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Autore: CedroContento    19/05/2021    8 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N.B.: Note dell'autrice in fondo al capitolo, se desiderate avere qualche info sulla storia prima di cominciare pigiate qui.
 
 
 
Oh, misty eye of the mountain below
Keep careful watch of my brothers' souls
And should the sky be filled with fire and smoke
Keep watching over Durin's sons…
 
Ed Sheeran
 
 


 
È sempre così, ad un certo punto Bilbo dice: “So che è così che dovete onorarlo, ma per me non lo è mai stato. Lui era… per me lui… lui era…” le parole non gli vengono in aiuto, ma in realtà non ce n'è bisogno, Balin sa già. 
“Beh, credo che me ne andrò in silenzio. Puoi dire agli altri che li saluto?”
“Glielo puoi dire tu stesso,” gli risponde il nano. 
Bilbo si gira un'ultima volta a guardare la compagnia quasi al completo; ne mancano tre e la loro assenza pesa come un macigno.
Ma gli altri sono tutti lì, i nostri piccoli ma grandi eroi, a salutare il loro affezionato mastro Scassinatore.
E lo sappiamo, lo sappiamo, che non si perderanno, perché spesso i nani nel corso degli anni andranno a trovare Bilbo a casa Baggins, alimentando non poche dicerie sul suo conto. Quella separazione però è triste lo stesso.
Poi Bilbo dà una pacca d'affetto a Balin, uno di quelli con cui ha legato di più, con cui si è confidato qualche volta. Non riesce nemmeno a guardarlo in faccia troppo a lungo, perché lo sa che se lo facesse il delicato equilibrio che gli impedisce di crollare si romperebbe e allora non riuscirebbe più nemmeno a muoversi. E lui deve partire, è troppo doloroso restare ancora.
Non gli rimane che incamminarsi senza aggiungere altro.
Avete sentito anche voi quel poco di cuore che vi rimane spezzarsi ancora un po'? 
Bilbo non si girerà nemmeno un’ultima volta a guardare la Montagna Solitaria, ha lasciato lì un pezzo di sé, ma non ha la forza di regalargli un ultimo sguardo. 
Forse, in fin dei conti, il lungo viaggio di ritorno che lo aspetta, con la sola compagnia familiare di Gandalf, è tutto quello che gli serve. Ha tanti pensieri e ricordi in cui perdersi lungo la via di casa. Lo stregone aveva ragione: quell'avventura lo ha cambiato, non è ancora nemmeno tornato nella Contea eppure non è più lo stesso già da diverso tempo.
Non sa se incontrerà nuove insidie, nuovi pericoli, durante il viaggio di ritorno, ma sa che li affronterà, non importa, non importa ora che Thorin non c'è più.
E la storia arriva alla fine - che poi è l'inizio di un'altra - e non ci rimane che lasciarci prendere dalla malinconia.
Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no? 
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta.

 
 

 

