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Autore: Wolstenholme    23/05/2021    2 recensioni
[Thalexios/OC] [Assassin's Creed Odyssey]
«Scusa, non volevo svegliarti.» rispose il misthios voltandosi appena, per poi tornare alla precedente posizione.
«Non stavo dormendo bene, ma non è colpa tua. Sei praticamente immobile.» mormorò, prendendo posto al suo fianco. «L'Adrestia è esattamente come la ricordavo, equipaggio a parte.»
«Il mare ha questo potere e Poseidone sembra clemente questa notte, arriveremo molto prima a destinazione.»
«Allora il mare non fa abbastanza per te.»
«Mi aiuta. Rifletto meglio, tra le onde.»
«Pensi ancora a lui?» domandò Rieleen a bruciapelo, lo sguardo fisso all'orizzonte.
Alexios sospirò in risposta prima di ribattere, il suo tono di voce più duro di prima.
«Penso che questo sarà un buon giorno per Sparta, di nuovo.»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Through the Storm

 III. chapter two



Grande Atene, 439 a.C.


Il Partenone di Atene dominava l’intera polis dall’alto dell’acropoli assieme alla statua dell’imponente dea Atena. Ormai la primavera era alle porte, motivo per cui il mite venticello di quel pomeriggio scuoteva le piccole foglie degli alberi piantati con cura e faceva danzare armoniosamente gli orli dei costosi e raffinati abiti indossati dalle poche donne di spicco dei ranghi più in vista dell’organizzazione della città-stato.

Lì, ad Atene, se eri una persona abbastanza intrepida da porgere domande scomode agli abitanti non potevi certo pretendere risposte diverse da: “Sono donne così fortunate” o “Quanto vorrei essere come loro!” pronunciate con occhi sognanti e voce carica di invidia bruciante. 

Rieleen, per quanto avesse sempre avuto l’occasione di calpestare i ciottoli grigi dell’acropoli e osservare il cielo blu sopra l’elmo in bronzo della vergine dea della guerra, non era dello stesso avviso; era un dato di fatto che il sesso femminile, nella polis più democratica dell’antica Grecia, godesse di ben pochi diritti.

Fondamentalmente l’apparente lusso di alcuni dei quartieri più in voga di Atene altro non era che una tetra facciata di una società che ambiva a essere la migliore, con scarsi risultati.

Le belle e adorate donne dagli indumenti finemente ricamati che - non senza l’imbarazzo ad adornare le loro guance rosse - lasciavano esposta la pelle chiara delle braccia erano semplici e comuni ragazze, mogli, madri, etere o concubine; che fossero altro era pura illusione. 

Atene era una città magnifica, non vi erano dubbi; potenzialmente, soddisfava ogni genere o quasi di ingenuo desiderio terreno e non. Rieleen, tuttavia, anelava a qualcosa che neanche ogni particella del potere immenso di Pericle poteva - voleva - realizzare.

Rifletteva sovente su un grande fardello, con le gambe ossute a penzoloni dal tetto spiovente della sua casa oppure con le dita immerse nella sabbia e tra le pietre smussate trasportate dal mare nel bacino del Porto del Pireo. Era un concetto assai semplice quanto vitale e importante: il mondo non aveva la capacità di restare immobile solamente perché qualche suo abitante, per qualsiasi motivo, non riusciva a destreggiarsi fra le difficoltà dell’esistenza. Sicché, questo era un reale dilemma, che così di frequente affollava la mente della giovane, ogni giorno più del precedente: quanto tempo avrebbe impiegato per rimettersi in sesto, quanta forza avrebbe richiesto tale impresa e, soprattutto, ne valeva davvero la pena?

Mandare tutto ciò al diavolo era fin troppo facile, per gli dèi.

Solo che… la mera sopravvivenza non era vita.


«Mater»

«Figlia mia,» pronunciò una donna alta e con un velo azzurro sulla testa a nascondere i ribelli ciuffi color biondo scuro. Osservava con severità la ragazzina in piedi di fronte a lei, i pugni chiusi dietro la schiena e la testa china sui piedi nudi. «Cosa devo fare con te, mh? Quante volte dovrò ancora insegnarti le buone maniere?»

