terminanti con piccole foglioline verde brillante, che la ragazza si trovò a riaprire gli occhi inquieta.
Mentre le setole percorrevano lente le sue dita, strani brividi iniziarono a percorrerle il corpo.
Improvvisamente sentì uno strano piacere invaderle la mente e, solo quando riuscì ad abituarsi a quel tocco così sensuale, fece un sospiro, si rilassò e tornò a chiudere gli occhi.
Terminata la pittura sulle mani, il maestro si dedicò alle gambe, riprendendo lo stesso tema che già aveva terminato nella parte posteriore.
Circa un’ora più tardi, solo il busto e il ventre rimanevano ancora da terminare.

 
“Accidenti che brava questa ragazza,” commentò Max prendendosi una pausa.
“Beh, perché? Lui? Ti rendi conto che ancora non l’ha sfiorata con un dito?” domandò Lukas che sembrava davvero perplesso, per la mancanza di attrazione fra il pittore protagonista e la giovane Ari.
“Perché? Tu quando dipingi ti metti a palpeggiare la tela?” lo prese in giro Max.
“Se fosse quella tela, magari sì… dai continua che voglio sapere cosa succede. Adesso arriva la parte più interessante,” lo incalzò l’amico.
Il maggiore sospirò e, con una pazienza infinita, continuò a leggere.
 
          “Il pittore intinse un pennello di medie dimensioni in una vaschetta contenente tempera nera e dipinse un grosso cerchio irregolare sul ventre della ragazza, riempiendolo completamente e creando una sorta di buco nero. Mentre attendeva che il colore asciugasse, si dedicò a terminare il contorno. Con un pennello più piccolo del precedente, imbevuto di tempera marrone, iniziò a dipingere prima il collo e le spalle e poi, a poco a poco, scese lentamente e con precisione di dettagli a colorarle il seno.
Ari tornò ad aprire gli occhi. Il pennello sfiorava lento ogni centimetro della sua pelle, donandole un delizioso piacere che raggiunse il culmine quando, con infinita delicatezza, l’uomo iniziò a dedicarsi ai capezzoli rosei che, in pochi istanti, diventarono turg…
 

“Lukas! Ma cazzo! Guarda che te lo finisci di leggere da solo il libro!” si arrabbiò Max, sgridando l’amico.
“Ma, scusa, è la natura! Cosa posso farci se mi eccita?” protestò il più giovane.
“E secondo te cosa dovrei fare adesso? Come faccio a proseguire con te in queste condizioni?” protestò, indicando il leggero rigonfiamento, che si intravedeva sotto le coperte, tra le gambe dell’amico. “O ti dai una calmata oppure, visto che mi sembri guarito, te lo finisci da solo, va bene?” lo minacciò.
“OK, sì, ora mi calmo... Posso farmi una sega?” chiese come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Ma che cazzo c’hai? Tredici anni? No che non te la fai, una sega! Il medico ha detto ‘riposo assoluto’! Quanto mai mi sono messo a leggerti ‘sto libro. Fammi vedere gli altri due come si intitolavano: ‘L’arte della seduzione’ e… ‘S come sesso’? Ma che diamine di titoli! Ma qualche storia di mistero o anche un bell’horror no?” chiese scazzato.
Lukas si limitò a fare spallucce e a stringere le labbra come a dire che di certo non era colpa sua. Poi, come se nulla fosse, disse:
“Ho fame. Possiamo pranzare e poi continuiamo?”
“Se prometti di non farmi arrabbiare più. Ok?”
“Promesso,” mormorò Lukas dispiaciuto.
Bastò mangiare qualcosa assieme perché tutto tornasse come se nulla fosse successo.
Poco dopo, Max riprese in mano il volumetto e ricominciò da dove aveva lasciato il segnalibro.
 