 
In una gradevole serata d’inizio primavera, in un comodo buco hobbit, Bilbo Baggins si accingeva a gustare la propria cena, ignaro del fatto che di lì a poco il suono del campanello avrebbe cambiato per sempre la sua tranquilla esistenza.
Driiin Driiin…
“Dwalin, al vostro servizio,” si presentò sull'uscio un possente nano, un guerriero a giudicare dalla pesante ascia assicurata al suo fianco, e dall'aria feroce anche. 
Bilbo, ancora saldamente aggrappato alla porta, lo fissò stupefatto diversi istanti, tanto che lo straniero sollevò perplesso una delle sue folte sopracciglia in attesa che lui dicesse qualcosa. 
Fortunatamente le regole della buona educazione esistevano proprio per togliersi da questo tipo di impaccio.
“Bilbo Baggins, al vostro,” rispose così lo hobbit, cercando di immaginare cosa potesse mai portare un nano, non solo nella Contea, ma addirittura alla sua porta! 
Ma anche le buone maniere vennero meno quando il nano, senza troppa delicatezza, lo scostò facendosi strada, non invitato, in casa sua. 
“Ci- ci- ci conosciamo?” chiese stizzito. 
“No,” ammise candidamente il nano, come se constatasse semplicemente qualcosa di ovvio. “Quindi dov'è la cena?” chiese subito dopo, impaziente e quasi scocciato. 
Quel nano era chiaramente un matto.
Bilbo non richiuse la porta: era indeciso se non fosse il caso di correre fuori in cerca d'aiuto, dopotutto quello strano individuo avrebbe potuto aggredirlo, derubarlo; era armato e la cosa più letale che Bilbo aveva in casa era il coltello da sfilettatura con cui preparava il pesce, sempre se fosse riuscito a recuperarlo in tempo. 
“È che non aspettavo ospiti,” decise che cercare di congedarlo con tatto fosse la cosa più sensata da fare.
In quel momento il campanello suonò per la seconda volta, nonostante lui fosse ancora proprio lì, davanti all'uscio aperto, e quindi non ce ne fosse nessun bisogno.
“Balin, al vostro servizio,” si presentò cordialmente un secondo nano dalla lunga e candida barba bianca. 
“Buonasera,” rispose meccanicamente Bilbo con cortesia, anche se ora era decisamente confuso.
Si maledisse mentalmente: era proprio a causa della buona educazione che un nano stava…stava… stava mangiando la sua trota salmonata! E con la salsa sbagliata, che spreco. 
“Sì, lo è. Anche se credo che dopo pioverà,” commentò intanto Balin, facendosi strada in casa, anche lui. 
“Ah, Balin!” ruggì balzando in piedi Dwalin, abbracciando quello che era chiaramente un vecchio amico. 
Bilbo li guardò sempre più sbigottito: perché mai due nani si erano dati appuntamento in casa sua? 
Dimenticò quella domanda quando vide i due aprire e cominciare a frugare in una delle sue numerose dispense, la sua dispensa!
“Ma cosa credete di fare?!” esplose frustrato, mandando all'aria ogni cautela riguardo la propria incolumità.
Chiuse la sua porticina tonda, deciso ad ottenere delle risposte per questo comportamento assurdo, incivile.
E il campanello trillò ancora.
Forse era un sogno, un sogno assurdo e orribile. 
“Fili!” esordì un giovane nano sulla soglia. 
“E Kili!” concluse allegramente quello altrettanto giovane al suo fianco. 
“Al vostro servizio!” dissero all'unisono con un inchino, prima di entrare.
Passandogli accanto i due lo squadrarono da capo a piedi con una lunga occhiata, furba e divertita. 
“Ovviamente, al mio servizio certo…” commentò Bilbo, di umore sempre più nero. “Ma che diamine?!” 
I nani avevano cominciato a cambiare la disposizione dei suoi mobili, sembravano intenzionati ad allestire una lunga tavolata. Oh no, questo voleva forse dire che ne dovevano arrivare altri? Bilbo sperò proprio di no. 
Quasi in risposta, un istante dopo, con grande amarezza di Bilbo, il campanello tintinnò per la quarta volta quella sera.
Questa volta non ebbe bisogno di muoversi, perché la porta si spalancò da sé e altri otto nani irruppero in casa sua.
Sopra di loro torreggiava colui che, Bilbo ne era assolutamente certo, era il colpevole di tutto quel trambusto, anzi, di quel disastro: “Gandalf” ringhiò lo hobbit. 
“Buonasera a te, mio caro Bilbo!” tuonò allegro lo stregone, senza notare, o più probabilmente facendo finta di non notare, quanto fosse contrariato il padrone di casa.
 
 
 