Athanasia, sua madre, vagava disperata all’interno del piccolo abitacolo - se possibile ancora più opprimente del solito -, che ospitava l’area svago della casa; in verità, così come Atene nascondeva l’oscurità, quella stanza faceva altrettanto con le regole non scritte della famiglia. Lì, le punizioni - le stesse che erano considerate un bene, un valido aiuto - venivano inflitte con maggiore intensità. «Alypios ha bussato alla nostra porta, di nuovo.» proseguì.

«Rieleen, ascoltami. Io… Ho bisogno di capire. Hai raggiunto un’età in cui dovresti essere sposata con un uomo influente. Io e tuo padre ti abbiamo cercato e presentato decine e decine di persone adeguate a te, ma tu fai fuggire chiunque, perché?» 

Non aveva una risposta a quello, in realtà. Desiderava davvero poter essere in grado di rendere sua madre orgogliosa di lei, ma la verità era che Rieleen non aveva il lusso di poter spiegare apertamente alla famiglia ciò che provava, ciò che voleva, non quando ogni altra ragazza sua coetanea viveva già fuori dalle mura domestiche, con un uomo di almeno vent’anni in più, con due figli e una piccola casa da accudire.

No, non era questa la sua vita.

Non rispose, in ogni caso. Deglutì a vuoto e pregò quel momento finisse in fretta.

«Alypios mi ha riferito di averti confiscato un’arma, una lancia, è vero?» domandò con voce ferma, lo sguardo duro e senza alcuna traccia d’amore. «È vero?»

Sospirò, fregando le mani sudate tra loro. «Sì, mater.»

«Chi te l’ha data, figlia mia? Rispondi. Adesso.»

«Nessuno...» mormorò a bassa voce, tirando il labbro inferiore tra i denti. «L’ho trovata al Porto.»

«Perché?» continuò implacabile. «Ci stai facendo esasperare.»

«Io… Nel caso in cui…» 

«Nel caso in cui, cosa? Cosa ti manca? Cosa ti facciamo mancare, Rieleen?»

«Potrei aver bisogno di difendermi, un giorno! Di difendere questa casa, voi!»

Athanasia rise con evidente disprezzo a tale assurdità. Il suo occhio intimidatorio non lasciava la figura della figlia. «Tu non ne hai alcun bisogno, non hai bisogno di difenderti. Ci sono gli uomini che svolgono questo compito e nessuna donna vorrebbe fare il loro lavoro. Siamo ad Atene, non corriamo alcun pericolo.» decretò con convinzione, prima di continuare. «Rieleen, io e tuo padre vogliamo solo il meglio per te, ma… per fare questo è necessario che tu ti comporti come una vera donna ateniese, come tua madre e tutte le tue amiche. Lo sai, vero, che Clio ha sposato un famoso generale? E chi credi l’abbia permesso, mh?»

«Sì, mater. Lo so.»

Certo che lo sapeva, non facevano che ripeterglielo dal mattino alla sera da almeno dieci anni. Rieleen conosceva molto bene la realtà della città, gli obblighi imposti così come la scarsità dei diritti. Non era complesso; era sufficiente posare uno sguardo distratto su sua madre per rendersi conto della persona che sarebbe dovuta diventare per poter vivere in armonia.

«Non costringerci a farlo di nuovo.» minacciò, riprendendo a camminare qua e là per l’ambiente.

«No, mater.»

«Bene. E ricorda, questa non è Sparta.» esclamò, trattenendosi a stento. Era curioso che sua madre avesse tanto coraggio da alzare il tono tra le quattro mura quanta una poco velata ipocrisia tra le vie della città. «Là, le donne non sono vere donne. Fanno cose da uomini e non è saggio, per non dire altro.»

«Sì, mater.»

«D’accordo, puoi andare ora. Domani andrai da Alypios e gli dimostrerai che sei pentita.»


Alypios era un precettore, o così gli piaceva presentarsi alle famiglie.

Rieleen sapeva cosa volesse dire dimostrargli pentimento e la cosa peggiore era senz’altro che ogni abitante di Atene ne era ampiamente a conoscenza.

Tuttavia, ciò non era affatto un problema, tutt’altro; le famiglie pagavano fior fior di dracme per assicurarsi una bella e adeguata immagine. Erano disposte a tutto, i segni sulla pelle dei corpi dei bambini e delle bambine ne erano la prova e non ricevevano alcuna attenzione.