          Il respiro di lei si fece più profondo. Era evidente il suo tentativo di rimanere calma, ma riuscì a rilassarsi di nuovo solo quando il pittore tornò a concentrarsi sulla parte centrale e più importante della sua opera. Il buco nero preparato in precedenza era finalmente asciutto e pronto per essere sovra dipinto.
In poco più di mezz’ora, in quello spazio cupo e inquietante comparve l’immagine di un feto che riposava tranquillo su una sorta di amaca legata ai lati opposti del buco nero.
Il maestro guardò soddisfatto la sua opera. Prese un piccolo specchio rotondo e chiese ad Ari cosa ne pensasse.
La ragazza rimase quasi scioccata. Il bambino sembrava davvero addormentato all’interno della cavità di un albero che, solo in apparenza, sembrava secco e morto.
“È bellissimo,” si commosse quasi la ragazza.
“Sono lieto che vi piaccia. Ora finisco,” disse, riponendo lo specchio sul tavolo e scegliendo con cura il pennello necessario per completare la sua opera.
Ne prese uno con le setole morbide aperte a ventaglio, più adatto alla pittura ad acquarello che a tempera.
Lo immerse nella pasta marrone e, con calma, iniziò a spargere colore dapprima sul basso ventre e poi più giù. Fu quando le setole iniziarono a muoversi lente sulle labbra lisce della giovane, che Ari iniziò a provare una piacevolissima sensazione. Non era solletico, tanto meno fastidio. Attendeva che l’uomo terminasse il suo lavoro, con una calma quasi innaturale per la circostanza, ma assaporando quella dolce carezza come la generosa novità che quell’uomo le stava donando.
Ari nemmeno si accorse del leggero gonfiore che fece capolino fra le sue labbra umide: un morbido bocciolo roseo e puro.
Il pennello lo sfiorò, dapprima involontariamente, trasportando il colore dal basso verso l’alto; poi, con intenzionale cura, le setole iniziarono a  girare in tondo, con estrema delicatezza.
Bastò davvero poco perché tutto avvenisse.
In un istante, una violenta reazione fu provocata dal tentativo del pittore di mimetizzare la rosea sporgenza con il resto del suo magnifico dipinto.
Ari sentì una scossa percorrerle il corpo. Spalancò gli occhi, il cuore quasi a scoppiare nel petto. Un piacere mai provato prima le pervase il corpo e percepì la sua intimità pulsare sotto il tocco morbido del pennello che ancora la stava accarezzando.
I capezzoli turgidi raggrinzirono la tinta deposta sopra al seno che iniziò ad alzarsi e abbassarsi in modo del tutto irregolare.
“Maestro!” gridò in preda a uno stato di panico.
“Ssshh, tranquillizzatevi, è tutto normale. Ho terminato,” rispose il pittore con un sorriso.
“C-cosa è successo?” chiese la ragazza incredula.
Il maestro si ritrasse e si accigliò.
Depose tavolozza e pennello sul tavolo e la guardò negli occhi.
“Non avete mai provato piacere finora?” le chiese esterrefatto.
“No… no. Mi, mi dispiace. Io…” balbettò inquieta.
“Dispiacersi? E di cosa? Non avete fatto nulla di male. Sono io che mi devo scusare, avrei dovuto preservare maggiormente la vostra innocenza,” le disse mesto.
La ragazza rimase in silenzio per qualche istante, ripensando a ciò che le era appena successo. Il piacere che aveva provato non aveva esattamente un nome, ma di certo avrebbe voluto poterlo sentire di nuovo ancora mille volte.
Sorrise e disse:
“Non vi scusate, nemmeno voi avete fatto nulla di male, anzi! Se non avete terminato, vi potrei chiedere di farlo di nuovo!”
L’uomo le mostrò un sorriso sincero.
Per un istante pensò a quanto fossero stati fortunati i suoi pennelli ad aver accarezzato così a lungo il corpo di lei. Addirittura si era ritrovato a immaginare di conservare per sempre quello che l’aveva portata ad avere il primo orgasmo della sua vita. Sperava che l’odore di lei e della sua inconsapevole eccitazione rimanesse impregnato tra le setole morbide per sempre.
Una strana sensazione di invidia verso quello strumento gli fece credere, per pochi attimi, che il privilegio di godere della perfezione di quella ragazza dovesse invece appartenere a lui.
Chiuse gli occhi e immaginò le sue dita ad accarezzarla con garbo tra pieghe nascoste e innocenti, intingendole in un nettare sublime da cospargere sul bocciolo turgido che l’avrebbe portata di nuovo in paradiso.
Sentì l’eccitazione farsi spazio prepotentemente tra le sue gambe e invadere la sua mente.
Fece un sospiro e, riaprendo gli occhi, fissò il suo sguardo nelle iridi verdi di lei e disse:
“Siete una creatura meravigliosa. Giovane, fresca, pura. Qualsiasi uomo proverebbe piacere nell’accarezzare il vostro corpo, sfiorando ogni singolo centimetro della vostra pelle con le dita. Io stesso sono stregato da questa idea. Ma il mio lavoro è concluso e io vi sono infinitamente grato, per avermi concesso di completare la mia opera”.
Ari spostò lo sguardo sulle labbra socchiuse di lui e provò il desiderio insensato di baciarlo.
Il pittore se le inumidì leggermente e mormorò:
“Non voglio rubare la vostra perfezione. Non siete qui per questo. Lasciate che vada a chiamare la mia assistente. Verrà a effettuare le fotografie per il concorso. Domani verranno spedite”.