Ciò che seguì per Bilbo fu un vero incubo: quei nani selvaggi e chiassosi avevano definitivamente deciso di demolire casa sua.
Il pavimento, solitamente lindo e lucido, era completamente ricoperto dal fango dei loro sudici stivali, e gli ci sarebbe voluta una bella dose di olio di gomito per toglierlo dai tappeti; nel preparare e imbandire una lunga tavolata quei selvaggi avevano svuotato senza ritegno le dispense, dando fondo fino all'ultimo barile di birra e al suo prezioso vino invecchiato; curiosavano in ogni angolo e cassetto ed erano addirittura riusciti a distruggere le tubature del bagno! Ormai Bilbo aveva ben poche speranze che il caro servizio di piatti di porcellana di sua madre, la compianta Belladonna Tuc, sarebbe sopravvissuto a quella che si prospettava essere una lunga, lunghissima, notte. 
“Gandalf! Mi devi delle spiegazioni, che significa tutto questo?!” sbraitò lo hobbit isterico ad indirizzo del vecchio amico, una volta che lo ebbe individuato in mezzo a quella baraonda. 
“Ti spiegherò tutto dopo con calma, amico mio,” gli disse pacatamente lo stregone, guardandolo con grande affetto, che tuttavia non bastò a placare la rabbia de lo hobbit. 
Una volta che la tavola fu imbandita a Bilbo non rimase che arrendersi e prendere posto a sua volta in mezzo ai suoi 'ospiti'; in fin dei conti non aveva ancora cenato nemmeno lui. 
I nani erano di una compagnia vivace e rumorosa, molto rumorosa: intonavano canti, spesso scoppiavano in fragorose grida e risate, più di una volta fecero sobbalzare Bilbo battendo violentemente le loro massicce mani sul tavolo.
Solo una volta che si furono rimpinzati per bene ed ebbero bevuto a sufficienza si quietarono un pochino. 
Bilbo pensò che quello poteva essere un buon momento per costringere Gandalf a dargli delle più che dovute delucidazioni, quando un possente e deciso bussare alla porta, nonostante fosse dotata di un moderno e più che collaudato campanello, fece calare un silenzio teso, carico d'attesa, sull'intera tavolata.
“È arrivato,” sentì qualcuno mormorare eccitato.
Con una certa apprensione, Bilbo si alzò per andare ad aprire, fino a prova contraria era ancora lui il padrone di casa lì.
Gandalf lo seguì. 
Quando lo hobbit spalancò la porta si ritrovò difronte un nano alto, dal portamento fiero e volitivo. Aveva lunghi capelli corvini striati d'argento e quando abbassò gli occhi su di lui Bilbo vide che erano malinconici e di un azzurro profondo, tanto profondo da togliere il fiato. Rimase di sasso, inebetito, davanti a quello straniero tanto affascinante e virile. 
Fu il nano, che fino a quel momento aveva sostenuto senza imbarazzo lo sguardo de lo hobbit, che si decise finalmente a parlare, rivolto però allo stregone. 
“Gandalf, avevi detto che questo posto era facile da trovare, ho smarrito la via due volte. Non lo avrei trovato affatto se non fosse stato per il segno sulla porta.” 
“Segno…? Segno sulla porta?” chiese Bilbo ritrovando l'uso della parola. “Non c'è nessun segno sulla porta, l'ho fatta riverniciare una settimana fa!” obbiettò, dirigendosi deciso ad aprire l'uscio a riprova di quanto stava dicendo. Infatti: non c'era nulla, nessun segno. 
“Sì c'è, l'ho fatto io stesso la settimana scorsa, quando mi hai educatamente buongiornato,” disse Gandalf. “Comunque, Bilbo Baggins, permettimi di presentarti il capo della nostra compagnia: Thorin Scudodiquercia,” fece le presentazioni lo stregone.
Thorin chinò elegantemente il capo quando Gandalf lo presentò. “E così, questo è lo hobbit” si rivolse a Bilbo, soppesandolo con espressione acuta e intelligente. “Ditemi, signor Baggins, avete combattuto molto?” chiese curioso, girandogli intorno per osservarlo meglio, e facendo arrossire Bilbo fino alla punta dei capelli per l'imbarazzo di tanta sfacciataggine. “Ascia o spada, qual è l'arma che preferite?”
No, non era curiosità, Bilbo si rese conto che quel maleducato lo stava niente meno che prendendo in giro, in casa sua! E pensare che fino ad un istante prima aveva ammirato il suo bel portamento; in realtà non era altro che un prepotente presuntuoso. 
“Beh, sono bravino a tira-castagne, se volete saperlo,” rispose piccato. 
Un guizzo di divertimento passò negli occhi di Thorin: “Lo immaginavo…” 
 
 
 