Paradossalmente erano perfino un buon presagio: un ragazzino che esibisce i lividi della frusta è un ragazzino disposto a imparare come comportarsi nel migliore dei modi, a qualsiasi costo. Esibire le percosse, ad Atene così come in altre città - Sparta compresa -, significava aver raddrizzato un bambino che, prima di essere affidato alle cure degli educatori, non era avvezzo al rispetto della disciplina e della sottomissione.

I precettori riscuotevano somme elevatissime, infatti. Ottenevano da loro ciò che più agognavano e, maggiore era l'insubordinazione dello studente, maggiore era il profitto finale.


Quella stessa notte, con indosso una vecchia tunica sbiadita, Rieleen uscì di casa senza farsi notare dalla sua famiglia che, beatamente e ignara di tutto, dormiva.

Era piuttosto abile, essere minuta aveva i suoi vantaggi o forse nessuno era così interessato a controllare i suoi spostamenti, eccetto per quanto riguardava il matrimonio forzato con uno di quegli uomini mollicci e senza spina dorsale; immaginarsi nella piccola cucina di uno di loro, nel ruolo di moglie e madre, le faceva salire il vomito in gola.

Tirò il cappuccio consumato sopra i capelli lunghi fino alle spalle e, in pochi minuti di cammino, infiltrata tra gli stretti vicoli della polis, giunse fino a casa di quello che riteneva il suo migliore amico e, senza ombra di dubbio, l’unico per cui valesse la pena scappare dalla piccola finestrella della sua stanza.

Come di consueto, mise il piede scalzo su uno dei rami del grosso albero di fronte a lei, appena a ridosso del lato est dell’impenetrabile muro che proteggeva la città, e si arrampicò fino al secondo piano, balzando dentro la camera senza esitazione. 

Tutt’al più avrebbe incontrato la persona sbagliata e, in un lampo, sarebbe tornata da dove era venuta prima ancora che qualcuno potesse individuarla e chiedere aiuto alle autorità.

Il giovane in questione, suo coetaneo, dormiva profondamente su di una pila di cuscini colorati e coperte decorate con motivi tipici ateniesi.

L’ambiente era scarsamente arredato e la brezza marina filtrava dal drappeggio sistemato sulla finestra. Il bagliore della luna illuminava fiocamente la stanza e rifletteva la sua luce fredda sul viso del ragazzo che, ingenuo e troppo fiducioso, teneva un braccio attorno a una piccola bambola. La stessa bambola che avevano costruito insieme l’estate precedente con qualche legnetto raccolto fuori dalle mura, della stoffa rossa sottratta a sua madre e tre spille smussate acquistate per poche dracme al mercato dell’agorà.

Sorrise, avvicinandosi a lui di soppiatto. Dopodichè, posò una mano sulla sua spalla per poi scuoterlo con energia.

Non aveva più molto tempo.


«Petro, svegliati.» sussurrò, stringendo di più la presa sulla pelle scoperta dell’altro che, in un lampo di terrore, balzò seduto sul cuscino.

«Rieleen, per gli dèi! Mi hai spaventato!»

«Scusami, non sapevo come altro fare. Sei fortunato, se fosse stato un mercenario?»

«Ehm, ad esempio entrare dall’ingresso principale? E poi non ho nulla che possa volere un mercenario.» ribatté con un sorriso a tirargli le labbra, ancora confuso dal risveglio improvviso. I capelli castano chiaro gli ricadevano scomposti sulla fronte e le sua gote erano rosate. Gli occhi profondi, seppur stanchi a causa della dura vita che conduceva al mercato del pesce. 

«Con il rischio di incontrare tuo padre in tenuta da notte?»

«E va bene, che succede?» chiese serio, facendo cenno alla ragazza di sedersi al suo fianco. «Allora?»

«Questa è… l’ultima volta che mi vedrai.» esalò d’un fiato, evitando lo sguardo sorpreso dell’amico. «Che? Cosa?»

«Sono seria, Petro. Non potevo non avvertirti, chissà cosa avresti pensato.»

«Non ci credo, insomma, ne abbiamo discusso per anni! Fai sul serio?»

«Si, pare sia arrivato il momento. Sembrava così astratto quando eravamo piccoli, vero?»