 
“Il concorso?” domandò Max un po’ confuso.
“Ah, sì, lui cercava una modella per partecipare a questo concorso artistico con argomento “Madre Natura”. Da qui il titolo del libro,” spiegò Lukas.
“Ah, ok. Grazie, ora è più chiaro. Continuo? È quasi finito,” chiese mostrando le poche pagine mancanti.
“Facciamo domani? Ora mi è venuto sonno,” rispose Lukas sbadigliando.
“Eh? Sonno? Ma come? Poco fa volevi farti una sega per calmarti e ora che ho letto questa parte molto più ‘calda’, niente? Nessun effetto?” chiese Max sorpreso.
“Non volevo che ti arrabbiassi di nuovo, ti ho ascoltato asessualmente. Ora però mi riposo, che devo pensare al mio progetto,” rispose l’amico candidamente.
“Vado a fare un giro, ti spiace?” gli domandò con un tono che sembrava supplicare un no come risposta.
“Vai, tranquillo. Io mi faccio un pisolino. A dopo e grazie, Max,” disse coricandosi in posizione prona, levando il cuscino, come faceva abitualmente.
“Di nulla,” gli rispose con un sorriso, infilando la porta.
Al suo rientro, circa un’ora più tardi, il respiro del compagno di stanza era ancora profondo. Max lo osservò per qualche istante, poi prese del cartoncino, una matita e, come suo solito, si mise a disegnare.
Terminata l’opera, decise di finire di leggere da solo quello strano libro, convinto che a Lukas il finale non sarebbe nemmeno interessato visto che, al suo risveglio, se ne sarebbe saltato fuori con una qualche idea geniale.
Max si sdraiò sul letto e, terminate le poche pagine che mancavano, si addormentò a sua volta.
 
***
 
I due si svegliarono solo il mattino seguente, riposati come non mai, ma affamati come lupi.
Mentre si godevano un’abbondante colazione, Max informò subito l’amico del fatto che avesse terminato il libro da solo.
“Spara,” disse Lukas.
“Sì, in pratica, terminate le foto da spedire al concorso, Ari è tornata nella sala da bagno, dove la signora Meier si è occupata di lavarla e di cospargerle il corpo di crema idratante,” iniziò a spiegare.
“È venuta di nuovo?” chiese Lukas senza alcun imbarazzo.
“No, mi fai finire? O non ti interessa?” chiese il maggiore scocciato.
“Relativamente, ma per rispetto verso il tempo che hai dedicato alla lettura, ascolterò il finale entusiasmante di questo strabiliante libro,” rispose l’amico con un tono decisamente ironico.
“Beh, allora, per farla breve, la congedano con la cifra pattuita, ma lei, il giorno seguente, desiderosa di rincontrare l’uomo di cui si era invaghita, si presenta di nuovo al portone della casa e indovina un po’?”
“Era vuota,” disse Lukas con indifferenza.
“Sì. Ma… come lo sai?” chiese Max basito.
“Che palla di libro… almeno si sa se ha vinto il concorso o no?”
“Sì, questo sì. Ari l’ha letto sui giornali, ma nessuno ha saputo dirle dove fosse finito il pittore di cui si era innamorata. Temo ci sarà un sequel,” concluse il ragazzo.
Lukas fece spallucce, come ipotizzato da Max il finale non gli era interessato per niente.
“Cos’hai pensato di fare per il progetto?” chiese tornando serio.
“Body Painting,” rispose con la bocca piena di pancake.
A momenti Max non si strozzava con il cappuccino che stava sorseggiando.
“E dove pensi di trovarla una modella in così poco tempo?” gli chiese cercando di ripigliarsi.
“Non mi serve una modella, mi basti tu. Sei perfetto per ciò che ho in mente. Fidati verrà una copertina spettacolare,” spiegò candidamente.
Max strabuzzò gli occhi.
Sapeva quanto l’amico fosse eccentrico, ma mai avrebbe pensato che gli avrebbe chiesto una cosa simile.
Deglutì il vago gusto di caffè che aveva in bocca e domandò:  
“Lukas, ma sei sicuro? Non credo di essere all’altezza”.
“Certo, fidati, verrà una copertina spettacolare,” affermò sicuro.
Max ci pensò per qualche istante, poi si schiarì la voce e precisò:
“OK, lo faccio, perché mi incuriosisce ciò che hai in mente e non trovo nessun valido motivo per dirti di no. Ma ci sono due condizioni: niente nudo integrale e soprattutto niente ceretta, ok? E promettimi che, per una volta, farai la persona seria e professionale”.
Lukas lo guardò raggiante, poi prese dal libro la carta di Brooklyn che ormai si trovava all’ultima pagina e, telefono alla mano, chiamò Tina, la ragazza che avrebbe immortalato per sempre il suo futuro capolavoro.
Presero accordi per il sabato successivo, giorno in cui nessuno, in genere, aveva impegni accademici.
Il ragazzo chiuse la telefonata e poi si rivolse all’amico.
“Prometto che farò del mio meglio. Posso solo chiederti di non raderti fino a sabato? Lo so che è un fastidio, per te, ma sarebbe davvero importante,” gli chiese gentilmente.
Il maggiore incurvò le sopracciglia in uno sguardo sempre più curioso, ma evitò di domandare il motivo della strana richiesta: Lukas non glielo avrebbe mai svelato. Fece spallucce e rispose sorridente:
“Certo, nessun problema. Sabato sembrerò Noè, ma pazienza”.
 