“Cosa dicono i nani dei Colli Ferrosi, i Durin sono con noi?” chiese a Thorin il primo dei nani che si era presentato a casa di Bilbo un paio d'ore prima, Dwalin. 
“Non verranno” sospirò il nuovo venuto. “Dicono che questa impresa è nostra e solo nostra.” 
“Partite per un'impresa?” chiese Bilbo, ormai curioso più che mai di capire cosa stesse succedendo, colpa del suo dannato lato Tuc. 
“Bilbo, avremo bisogno di un po' più di luce,” si intromise Gandalf.
Senza obbiettare, ma non senza lanciare allo stregone una profonda occhiata di disappunto per essere stato bistrattato in quel modo, Bilbo portò altre candele.  
Lo stregone srotolò sul tavolo la cartina di una regione situata centinaia di chilometri ad est dalla Contea. Bilbo conosceva il nome di quei luoghi, era stato proprio Gandalf a fornirgli diversi libri che ne narravano le leggende.
“Questa è la Montagna Solitaria, se non m'inganno”. 
“Non sbagli, Bilbo. Questa è proprio Erebor, uno dei grandi Regni dei nani e in cui da sessant'anni riposa il drago: Smaug il Terribile”.
“Casa nostra,” mormorò Thorin, con così tanta amarezza nella voce che a Bilbo si spezzò il cuore.
Si chiese il motivo di quella profonda tristezza e assurdamente desiderò di trovare modo di porvi rimedio. Ancora non poteva sapere che quello era esattamente ciò che avrebbe cercato di fare di lì in avanti, anche a costo della sua stessa vita.
“Ma continuo a non capire,” ammise dopo qualche istante invece lo hobbit. 
“La missione della compagnia che vedi riunita qui oggi è quella di sconfiggere Smaug e riconquistare Erebor,” spiegò in tono risolutivo Gandalf.
“Pochi, siamo troppo pochi per questa impresa disperata,” intervenne Balin. “Solo in tredici!”
“E la porta principale è sigillata,” commentò Thorin pensieroso, scuotendo la testa, forse sconsolato per il fatto che a quanto sembrava il suo piano avesse fallito ancora prima di cominciare. 
“A questo possiamo rimediare,” disse Gandalf.
Sul viso dello stregone Bilbo vide comparire quella preoccupante espressione furba, quella che di solito non portava mai niente di buono, mai. Ma Thorin questo forse non lo sapeva, o la chiave che gli stava porgendo lo stregone doveva avere per lui un valore inestimabile, perché il suo volto si accese di speranza. 
“Come l'hai avuta?” chiese con la voce incrinata dall'emozione, ammirando la pesante chiave di ferro di indubbia forgia nanica tra sue le dita. 
“Tuo nonno Thror me l'affidò più di sessant'anni fa, per farla avere a te, Thorin, quando sarebbe arrivato il momento. Sapeva che un giorno avresti cercato di riconquistare ciò che è tuo per diritto. Questa è la chiave per un passaggio segreto per le sale inferiori,” spiegò Gandalf, puntando il dito sul fianco della montagna disegnata sulla cartina dispiegata sul tavolo fra loro. “L'impresa richiede discrezione e una bella dose di coraggio” aggiunse con un'occhiata piena di sott' intesi rivolta a Bilbo, il quale però non la comprese, almeno non subito. 
“Ah, ecco perché uno Scassinatore!” ne dedusse invece uno dei nani più giovani seduto all'altro estremo del tavolo. 
“Ve ne servirà uno bravo” bofonchiò Bilbo, ancora candidamente ignaro. 
“E lo sei?” chiese un altro nano dal centro della tavolata. 
“Io?” fece sorpreso lo hobbit, intuendo finalmente il motivo per cui tredici nani, e uno stregone combina guai, erano seduti nella sua sala da pranzo. “No no no no…” 
“Concordo, non ha la stoffa,” disse secco Balin. 
“Le Terre Selvagge non sono per gli hobbit a modo,” assentì anche Dwalin.
“Sembra più un bottegaio che uno Scassinatore,” aggiunse qualcun altro.
A quel punto ogni nano si sentì in dovere di dire la propria opinione. Attorno al tavolo si scatenò un forte vociare, ognuno parlava sull'altro facendo una gran confusione. Su una cosa però parevano essere tutti d'accordo: Bilbo era inadeguato al compito. 
“BASTA! Se dico che Bilbo è adatto è perché lo è!” tuonò improvvisamente Gandalf, sovrastando quella cacofonia di voci. 
La stanza si adombrò, l'intera tavolata ammutolì all'istante. L'unico che non pareva intimorito, notò Bilbo, era Thorin. Seduto accanto allo stregone, sembrava chiedersi quanta fiducia potesse riporre nelle sue parole. 
“Mi avete chiesto di aiutarvi a trovare un quattordicesimo membro per la compagnia e io ho scelto il signor Baggins. Dovrete fidarvi,” disse Gandalf in tono che non ammetteva repliche.
Lo stregone spostò lo sguardo penetrante su Thorin che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, e così fecero anche gli altri: la decisione finale spettava a lui. 
“Va bene,” decise il nano senza aggiungere altro, sorprendendo non poco lo hobbit per la decisione e autorità con cui aveva parlato. “Dagli il contratto” ordinò rivolto a Balin.
Bilbo si ritrovò tra le mani un lungo foglio di pergamena, ripiegato diverse volte e ricoperto da una fitta grafia, piccola e ordinata.
Fortunatamente per Bilbo non era inusuale per gli hobbit avere a che fare con documenti di quel tipo: erano molto scrupolosi in fatto di burocrazia, soprattutto quando si trattava di questioni di prestiti di denaro, diritti di proprietà e successioni.
Bilbo lesse con attenzione i termini e le condizioni del suddetto contratto: pagamento in contanti alla consegna, fino, ma non oltre a un quattordicesimo del guadagno netto totale; spese di viaggio assicurate; spese funebri a carico dei nani ecc. Tutto sommato sembrava ragionevole, almeno fino a quando non arrivò alle clausole di limitazione ed esenzione di responsabilità. Era folle. 
“Incenerimento?!” commentò incredulo ad alta voce. Assurdo.  
“No, no, non contate su di me,” decise.
Avvertì un forte bisogno di stare solo, quella serata stava mettendo a dura prova i suoi poveri nervi. Aveva bisogno di raccogliere i propri pensieri, così si appartò nel salotto vuoto, sulla sua poltrona preferita, quella accanto al focolare. 
 