«Quando l’hai deciso?»

«Oggi, in realtà.» rispose, alzando le spalle. 

Prima di fuggire, aveva raccattato solamente qualche pezzo di pane abbrustolito, una minuscola coperta e una vecchia caraffa per poter raccogliere l'acqua piovana e, così, evitare di morire di sete.

L'essenziale che le avrebbe garantito la sopravvivenza, almeno. 

«Cos’è successo?»

«Petro… non posso più vivere qui, lo capisci? Questa vita non fa per me. Mia madre mi ha minacciata di nuovo.»

«Lo so, Ri. Lo so. Io… dove andrai?»

«Non lo so, lontano da questa città. Forse prenderò una barca al Pireo.»

«Perchè, ne sai usare una?»

«Naturalmente.» sorrise ironica. «Ho abbastanza soldi, per un po’.»

«Guadagnati con onore, eh?» 

«Hai dubbi?»

«Non posso crederci…»

«Che vuoi farci… Almeno, non dirlo a nessuno.»

Il ragazzo annuì, seppur con poca convinzione.

Teneva lo sguardo sul pavimento, le sopracciglia aggrottate e un sospiro che premeva per fuoriuscire dalle labbra screpolate.

«Sei sicura di quello che fai?»

«No,» mormorò. «ma devo farlo. Potrei andare a Sparta, in effetti. Mia madre dice che lì le donne non sono donne, proprio come me.»

«Oh bè, non credo che accoglierebbero con entusiasmo un ateniese tra le loro file.»
«Non lo sarò più, dopo stanotte.»
«Rieleen… dèi.»

«Mi dispiace, Petro.»

«Vorrei avere il tuo coraggio. Forse, Sparta ti si addice molto di più.»

«Già, ma… non voglio più dovermi adeguare a niente e nessuno.»

«L’hai mai fatto?» domandò scoppiando in una risata, moderando il tono per evitare di allarmare la sua famiglia. «Ricordi quando ci siamo intrufolati a casa di Alypios?»

«Come dimenticare! Lui e quelle sue strambe manie segrete!»

«Bleah, che schifo.» disse. «Allora… tornerai mai?»

«Forse. Se un branco di lupi decide di non banchettare con il mio corpo, oppure se non mi faccio scovare dai soldati fuori dalle mura.»

«Non so in cosa sperare, Rieleen. Prego solo che Atena ti assista.»

«Non fare così. Forse le nostre strade si incroceranno di nuovo, Petro. Sii forte.»

«Anche tu.»


Rieleen lo abbracciò con forza, quasi senza rendersene conto in una delle manifestazioni più vere e sincere degli ultimi anni.

Con la testa appoggiata alla spalla dell'altro, chiuse gli occhi. Non seppe quanto tempo trascorse, ma Petro non sembrò esserne dispiaciuto. 

Anzi, per quanto sulle sue, aveva trovato il coraggio di spostare la sua mano su quella della giovane.

Fu intenso, così come fu intenso il bacio veloce che Rieleen gli diede sulle labbra. Le mani premute sul suo viso e gli occhi chiusi prima di svanire, abbandonando Petro con una strana sensazione nel petto.

Giungere fino al Pireo non fu facile, ma riuscì infine a saltare su una piccola barca diretta su un'isola di cui non aveva mai sentito parlare prima.

Aveva contrattato con il viandante e per appena duecento dracme le aveva concesso di sistemarsi a bordo. Rieleen non aveva mai viaggiato, mai via mare. Vomitò sulla sua coperta qualche minuto più tardi, ma nessuno sembrò badarci e ciò era un sollievo. Per una volta, a nessuno importava alcunché del futuro.


Lasciò Atene alle sue spalle senza voltarsi e col magone, seppur sentì subito il petto alleggerirsi dopo aver trattenuto il respiro per anni.


#



Isola di Mykonos, 429 a.C.


Scomodo su un fianco, Alexios dormiva profondamente.

Le prime e tiepide luci dell’alba gli illuminavano il volto, in parte nascosto nell’incavo del gomito. Rieleen lo osservava di tanto in tanto, perlopiù impegnata a perdersi nei raggi dorati del sole riflessi sullo specchio d’acqua a pochi metri da loro. 

Seduta e con le ginocchia al petto fece finta di non udire un fastidioso rumore di sandali attutito dalla vasta spiaggia.