Nei giorni successivi, Lukas chiuso in camera in via precauzionale, per evitare ricadute, si mise a studiare come eseguire un perfetto lavoro di pittura sul corpo. Organizzò anche una video consulenza alle tre della mattina, a causa del differente fuso orario col Giappone, con una delle più grandi artiste del settore.
Il sabato mattina successivo, tutto era pronto per quello che i due si divertirono a definire “l’esperimento”.
Prima di iniziare, Lukas chiese all’amico di radersi metà del viso, lasciando la folta barba solo su uno dei due lati del volto.
Max lo fece più che volentieri visto che, sicuramente, di lì a poco avrebbe potuto levare la fastidiosa peluria che, in pochi giorni, era cresciuta oltre al limite accettabile.
Tornò in camera e chiese cosa dovesse fare.
“Andiamo al laboratorio di pittura. Lì ci sono tavoli abbastanza grandi per farti stare comodo,” propose Lukas.
“Speriamo non mi veda in giro nessuno conciato così, sembrò un serial killer…”
Fortunatamente per Max, il sabato mattina il campus era un mortorio, molti studenti tornavano a casa per il fine settimana, molti dovevano smaltire la sbronza del venerdì sera, alla maggior parte piaceva stare a letto a poltrire.
Per i corridoi non trovarono anima viva e l’aula di pittura era un paradiso di pace e tranquillità.
I due scelsero un tavolo vicino alla finestra.
“Togli la maglietta, per favore, e sdraiati a pancia in su,” disse Lukas aprendo una valigetta nuova di zecca che si era fatto spedire da un negozio specializzato di Detroit.
“Cosa sono quelli?” chiese Max, che davvero non stava più nella pelle dalla curiosità.
“Colori naturali. Li ho comprati apposta per evitare reazioni allergiche o casini vari. Sei pronto? Posso iniziare?” chiese con un sorriso.
“Ma certo, dimmi se devo fare qualcosa in particolare.”
“Stare fermo, rilassarti e fidarti di me,” gli rispose Lukas prendendo un pennello abbastanza voluminoso e intingendolo nella tempera nero pece.
Tre ore dopo, l’opera era completa e il ragazzo prese il telefono per chiamare la fotografa e chiederle di raggiungerli. Poi guardò l’amico, messosi a sedere sul tavolo e con un sorriso raggiante gli chiese:
“Tutto bene?”
Max si guardò le mani, chiedendosi quale fosse il senso di averne una dipinta esattamente come quella della Ari del libro è l’altra con dei pennelli iperrealistici al posto delle dita.
“Ho un po’ freddo,” ammise sinceramente.
Lukas prese il telo che aveva posizionato sul tavolo, per evitare di sporcarlo, e lo porse all’amico in modo che potesse coprirsi.
Max accolse la proposta con un sorriso e si appoggiò la stoffa sulle spalle mentre l’altro, di fronte a lui, lo guardava serio.
“Che c’è?” chiese il maggiore.
In tutta risposta, l’amico alzò un angolo della bocca in un sorriso quasi malizioso, poi con la mano gli diede una leggera carezza sulla guancia, sul lato del viso rasato.
“Niente, sei… perfetta…” mormorò.
“Eh? Cosa?”
Non fece in tempo a ricevere una risposta, che la porta dell’aula si aprì e una ragazza dai capelli castani, legati ordinatamente in una coda alta, e dagli occhi nocciola, entrò con un sonoro: “Permesso?”
Lukas le andò incontro per aiutarla a trasportare all’interno della stanza tutta la sua attrezzatura: un cavalletto, dei grandi teli neri ripiegati, una valigetta con la macchina fotografica e addirittura una lampada per migliorare il gioco d’ombre.
Una volta trasportato il materiale nell’aula, mentre Lukas era intento a richiudere la porta, la giovane fotografa andò a presentarsi al suo modello del giorno.
“Ciao, io sono Tina… e tu sei… wow, una meravigliosa opera d’arte. Mai visto nulla di simile!” esclamò entusiasta.
“Ehm, sì, se lo dici tu… non mi sono ancora visto per intero. Comunque, sono Max,” si presentò imbarazzato il giovane.
L’entusiasmo e il viso incantevole di Tina dovevano averlo colpito non poco visto che, da quel momento in poi, non riuscì più a dire nulla.
Fatto assolutamente anomalo per uno come Max.
I loro sguardi incatenati l’uno nell’altro fecero quasi sorridere Lukas che, tutto indaffarato, aveva praticamente montato da solo tutto il set fotografico.
“Ma se volete vi lascio soli…” commentò per riportare i due alla realtà.
“Sì, grazie, vai pure…” lo prese in giro Tina, senza staccare gli occhi da quelli del ragazzo che l’aveva rapita.
“Scordatelo, diamoci una mossa, piuttosto, che qui si fa notte, altrimenti”.
 