 
 
Gandalf lo raggiunse diversi minuti dopo. 
“Tutto bene, Bilbo?” chiese, prendendo posto su una seconda poltrona difronte alla sua. 
Bilbo scosse la testa. “Perché? Perché li hai portati qui?” 
Lo stregone non rispose subito, si limitò a fissare a lungo il fuoco che danzava nel caminetto. Bilbo cominciò a pensare che lo stregone avesse dimenticato che gli aveva posto una domanda, ma poi la risposta arrivò: “Conoscevo un giovane hobbit, un tempo, che andava per i boschi della Contea alla ricerca di Elfi e Fate, che sognava di poter partire per un lungo viaggio alla scoperta di terre sconosciute, che sognava di vivere un'avventura. Che fine ha fatto quel ragazzo, Bilbo?” chiese Gandalf, accomodandosi come meglio poteva sulla poltrona troppo piccola - era a misura di hobbit, ovviamente - e cominciando ad accendere la lunga pipa. 
“È cresciuto, presumo”. 
“Cresciuto. E cosa direbbe la madre di quel ragazzo?” 
Bilbo gettò al mago un'occhiata risentita, intendeva davvero giocarsi il tutto per tutto quindi.
Bilbo aveva amato infinitamente la madre. Belladonna Tuc era stata una hobbit eccezionale: bella, solare, audace, di un'intelligenza curiosa e vivace; tutti - compreso Gandalf - rimanevano ammaliati da lei. Ma, sopra ogni cosa, Belladonna Tuc era stata una sognatrice, e così aveva cresciuto anche il figlio. Il mondo del piccolo Bilbo era sempre stato popolato di creature leggendarie: elfi, entesse, goblin e, ebbene sì, anche di nani e draghi.
Quelle fantasie però avevano anche finito per rendere sua madre profondamente infelice e frustrata nella tranquilla Contea. I viaggi, le avventure e le gesta eroiche erano destinati a vivere per sempre e solo nei suoi libri, e nella sua sconfinata fantasia.
E ora Bilbo aveva l'occasione di realizzare ciò che prima sua madre e poi lui avevano sognato insieme per tutta una vita, e stava gettando all'aria quell'occasione. “È una cosa troppo grande per me,” disse, più a sé stesso che allo stregone.
“Io invece penso che tu sia la persona giusta per questo compito. E, cosa non meno importante, ne hai bisogno.”
“Ma non è così, Gandalf. Tra l'altro questi nani non mi vogliono, non mi ritengono adeguato,” obbiettò riferendosi a quanto avevano detto prima di lui. “E hanno ragione. Non andrei lontano, figuriamoci poi se riuscirei mai a tornare a casa!” 
Quando tornerai sarai una persona molto diversa.”
Quanto si sarebbe rivelata vera quella frase…
Ma ora le proteste dei nani ancora riecheggiavano nella testa de lo hobbit. Lì per lì non si era reso conto di quanto lo avessero ferito e umiliato, quella consapevolezza era arrivata dopo. Certo, loro sembravano essere tutte persone abituate a quel genere di vita avventurosa, gente pronta all'azione, abituata a difendersi dai pericoli. Bilbo, che non aveva mai nemmeno messo piede fuori dalla Contea, sarebbe stato solo un peso per loro; gli hobbit di solito non sapevano proprio che farsene delle avventure.
“Scusa, Gandalf, non posso farlo. Hai scelto lo hobbit sbagliato.”
 