«Alla buon’ora, posso sapere che fine avete fatto?»

Cira era alle sue spalle e, pur non prestandole l’attenzione che anelava, poteva indovinare la posizione assunta dalla ribelle: braccia incrociate al petto e un'espressione contrariata: classico.

«Scusami?» ribatté senza spostarsi, la mano destra immersa nella sabbia bianca intenta a giocherellare con i granelli, così piccoli e ruvidi da sfuggirle a ogni tocco.

«Oh, mi hai sentita, lo so!» esclamò, non badando a moderare il suo tono di voce.

«Non ho sentito proprio nulla, mi dispiace.»

«Ascolta,» iniziò, sospirando rumorosamente. «non ti vado a genio, l’ho capito. Era così anche un anno fa, mh?»

«Mmm…» 

«Ho davvero bisogno del vostro aiuto, Rieleen.»

«Un po’ comodo, Cira.» rispose seccata. «Perché non chiedi aiuto all’esercito?»

«L’esercito? In verità, insomma, già lo fanno.»

«Che c’è, non sono alla tua altezza?»

«D’accordo, senti… Alexios non rifiuta mai un contratto, quindi che tu lo voglia o no-»

«Hai del coraggio, non mi stupisce affatto…»

«No?»

«No, ma sicuramente non ho bisogno di rivangare il passato, vero?»

Cira alzò gli occhi al cielo esasperata. «Non stiamo più insieme, se è questo che vuoi sapere.»

«Oh. Hai la mia attenzione.»

«Possiamo parlarne in privato?» chiese, osservando nervosa la figura di Alexios.

«No.»

«Bene, Rieleen. Non è durata che un paio di mesi.» mormorò. «Lui… non sono così ingenua, sai?»

«Bè, la ribelle di Mykonos non può certo esserlo.»
«Ogni sera,» iniziò. «Vedevo che lui usciva da casa mia. Una notte l’ho seguito, era esattamente qui.» continuò, indicando il porticciolo. «Era qui e abbiamo litigato, ma la sua mente era altrove. Scrutava l’orizzonte, Sparta lo richiamava a sé.»
Rieleen la osservò, seria. 

«E’ successo una notte.» dichiarò. «Il suo nome era come un mantra, credo che una parte di lui sia rimasta sull’Adrestia, quel giorno.»

«Capisco.»

«Mi dispiace, sono stata scorretta.»
«Non ti dirò cos’ho visto in Alexios, ma… perché l’hai fatto?»

«Non lo so, immagino. E’ stato difficile lasciarlo andare, ma poi è tornato.»
«E’ uno spartano, che ti aspettavi?»

«So che non è tornato per me.» disse. «Lascia stare, sei troppo giovane.»
«E questo che senso ha? Abbiamo la stessa età.»

«Sicuramente non hai alcuna esperienza in merito.»
«Non sei cambiata affatto, Cira. Sei così infelice che credi tutto il mondo debba ruotare attorno a te, per Zeus.» sbuffò sconsolata.

«Ri…-»

«Vattene, Cira. E’ meglio così. Se non ti dispiace, abbiamo del lavoro da svolgere.

Noi, almeno. Chaire.» concluse, facendo stronfiare l'altra.

«Tieni allora, questo è il piano. Ci vediamo.»


Cira alzò i tacchi e se ne andò a passo spedito, mentre Rieleen la seguì con la coda dell'occhio finché non svanì dietro un edificio, per poi srotolare il rotolo di pergamena tra le sue mani e dargli un'occhiata.

Il piano ideato dalla ribelle era piuttosto breve e questo significava che se ne sarebbero andati via presto. Avrebbe lavorato giorno e notte pur di accelerare i tempi, dannazione.

Alexios aprì gli occhi poco più tardi. Aveva delle profonde occhiaie a segnargli il viso, i capelli scompigliati e l'impronta della sabbia sulla guancia destra.

«Buongiorno, Ombra dell’Aquila.»

«Rieleen?»

«Probabilmente sei crollato, mi sono svegliata e sono venuta a cercarti.» spiegò, volgendo di nuovo lo sguardo all'orizzonte. «Peccato, speravo che i pirati avessero deciso di farti fuori. Sappi che non avrei gettato a Poseidone tutta la tua roba.»