“Come vuoi fare questa foto?” chiese la bella fotografa.
“Max, devi semplicemente fare finta di colorare la mano-ramo, con uno dei pennelli disegnati sull’altra mano. Tipo mettere lo smalto sulle unghie. Ok? Cerca di essere il più naturale possibile, se puoi,” spiegò Lukas.
Con il telo nero alle spalle, il corpo di Max appariva, dalla vita in su, come diviso in due metà da un baratro nero che faceva tutt’uno con lo sfondo.
Tina scattò un centinaio di foto, spostandosi a destra e sinistra solo di pochi millimetri, mentre i due ragazzi attendevano con pazienza che terminasse il suo lavoro. Circa una mezz’ora dopo, Tina si mise a ricontrollare gli scatti, mostrandoli nel piccolo monitor della macchina fotografica a Lukas.
“Sono perfetti, direi che ci siamo, no?” le chiese entusiasta.
“Sì, verrà una copertina stupenda. Possiamo andare? Non vedo l’ora di mettermi al computer a scegliere l’immagine migliore. Mi aiuti tu, Max?” chiese rivolgendosi al ragazzo che iniziava a sentirsi un po’ escluso.
Sul volto del giovane comparve un sorriso raggiante.
“Dammi mezz’ora per tornare me stesso e sono da te… dove?” chiese subito dopo, riflettendo sul fatto che non aveva la minima idea di dove poterla trovare.
“Ci vediamo all’aula di fotografia; così, una volta scelte le foto, le posso stampare, va bene?”
“Perfetto!”
Fu la risposta entusiasta di Max.
I ragazzi tornarono in camera e il maggiore era così euforico di rincontrare di lì a poco la splendida fotografa, che si infilò sotto la doccia senza nemmeno pensare di guardarsi allo specchio, ad osservare il meticoloso lavoro dell’amico. Solo quando vide l’acqua colorata scorrere nello scarico, si diede dello stupido e si dispiacque per non aver sbirciato ciò che Tina aveva definito “una meravigliosa opera d’arte”.
Finì la doccia, si rasò velocemente la barba rimanente e poi uscì dal bagno dove trovò Lukas a sistemare i suoi colori.
Si vestì velocemente e, tutto pimpante disse:
“Andiamo?”
Lukas lo guardò e gli fece un sorriso.
“Bentornato, Max,” gli disse.
 