 
 
Quando il mattino dopo Bilbo si alzò, poco dopo l'alba, casa sua era tornata vuota e quieta. 
Lo hobbit vagò per i corridoi e le stanze, sporchi e completamente sottosopra. Sorprendentemente la cosa non lo toccò minimamente. Tutto ciò che sentiva era un vuoto profondo, una grande delusione; il silenzio sembrava assordante, la solitudine opprimente, il che era ridicolo visto che viveva solo da anni. Lasciò indugiare lo sguardo fuori dalla finestra: poteva vedere la via che portava lontano da casa sua.
Immaginò di poter vedere ancora più ad est: oltre Brea, oltre le Montagne Nebbiose, fino alle Terre Selvagge e poi oltre e oltre ancora. 
Non aveva senso piangersi addosso, la compagnia di Thorin Scudodiquercia ormai doveva essere ben lontana, e con lei anche ogni possibilità di vivere l'avventura della sua vita era svanita. 
Si guardò attorno, indeciso su dove cominciare a sistemare quel disastro.
Fu allora che lo vide sul tavolo: il contratto era ancora lì, proprio lì, con penna e calamaio strategicamente sistemati accanto. 
“Maledetto stregone…”
 
 
 
Angolino dell'autrice:
Benvenuti a voi, cari lettori, in questa mia nuova fic e grazie per aver letto fin qui!
Da tempo mi proponevo di scrivere una Thilbo ma l'ispirazione birichina non era mai arrivata.
Questo fino ad un recente (risalente a diverse settimane fa ormai XD) rewatch su tv8. Ad un certo punto Thorin si rivolge in malo modo a Bilbo e lui ha l'aria così afflitta *sigh*… e basta, la lovestory è finalmente scattata nella mia testa. 
Come scoprirete presto la mia fic non brilla per particolare originalità della trama, anzi, segue più o meno fedelmente le vicende del film, ho semplicemente inserito la mia storia d'amore tra Thorin e Bilbo, magari ho fatto qualche approfondimento in più, qualche scena extra, ma non ho stravolto nulla. 
Quindi, se siete alla ricerca di qualcosa di più posso dirvi che forse questa storia non fa per voi, se invece rivedreste rileggereste cento volte tutto siete decisamente nel posto giusto.
Se avete già letto il primo capitolo (e se non lo avete fatto vi avviso) avrete notato che mi sono agganciata ai dialoghi del film, non ne farò di sicuro mistero: utilizzare quelli è una scelta voluta, anzi, potrebbe esserci anche qualche reminiscenza del libro.  Insomma, se qualche frase vi suona di già sentito probabilmente è perché è così. 
La stesura di questa storia per me è stata puro piacere, mi sono divertita molto a scriverla, affrontatela di conseguenza. Essendo anche un momento particolarmente impegnativo è stato un modo per rilassarmi facendo qualcosa che mi piace senza troppi pensieri, non avrei proprio avuto testa per concentrarmi su qualcosa di più (se state seguendo altro di mio adesso sapete anche perché è tutto fermo), questo è stato un buon modo anche per non smettere di scrivere. 
Ultima cosa, giuro: il mio proposito è quello di aggiornare ogni settimana, la speranza è di pubblicare ogni mercoledì (ovvero il giorno in cui i nani si sono presentati a casa Baggins) il nuovo capitolo, salvo imprevisti.
 
Alla prossima ^^ (su)
 
Cedro

 
   
 
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