Alexios alzò gli occhi al cielo e si mise a sedere. «E’ successo qualcosa, in queste ore?»

«No,» rispose. «niente di eclatante. Ho ricevuto queste istruzioni e ho molta fame. Sai quanto la fame mi faccia diventare suscettibile, vero?»

«Come non saperlo…»

«Ottimo! Ne discuteremo più tardi, allora.»


Rieleen gli sorrise, prima di arrotolare di nuovo la pergamena e porgere una mano ad Alexios, che non rifiutò l'aiuto. Era esausto, ma presto avrebbe completato il suo incarico e sarebbe tornato a solcare gli infiniti mari dell'Egeo, giusto?


#


Il sapore acre del vomitò le salì in gola e quella spiacevole e disgustosa sensazione durò per tutto il viaggio in mare aperto. Poseidone quel giorno non era affatto magnanimo.

Barnaba sosteneva fosse perché nessun membro dell'equipaggio aveva donato alle acque un animale in sacrificio prima della partenza. Per gli dèi, era proprio così necessario?

Il vecchio fece promettere a ognuno di loro - Alexios compreso - di portare con sé un paio di capre al ritorno.

Rieleen si chiese dove diamine avrebbero trovato delle capre in mezzo al Mar Egeo, non avendo alcuna intenzione di attraccare su qualche isola vicina. Fobos non era un'opzione, però.

«Dimmi ancora perché lo stiamo facendo.» borbottò la giovane, sforzando le corde vocali per sovrastare il rumore della tempesta, la mano sinistra a difendere gli occhi socchiusi.

«Dracme?»

«Per gli dèi, avrei preferito rubarle!» esclamò Rieleen, tenendosi saldamente al corrimano per evitare d'essere sbalzata via dal vento e dalle onde che si riversavano incessantemente sulla nave.

«Non mi dire che tutto questo non ti era mancato.»

«No, Alexios, diamine no.» sbottò ancora, i capelli zuppi di acqua e i vestiti incollati al corpo che la rendevano sempre meno agile e scattante.


Dalla discussione con Cira era trascorso un altro giorno. Un giorno in cui per fortuna non avevano più avuto modo di rivederla. Rieleen ne era entusiasta e Alexios non si poneva domande.

Dopotutto, avevano in mano il loro piano, confrontarsi con lei prematuramente era del tutto superfluo.

Le navi dei pirati erano abili in mare aperto, anche se non quanto la flotta ateniese che regnava incontrastata in tutto il mondo greco.

Rischiarono perfino di attirare la loro attenzione più di una volta, ma riuscirono a restare a distanza di sicurezza da quelle imbarcazioni enormi e corazzate, come mai se ne vedevano in giro.

In ogni caso, l'Adrestia era forte. Spezzava gli scafi delle navi rivali con estrema facilità e, per quanto fosse sempre in inferiorità numerica, riusciva senza intoppi a gettare tra le fiamme di Ade i nemici.

Durante la battaglia navale, Alexios e Rieleen riuscirono anche a balzare su qualche imbarcazione danneggiata irrimediabilmente, facendo razzia di tesori e di qualunque bene prezioso e non i pirati deceduti avessero nascosto 

nelle loro tasche; per quanto discutibile, quella era la guerra e così funzionava.

Mentre navigavano verso il prossimo obiettivo, Rieleen pensò fosse strano essere tornati a uccidere insieme. Il sangue sugli abiti, le mani indelebilmente macchiate di rosso, un rosso che andava via troppo difficilmente.

E poi ancora, combattere fianco a fianco, schiena contro schiena: il rumore metallico della lancia rotta di uno unito al veloce sibilo di una freccia dalla punta acuminata dell'altro.

Quella era musica per le sue orecchie.

Era l'avventura che le era mancata in quei mesi, anche se tendeva a negarlo, l'adrenalina che così tanto aveva bramato nella Grande Atene che la voleva schiava e poi la scarica di energia che in Messara riusciva solamente a sognare.

Il mare rendeva liberi, l'Adrestia era casa.

«Abbiamo finito?» domandò Alexios d'un tratto, facendola tornare bruscamente alla realtà. «Rieleen?»