***
 
Fu davanti alle fotografie, che al ragazzo venne quasi un infarto.  
Tina ne aveva scelte una decina e tutte mostravano l’immagine di due mezze persone, una a fianco all’altra, separate da una sorta di spaccatura nera, di circa due centimetri, che si amalgamava perfettamente con lo sfondo color pece alle loro spalle.
La cosa impressionante era la sostanziale differenza tra le due metà. Il lato sinistro era il mezzo busto, nonché il viso, di una ragazza dipinta da albero: dalla vita, al collo, fino alle dita della mano. Il lato destro era un uomo di mezza età con la barba di un insolito colore biondo arancio, che indossava una sorta di camice d’artista dipinto perfettamente, con tanto di pieghe e macchie per rendere tutto più realistico.
Le dita dell’artista, tramutate in pennelli, finivano di dipingere delle foglie sulle unghie dell’altra mano.
Max aveva gli occhi spalancati e non diceva più una parola.
“Tutto bene, amico?” chiese Lukas preoccupato dello stato catatonico in cui sembrava essere caduto Max.
“È un fotomontaggio, vero?” chiese interdetto.
“No, sei tu,” spiegò Tina.
“Ma è una ragazza, quella sulla destra! Ha anche il seno! E il viso! Quella non sono io! Come diavolo hai fatto, Lukas?” chiese incredulo per ciò che stava osservando: i lineamenti sottili e aggraziati di una giovane donna dai e capelli neri tirati all’indietro con estrema cura, tanto da sembrare legati in una treccia.
“Ho studiato. Mi hai detto che dovevo essere serio e professionale. Ho fatto solo del mio meglio. Fortuna che sei completamente glabro, altrimenti vedevi… horror!” esclamò Lukas ridacchiando.
Quando finalmente Max riuscì ad accettare il fatto che la ragazza albero e il pittore di mezza età fossero la stessa persona, ovvero se stesso, si poté concentrare nella ricerca della foto migliore.
 
***
 
Una settimana dopo l’esame giunse il verdetto.
La copertina proposta da Lukas aveva vinto il concorso e, ovviamente, il ragazzo si sentì in dovere di dividere il guadagno con Max e, in parte, anche con Tina.
La sera stessa i due uscirono a cena per festeggiare e, prima di iniziare, fu Lukas a proporre un brindisi.
Alzò il bicchiere di birra e disse:
“Brindiamo. Alla nostra amicizia e al miglior modello di body painting che potessi mai avere. Se tu fossi stato la Ari del libro, non credo avrei mai potuto farcela. Spero che l’esperimento non ti abbia messo in qualche modo a disagio”.
“Assolutamente no! Posso oggettivamente dire che sei stato di parola: molto, molto professionale. Per premiarti ho fatto una cosa per te,” disse Max davvero grato per la piacevolissima esperienza che Lukas gli aveva fatto vivere.
Fece tintinnare il suo bicchiere con quello dell’amico, bevve un sorso di birra fresca e poi si mise a cercare qualcosa nel suo zainetto appeso all’angolo della sedia.
Qualche secondo dopo, porse a Lukas un cartoncino rettangolare di circa una decina di centimetri di lunghezza e cinque di larghezza che il giovane prese in mano e guardò con attenzione.
La figura di un ragazzo addormentato era stata dipinta con una cura quasi maniacale, tipica dell’amico.
“Sono io?” chiese stupito.
“Sì, tu hai dipinto me, io ho ritratto te. Se te lo regalo, in cambio mi dai il numero di Tina? Però non voglio che tu te la prenda, Lukas. Tu sei mio fratello e io ti voglio bene, ma Tina… ha un’aura, una luce…”
“Due tette, un culo… capisco. Ma il numero te lo avrei dato comunque, anche senza che mi facessi questo bellissimo regalo!” lo interruppe Lukas.
Max gli sorrise raggiante e concluse:
“Ma poi, senza quella carta delle Brooklyn, non avresti più il tuo segnalibro!”
 
 
FINE
 
 
 
 
Nota aggiuntiva autore
Qui trovate una veramente brava:
https://designyoutrust.com/2019/08/japanese-body-paint-artist-hikaru-cho-shows-off-surreal-animal-human-creations/
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: SSJD