«Eh? Sì, direi di sì. Quegli stronzi saranno in fondo al mare, a quest'ora.» rispose, osservando l'equipaggio che via via gettava in acqua gli ultimi corpi rimasti sul ponte; la pioggia incessante sembrava non disturbarli minimamente.

«Bene!» annuì l'altro, prima di spostare la sua attenzione agli uomini. «Giù le vele!»


Il viaggio di ritorno si rivelò molto più semplice.

La tempesta scemò rapidamente così com'era arrivata; era quella una particolarità del mare aperto: un attimo prima pioveva e rischiavi di cadere in acqua e un attimo più tardi spuntava il sole a riscaldare gli animi.

Lasciarono ad asciugare gli strati superficiali dei vestiti e l'armatura sopra il corrimano dove era alloggiato il timone e, in un silenzio confortante, remarono per tornare a Mykonos.

Barnaba borbottava ancora riguardo il sacrificio mancato, ma nessuno gli diede più retta.

Alla fine, si limitò a canticchiare e sistemare la stiva della grossa nave; nonostante tutto, Poseidone aveva deciso di risparmarli.

Giunsero in territorio deliano in poche ore poi, così come la furia della tempesta poteva cambiare le sorti dei navigatori in pochi istanti, anche sulla terraferma nulla era scontato e lineare.

Sorridere e lasciarsi andare a qualche risata sollevata era la norma in questi casi, ma certo nessuno di loro si sarebbe aspettato una simile accoglienza

Con un residuo di divertimento sul volto, Alexios gettò un veloce e disinteressato sguardo alla spiaggia dove solamente poche ore prima s'era appisolato.

Fu così improvviso che il sorriso svanì dalle sue labbra e le ginocchia rischiarono di non reggere più il peso del mercenario.

Spostò gli occhi castani su Rieleen.

La sua mente si divertiva a giocargli brutti scherzi, ora? No, l'espressione aggrottata della giovane al suo fianco parlava da sé.


Taleta era lì, a poche centinaia di metri dal porticciolo; era pressoché uguale all'ultima volta, la treccia classica spartana, l'armatura lucente, la postura fiera e le mani sui fianchi come un vero Generale che guida un esercito.

Come aveva potuto non vederlo prima?

L'accampamento era circondato da alcuni stendardi e tre tende già montate. Gli scudi con la lettera lambda tipica di Lacedemone risaltavano.

Non era una novità che gli spartani fossero a Mykonos. Oltretutto, Cira non aveva perso occasione per lanciargli una poco velata frecciatina acida, eppure era quasi paradossale.

Se Alexios era riuscito a resistere al pericoloso ondeggiare del mare in tempesta, quella di sicuro era l'occasione buona per svuotare il contenuto del suo stomaco a riva.


Il vecchio Barnaba non aveva poi tutti i torti, dopotutto.

Gli dèi erano molto volubili e Alexios non faceva loro offerte da molto tempo.

Se la situazione fosse stata diversa, se quello di fronte a lui non fosse stato affatto Taleta, avrebbe alzato gli occhi al cielo imprecando contro l’uomo di mare e le sue credenze infondate. Ma quella, doveva essere necessariamente una punizione divina. Prima che potesse notarlo - e con ogni probabilità l'aveva già fatto, considerando le dimensioni dell'Adrestia, gli voltò le spalle e tornò al comando.

«Barnaba, invertiamo la rotta.» mormorò a bassa voce verso l'uomo che lo guardò sorpreso con l'occhio sano spalancato. Rieleen non disse nulla e, come era sua abitudine fare, tirò il cappuccio a coprire buona parte del volto.


Maláka.


fine


 


Ma salve.
Finalmente, dopo un’eternità riesco a pubblicare il seguito di questa storia. Il tutto, mentre ho un altro progetto in corso sempre su Odyssey.
Onestamente, credevo che questo capitolo non avrebbe visto la luce, soprattutto per quanto riguardava la revisione… ma eccomi qui. Stiamo entrando un po’ più nel vivo della trama e sicuramente ci saranno altri flashback sul passato, per quanto l’idea fosse quella di scrivere ben pochi capitoli. Finisce sempre così, eh?
Scherzi a parte, sono felice di avercela fatta in questo periodo completamente folle della mia vita. Detto questo, grazie a chi ha letto fino a qui. Spero possa piacervi.
Alla prossima.


   
 
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